30 Righe di Raffaele Bonanni

Home 30 Righe di Raffaele Bonanni

Se sul nostro futuro pesa il rischio della disumanizzazione…

La radice di ogni cambiamento è il cuore, da dove derivano bene e male, vita o morte. Questa verità carica di sapienza la troviamo nel Siracide del Vecchio Testamento. Mi ha impressionato come così semplicemente si possano descrivere grandi verità che riguardano l’esperienza concreta degli uomini di ogni generazione, fino ai nostri giorni. I versi sacri, riferendosi al nostro cuore, lo definiscono realtà che designa ogni persona nell’unità della sua coscienza, della sua intelligenza, della sua libertà, della sua interiorità, della sua capacità di pensiero. Dunque un ‘cuore’ libero, sostenuto da queste innegabili qualità basiche, non può che spingerci a fare bene nelle varie nostre attività quotidiane.

Ma la vita tumultuosa moderna non ci dà il sufficiente tempo e il distacco necessario per la profondità da raggiungere con il pensiero, cosicché la ricerca di interiorità tanto decisiva per lo sviluppo della sensibilità che tiene sveglia la coscienza, ci può facilmente allontanare dalla spiritualità per prendersi cura di noi stessi e degli altri della nostra Comunità; di guardare alla sacralità del Creato come bene a noi affidato, di dare un senso alla storia di ogni generazione. Possiamo allora dire che questo è il tempo di un cambiamento carico di incognite, che può soffocare la ricerca delle virtù che si ottengono attraverso la collaborazione intensa tra persone, sostenute dai principi di solidarietà e orientata a ottenere avanzamenti in ogni ambito per lo sviluppo delle persone.

L’idea che la comunità progredisca attraverso l’impegno di tutti e redistribuendo a ciascuno i benefici giusti è osteggiata dai nuovi poteri. Si contrappone e prende spazio in questi tempi la ricerca delle libertà individuali senza alcun limite, e avviene in concomitanza allo sviluppo della tecnica dominata da un sistema capitalistico non più fondato sull’impresa industriale comunque legata ad altri soggetti sociali e istituzionali e che spesso si è mostrata come comunità per coloro che a vario titolo hanno compiti necessari per il suo sviluppo. Un capitalismo freddo e privo di relazione, che attraverso le tecnologie digitali mobilita servizi nel nuovo mercato, che dallo spazio guadagnato nella platea sconfinata globale ottiene guadagni stratosferici mai raggiunti nella storia, utili per dominare la finanza, la politica e ormai anche le abitudini e le scelte delle persone avendo a disposizione i mezzi potentissimi della dominante diffusione dell’informazione e della cultura. Si può dire senza smentita, che l’umanità in assenza di correttivi operanti su scala globale, corre rischi gravi sia riguardo la propria identità, sia per la perdita di orizzonti di Democrazia partecipata, sinora garantita dall’equilibrio di potere raggiunto generalmente nel XX secolo.

Qualora questi principi fondanti della Democrazia conosciuta sinora operante nella dimensione nazionale vengono posti sotto assedio da poteri privati non responsabili, vengono dissipati i patrimoni di libertà e di protagonismo collettivi, per fare largo a diritti individuali slegati da ogni responsabilità di convivenza collettiva, che conducono alla disumanizzazione e alla crescita di poteri oscuri. Ecco allora che questo è il tempo di Costruire su nuove basi il mondo dei prossimi tempi, aggrappandoci alla radice di ogni cambiamento: il nostro cuore. Un ‘cuore’ che spinge a guardare dentro di noi e alla vocazione che abbiamo come persone nate per tramandare la vita e sapienza che sviluppa la persona nella sua interezza. Un cuore sensibile alla libertà e al benessere di tutti come condizione per la pace e lo sviluppo integrale della persona strettamente integrata nella sua Comunità.
(ITALPRESS).

Crisi politica tra spaesamento e preoccupazione

0

La crisi politica potenzialmente incombente dopo la brusca ed incompresa fuoruscita di Italia Viva dal governo, purtroppo crea tra i cittadini un ulteriore spaesamento rispetto al sistema politico italiano, rafforza perplessità e preoccupazioni nell’establishment europeo per il rischio che un eventuale crollo italiano possa apportare ripercussioni pesanti sugli assetti economici e politici del vecchio continente. Matteo Renzi per giustificare la sua rottura, ha usato argomenti condivisibili circa la vaghezza dei programmi di impiego delle ingenti risorse europee e riguardo alla insufficiente azione sui fattori principali della nostra debolezza economica, ma le sue denunce non sono state in grado di interessare né la maggioranza, né l’opposizione, né tantomeno la generalità dei cittadini. Dunque, alcuni argomenti usati, pur veri, sono sostanzialmente apparsi come strumentali, a causa di comportamenti non molto distanti da quelli da lui pur denunciati, come l’uso reiterato di bonus e di strappi di carattere politico istituzionale, nella sua funzione passata di capo del governo. Il fatto è che il ‘pasticcio all’italiana’, confezionato in piena pandemia, è stata la rottura di una coalizione governativa meno opportuna dal dopoguerra ad oggi. I problemi da elencare riguardanti il non funzionamento dell’esecutivo, potrebbero far impiegare giornate e giornate di racconti, e tuttavia costa al Paese di più procurare una crisi fulminea o che si trascinerà in un tempo lungo, come credo potrà avvenire, che tentare un’azione costante per raddrizzare le cose storte. Soprattutto chi fa politica, sa perfettamente che per molte ragioni Conte è destinato con alte probabilità a restare a Palazzo Chigi fino alla conclusione della legislatura. Non c’è molto da sforzarsi per ricordare che fu proprio Renzi ad indirizzare gli eventi che condussero al Conte bis all’esaurimento della esperienza gialloverde. Allora perché arrivare a questa sciagurata conclusione! Non era meglio lavorare ai fianchi per migliorare le decisioni che ottenere uno scenario politico che si prospetta ancora peggiore? Lo scenario che si profila con ingressi a casaccio di senatori utili a tenere in piedi il governo, è davvero ancora più preoccupante, e non servono a nulla le prediche sui cambi di casacche in Parlamento. Ormai le forze politiche riguardo a questa pratica, sono in un modo o in un altro tutte coinvolte nello sconfortante traffico tanto radicato, che l’opera tanto nota di Amedeus Mozart ‘così fan tutte’, molto si addice a descrivere la triste realtà delle cronache politico parlamentari. Credo che in Europa sia molto difficile rintracciare simili esperienze soprattutto in momenti bui come quelli che si stanno vivendo in Italia. Non bastano il COVID con morti, malattie, dispiaceri, e la opportunità di risalire la china con risorse abbondanti mai viste, a infondere più responsabilità nella classe politica a partire da chi ne dovrebbe dimostrare in più per i suoi incarichi istituzionali. Sono convinto che il senso di queste vicissitudini conteranno molto in futuro nelle scelte dei cittadini, e tuttavia oggi bisogna fare tutto il possibile per non subire altri danni. Se ne facciano una ragione sia Conte che Renzi, dovranno per amore del paese sopportarsi per garantire un minimo di stabilità. Rompere porterebbe gli interessi nazionali e la credibilità delle istituzioni ancora oltre gli azzardi già commessi. Lo devono fare nel far crescere nell’opinione pubblica maggiore consapevolezza sulle scelte da intraprendere, sui comportamenti da incoraggiare e non, e sullo stesso ruolo dei cittadini. Dunque stiano sereni e sappiano dimostrare che in tempi eccezionali anche gli orgogli ed ambizioni personali non valgono che una inezia.
(ITALPRESS)

Il nodo Trump e l’errore dei Dem di esasperare lo scontro

0

Gli Stati Uniti sono entrati drammaticamente in una crisi politica e istituzionale di grande portata. Taluni hanno sostenuto che la responsabilità sia da attribuire a Trump. Ma nonostante le sue rotture, le sue ruvidezze, le sue spacconate, i suoi comportamenti irrituali e i grandi passi falsi, non credo che la situazione imbarazzante in cui si è caduti sia da addebitare interamente a lui. È comunque preoccupante che il principale pilastro dell’attuale democrazia mondiale possa essere giunto così platealmente a mostrare al mondo la sua debolezza. Certamente non preoccupa la dialettica molto accesa, anche quando quando la polemica si fa molto aspra tra gli attori politici come è accaduto normalmente nella storia statunitense. Ma quando si perde il senso del ruolo di attori quali soggetti principali della democrazia liberale lo sgomento non può che assalirci. Il gioco di maggioranza e opposizione, ambedue importanti per l’efficienza della democrazia, deve essere visto come un unicum.

Quando si smarrisce questo senso e si va alla contrapposizione e non al confronto, è il sistema intero che crolla, e in prospettiva nessuno si salva. Certamente si è dimostrato incauto Trump travolto dalla sua stessa indole nell’irretire i suoi elettori dopo la sua evidente sconfitta. Anche i suoi avversari però, non paghi del suo evidente isolamento, hanno loro stessi esasperato lo scontro parlando e agendo come se si fosse di fronte a un golpe, a una sedizione. E grave è stata l’occupazione simbolica del parlamento da parte di qualche centinaio di persone più pittoresche che assalitrici. I democratici avrebbero dovuto limitarsi a usare il pugno di ferro contro i trasgressori materiali delle leggi, e a condannare sul piano politico, senza appello, la mancanza di contegno del Presidente uscente, nell’uso sconsiderato ed esasperato delle sue convinzioni.

La richiesta di impeachment per deporlo (a sei giorni dall’insediamento), e di interdirlo dai pubblici poteri, dunque non credo sia una buona cosa per la solidità del sistema politico ed istituzionale. Il tentativo da parte dei democratici di inserirsi nelle nelle turbate file dei Repubblicani, avrà più l’effetto di una chiusura a riccio, invece che una condanna “politica” delle inopportune e avventate sparate di Trump. Trump stesso ha avuto modo in queste ore di precisare nettamente ai suoi seguaci con un appello pubblico di non commettere nessuna violazione delle leggi, nessuna violenza, nessun vandalismo nella eventualità di altre manifestazioni di protesta prima e durante la ‘nomination’ di Biden. Dunque si è auto accusato nell’aver esagerato, e conoscendo la sua indole, senza dubbio saranno sembrate ai più affermazioni importanti.

Insomma i problemi politici, anche quelli gravi, si risolvono con la politica, diversamente le conseguenze nel tempo saranno più portate a dare forza ai problemi irrisolti che non si esorcizzano con facilità. Nella società americana, come negli altri paesi democratici, i cittadini avvertono sempre più l’impotenza della politica e delle istituzioni nei confronti dei nuovi dominatori del mondo, che peraltro nascono e si sviluppano soprattutto negli States, come il potere finanziario e i grandi magnati della Rete: Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft. La vittoria di Trump nelle precedenti presidenziali è da attribuire al sentore di moltissimi cittadini che il tycoon fosse più autonomo dai potentati che Hillary Clinton e molti altri dell’establishment democratico.

Se i Democratici vogliono affrontare il Trumpismo dovranno dare dimostrazione di volere affrontare i problemi che hanno originato la sua ascesa, a partire dal dilagare senza regola dei poteri della finanza e delle loro grandi ‘international company’. Mettere la testa sotto la sabbia su questi nodi politici e rifugiarsi nella facile demonizzazione dell’avversario, spacca ulteriormente la politica, esaspera quella parte dell’America che la pensa diversamente, fa restare immutato un assetto di potere che ormai inquieta americani e democratici del mondo in generale.

Raffaele Bonanni

Governo, serve maggiore chiarezza

Iniziato un nuovo anno, ecco che la politica italiana in questi giorni dovrà imprimere una andatura diversa e offrire agli italiani una maggiore chiarezza. Nell’ultimo mese siamo stati oggetto di martellamento continuo dei media sul rischio di una crisi di governo, che penso abbia diffusamente disgustato i cittadini, soprattutto perché ad originarlo ha riguardato come e chi dovrà gestire le risorse del recovery fund: un monte di miliardi di Euro da cui può dipendere il futuro d’Italia.

Al di là di quello che si dice, sicuramente la crisi non ci sarà. Il Presidente del Consiglio Conte e Matteo Renzi si metteranno comunque d’accordo sulla vasta e su alcuni aspetti misteriosa questione del contendere.

Stando a quello che ripetono i media riforniti di informazioni dagli stessi contendenti, l’accordo riguarderebbe la struttura nuova del governo, la natura degli investimenti, le modalità e le strutture per la spesa.

Sicuramente evitare la crisi in questi frangenti è un bene, ma non lo sarebbe qualora si intendesse procedere senza considerare come fondamentali gli unici requisiti da ricercare nell’uso dei denari del recovery fund: la rigida e coerente scelta dei settori di riforma e investimenti indicati dalla Unione Europea, come gli strumenti efficienti e trasparenti per sostenere la conduzione della spesa.

Infatti spendere bene i soldi per un auspicabile giovamento economico, dovrà essere l’obiettivo essenziale. Se dovessimo sprecare le risorse in mille rivoli senza una coerenza di fondo da raggiungere, sull’obiettivo della evoluzione della cultura e delle strutture digitali e sulla transizione energetica verde, non solo perderemmo l’occasione unica per recuperare il ritardo accumulato in questo ultimo decennio, ma subiremmo anche il tracollo economico, in quanto i soldi impiegati male, in luogo di riassorbire il debito pubblico, lo andranno ad inesorabilmente ad aumentare.

Insomma queste risorse dovranno servire per ottenere le principali riforme economiche che sinora si sono state trascurate, e che se sfruttate bene ci possono ridare competitività e dunque capacità di stare nel mercato. Ma nel caso italiano, occorre tenere conto che anche le strutture tecniche di gestione, hanno la loro importanza. Alcuni politici hanno tuonato sul fatto che debba essere il Parlamento il soggetto deputato a decidere come accade a Parigi, a Madrid o a Berlino, e su questo assunto nessuno potrà certamente dire il contrario. Ma il nostro Governo e il Parlamento, se volessimo ben inquadrare la nostra situazione di incapacità endemica tecnica degli apparati pubblici, non potranno contarci come verifichiamo nella incapacità di spesa dei fondi europei e statali, al contrario di quello che come accade nei paesi paesi succitati del Continente.

In definitiva se registriamo forti lacune nella spesa ordinaria e di somme enormemente più piccole, si può già da ora immaginare cosa potrà accadere nella gestione delle somme ingentissime del Recovery Fund. In questo ultimo trentennio la incapacità di gestione progettuale e di gestione dei controlli è stata così grave, che in ogni occasione di progettazione e gestione di grandi e piccoli progetti, i tecnici privati sono diventati quasi l’esclusivo espediente per andare avanti, al prezzo di grandi guai.

A tale proposito, per farla breve, penso che la prima proposta di Conte di costituire un nutrito staff di tecnici come task force sia giusto. Infatti se il Governo e Parlamento dovranno indicare la strada da intraprendere e i controlli sulle realizzazioni della spesa, la gestione deve essere altamente qualificata; fatta di altissime e indiscusse professionalità italiane ( e se sarà il caso anche estere ) proprio per assicurarsi il massimo risultato ed alta trasparenza.

Si sa, i professionisti di altissimo valore, oltre alla perizia, sapranno garantire anche autonomia. Tant’è così, che chi ha un alto prestigio professionale, difficilmente diventa disponibile a traffici di ogni sorta, come spesso apprendiamo dalla cronaca negativa.

Confesso che quello che mi ha molto preoccupato dell’annuncio dato dell’allestimento della nutrita task force, risiede nella circostanza che non si è fatto alcun nome di professionisti e non si è data nessuna enfasi sulla necessità di requisiti altissimi da richiedere. Da questa banale constatazione, ho tratto, ne sono sicuro, che nell’ambiente politico si è intensificata la pressione sul Governo, per imbarcare tecnici di propria fiducia. Credo che questo tema, al pari dell’auspicabile programma sul digitale e la transizione energetica, ha bisogno nello Stato centrale, nelle Regioni, nei Comuni, di un scompaginamento delle abitudini e schemi di lavoro, se vogliamo ottenere il risultato di una migliore Italia: semplicemente più moderna, più efficiente, più trasparente

Lavoro, shock da pandemia e auspicio per nuove politiche

0

Ecco che conclusosi un anno, ne inizia un altro nuovo. In queste ore ognuno di noi augura ad amici e conoscenti un generico buon anno, che ognuno può declinare come meglio ritiene. Ma sono sicuro che se chiedessimo in particolare ad ogni cittadino quale sia il migliore augurio che davvero vuole che si realizzi, risponderebbe di preferire che il lavoro si possa ottenere al più presto qualora non si abbia, e di non perderlo se già lo si ha. A ben vedere, dall’inizio della pandemia ai giorni nostri, si son persi circa mezzo milione di occupati, che purtroppo vanno ad aggiungersi ai tanti altri persi nel decennio ultimo a causa della crisi del 2008, mai riassorbiti. Dunque una situazione molto critica che dovrebbe preoccupare non solo chi è nella triste condizione di disoccupato, ma anche ogni altra persona di buon senso. Occorrerebbe chiedersi: come si fa in queste condizioni a mantenere integra la coesione sociale? Come si potrà partecipare vantaggiosamente alla competizione di mercato? Come si fa a provvedere alla spesa pubblica? Come si fa a custodire tutto il sistema di sicurezza sociale? Interrogativi da far tremare i polsi; eppure nel paese da tempo, più che preoccuparsi di allestire un sistema solido e razionale per sviluppare, al massimo ci si preoccupa di ottenere una narrazione che riguardi non oltre la giornata che si sta vivendo. E intanto a marzo 2021 i disoccupati cresceranno ancora di più, con la caduta del blocco dei licenziamenti. Arriveremo a circa 3 milioni di disoccupati che confrontati ai 25 milioni di italiani che lavorano, significa che siamo alla constatazione terribile che più di una persona su dieci e’ involontariamente senza lavoro. Invece gli italiani in età di lavoro che sono disoccupati e neanche lo cercano, sono ben 13 milioni e cinquecentomila persone. Qualche altro milione e mezzo è assistito da cassa integrazione e da indennità di disoccupazione (pagati dai contributi di imprese e lavoratori), altri (la maggioranza) percepiscono il reddito di cittadinanza (pagati dagli italiani contribuenti con le tasse). Questo quadro pessimo, che peraltro persiste da anni, ha visto i governi nazionali e regionali più impegnati a produrre assistenza ai lavoratori e bonus per incentivi alle imprese per assumere, che a gestire tutti i fattori che portano posti di lavoro. I posti di lavoro infatti si ottengono con imprese che vivono in un paese ben organizzato con poche tasse, con trasporti efficienti, con istruzione e formazione di qualità, con giustizia rapida, infrastrutture valide e banda larga in ogni territorio, con pubblica amministrazione che agevola cittadini ed imprese, servizi comuni poco costosi e validi, con un debito pubblico meno condizionante la vita nazionale. Ecco! I posti di lavoro di qualità e in quantità vengono proprio ed esclusivamente dall’andamento di questi fattori. E allora un augurio mi piacerebbe fare agli italiani: che il prossimo anno si comprenda tutti, a partire dal governo nazionale e regionali, che il diritto naturale al lavoro può essere garantito alla sola condizione di occuparsi incessantemente degli aspetti sopra sottolineati. In modo tale che l’aspirazione al lavoro per ogni persona che ne ha diritto per ottenere autonomia per se stessi e per la propria famiglia per realizzarsi professionalmente possa concretizzarsi davvero. E per dirla con San Giovanni Paolo II: un uomo con il lavoro diventa più uomo. (ITALPRESS).

Sciogliere il nodo del fisco per vincere la sfida salariale

0

Da molti anni i lavoratori e le loro organizzazioni, periodicamente, rilanciano il tema salariale che ormai è una innegabile emergenza. Lo è senz’altro per chi lavora, perché anche essendo in due a lavorare in una famiglia giovane, la voce delle uscite del bilancio casalingo spesso sopravanza la voce relativa alle entrate. Questo andamento nel tempo si è sempre di più accentuato, a causa delle esigenze sempre maggiori per le famiglie, di fatto imposte dagli andamenti della “vita moderna”. Ma è innegabile che questo accada anche per il fisco in continua ascesa, e servizi sociali pubblici sempre più scarni ed insufficienti che spingono necessariamente verso costosi servizi privati.
Insomma il reddito reale dei lavoratori è ormai diminuito da molti anni, pur essendoci stati rinnovi contrattuali nella maggioranza dei settori, con adeguati aumenti salariali pattuiti dalle associazioni imprenditoriali e da quelle dei lavoratori. Va sottolineato che le contrattazioni sono avvenute regolarmente nonostante il grado medio della competitività e produttività dell’industria e dei servizi italiani siano molto peggiorati al confronto con i paesi concorrenti nei mercati internazionali, e nonostante le nostre imprese, generalmente, siano diventate sempre più deboli. A conti fatti, ogni aumento ottenuto nel corso dell’ultimo quarto di secolo è stato sequestrato dall’idrovora fisco.
Per rendersi conto di quello che è accaduto, basti consultare i dati relativi alla pressione fiscale dagli inizi degli anni novanta fino ad oggi, per notare come attraverso tasse visibili ed occulte nazionali, unitamente alle sempre più crescenti ed invadenti tasse locali, la differenza si colloca a più del 30%, senza calcolare la iniqua distribuzione dei pesi delle tasse in capo ai lavoratori dipendenti per la esplosione del lavoro autonomo, para autonomo e del lavoro nero. Dunque, in una situazione così evidente e stringente, le contrattazioni salariali non possono che svilupparsi alla condizione di ottenere due fondamentali cambiamenti: tagliare drasticamente le tasse sul lavoro; imprimere alla produttività di sistema dei fattori di sostegno alle produzioni ed alla produttività delle aziende una vigorosa spinta, in modo da correggere rapidamente l’attuale condizione, che se qualora non cambiasse, condurrà al collasso l’economia e la coesione sociale.
Il malessere e rassegnazione che serpeggiano tra i lavoratori non porterà a nulla di buono, soprattutto in momenti di necessità di grandi sfide ed impegni occorrenti per la società italiana, se non si dovesse cambiare radicalmente questi due fattori sopra sottolineati. Essi condizionano negativamente anche la vivacità del mercato di consumo interno in assenza di una politica salariale molto più vivace. Allora il governo garantisca con zero tasse la maggiore produttività nelle aziende, mentre le parti sociali trovino soluzioni intelligenti coerenti con questi obiettivi. Allora imprenditori e lavoratori farebbero bene a pattuire insieme una linea forte all’altezza della situazione, e comunque facciano fronte comune per spingere il governo alla consapevolezza della sfida salariale. Insomma devono saper alzare il tiro riproponendosi presidio morale e politico del mondo del lavoro. Agire sbiaditamente e in ordine sparso, certamente non corrisponde alle preoccupazioni di lavoratori ed imprese, in un momento particolarmente impegnativo come quello che stiamo affrontando.

Raffaele Bonanni

Per rilanciare l’Italia serve una presa di coscienza collettiva

0

Il nostro Paese deve ritrovare il senso della propria storia e i punti principali della sua forza morale e spirituale. Negli ultimi anni è sembrato rifugiarsi in sentimenti e risentimenti negativi, tutti sintomi di decadenza e di abbandono, tuttavia deve saper di nuovo reagire come nei migliori tempi passati attingendo a ogni energia presenti nella Nazione. Le forze più coscienti e consapevoli della partita in atto, devono unirsi per dare origine a una condizione virtuosa in grado di sconfiggere ogni attuale spinta verso l’autodistruzione, in modo tale da garantirci la salvezza. Da bambino, in campagna dove vivevo, sono rimasto impressionato dalla capacità dei muli e dei cavalli a rialzarsi dopo essere inciampati e caduti a terra. Assistere a questi eventi accennati, mi hanno insegnato come sia decisivo coordinare perfettamente ogni muscolo del proprio corpo per sprigionare la forza necessaria per tornare sui propri piedi.

Si sa, muli e cavalli sono corpulenti e gli arti inferiori, anche se snelli e muscolosi, fanno fatica a pareggiare la forza necessaria per far fronte alla sproporzione del loro peso, nell’atto di rialzarsi. Infatti, questi quadrupedi, coordinando istintivamente la spinta della contrazione di ogni muscolo nel medesimo istante, riescono con eleganza e sicurezza a riassicurarsi la propria posizione naturale in piedi. Anche l’Italia in questa epoca è a terra e ha la pressante necessità di rialzarsi per riassicurarsi il suo posto nel novero delle maggiori potenze industriali, garantendo al suo popolo la prosecuzione della propria prosperità e coesione sociale. Ma ha bisogno che tutte le proprie energie si esprimano come fossero una sola. Prendiamo ad esempio la produttività del nostro sistema che si è fermata già prima del lockdown. Dal 2014 al 2019, la produttività In Italia si è espressa a +0,2% contro una media dell’1,3% della Unione Europea. Nel periodo 1995-2019 la crescita italiana è stata dello 0,9% rispetto alla media europea che si è attestata all’1,9%.

Si potrebbe continuare ancora con la lettura di altri indicatori riguardo la nostra salute economica, ma già questi elementi bastano e avanzano a segnalare che le cose non vanno. Dietro questi due dati si appalesano il malfunzionamento dei fattori più importanti dello sviluppo come le tasse eccessive, il costo alto dell’energia, scuola e università largamente insufficienti, infrastrutture materiali e immateriali deboli, pubblica amministrazione disastrosa, sistema istituzionale e politico in grande confusione ed affanno, il Mezzogiorno tagliato fuori da ogni processo economico, così anche la disastrosa condizione della demografia. Anche i fatti relativi della crisi sanitaria che stiamo vivendo, denunciano gravemente la crisi del nostro sistema politico e amministrativo. Insomma, le accentuate difficoltà a governare le vicissitudini economiche e persino quelle relative alla pandemia, hanno origine da tempo da una unica matrice: la incapacità della società italiana a prendere sul serio ogni sfida, frastornata e incapsulata com’è nelle certezze passate, incapace di comprendere le sfide che questo tempo ci chiama ad affrontare.

Se non fosse così, non si giustificherebbero molte fughe dalle proprie responsabilità di governanti e oppositori, di un sistema di informazione in gran parte impegnata a produrre confusione, di una società civile senza profeti. Ecco, chiunque abbia coscienza della situazione di degrado galoppante, dovrà unirsi per far crescere ogni profezia di speranza per non morire. L’unione di ogni energia consapevole e responsabile del paese dovrà unificare gli sforzi. Ritardare ancora l’iniziativa coraggiosa e indispensabile nel voler risalire la china, sarà pagata con costi altissimi dagli italiani.

Raffaele Bonanni

(ITALPRESS).

Sorge e la ventata nuova della “Primavera” di Palermo

di Raffaele Bonanni

È tornato alla Casa del Padre Bartolomeo Sorge, Sacerdote della Compagnia di Gesù. Instancabile formatore e pensatore, acuto politologo e teologo. Il suo pensiero e le sue opere hanno hanno sensibilmente influenzato molti cattolici italiani e formato giovani di diverse generazioni. Anche io personalmente ho potuto conoscerlo appena trentenne a Palermo presso il Centro di Formazione Politica Pedro Arrupe nel corso degli anni 80. Ancora ricordo l’emozione quando con molti giovani lo accogliemmo nel ‘Centro’ di via Franz Lehar, luogo privilegiato dei giovani cattolici siciliani per i propri convegni, seminari, corsi di preparazione al sociale e alla politica.

Il suo atteso arrivo, nel pieno delle nostre attività di sensibilizzazione, venne vissuto come una grande conferma per l’azione costante che stavamo esercitando in Città per il rinnovamento della politica e delle istituzioni palermitane. Era il tempo di un grande protagonismo giovanile per rivitalizzare speranze e impegni, e il suo incondizionato e immediato aiuto, insieme alla benevola considerazione del carismatico Cardinale Salvatore Pappalardo, produsse una forte ventata nuova che si trasformò nella ‘primavera di Palermo’. In ogni assemblea mensile presso il Centro Arrupe, che lo vedeva sempre presente ad incoraggiare all’impegno, campeggiava sempre ‘Rinnovare Palermo nel segno della vita e della speranza’, che divento’ lo slogan che accompagnò quella stagione straordinaria. Lo incontrai di nuovo verso la metà degli anni Novanta invitandolo a stare con giovani sindacalisti per tre giorni in un seminario per cercare di scrutare i tempi nuovi dopo la cosiddetta ‘tangentopoli’ che aveva sconquassato il sistema politico.

Nella società italiana, in quegli anni, il bipolarismo aveva già radicalizzato lo scontro politico, e volevamo approfondire, impazienti come eravamo, di come e quando si potesse ritornare alla ordinarietà di un sistema politico più equilibrato e rassicurante per il mondo del lavoro. Puntuale e profondo come sempre, preparò un lavoro proprio per quella occasione. Sosteneva che progressivamente si sarebbe giunti a un sistema politico diverso da quello dominante in quegli anni, arrivando con il tempo a realtà di sinistra e di destra sempre più moderate, nella considerazione che gli italiani non amano gli eccessi e dunque ci attendeva una realtà più rassicurante. La sua analisi era circostanziata e densa di precisazioni e avvinse ciascuno nella discussione. Alla domanda di quanto tempo dovevamo aspettare secondo lui perché potesse finire ‘il bipolarismo distruttivo’, rispose con un sorriso appena accennato, che sarebbero stati necessari decenni, nella considerazione che per svariate situazioni, il processo di mutazione avrebbe richiesto molto tempo.

In effetti quella risposta ci meraviglio’ ed ebbe l’effetto di una doccia gelata. Ma aveva ragione: siamo qui ancora ad aspettare che qualcosa muti.