30 Righe di Raffaele Bonanni

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Fronteggiare l’emergenza Coronavirus come Paese

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In questi giorni, la pandemia che sta mettendo a dura prova le famiglie e la economia, pone con grande sollecitudine la esigenza di fronteggiare come paese ed in modo adeguato, la molteplicità delle situazioni che si presentano ora e che si mostreranno in futuro. A tale proposito, giorni fa, si è invocata da parte di taluni la necessità della costituzione di un governo di emergenza che coinvolga tutte le forze politiche. D’altro canto nell’Italia degli anni ottanta ci fu una esperienza di questo tipo provocata dal terrorismo devastante del brigatismo rosso: il governo di solidarietà nazionale che vide insieme due forze storicamente contrapposte come la Democrazia Cristiana ed i Partito Comunista. La stessa Germania ha conosciuto in seguito una esperienza analoga praticata fino ai giorni d’oggi, che trova nella coalizione governativa due storiche forze contrapposte: i democristiani del Cdu-CSu ed il Partito Socialdemocratico. Va precisato che ambedue le esperienze: sia quella italiana, che quella tedesca, furono precedute da un confronto lungo ed approfondito da cui originò un programma dettagliato, discusso dalle stesse basi dei rispettivi partiti.

L’altro elemento importante di queste esperienze è costituito dal fatto che queste forze avevano già provato a collaborare nei territori, e ad esempio il Bundenstag era stato il luogo centrale della discussione politica. Infatti da tempo le contrapposizioni erano state sostituite da una dialettica conducente e collaborativa che aveva preparato quelle decisioni inedite. Nell’attuale scenario politico, nulla somiglia a quel passato! Anzi, persino per le decisioni prese dal Governo in questi giorni drammatici, abbiamo assistito ad imbarazzanti contrapposizioni di leader politici e da presidenti di regioni dello stesso partito, precedute da offerte di dialogo strumentali e prive di presupposti. Penso che nelle circostanze dolorose come quelle che viviamo, i cittadini si aspettino uno stile diverso, proprio per sottolineare che nel buio in cui siamo piombati, la armonia sia l’unica possibilità che abbiamo per saper decidere soluzioni difficili ed opportune. La linea di comando deve essere una sola; ci piaccia o no chi la esprime, ci piaccia o no quello che si decide. Ci sono sempre i modi per far valere le proprie opinioni, ma in questi frangenti, non con le modalità politiche rumorose di opposizione come se vivessimo nella ordinarietà. Di fronte al paese, credo che sia importante dare segni coerenti.

Lo Stato centrale e le le sue articolazioni locali, come le forze politiche nazionali, devono collaborare senza porre alcuna pregiudiziale, come un tutt’uno a garanzia degli interessi primari della Nazione; poi a consuntivo i cittadini sapranno senz’altro fare un bilancio di ciò che è accaduto e dei meriti e demeriti di ciascuno. Sono convinto che tra i demeriti, verranno considerate anche le contrapposizioni pregiudiziali espresse in circostanze così straordinarie. Ma il luogo deputato a favorire la collaborazione politica nel senso più alto ed efficace, è il Parlamento, a partire dall’assunto di principio. Le Camere, non possono che essere il luogo privilegiato da cui far originare collaborazioni, e non le agitazioni delle nomenclature partitiche. Purtroppo si vede a occhio nudo che in questi giorni non fervono certo le attività parlamentari e questo è negativo per la Repubblica . Ecco perché l’appello del Senatore Zanda di non rallentare i lavori dellle Camere, e di reagire a qualsiasi tentativo di chiuderle, è fortemente condivisibile. Infatti se proprio in questi giorni il Parlamento si ponesse al centro della vita democratica come gli compete, potrà dare il segno tanto necessario, che questa primaria istituzione Repubblicana è e deve restare una fiaccola che non si spegne neanche di fronte ad accadimenti gravi. È dunque necessario che si riproponga come l’unico luogo di rappresentanza e di confronto: il luogo principe in cui si riconosca il paese.

In questi giorni si sono prese molte decisioni drastiche per arginare la pandemia. Ma i servizi di prima necessità vitali per i cittadini sono aperti con le precauzioni del caso. Anche il Parlamento deve rimanere aperto come luogo essenziale per testimoniare vitalità e salute della Democrazia. Non vorremmo che accanto alla pandemia crescesse pericolosamente la malattia della “ademocrazia”: la condizione patologica di un paese dove nessuno rimette in discussione la Democrazia, ma dove i comportamenti, le forme e la sostanza, si esprimono al contrario.

Raffaele Bonanni

Lo Smart Working oltre l’emergenza

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Tra le grandi possibilità che l’era digitale offre, c’è anche l’occasione di lavorare da casa o da qualsiasi altro luogo si ritenga idoneo per svolgere le propri mansioni e mettere a disposizione la professionalità propria a favore delle proprie aziende. Insomma, basta possedere un computer fisso o portatile, capace di collegarsi on line con piattaforme semplici e complesse o programmi per lo svolgimento delle attività lavorative informatiche. In effetti, nelle aziende private, come negli uffici pubblici, tantissime lavorazioni potenzialmente potrebbero essere svolte a casa: ci guadagnerebbe il traffico, il dispendio di carburante, l’ambiente, la salute del lavoratore, il migliore rapporto con le esigenze familiari; ci guadagnerebbe anche la qualità e quantità del prodotto e la più efficace verificabilità della produzione individuale. Qualche sperimentazione già da diversi anni si è realizzata nelle Poste Italiane, presso l’Enel e in qualche altra azienda grande; ma anche in questi luoghi di lavoro il “telelavoro” (così è stato chiamato prima della rivoluzione digitale) ha riguardato uno sparutissimo numero di lavoratori.
Se ne parla da più tempo di “passare il Rubicone” che separa il vecchio lavoro dal nuovo, ma lo Smart working al massimo coinvolge dirigenti di azienda che possono loro stessi decidere come, dove, quando è quanto lavorare. Ma in questi giorni, complice il corona virus che consiglia il minore incontro possibile di persone durante la giornata, ha spinto il Ministero del Lavoro, a chiedere alle aziende attraverso un decreto di lavorare in Smart worcking, almeno fino al 15 marzo, nelle realtà territoriali dove il fenomeno del contagio è più rilevante. Cosicché in Lombarda, Veneto, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, dovranno organizzarsi nel modo che le attuali tecnologie digitali permettono, per salvaguardarsi la salute e nel contempo non perdere le possibilità di produzione, per non aggravare i bilanci familiari, come la stabilità delle imprese nel mercato internazionale, ed il prodotto interno lordo. A fronte di queste decisioni positive, mi viene da dire che siamo proprio strani. Abbiamo sempre bisogno di avere intorno a noi circostanze eccezionali per decidere cose di buon senso ed opportune per il benessere delle persone e della Comunità. Speriamo che l’esperienza dello Smart Working continui anche dopo il 15 marzo, naturalmente dopo aver debellato il coronavirus.

Raffaele Bonanni

L’Ue metta fine al dumping fiscale

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I ministri europei dell’economia si sono dichiarati in una riunione UE, determinati ad ottenere un risultato irrinviabile: un forte cambiamento fiscale che impegni ogni paese nel mondo a varare di concerto la tassazione per le holding internazionali delle vendite on line, e interrompere il vagare delle imprese tra i paesi meno costosi fiscalmente per i loro investimenti. Per questo hanno concordato il contenuto di una lettera da mandare alle autorità internazionali. È risaputo che soprattutto le aziende digitali che si occupano di social e quelle della vendita di beni on line, oramai sono tra le più ricche della Terra, ma proprio loro non pagano le tasse. Invece le aziende che spostano le loro produzioni in paesi a fisco meno pesante, lo fanno per ridurre i costi per avere i propri prodotti nel mercato globale più competitivi, anche se questi traslochi procurano di riflesso disoccupati nei paesi abbandonati. Dunque questi propositi sono di grande rilevanza e ci auguriamo che l’azione di questi ministri produca risultati. Ma vorremmo che gli stessi ministri economici, chiedendo aiuto alle autorità internazionali, si premuniscano dalla circostanza assai probabile di cadere nel ridicolo, rischiando di sentirsi dire di cominciare intanto loro a fare i compiti a casa.

Ad esempio, potranno essere interrogati su cosa intendono fare per ridurre il loro debito, che è la causa principale di pesi fiscali insostenibili a carico dei cittadini. Infatti, chiedere a chi vende beni on line più tasse, equivarrebbe indirettamente anche a colpire i consumatori che oggi, tutto sommato, beneficiano di una sorta di ‘no tax area on line’, e che diversamente li vedrebbe pagare con ulteriori tasse le merci da acquistare, con un aumento dal 20 al 30% delle merci, che subito i venditori on line scaricherebbero su di loro. Il tutto, mentre i governi continuerebbero ad aumentare le tasse a causa di politiche di sperpero per aumentare il consenso, che congiurano all’aumento del debito anziché diminuirlo. Invece, riguardo al dumping fiscale che provoca tante sciagurate delocalizzazioni, prima di chiedere agli altri paesi un allineamento fiscale per contenere il fenomeno in questione, è bene che i ministri europei pongano ai loro paesi il grande tema di devolvere la sovranità fiscale alla Unione Europea, per avere un unico fisco almeno in tutta Europa, che eviti il ‘dumping’ nel vecchio continente e che renda più coerente la loro sacrosanta iniziativa annunciata. Poi, per equiparare le tasse in ogni parte del mondo, speriamo che i ministri europei comprendano che probabilmente dovranno chiedere a molti altre nazioni di aumentare le tasse, datosi che gli europei le pagano più salate degli altri.

Ecco, penso che se i ministri nel fare questa proposta non si pongono l’obiettivo di ridurre le proprie, per aumentare quelle altrui, difficilmente il tema potrà essere risolvibile. A ben vedere in questo tempo è molto ricorrente la circostanza imbarazzante dei nostri governanti che si danno tanti obiettivi solenni, ma che non trovano sbocchi a causa di presupposti non idonei che loro stessi non rimuovono o che addirittura loro stessi compromettono. C’è una regola di buon senso da adottare in queste situazioni: se chiedi a un’altro di fare quello che tu desideri, quantomeno avrai tu stesso dovuto dare esempio per non cadere in contraddizione palese e di conseguenza ottenere diniego.

Raffaele Bonanni

 

Liberare il ceto medio dal peso fiscale che paga anche per altri

Il giornalista Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, ha posto il tema di tassare meno il ceto medio ed ha fatto bene. È la prima volta che in un ‘giornalone’ si pone un problema come questo in termini così espliciti; finora è stato un tabù.

In verità Cazzullo ha sottolineato l’esigenza di moderare le tasse per la ‘middle Class’ definendo poi la ‘no tax area’ diseducativa, in quanto ogni cittadino dovrebbe pagare, anche se pochissimo, in misura proporzionale al suo reddito.

Ha rincarato poi la dose sostenendo nella sostanza, che la totale esenzione, per la parte dei contribuenti che guadagna poco, diventa in molti casi per tanti altri, il canale favorevole perché pur guadagnando di più, con la elusione ed evasione approfittano della no tax area, utilizzando lo scudo di coloro che denunciano al fisco redditi bassi.

E io aggiungo, che questa area grigia, non solo froda il fisco sotto mentite spogli, ma beffa i contribuenti corretti, oltretutto pretendendo ed ottenendo anche prestazioni sociali, che negli ultimi anni, complice la penuria di risorse pubbliche, vengono progressivamente negati al ceto medio che intanto è la realtà sociale che paga le tasse per tutti. Infatti anche le imprese, in molti casi, quando reinvestono gli utili, sono esenti. Reinvestire è fondamentale per la salute della economia, ma non pagano.

Dunque, il problema visto da questa visuale, è davvero grave per la giustizia, per la diseducazione civile, per la pericolosa compressione ai danni del ceto medio, che in ogni comunità di ogni parte del mondo, quando è liberata, diventa fattore di sviluppo. Quando invece è messo in un angolo come in Italia, viene a mancare la parte della comunità più intraprendente e capace di essere motore di sviluppo. Insomma, è il caso di liberare il ceto medio dal peso fiscale che paga anche per altri.

È il caso di insistere: fino a quando il ceto medio verrà schiacciato in basso, paese non potrà che peggiorare.

Benigni conformista dell’anticonformismo

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L’altra sera, nel seguire la celeberrima gara canora di Sanremo, devo confessare di essere rimasto contrariato dalla interpretazione di Roberto Benigni sul ‘Cantico dei Cantici’. Ho avuto sempre apprezzamento e simpatia per Benigni, capace di esprimere una forza artistica particolarissima a confronto di tanta banalità in circolazione; anche se talvolta nelle sue interpretazioni spesso inserisce giudizi e allusioni che ne fanno un soggetto protagonista di parte, che secondo me non si addice alla condotta di un importante attore, soprattutto nelle interpretazioni in grandi eventi gestiti ad esempio dalla tv pubblica. Può in anche in questi casi ammantare la sua partigianeria con il suo consueto anticonformismo, ma è un anticonformismo che definirei conformista: quell’impronta che si intende dare, con valutazioni sulle vicende della vita sociale, che nei paesi anglosassoni definirebbero di ‘ politically correct’. La mia perplessità certamente non riguarda la sua accentuata descrizione sulla bellezza stradichiarata dall’artista dei testi del Cantico dei Cantici contenuti nella Bibbia attribuito a Salomone, ma la sua insistenza troppo allusiva, alla presunta manipolazione del testo originario, per pretesa pruriginosa avversione della Chiesa Cattolica verso questi testi a contenuto erotico-sessuale. Devo dire a questo punto, che solo chi è lontano dagli ambienti cattolici, può dare giudizi così presuntuosi e lontani dalla realtà. In verità il Canto dei Cantici, è tra i passi più apprezzati ed amati dei testi sacri, proprio perché capaci di descrivere con delicatezza e purezza l’incontro sessuale tra due sposi, che attraverso il loro amore generano la vita, in grado di perpetuare il creato e di giustificare ed esaltare la esistenza di un uomo e di una donna: della loro funzione creatrice primaria nel corso della loro storia personale, unitamente all’impegno nel lavoro. Dunque erotismo e sessualità che proviene dal divino: un amore tanto importante per l’umanità e le persone coinvolte, da meritare una attenzione che travalica ogni convenzione e pregiudizio. A Benigni, allora, mi sento di dire: la prossima volta, prima di cimentarsi con esegesi così impegnative, si faccia aiutare nella ‘scrutatio’ dei testi sacri ( l’approfondimento dei singoli passi della Parola e la sua correlazione con altri passi), così eviterà di apparire anche agli occhi di chi l’apprezza, di voler essere a tutti i costi, un conformista dell’anticonformismo.

BETTINO CRAXI NEMICO DEL CONFORMISMO

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Nella speciale occasione della commemorazione di Bettino Craxi dopo vent’anni dalla sua morte, ecco che finalmente si parla del politico, del segretario di un glorioso antico partitoche ha concorso grandemente a costruire le fondamenta della Democrazia, dello Statista. Si è avvertita nel paese una prevalente onda di solidarietà e simpatia per “Bettino”, dopo anni di oblio provocato dal solito conformismo alimentato dai “vincitori”. Per loro Craxi e il PSI dovevano rappresentare la quintessenza dell’autoritarismo e della mancanza di etica. In effetti Bettino era metà angelo e metà diavolo, come gli altri politici. Però le differenze c’erano tra lui e le tantissime altre personalità politiche dell’epoca: era un grande innovatore; una persona determinata a mettere in pratica le sue idee; mentalità patriottica e nemico del conformismo. Penso che la disposizione popolare a ricordarlo, con “saudade” nei suoi confronti, sia in qualche modo la reazione alla retorica del moralismo che concluse la esperienza della prima Repubblica e dei grandi partiti di massa. Sicuramente molti hanno ancora riconoscenza per quella classe dirigente che guidò il paese dal dopoguerra ai primi anni 90, in un crescendo di sviluppo democratico, sociale, economico e di consapevolezza del ruolo internazionale dell’Italia.
Questa seconda Repubblica in definitiva cosa ci ha portato se non la proliferazione dei partiti, litigiosità sul nulla, tasse raddoppiate, debiti triplicati, una economia fortemente indebolita, servizi più scadenti, il cuore dei valori cristiani, principi, e tradizioni colpiti costantemente, una classe dirigente scadente, ruolo internazionale inesistente, corruzione imperante. Penso che se volessimo utilizzare l’esempio più eclatante per descrivere l’ultimo venticinquennio, quello della gestione delle concessioni autostradali, credo sia la più fedele. In questi anni, quello che mi ha sempre colpito, è stato il furore giustizialista alimentato anche da chi non si era sottratto certamente ai criteri della prima Repubblica nel finanziamento irregolare delle campagne elettorali. L’ho valutato come la furberia, la più inaccettabile; la espressione più deleteria del conformismo dell’italietta. Per questa ragione negli anni 90, nonostante la mia vicinanza alle formazioni cattoliche, ma con un importante apprezzamento per la propensione alla innovazione dei socialisti craxiani; mentre alcuni che gli erano stati vicini lo rinnegavano, io per reazione, nel mio studio presso la Cisl, per anni usai a bellavista una foto di Craxi che copriva l’intero video del mio computer.

Raffaele Bonanni

I NUOVI POTERI FEUDALI SUI DATI PERSONALI

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Viviamo in un epoca di grandi possibilità per l’uomo, grazie alla massiccia disponibilità di attrezzature digitali, della ‘smartizzazione’ di ogni mezzo che occorre per la ormai tumultuosa ed affascinante vita moderna. Disponiamo di televisori smart che vanno in streaming, che si adattano a monitor per foto e cortometraggi, si trasformano in computer con i conseguenti collegamenti in rete, di smartphone con cui svolgiamo innumerevoli operazioni oltre che a telefonarci, piccoli smart robot che consultiamo per attingere ogni informazione verbale. La maggior parte di questi ‘servizi’ messi a disposizione sono gratuiti, come ad esempio: il tempo metereologico, i voli da prendere, gli oggetti che vogliamo conoscere, i ristoranti che intendiamo prenotare, e tantissime altre occasioni offerte. Gli stessi comodissimi whatsapp, messanger o telegram, come le app Google, You Tube, ci danno servizi utilissimi sostanzialmente gratis; stessa cosa vale per Twitter, Facebook o Instagram. Ma occorre sapere che tutte queste gratuità noi le paghiamo caramente, al prezzo di rinuncia alla privacy per qualsiasi cosa diciamo, scriviamo e facciamo. (ITALPRESS) – (SEGUE). La migliore delle ipotesi è che i nostri dati li utilizzino per conoscere i nostri gusti e comportamenti, e vendano i dati alle Compagnie commerciali per azioni mirate alla vendita; ma la pericolosità risiede in tante altre occasioni per loro, nel vendere i file della nostra voce, degli amici che frequentiamo, dove ci rechiamo, sapere delle nostre malattie: insomma chi siamo in ogni risvolto che riguarda la sacralità della nostra libertà e vita personale. Come si sa neanche lo Stato, per legge, può impossessarsi legalmente di ogni informazione che ci riguarda, ma la novità che sfugge alla maggior parte di noi, ormai aziende potentissime private, la cui responsabilità non è normata, lo fanno senza limiti veri. Insomma siamo generalmente imprigionati da poteri feudali senza rendercene conto; guidati e controllati inconsapevolmente. È davvero singolare che le autorità politiche parlino spesso di come tassare questi colossi della rete, ma a nessuno viene mai in mente di come regolare la privacy delle persone, come regolamentare utilizzo dei dati, come penalizzare coloro che consentono informazioni deviate, linguaggi violenti e minacce via web. Non ci si preoccupa neanche di regolamentare il funzionamento del rapporto tra cittadino e queste imprese. La situazione in questo momento, se volessimo applicarlo a banche, assicurazioni e contratti di servizi, è come se l’erogazione di questi servizi non venissero codificate in ogni dettaglio: dei diritti e doveri tra utente ed aziende. Ma se ci pensiamo bene, gran parte delle forze politiche non aprono alcuna riflessione su questo tema di civiltà e di garanzie, in oggettivo comportamento collusivo, in quanto loro stessi si avvantaggiano di questi ‘buchi’ di Stato di Diritto. Come si sa, loro stessi, o comunque gran parte del sistema politico odierno, spesso utilizzano queste informazioni e talvolta persino le distorcono con le loro piattaforme digitali. Se le cose stanno così, è il caso di dire: cittadini, è l’ora di rivedere l’ordine delle cose, in un mondo completamente diverso dalla realtà passata!

Raffaele Bonanni

(ITALPRESS).

CHI È SOVRANO, IL POPOLO O IL LEADER?

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Non passa giorno in Parlamento che non avvenga un cambio di casacca. Dallo scorso mese di settembre, appena ripresi i lavori parlamentari dopo la pausa feriale e fino all’inizio di quest’anno, si sono registrati 67 cambi da un gruppo politico ad un’altro. Oramai sono anni e anni che questo avviene, ed a ben vedere i fenomeni, chiamiamoli politici, continueranno a moltiplicarsi nella sostanziale indifferenza della opinione pubblica che ormai si è abituata a questo malcostume. Certamente questo andirivieni non fa bene alla Democrazia italiana, sia per la reputazione dei singoli parlamentari sia per la instabilità a cui vengono esposte le istituzioni, sia per la credibilità del sistema politico. Si pensi che nella scorsa legislatura i ‘cambiamenti’ hanno interessato ben 569 tra Deputati e Senatori: a conti fatti ben 2/3 l’intero corpo di rappresentanza nazionale. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha più volte chiesto ai gruppi politici di rendere più difficili i passaggi con nuovi regolamenti di funzionamento del parlamento, ma sarebbe una soluzione più negativa del male che si dice di voler combattere.
Se si vuole farlo davvero, si rendano più democratiche le attività dei partiti; i leaderismi procurano facilmente strappi con chi non vuole sottomettersi a soluzioni non mediate. Ma il nodo principale sono le preferenze negate per le competizioni elettorali nazionali. Infatti se ci fosse un rapporto diretto tra elettore ed eletto, difficilmente avverrebbero i salti della quaglia recenti. Il cambiamento di opinione dell’eletto sarebbe non compreso e quindi penalizzato nel voto futuro. È un grave fatto che i cittadini spesso neanche sanno chi sono i propri rappresentanti, perché scelti dal capo politico. La realtà cruda odierna è che si salta il fossato quando il leader che li ha scelti, viene percepito come perdente, e al contrario si va incontro a un altro ritenuto al momento più potente che lo può garantire per ottenere lo scranno in futuro. Se le cose stanno così, chi è sovrano il popolo o i leader?

Raffaele Bonanni