30 Righe di Raffaele Bonanni

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Covid, l’autocompiacimento è stato il nostro peggior nemico…

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Il nostro paese, per mille ragioni, da dimostrazione spesso di non possedere a sufficienza la dote preziosissima del buon senso, della costanza nel perseguire obiettivi importanti da tutti attesi, della capacità di riconoscere nella collaborazione il primo requisito per ottenere buoni risultati e coesione sociale. Anche in questa triste esperienza di prevedibile riesplosione della pandemia, abbiamo  dimostrato che siamo stati capaci di essere formiche, ma di più ci piace essere cicala. Ci siamo crogiolati per lungo tempo per qualche risultato ottenuto, perdendo il senso della realtà a descriverne in ogni modo le qualità avute, che il tempo dedicato. Solo in questa chiave si spiega la frustrazione che stiamo subendo in questi giorni nell’assistere alla crescita a proiezione geometrica del Covid 19. Tutto incomincia i primi di maggio: ci siamo autoproclamati i più capaci del mondo a domare l’infezione, ma nel contempo oppositori e governanti hanno iniziato una competizione a chi era stato più disposto a  riaprire ogni attività all’insegna della liberazione dalla segregazione domestica. Anche alcuni dei cosiddetti ‘scienziati’ si erano prodigati a rassicurare urbi et orbi che ormai la ‘bestia’ risultava morta o comunque priva di ogni forza. Va ricordato che qualcuno aveva pur messo in guardia a non abbassare gli scudi, e che in autunno avremmo potuto subire altre conseguenze negative; ma questa opinione non è stata considerata in nessun modo, subito bollata al servizio di un non meglio precisato interesse. Poi sappiamo quello che è successo d’estate e come le difese sono state progressivamente sguarnite nella ignoranza più accentuata riguarda a come funziona la psicologia di massa. Va ricordato che gran parte dei 7 miliardi di Euro destinati in emergenza per la sanità non sono ancora spesi per fortificare il sistema di difesa dei servizi territoriali e presidi sanitari, e non si è riprogrammato a sufficienza ogni servizio di trasporto, della scuola, dei servizi alla persona e dei servizi pubblici in generale. Non si sono previsti in tempo nemmeno approvvigionamenti di congrue forniture di vaccini antinfluenzali, al fine di diminuire il più possibile il numero di persone che in stato influenzale, potenzialmente, potrebbe intasare pericolosamente l’afflusso presso gli ospedali, per il timore di aver contratto il Covid 19. Ed intanto continua la stucchevole querelle tra maggioranza e opposizione sulle collaborazioni negate. Ma la cooperazione non può che essere silente  diuturna ed incondizionate, al riparo dai fragori mediatici. Ed invece si ha più che la sensazione che ciascuno va alla ricerca, più che la fatica della responsabilità di fronte al comprensibile malessere dei cittadini, un ennesimo podio per la perenne campagna elettorale. Ed invece dobbiamo tutti remare dalla stessa parte per superare la prova pandemica. Per farlo efficacemente dobbiamo convincere ogni cittadino,  che il Covid 19 è una cosa seria e va sconfitto alla sola condizione di utilizzare ogni possibilità per ridurre il rischio di altre infezioni e morti. Le polemiche e le differenziazioni in questo caso sono drammaticamente pagate dalla economia e con la vita e la salute delle persone. Dunque ognuno faccia la sua parte nelle comunità locali regionali e nazionali. Lo scarica barile da parte della politica nel gioco di maggioranza ed opposizione, continuerà a screditare la classe dirigente, per il solo fatto che esistono più poteri istituzionali nel paese, ed i pesi di questi poteri sono ben distribuiti tra i loro schieramenti. D’altronde i cittadini questo lo hanno già da tempo capito. Dunque nessuna agitazione, a screditare gli altri oltre che a perderci i cittadini, ci perdono anche i denigratori.
(ITALPRESS).

40 anni fa nasceva Solidarnosc, lotta di popolo contro l’oppressione

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Chi ricorda gli eventi straordinari agli albori degli anni ottanta che riguardarono il fiero popolo polacco, all’epoca sotto il tallone del potere della dittatura rossa? L’irruzione nella scena polacca e internazionale del Sindacato Cattolico Solidarnosc riuscì a determinare cambiamenti impensabili in un mondo governato rigidamente dal bipolarismo sovietico – americano. Sono passati 40 anni dal settembre 1980, dalla fondazione di Solidarnosc, il Sindacato dei lavoratori del cantiere navale della città anseatica Danzica che costituì l’elemento scardinante del crollo dell’impero sovietico, che ancora oggi può insegnarci che dalla compressione delle libertà dell’uomo, si genera una forza irresistibile per qualsiasi realtà di potere. La nascita di Solidarnosc non avvenne solennemente come accade nelle realtà libere e democratiche; avvenne clandestinamente a opera di un umile elettricista, Lech Walesa, che annunciò con i suoi compagni di lavoro di dedicare l’iniziativa sindacale alla Madonna, quale simbolo di fede che univa ogni lavoratore della Nazione. Non era la prima volta che in Polonia la fede cattolica aveva costituito l’elemento unificante per affrontare gli invasori. In quell’epoca la Polonia era stata ridotta a Stato vassallo del governo sovietico di Mosca, privata di libertà, di democrazia, e di possibilità di vivere una vita dignitosa.

Infatti, i primi passi di Solidarnosc nel cantiere navale furono subito scioperi per l’ottenimento di aumenti salariali, per consentire ai lavoratori di poter acquistare viveri di prima necessità per le loro famiglie. Naturalmente la reazione delle autorità comuniste fu rabbiosa e lo stesso Walesa fu imprigionato. Intanto le azioni clamorose di quegli operai si dimostrarono così in simbiosi con l’intera Nazione polacca, da diventare un segno di speranza per coloro che aspiravano a mettere fine al regime liberticida comunista. Infatti già dopo un anno, nel 1981, gli aderenti a Solidarnosc arrivarono a essere un numero impressionante: ben otto milioni di lavoratori sparsi in ogni territorio. Intanto nelle città fervevano le iniziative di protesta, tutte sostenute da celebrazioni eucaristiche, con l’immancabile icona della venerata Madonna nera di Czestochowa. Insomma Solidarnosc era man mano diventato l’unico riferimento sociale e politico per la riconquista della libertà e dignità di quegli uomini. Ma un fenomeno così grande, che nei fatti sfidava l’impero sovietico, con tutte le conseguenze che si erano già conosciute nel 1956 a Budapest, e nel 1968 a Praga, fu possibile grazie all’evento speciale che era avvenuto appena 2 anni prima: l’elezione del carismatico Cardinale di Cracovia Karol Wojtyla eletto a capo della Chiesa universale di Roma.

Dunque questa situazione inedita diventò un potente cuneo nel fianco dei Sovietici e del loro sistema che si estendeva in tutta l’Europa orientale. Per i polacchi e non solo, Giovanni Paolo lI, diventava nei fatti un grande deterrente alle eventuali reazioni comuniste. Tuttavia le persecuzioni continuarono così come le torture e le uccisioni. Se era importante per i russi avere meno scontri possibili con la Santa Sede, dall’altra erano assaliti dall’idea che quel vento di libertà si insinuasse in ogni altro angolo del loro ‘impero’. Come non ricordare, il martirio del giovane sacerdote Jerzy Popieluszko, rapito e ucciso da funzionari della polizia del regime comunista, sostenitore di Solidarnosc e predicatore instancabile con le sue lunghe omelie contro le malefatte del regime. Peraltro, questo accadimento è impressionante per somiglianza alla dinamica del rapimento e uccisione di Giacomo Matteotti da parte dei fascisti sessanta anni prima. Ma provocazioni, arresti, torture e uccisioni, non poterono fermare la protesta montante di un intero popolo. Allora, si può dire con certezza che Solidarnosc, che aveva catalizzato attorno a sé tutta ‘l’intellighenzia’ cattolica e goduto dell’autorevole simpatia e appoggio di Wojtyla Santo Padre, ha fortemente accelerato lo sgretolamento dell’impero sovietico che aveva concorso a spezzare i tentacoli nazisti sull’est europeo per porvi i propri grazie all’accordo con gli ‘alleati’ a Yalta, tentacoli altrettanto distruttrici e diabolici.

L’esperienza di quel Sindacato di popolo e di liberazione, che poi avvenne a fine anni 80, dimostra che quando un popolo non rinuncia alla propria identità e alla propria liberazione, non può che uscirne vittorioso. Oggi altre oppressioni subdole imprigionano l’uomo: il relativismo e dunque le sue cupe conseguenze sulla identità antropologica, lo strapotere della finanza, la democrazia aggirata e depotenziata da poteri forti mondializzati. Insomma, le persone, in prospettiva, rischiano di restare imprigionati in un groviglio di inedite ragnatele, che mirano a svuotare il loro potenziale di vocazione alla libertà e al progresso. Movimenti spontanei ma fortemente ispirati (come Solidarnosc), sono l’unico rimedio ai mali di questa epoca, per la prosecuzione del cammino dei popoli verso quelle libertà che rendono capaci gli uomini di far girare positivamente la ruota della storia.

Raffaele Bonanni

Da Draghi indicazioni su buona economia e solidarietà

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Linguaggio semplice, schematico, insistente sui punti cardini della sua comunicazione: si è svolta così la magistrale comunicazione di Mario Draghi al consueto Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini. Ha dato dimostrazione che le persone che hanno una grande preparazione scientifica, con ampia esperienza, e autonomia delle grandi personalità, possono comunicare efficacemente senza retorica, senza diffondersi nel sostenersi nella comunicazione con nozioni tecniche, sostanzialmente comunicando in modo asciutto. Alcuni commentatori hanno detto che la sua relazione è stata efficace ma banale nelle indicazioni, ma non è così. Mario Draghi al meeting è riuscito ad esprimere il meglio della cultura economica e politica, legata saldamente a quell’umanesimo che fa del pensiero sociale europeo un riferimento indispensabile per combattere il populismo e l’economia non governata dalle esigenze di progresso utile al destino dell’uomo. Insomma con il suo discorso, più che dare degli avvertimenti al governo come scrivono taluni giornali, ha voluto appellarsi a favore di tutti i governanti e soggetti sociali che hanno intenzione di accettare le sfide odierne mondiali, europee, italiane. Innanzitutto ha spiegano che i cambiamenti veri avvengono con la individuazione di una idea che matura prima dello sviluppo dei problemi, o almeno concomitante, con una filosofia di fondo sorretta dal coraggio indispensabile per saperla piegare agli eventi. Non per caso ha ricordato De Gasperi, Adenauer, Schuman, quali soggetti attivi nella ricostruzione del dopoguerra e nella edificazione dell’Europa, che oggi soprattutto alla luce della esperienza della pandemia, deve progredire riscrivendo i patti sinora utilizzati ed affrontando l’ultimo nodo rimasto per far progredire il vecchio continente: un autonomo bilancio autonomo reso stabile da una propria fiscalità. Altro caposaldo del ragionamento ha riguardato la riscrittura di un nuovo ordine giuridico mondiale che recuperi il terreno perso sull’ambiente, sul rispetto della dignità dell’uomo, delle regolazioni della finanza. Giustamente ha indicato proprio nei paesi più potenti del mondo, Usa e Cina, i responsabili dei passi indietro fatti rispetto i trattati internazionali, sui temi cruciali della protezione dell’ambiente, sulle regolazioni dei commerci internazionali, sulle regolazioni sul potere finanziario che vanno aggiornate e riscritte. Poi, sulle questioni di casa nostra, ha insistito su due punti delicati e decisivi per la ripresa dello sviluppo: concepire il debito solo come occasione di investimento capace nel ciclo del suo impiego e resa di ammortizzare il debito stesso, con l’aggiunta di guadagni utili a rimettere in moto il regolare svolgersi dello sviluppo economico; la istruzione e formazione quali ambiti, i più potenti, per dare gambe e fiato alla corsa per conquistare mete necessarie per rilanciare con la qualità le produzioni industriali e dei servizi italiani nella competizione globale. Giustamente ha più volte messo l’accento sul ‘debito buono’ che prenda il posto dal ‘debito cattivo’, quale presupposto decisivo per risparmiare al paese il baratro. Certo, non ha dato ne pagelle, ne indicato esperienze negative in particolare; ma tutti sappiamo che i debiti cattivi, anche se in questi ultimi tempi sono cresciuti sensibilmente, sono stati imposti da politiche elettoralistiche, almeno da più di vent’anni. Credo che le parole pronunciate da Mario Draghi lasceranno il segno, almeno per quelle realtà culturali di buona volontà, che intendono dare battaglia per riportare la nostra comunità nel sentiero della solidarietà e della buona economia, della buona politica perché orientata al dialogo e non alla contrapposizione, dell’amore verso il prossimo nel tendergli la mano nel bisogno facendogli posto a tavola, per chi crede che l’Europa, nella propria costruzione finale, possa offrire prospettive di benessere agli europei, ma anche agli altri popoli che invocano democrazia e libertà, soggetti come sono a regimi dittatoriali. (ITALPRESS).

L’Unione Europea tra maturità e “paradisi”

di Raffaele Bonanni

Dopo alcuni giorni dalla riunione UE che ha visti tutti i primi ministri presenti per varare il ‘recovery fund’ e dopo ancora la discussione dell’utile Mes per fortificare la sanità a fronte del Covid 19 e altre future emergenze, si può fare una analisi sui comportamenti e posizionamenti dei vari Stati aderenti. Una lieta novità riguarda senz’altro l’attivismo francese guidato da Macron rispetto al ruolo avuto per la coalizione ‘latina’ che ci ha permesso una dotazione di prestito e fondo perduto molto vantaggioso, oltre alla spinta del tutto inedita per i francesi (salvo Schuman) per andare oltre l’attuale assetto dell’Europa.

Questo ‘movimento’ non di poco conto, ha offerto una preziosa sponda alla Merkel per convincere i suoi connazionali a rompere gli ormeggi per una Europa che riprendesse le sue sembianze di potenza storica. In questi cambiamenti è stato più facile vedere la natura del nocciolo duro degli Stati membri che concepiscono la EU come area solo di libero scambio, priva di spinta solidale, priva di ambizioni a fare del vecchio continente un player di primo piano economico e politico mondiale. Tra questi, quasi tutti scandinavi, si sono distinti gli olandesi che si sono ritagliati il ruolo dei bastian contrari dell’Unione.

Per i sudditi degli Orange Nassau, l’Europa deve essere e deve rimanere solo un mercato libero continentale ma con una vita politica e istituzionale che sostanzialmente non deve porre neanche le premesse per regolazioni che conducano a una entità politica federale a tutto tondo; per costoro la UE deve essere solo un luogo di diritti, non di doveri.

Il suo premier Mark Rutte, lo vediamo ormai costantemente in agitazione contro gli Stati meridionali. Gli piace prendere le sembianze del leone con lingua di fuoco dello stemma olandese e spunto, con la sua offensiva anti solidale, dal motto imperativo che campeggia sotto lo stesso scudo: “je maintiendrai”, che significa io manterrò. Ma è accertato: la ragione dei suoi affondi è quella di mantenere lo status quo, perché questa evenienza obbligherebbe ad avere un solo ordine fiscale per tutta Europa, che farebbe cessare il dumping fiscale ai danni degli europei, con la perdita di enormi vantaggi economici per il paese dei tulipani.

D’altronde gli stessi Inglesi, affermano gli analisti, sotto sotto hanno dichiarato guerra all’Europa e sarebbero usciti proprio per salvaguardare il loro collaudato sistema di paradisi fiscali collocati nelle loro isolette sparse nel mondo, retaggio del vecchio impero. Questi luoghi sono riconosciuti dai masdanieri del mondo come i più efficienti paradisi fiscali del mondo per ‘pulire’ denari di dubbia provenienza e ottenere condizioni fiscali d’eccezione, per poi depositarli riciclati nelle attività finanziarie della ‘City’ a Londra.

Dai calcoli che si fanno sono introiti enormi da capogiro che si producono per la classe dirigente inglese: insomma ricchi e coloro che comandano (molti politici sono generosamente remunerati da questo sistema collaudatissimo per consulenze). Insomma il ceto alto è passato dai grandi guadagni del vecchio impero, al nuovo impero di governo dei paradisi fiscali. È facile comprendere del perché buona parte di quelli che contano in Inghilterra ha sostenuto la Brexit. Se il gioco è questo, per dirla terra terra, questi paesi è meglio perderli che guadagnarli alla causa Europea. Ai Corsari alla Francis Drake preferiamo i Tommaso Moro.

Ma l’Europa deve andare avanti, e soprattutto sulla omogeneizzazione fiscale per i suoi paesi aderenti. Quanto ai paradisi fiscali, si dovrà immediatamente procedere a impedire che le amministrazioni pubbliche stipulino qualsiasi contratto con le imprese che depositano capitali nei paradisi fiscali. Inoltre bisogna creare pubblici registri degli effettivi titolari di società, trust e fondazioni; istituire totale trasparenza su transazioni e accordi fiscali segreti tra società e governi. Questo è indispensabile per ricreare un minimo di trasparenza in un settore, quello finanziario, che più è infetto e più la democrazia si intossica.

(ITALPRESS).

Mes, nodo da sciogliere e cartina tornasole affidabilità italica

C’è un nodo molto importante da sciogliere da parte del governo, che sta lì come il convitato di pietra del ‘Don Giovanni’. Infatti il fantasma è lì, non si vede, ma tutti sanno della sua presenza. Si tratta del Mes e dei soldi europei per il recovery fund, messi a disposizione dalla UE a interessi, insignificanti per riorganizzare la sanità e renderla più capace di fronteggiare la pandemia ed ogni altra emergenza sanitaria possa insorgere nel futuro. Il M5S è restio a discuterne, quando non ferocemente contrario, anche se in questi mesi abbiamo drammaticamente costatato che il nostro sistema sanitario è largamente insufficiente a fronteggiare emergenze importanti, ed ha bisogno di grandi quantitativi di denaro per riorganizzarsi. I grillini, infatti, sono suggestionati dalla idea che all’interno delle clausole della concessione di prestiti Mes, vi siano delle norme capestro pronte a strangolare in un commissariamento chi vi fa ricorso: un’esca pronta ad intrappolare chi per bisogno fa richiesta di fondi. Va sottolineato che il mistero su questo nodo si è infittito ancor più dopo la decisione presa a Bruxelles, e dopo le vittoriose pressioni di Italia Francia e Spagna tese a sfoltire, fino a nullificare, le norme di garanzia per il ricorso alle linee Mes di prestito, ma alla sola condizione che l’impiego dei denari fossero esclusivamente destinate a piani di investimento per la sanità. Ma quello che non è comprensibile, è la paura di innescare processi di ‘commissariamento’ per incapacità remotissima di restituzione di soldi all’Europa, quando invece, gli stessi che paventano tali rischi, non mostrano alcuna preoccupazione a spendere e spandere a debito, attraverso l’inevitabile attivazione di acquisti di risorse dalla finanza internazionale, in presenza di un rapporto debito Pil che raggiunge il 160%. Dunque, se fossero davvero preoccupati, questa possibile evenienza, sì che è molto pericolosa, perché può portare al default dell’Italia per incapacità di fare fronte agli obblighi di restituzione dei prestiti, ed alla attivazione di crescenti quantitativi di credito per arginare il costo dell’abnorme e scriteriata politica di spesa pubblica improduttiva. Peraltro rifiutare il Mes, come taluni sostengono, non solo ci fa spendere molti miliardi di Euro in più ricorrendo a finanziatori privati, ma aumenterebbe enormemente i sospetti sulla nostra affidabilità rispetto alla Commissione Europea, proprio in un momento decisivo per lo sviluppo della Unione come entità politica. Ultimamente i leaders europei, Frau Angela Merkel in testa, si sono convinti di controbattere alle palesi azioni ostili dei paesi più potenti del mondo, con la edificazione rapida degli Stati Uniti d’Europa. È proprio in questi frangenti che si noterà in Italia chi possiede lungimiranza, chi ama cultura e tradizioni europee, chi ha la libertà di perseguire la unica e sola possibilità di sovranismo dei nostri popoli, utile per difendersi dalla invadenza della finanza e dalle potenze mondiali più grandi. Si può dire che il Mes è la cartina di tornasole della affidabilità italica, ma anche della sopravvivenza del governo attuale. Infatti difficilmente l’attuale maggioranza potrà reggere con il simbolico diniego al ricorso ai fondi del Mes. Dunque chi con il Mes vuol ferire, di Mes potrà perire.
(ITALPRESS).

Manovra fiscale sull’Iva? Vantaggi poco significativi e perdite entrate

La proposta di ridurre l’Iva da parte del Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, non ha riscosso molto successo. In pochissimi hanno apprezzato l’intento di ridurre (non ha indicato precisamente il quanto) le tasse. La ragione di fondo di scetticismo e contrarietà che Conte ha registrato, riguarda essenzialmente l’elemento centrale che assilla chiunque nutra preoccupazione per l’emergenza occupazione e per la condizione ormai pericolosa in cui versa l’economia: le conseguenze letali della morsa stringente della concomitante scarsità di investimenti nostrani e stranieri, la riduzione della nostra capacità di essere competitivi nei mercati, il debito pubblico in vertiginoso aumento. Insomma le circostanze in cui ci troviamo, non consigliano ne palliativi ne l’uso allegro del denaro pubblico. Ormai la maggior parte degli analisti economici, sono convinti che siamo condannati a non sbagliare nessuna scelta economica, soprattutto considerando la tentazione distributiva che esercita sul ceto politico, la disponibilità della inusuale mole di denaro che potenzialmente potremo attingere dalle opportunità che l’Europa complessivamente mette a disposizione.
In tal senso, la manovra fiscale non potrà che riguardare il cuneo fiscale (il peso fiscale per i salari e sul costo del lavoro per le imprese) e zero tasse per un lungo periodo per le start up, per le zone a bassa percentuale di occupazione. Uno shock fiscale di questa portata, potrà suscitare il clima adatto per una ‘ripresa-sviluppo’ che i governi che si sono succeduti, non cercano almeno da un quarto di secolo.
Va da sé che una politica fiscale di grande incentivazione, orientata agli investimenti privati e alla occupazione, non comporta alcun rischio ma solo vantaggi. I lavoratori disporrebbero di maggiori entrate, riequilibrando i grami salari che percepiscono da almeno dieci anni, le imprese otterrebbero maggiore ossigeno per compensare il costo maggiore sostenuto per l’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto. Riguardo alla riduzione dei pesi per le start up e gli investimenti nelle zone a bassa occupazione dei pesi fiscali, riguarderebbe in gran parte la circostanza di investimenti che qualora non dovessero avvenire, farebbero sostanzialmente restare immutate le entrate.
Comunque una opzione di questo tipo, richiederebbe una approvazione della Commissione Europea, ma in questi tempi del tutto eccezionali, se ben formulata, difficilmente sarebbe negata. Invece poggiare una manovra fiscale sull’IVA non porterebbe vantaggi significativi, ma solo perdite di entrate significative, per le seguenti motivazioni: questa entrata di fisco indiretto è l’unica tassa non evasa, al netto delle frodi, in quanto evasori ed elusori seriali comunque acquistano ogni genere di prodotti; non stimolerebbe i consumi interni, a causa della riduzione notevole della disponibilità di entrate delle famiglie, le quali invece vanno incrementate. Dunque non si può che sperare in un ripensamento generale della azione economica della politica italiana, troppo suggestionata dalla idea malsana di distribuire soldi a destra e a manca. Insomma, questi mesi per gli italiani sono cruciali. O affondiamo negli abissi di una crisi irreversibile, continuando a ragionare da cicale, o al contrario riprendiamo il cammino della crescita da formiche, che si sa, scelgono la strada più utile, la percorrono tutti insieme, non smettono mai di impegnarsi pur di raggiungere la loro missione.
(ITALPRESS).

Bentivogli minacciato dai fantasmi dell’antagonismo

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I fantasmi del passato ritornano con le loro lugubri minacce. Stavolta ai danni di Marco Bentivogli, un sindacalista coraggioso e riformatore che secondo questo grumo pestilente ed anacronistico mai sparito dalla scena politico sociale italiana, interviene pesantemente con minacce di morte attraverso il loro consueto rituale di 3 bossoli di pistola calibro 38 e due di calibro 9. Questa infamia si consuma, peraltro in un momento molto difficile per Bentivogli, dimessosi proprio in questi giorni da segretario generale della FIM CISL. Quello che gli rimproverano e di essere il continuatore più determinato del sindacalismo modernizzatore, che concepisce le relazioni industriali come il mezzo più potente per stabilizzare l’occupazione dei lavoratori e la crescita del salario, attraverso la pattuizione con le aziende di una organizzazione del lavoro capace di esprimere maggiore competitività per meglio inserire le produzioni nei mercati internazionali. Una posizione questa, che negli ultimi 40 anni è stata sempre tenacemente avversata da avventurieri del mondo più ortodosso e cupo della sinistra italiana, che a più riprese, hanno inteso manifestare la loro presenza, insanguinando l’Italia con attentati ed uccisioni di protagonisti del cambiamento e del loro modo dinamico di concepire il rapporto tra lavoratori e imprese.

Non è un caso che il volantino recapitato per minacciare Bentivogli citi espressamente l’accordo Fiat di Pomigliano che proprio in questi giorni compie 10 anni, e che ancora esprime il suo potenziale di cambiamento nelle relazioni sindacali odierne. Proprio 10 anni fa, a ridosso dell’accordo di Pomigliano da me sostenuto con molta decisione, fui vittima a Torino di un attentato da parte dei centri sociali, che rimproveravano alla Cisl di aver voluto l’accordo. Ora è toccato ancora una volta a Marco; che in ogni occasione del suo impegno sindacale non si è mai risparmiato l’onere di continuare la linea più limpida e moderna di necessarie relazioni industriali per far progredire il lavoro italiano, prendendo a modello l’accordo di Pomigliano, e dei tanti altri che ne seguirono con gli accordi Fiat. Penso che proprio in questi momenti difficili per il paese, occorre prendersi ogni responsabilità per sostenere democrazia ed economia. L’unico modo per il Sindacato di farlo, è quello di andare oltre i rituali insignificanti, e procedere definitivamente verso la modernità. A Marco, tutto l’affetto e l’incoraggiamento a mantenere alta la sua posizione sindacale.

Raffaele Bonanni

La scuola italiana dopo il lockdown

Si è parlato molto negli ultimi anni della crisi profonda in cui versa la scuola italiana. Della sua difficoltà a tenere testa ai suoi pur migliori standard del passato e della sua macroscopica incapacità a sostenere le esigenze di adeguata formazione per giovani da impegnare nel mondo produttivo. Tocca propio alla scuola interpretare il ruolo di principale soggetto promotore della cultura digitale attraverso una didattica mirata, in ogni ambito del mondo della istruzione. Questa oggettiva situazione descritta, è ritenuta tra i primissimi fattori del progressivo arretramento della competitività, con costi altissimi per la economia e coesione sociale. Più volte si è tentato di scuotere il mondo scuola da questi deficit, anche nel recente passato, ma si è trattato più di propaganda che di una azione sistematica e mirata, come è accaduto nel caso recente delle ‘grida manzoniane’ del governo Renzi sulla ‘buona scuola’, che in definitiva si è tradotto in un bonus di 500 euro per insegnanti e decine di migliaia di assunzioni. Con premesse di questo tipo, il lockdown, non poteva che trovare impreparato il comparto scolastico nelle sue variegate articolazioni. Insomma nei primi giorni è sembrata spaesata, impacciata incapace di muoversi: ne si è potuto contare sulla pur esistente ma insufficiente piattaforma, ne sulla eventuale intraprendenza dei dirigenti scolastici regionali, ne sui presidi, ne tantomeno sui singoli insegnanti. Tutti questi soggetti, hanno risentito della scarsa cultura digitale molto diffusa e dalla incapacità di rendersi flessibile a ragione della gerarchizzazione interna. Ad esempio, le scuole private paritarie, generalmente, hanno saputo reagire meglio e più rapidamente avvalendosi di piattaforme semplici e gratuite, grazie anche a un’agilità ed efficienza propria di realtà piccole, coese e insegnanti forse più liberi di muoversi. Peraltro, non è certamente da sottovalutare la inesistenza di norme di legge e contrattuali a cui rifarsi nella straordinaria situazione di gestione o in regime di telelavoro (lavoro on line in orari prestabiliti) o di lavoro agile (lavoro per progetto effettuabile nelle ore a discrezione del lavoratore).
Problemi neanche risolti del tutto con il decreto legge 22 dell’8 aprile, che si è sovrapposto al contratto di lavoro, per nulla affrontato per un necessario adeguamento. Con precedenti di questo tipo, andati così impietosamente sotto i riflettori provocati dal Covid-19, non credo che la scuola potrà mantenersi in piedi con le attuali contraddizioni. Il Paese è stato costretto a cambiare passo in ogni settore e, a maggior ragione, questo clima positivo non potrà che investire anche l’istruzione. Infatti, se il Governo dovrà investire per lo sviluppo con i prestiti privilegiati UE, lo dovrà fare fare per plessi scolastici più adatti e decorosi, con attrezzature avanzate per la didattica, con programmi più confacenti alle esigenze delle produzioni e servizi, con personale certamente preparato in pedagogia e psicologia, ma certamente anche a forte cultura digitale. Attualmente secondo i dati Ocse, l’Italia è al 72mo posto su 79, per competenze digitali degli insegnanti. Dunque, quando il governi annunciano così pomposamente assunzioni, occorrerebbe prima aggiornarli nelle conoscenze digitali, e poi impiegarli, oltre a pagarli molto meglio. Non serve a nessuno una scuola senza missione e con insegnanti frustrati e mal pagati.
(ITALPRESS).