30 Righe di Raffaele Bonanni

Home 30 Righe di Raffaele Bonanni

Le infrastrutture tornino al centro dell’agenda

0

Ecco che cade un altro ponte e si accartoccia su se stesso. Stavolta è capitato al ponte di Aulla in provincia di Massa Carrara, e per fortuna non ci sono state vittime, per la contenuta circolazione dovuta alla pandemia; ma le polemiche già si fanno sentire. E intanto incominciano le polemiche: il sindaco del luogo, ad esempio, riferisce subito che aveva già da tempo investito l’Anas della esigenza di fare una perizia tecnica, che fatta a suo tempo aveva pronosticato una sostanziale agibilità del ponte.
Il ponte fu costruito nel 1908, ben 112 anni fa, e ristrutturato nel secondo dopoguerra. Fu progettato dal pioniere del cemento: da Attilio Muggia, che in quegli anni fu solo una delle tante progettazioni fatte dall’architetto e ingegnere, molto stimato e apprezzato. Ora, come siamo abituati dai media, la Procura della Repubblica ha aperto una inchiesta; come da prassi, la consueta è necessaria inchiesta, ma oltre alle indagini si spera che si apra invece davvero anche una profonda discussione sulla manutenzione e costruzione di opere pubbliche. Innanzitutto è necessario affrontare il tema ‘buco nero’ di cosa è accaduto nell’ultimo quarto di secolo in Italia, datosi che è noto a tutti che ne si costruiscono nuove opere, ne si manutengono quelle realizzate da qualche decennio, quando non da un secolo e più, come il ponte in questione.

Penso che questa ennesima disgrazia non derivi che in ridotta parte dalla mancanza di risorse pubbliche, o anche dalla paralisi burocratica originata dalla confusione cresciuta nel tempo di assegnazione compiti all’interno della sfera istituzionale italiana. Questi aspetti senza dubbio pesano! Ma credo che la ragione principale sia dovuta alla ostilità contro il “cemento” rafforzatasi abnormemente nel dopo “tangentopoli” che diventò di fatto l’agnello sacrificale per taluni, necessario per il passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Tanto è così, che se chiediamo a chiunque di elencarci opere significative realizzate da quel momento in poi, difficilmente si saprà rispondere. Ma c’è un’altro riscontro che dimostra questa tesi: la sparizione sostanziale della grande impresa di costruzioni. Fino a trent’anni fa eravamo i più richiesti costruttori di grandi opere in America del Nord, in Europa, in medio oriente ed in Africa. Dopo tangentopoli e dunque dopo la fine di programmi infrastrutturali in Italia, il nostro posto nel mondo è stato preso da francesi e cinesi.

Ora, ritornando al tema delle manutenzioni, sembra chiaro anche alle persone più disattente, che non si potrà andare avanti così ancora per molto tempo, pena uno sfarinamento progressivo del nostro patrimonio infrastrutturale. Peraltro tutti concorrono in questi giorni nel pronosticare una difficoltà economica dell’Italia ancora più estesa di quella mai cessata dal 2008; allora è proprio il caso di investire nelle infrastrutture. È risaputo che investire nelle infrastrutture si ottiene una espansione economica ancora maggiore che attraverso altri settori. Speriamo che gli italiani se ne rendano conto come lo erano fino a trent’anni fa. In caso contrario continueremo a rimanere stupiti dai crolli, con conseguenti indagini delle procure della Repubblica, ma dopo le indagine sarà il turno di un altro disastro.

Raffaele Bonanni

Scuola ai tempi del coronavirus, il merito non sia il grande assente

0

Il Consiglio dei Ministri ha deciso come disciplinare la valutazione finale degli alunni e le modalità di svolgimento degli esami di Stato del primo e secondo ciclo. Insomma, la impossibilità di concludere l’anno scolastico a causa della pandemia, ha determinato la scelta di promuovere gli studenti per decreto, mortificando uno dei valori costituzionali: il merito. Credo che la scelta non sia stata sufficientemente ponderata, è stata una opzione pedagogicamente sbagliata nei confronti di ragazzi che oltre ad istruirsi hanno bisogno anche di essere educati alla idea che ogni passaggio della loro storia di “educazione” deve essere una esperienza pienamente guadagnata.

Si parli invece di ammissione necessitata con riserva degli alunni alla classe successiva. Ad esempio, a partire dal primo settembre 2020, data indicata dal decreto, si svolgano, invece, attività di consolidamento e recupero delle lezioni del secondo quadrimestre scolastico di quest’anno, e si evidenzino i debiti accumulati fino ad allora, di cui si dovrà tenere presente nella valutazione del prossimo anno scolastico. Poi nel contempo, si riconoscano i crediti agli studenti che comunque si impegnano in questi mesi a studiare con profitto, in molti casi ovviando alle stesse negligenze del sistema scolastico, ricorrendo a modalità di studio e di ricerca. Per questi studenti occorre dunque riconoscere una accelerazione negli studi, premiando il loro talento e merito, indicando implicitamente che talento e merito sono leve fondamentali per lo sviluppo economico, civile, democratico del nostro Paese. Poi, secondo me, la scelta fatta per gli esami di Stato è persino peggiore in considerazione che in Italia hanno valore legale. Questi studenti certamente non torneranno, passata l’estate, e dopo essere avere ottenuto il titolo di studio, per le integrazioni. Perché dovrebbero poi tornare per recuperare la preparazione saltata?

Voglio sperare che si possa essere ancora in tempo per correggere questi ‘segni’ negativi per i nostri giovani. Neanche nei mesi più tormentati della seconda guerra mondiale si adottarono criteri blandi di valutazione, nella impossibilità di fare gli esami. Era l’inizio dell’estate 1943, e a seguito dei bombardamenti a tappeto sulle Città, si saltarono gli esami di Stato. Per la promozione o no degli studenti, si tenne conto del profitto acquisito nel terzo trimestre. Credo che la scelta fu proprio quella di premiare il merito e di non dare esempi lassisti ai giovani di quell’epoca.

Raffaele Bonanni

Eurobond, troppe ambiguità e confusione

0

Secondo me su questa annosa vicenda degli Eurobond, o come li vogliamo chiamare, ci si sta progressivamente ficcando in un cul de sac politico dai risvolti negativi molteplici, ed in questo momento letali per le prospettive future, economiche, e politiche. Troppa confusione, troppe ambiguità, ed anche qualche irresponsabilità. Da dieci giorni a questa parte la Banca Centrale Europea e la Commissione Ue, hanno annunciato un quantitativo enorme di euro pari a 750 miliardi di euro, il congelamento del Patto di Stabilità, è una disponibilità a trattare altre soluzioni che al momento non sono pronte per la disparità di vedute tra paesi aderenti del nord e quelle del sud Europa, eppure sta accadendo di tutto contro l’Europa. Peraltro questo pasticcio, paradossalmente è stato innescato oggettivamente proprio dal Governo. Cosicché se nel paese fino a qualche giorno fa i cittadini si erano stretti tutti attorno alle istituzioni nazionali e locali nel combattere una battaglia comune, rifiutando contrapposizioni e strumentalizzazioni politiche, ecco che si rischia fortemente la acutizzazione della solita storia irresponsabile di offrire ai facinorosi qualcuno da odiare: la Germania ed Olanda e dunque l’Europa. Certamente ci sono visioni diverse tra più soggetti come sempre capita, ed ancor di più su interessi così rilevanti che hanno diviso anche in passato. Ma chi governa dovrebbe sapere che le vicende spinose vanno gestite nel silenzio degli incontri senza sosta per trovare soluzioni.
E invece si è aperta una querelle rumorosa che ha inteso anche dare dei giudizi morali oltre che politici, come se la pretesa del nostro governo di non discutere della condizionalita’ per usufruire degli Eurobond, fosse un requisito bastevole per discutere di soldi che ciascuno dovrebbe garantire. Anche in queste ore, la presa di posizione pubblicata da alcuni sindaci italiani sul‘Frankfurter Allgemein Zeitung (il giornale economico più autorevole tedesco) che ha tacciato Germania e Olanda di avere un comportamento non etico, e comunque non riconoscente per i trascorsi abbuoni di debito del dopoguerra, certamente non alleggerirà le difficoltà già esistenti. Qualche giorno fa, due Italiani che conoscono la politica e l’economia hanno accoratamente detto cose importanti agli europei circa il come comportarci in questo inedito frangente di difficoltà; mi verrebbe da dire con tutto il cuore: “Apprendete da loro!”. Speriamo che la situazione si possa riprendere lavorando fino all’ultima ora del nuovo appuntamento tra i capi dei governi europei che si terrà nei prossimi giorni. Non abbiamo alternative nell’adottare un profilo comportamentale responsabile e di grande flessibilità. Comportamenti diversi non possono che danneggiarci.

Raffaele Bonanni

Il coronavirus e il futuro dell’Europa

In Usa sta avvenendo un fatto straordinario che può capitare solo in situazioni percepite così gravi, da compromettere la esistenza della Nazione. Repubblicani e democratici pienamente in accordo, varano un programma di investimenti che non ha pari nella storia statunitense: duemila miliardi di dollari da destinare a compensare lavoratori e imprese piccole, medie e grandi, costrette a rattrappire i piani di produzione con perdite immani di commesse e dunque di introiti in grado ti tenere in sicurezza i bilanci aziendali e quindi di tenere in vita gli organici di lavoratori. Anche l’Europa cerca di fare altrettanto, pur non essendo configurata ancora da Stato federale ed è costretta ad una velocità ed efficacia diverse, a causa di sovranità che ogni paese aderente si tiene stretto. Certamente in questi giorni anche nel vecchio continente fervono discussioni sull’ambizione di ottenere il minor danno possibile; ma lo scarto tra l’ottenere provvedimenti veloci e all’altezza della situazione è ancora presente. Tuttavia la reazione negli ultimi giorni è stata interessante: la Bce stanzia ben 750 miliardi di euro (circa 1000 miliardi di dollari americani); si derogherà al patto di stabilità; si sta discutendo tra polemiche (non all’altezza della situazione) se dare vita a grandi stanziamenti attraverso il fondo di stabilita europeo o attraverso Eurobond. Queste operazioni assommate tra loro, potrebbero costituire una massa finanziaria certamente non seconda a quella statunitense; ma bisogna fare presto. Per tale proposito si è fatto sentire Mario Draghi indicando la velocità come requisito essenziale per tenere testa ai problemi immani che dovremo affrontare. Ma insiste anche su come intervenire, e pone il tema che più che garantire il reddito di base a chi perderebbe il lavoro, sarà necessario proteggere le persone dalla perdita del lavoro, non depotenziando dunque la forza produttiva da tenere salda, in grado di ripristinare presto bilanci positivi aziendali, familiari, statali. Draghi ha voluto indicare una via che attraverso la produttività di sistema, che sappia parare efficacemente e rapidamente i rinculi provocati dal dramma pandemico in corso, soccorrendo le imprese alla condizione di non licenziare, con liquidità ad interessi a costi zero. Credo che Mario Draghi con il suo intervento pubblico, abbia voluto incalzare tutti gli Stati europei a decidere grandi cose, come grandi sono i problemi, ed a metterli in guardia su eventuali non scelte unitarie a carattere continentali, ricordando loro che in circostanze analoghe negli anni venti, le sciagure immani successive originarono proprio da egoismi nazionali. Dunque proprio per evitare l’irreparabile che occorre definire strumenti di stanziamento e prestiti adeguati rivolti alle intere popolazioni europee, con garanzie per ottenerli e con altrettante garanzie di restituirli senza se e senza ma, relative clausole di salvaguardia per lo strumento che presta. Per questa ragione non possiamo che pregare a che i paesi del nord Europa si convincano al varo di un piano eurobond di soccorso alle economie in Europa che usciranno esauste dalla pandemia. Non può che dispiacerci la incertezza ancora presente nella riunione manifestatasi ore fa dei tedeschi, ma qualcosa di nuovo sul piano politico sta nascendo. È motivo di speranza che ben 10 paesi membri UE – tra cui Francia Italia, Spagna e molti altri che finora hanno fatto blocco con Germania e paesi del Nord – hanno firmato un documento congiunto per varare un piano che così ben circostanziato ha indicato Draghi. La riunione recente dei presidenti dei paesi aderenti, per fortuna ha deciso di prendersi dieci giorni di tempo per una proposta magari mediata, e non si può che sperare che ciò avvenga. Ma da queste decisioni, a nessuno sfugge, dipenderà non solo la nostra sorte economica, ma anche quella della permanenza e sviluppo dell’Europa come entità politica con caratteristiche di vero Stato federale.
(ITALPRESS).

Europa, stavolta gli egoismi costano cari

0

Può senz’altro essere ambiguo e triste, ma chi più e chi meno, siamo fatti tutti così: i grandi cambiamenti, quelli che esigono forzature sulle nostre abitudini, egoismi, timori, mancanza di coraggio, come d’incanto avvengono sempre in presenza di grandi eventi vissuti da tutti come pericolo per il futuro. Anzi la paura degli accadimenti, più destabilizza ogni certezza, più le mete del cambiamento sono assicurate. Dunque, aldilà di una sparuta minoranza che con costanza coerenza ed abnegazione sostiene una volontà di obiettivi importanti per una comunità, solo la drammaticità degli eventi riesce come in una magia a sciogliere tutti i nodi aggrovigliati della selva intricatissime di barriere che fino a quel momento si sono frappostisi. Questo ho pensato in queste ore, di fronte di un grande cambiamento di prospettive europee, avvenuto tutto in una settimana. Rimettiamo in ordine gli elementi straordinari dell’accaduto!

Dopo le gaffes della La Garde, che alla domanda di giornalisti che gli chiedevano se fosse intenzione della Bce di intervenire a sostegno dell’Italia per l’aumento dello spread, ha risposto perentoriamente che non rientrano nei compiti della Banca Centrale Europea intervenire. Eppure la stessa Christine La Garde, appena pochi giorni dopo, come colpita sulla strada di Damasco annunciava la messa a disposizione di ben 750 miliardi di euro per proteggere i paesi dell’Unione debitori, dalle speculazioni della finanza sul rialzo nelle aste degli acquisti di Bond. Passato qualche giorno, clamorosamente, la Cancelliera Angela Merkel risponde positivamente al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sul progetto di emissione eventuale di ‘euro Bond’ che ne la Germania, ne altri paesi del nord Europa hanno mai voluto accettare, come accaduto con la proposta di Giulio Tremonti nel corso dell’inizio della crisi di 10 anni fa.

Ancora in questi giorni la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, annuncia che viene sospeso il patto di stabilità, così anche l’Italia potrà provvedere a spendere ciò che serve per far fronte alle varie necessità straordinarie riguardo alla sanità pubblica e riguardo alla spesa per sostenere lavoratori e sistema produttivo. Beh, di fronte ad un trittico di questa portata, non possiamo che tirare un respiro di sollievo. Tra tante sofferenze almeno si potrà far fonte ad ogni necessità. Credo che però queste decisioni potranno portarci dopo la crisi ancora molto oltre il cammino sinora fatto riguardo l’Europa. Infatti una ‘compromissione così intensa’ di tutti gli Stati membri su scelte finanziarie così rilevanti, presuppone che tutte le strategie economiche avranno bisogno di poteri che vanno oltre il coordinamento. Infatti, avere tutti in salvo nella barca, dovrà presupporre che tutti dovranno remare all’unisono. Significa il controllo stretto sulle entrate ed uscite di tutti i paesi UE, dovranno essere sotto controllo, gestito pressoché federalmente, compreso naturalmente un unico sistema fiscale.

Credo che i calcoli dei leader europei tradizionalmente più scettici su queste misure, risiedono sulla convinzione che nel mondo in cui viviamo, fatto di pandemie e giochi ormai chiari anche ai ciechi di altre potenze straniere che tramano contro l’evoluzione della Unione Europea, che gli egoismi possono avere un costo infinitamente pesante senza una vera dimensione Statale Continentale, di garanzia per ciascun popolo europeo. Devo dire che da europeista quale sono sempre stato, nutro molta più fiducia per il futuro. Nel contempo, spero anche che coloro che esercitano costantemente, nei fatti, una pressione contro tutto ciò che è Europa cambino strategia presto. Tanto si è capita l’antifona: taluni sono disposti a tutto pur di guadagnare consenso; e mi fermo qui.

Il Parlamento e l’emergenza coronavirus

Già all’inizio della pandemia, in molti si erano posti il problema di chiudere il Parlamento. Si è pensato che mille persone negli scranni di Senato della Repubblica e Camera dei Deputati, e poi riunioni nelle tantissime commissioni parlamentari, avrebbero senz’altro suscitato preoccupazioni per l’espansione del virus corona. D’altronde si sa, i politici incontrano molte persone e possono essere in potenza più portatori di infezione di altri. Ma il tentativo di cessare le attività parlamentari, ha dovuto fare i conti con critiche assai estese nel paese: si sarebbe dato un brutto segnale per i cittadini. Io stesso ebbi modo di segnalare la pericolosità della eventuale decisione. Proprio in momenti così drammatici, il primo avamposto della sovranità popolare deve simboleggiare la sua veglia senza sosta nella e per la Nazione.
Fallito il tentativo di sospendere la vita parlamentare, si è continuato nel tentativo di trovare alternative come quella di procedere nelle attività on line. Ma anche questa ipotesi si è ben presto scartata. Non c’è alcun riferimento nella Costituzione di altre modalità possibili di funzionamento dei lavori al di fuori degli incontri fisici. Dunque ci si sarebbe esposti alla incostituzionalità. Alla fine Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama non si sono chiusi, ed anche l’ipotesi di procedere on line per le riunioni si è scartata. Dunque tutto bene? Io per dire la mia, faccio riferimento al bicchiere mezzo pieno; e dico così perché non amo essere negativo nell’esprimere i miei giudizi, soprattutto in questi tempi di pandemia.
Ma devo dire che le massime cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, il presidente della Camera dei Deputati, sanno senz’altro che valore simbolico ha aprire il parlamento solo per un giorno a settimana durante tragedie, emergenze, sofferenze. Mi è sembrata una soluzione all’italiana, mentre il lavoratori continuano a produrre nelle fabbriche tra paure e disagi, altri a trasportare o distribuire generi alimentari in una condizione surreale, medici ed infermieri lavorano più ore del normale tra abnegazioni ed eroismi e cittadini smarriti ed attanagliati ma mille preoccupazioni mai avute, le forze dell’ordine tutte dispiegate ovunque in questa battaglia civile. Persino i tabaccai ed edicolanti sono stati lì al lavoro per servire i pochissimi clienti disponibili, ma il Parlamento solo un giorno a settimana. Non è un bel segno in tempi di populismo e di Coronavirus. Cosa si può dire loro che rappresentano in prima fila la Repubblica? Credo che in molti chiederebbero loro di far funzionare quelle primarie istituzioni alla pari di come si adoperano cittadini, lavoratori, militari che tengono in piedi questa nostra Italia in grande difficoltà.
(ITALPRESS)

Coronavirus, chi recrimina è già sconfitto

0

Ho notato che attraverso i social circola un messaggio vocale ben letto e ben presentato che prende le mosse dal rifiuto che ci sarebbe stato da parte di frau Merkel, da monsieur Macron, dai misters Trump e Johnson di aiutare l’Italia in questa straordinaria circostanza che la vede seconda solo alla Cina per morti ed infettati, e sta vivendo una esperienza di grande incertezza, preoccupazione, e dolore. Chi è in questa condizione certamente viene assalito dalla emotività e si aspetta solidarietà; però è molto esposto anche a facile vittimismo, quando punzecchiato da culture negative molto aduse al gioco della contrapposizione e dello scarica barile. Certamente gli italiani hanno un buon credito verso gli altri popoli in difficolta, datosi che singole associazioni e istituzioni, tradizionalmente si sono sempre prodigate a soccorrere chi è stato colpito da eventi negativi naturali, da guerre, da persecuzioni, da carestie. Di questo siamo stati sempre orgogliosi al punto che nobilmente possiamo dire a testa alta: “siamo italiani”. Ora per parlare di altri, è vero, non è sembrato proprio che volessero immedesimarsi nella nostra situazione. Sarà stato il fatto che almeno i paesi occidentali non affrontano una importante pandemia da un secolo, come la ‘spagnola’ che provocò una ecatombe di 50 milioni di morti e per questa ragione probabilmente sono stati colti impreparati; sarà per le misure drastiche che prontamente abbiamo adottato che ha preoccupato gli altri partners iguaro l’economia; o perché le misure draconiane prese, metteva loro con le spalle al muro al cospetto dei loro popoli.

Fatto è che si sono mostrati freddi, e c’è voluto del tempo perché si rendessero conto della reale portata delle decisioni italiane, che in grande parte, loro malgrado, hanno dovuto adottare. Basti per tutti riferirsi alle sconcertanti affermazioni e alla condotta del primo ministro del Regno Unito Johnson e la rapida sua inversione ad U, per capire il loro stato d’animo. Ora, posto che gli altri hanno sbagliato, spero nessuno me ne voglia se ricordo che a dicembre noi stessi, ad esempio, abbiamo chiuso primi tra tutti i nostri voli con la Cina che adesso osanniamo. Ed allora dobbiamo stare attenti a non prendere la strada sbagliata nel usare le nostre energie emotive in recriminazioni vittimistiche.

Penso che questi messaggi nei social, tentano di spingerci nell’angolo anziché al contrario spingerci a reagire diversamente e positivamente. In questa prova invece noi dobbiamo dimostrare compostezza istituzionale e coesione sociale, come finalmente si sta facendo. Tutte le virtù che siamo capaci di esprimere, le dobbiamo dimostrare innanzitutto a noi stessi; il resto poi viene da se. Lo dobbiamo al nostro interesse primario a superare la pandemia e per riprendere fiducia in noi stessi; soprattutto la fiducia nella capacità di ridiventare un popolo unito, lungimirante, moderno. Sono sicuro, la pandemia avrà la funzione di un reset generale sull’Italia da tempo inceppata.

Dobbiamo saperci riproporre tempestivamente e cambiare strada. Non mi convincono quelli che se la prendono con francesi e tedeschi, senza che si accenni ad alcuna autocritica ai nostri comportamenti. Molti di quelli che se la prendono con altri popoli europei aldilà delle loro colpe, nei fatti scavano la fossa all’Europa. Se fossero coscienti o in buona fede, la criticherebbe per spingerli a fare l’Europa e non il contrario. È vero, l’Europa così non può andare avanti, ma ora più che mai occorre farla davvero. Proprio in questi frangenti drammatici, dovremmo issare la bandiera dell’Unione. Se è vero che il dopo crisi vedrà un mondo cambiato nella economia, nella filosofia della vita, nella politica, anche la natura del potere cambierà. Dobbiamo essere un solo Stato continentale per la nostra autonomia e dignità di culla della cultura democratica e sociale, per la efficientizzazione della economia e dello sviluppo del lavoro, per neutralizzare l’offensiva dei grandi Stati che brigano in ogni modo perché fallisca il sogno europeo, tra l’altro seminando zizzania tra noi. Ecco perché dobbiamo cambiare la narrazione. A chi punta il dito il dito contro il comportamento degli italiani sul debito pubblico, dobbiamo dimostrare che siamo capaci di asciugarlo anziché accrescerlo, sperperando denari per sostenere una macchina amministrativa inefficiente e costosa e per regalie elettoralistiche. A chi ci esclude dai giochi geopolitici, dobbiamo dare la dimostrazione che sugli interessi nazionali ed europei, davvero tutta la politica e le istituzioni europee nazionali e locali giocano una sola partita.

Ecco, dico a coloro che in buona fede fanno circolare quelle comunicazioni vittimistiche, che facciamo bene a provocare emozione ed anche risentimento, ma devono servirci per riconquistare in ogni ambito quella dignità e nobiltà italica ed europea di cui non sempre siamo esemplari eredi. Credetemi, questo è lo spirito per cambiare davvero. Chi recrimina è già sconfitto.

Raffaele Bonanni

Coronavirus, dopo niente sarà come prima

0

Sono convinto che dopo che passeremo questa condizione di difficoltà particolare, nulla resterà più come prima. L’esperienza che nostro malgrado stiamo facendo, ci sta inducendo a cambiare le priorità del paese, ci sta spingendo verso la innovazione, ci ha riporta su un terreno delle cose più realistiche mettendo all’angolo le posizioni esagerate, di rottura, populistiche. Insomma, dopo gli innumerevoli deragliamenti, il convoglio Italia, man mano, sembra voler tornare sui binari del realismo, del rifiuto delle esasperazioni, del recupero del tempo perso nel campo della innovazione. Ad esempio, in questi momenti chi liquiderebbe la sanità italiana con luoghi comuni tanto sostenuti negli ultimi anni, al cospetto di tanta dedizione dimostrata dal personale medico e paramedico? Continuerebbe a tagliare risorse sulla sanità come se fosse un settore qualsiasi? Solo oggi possiamo renderci conto che i tagli passati, hanno mantenuto il tradizionale a discapito della prevenzione ed investimenti come reparti speciali sanitari che si stanno dimostrando vitali per la sicurezza delle persone.

Lo stesso vale per la scuola. Quale governante ispirato e lungimirante penserebbe che la spesa da destinare dovrebbe essere indirizzata solo all’assunzione di nuovi insegnanti privi di competenze aggiuntive a quelle tradizionali richieste, dopo che la chiusura forzata della scuola, non l’ha vista attrezzata neanche minimamente per allestire lezioni on line. È triste constatare che non si sono usati neanche app gratis esistenti per gestire lezioni con tecnologie ormai mature. È persino inutile sottolineare quanto sia penalizzante interrompere i programmi di istruzione per i nostri bambini e ragazzi. Cambierà tanto anche il lavoro italiano dopo il forzato ricorso allo smart working. Non si tornerà indietro nella pubblica amministrazione, così come nel terziario e nell’industria. Sono convinto che le regolazioni dei prossimi rinnovi contrattuali, saranno fortemente condizionati dalle pattuizioni su orari, profili professionali, retribuzioni ed altro, riguardo questa modalità di lavoro che ci permette di superare come lavoratori tempo e spazio, con grandi guadagni di tempi, di salute, di relazioni familiari, di produttività. Anche le relazioni sociali, interpersonali, quelle politiche, sindacali, quelle sociali in generali ed anche quelle religiose, saranno sostenute grandemente dalle modalità di collegamento on line. Attualmente ciascuno di noi si è relazionato digitalmente, ma di norma con un’altro singolo.

Gli incontri di gruppo gli abbiamo concepiti soltanto di tipo “front”. Ed invece in questi giorni, quanti di noi hanno dovuto istallare velocemente app per tenere riunioni con tante altre persone che avevano l’esigenza di parlarsi in gruppo, incontrarsi virtualmente con la propria comunità religiosa per partecipare on line alla celebrazione eucaristica? Ed allora, di ciò che ci capita, dobbiamo farcene una ragione. E infatti vale la pena seguire una giustissima affermazione di un grande uomo come Galileo Galilei che di difficoltà ne incontrò tante: “Dietro ogni difficoltà c’è una opportunità”.

Raffaele Bonanni