30 Righe di Raffaele Bonanni

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CRISI INEDITA NELLA STORIA POLITICA ITALIANA

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Le motivazioni che ci hanno fatto giungere alla crisi di governo, il dibattito che abbiamo ascoltato, il comportamento avuto dai principali attori politici, possono far affermare senza tema di smentita, che il tutto è da registrare come un inedito assoluto nella storia politica e parlamentare dall’unità d’Italia. Qualsiasi osservatore straniero che abbia voluto cimentarsi con la comprensione dei comportamenti dei svariati attori in questa commedia tutta italiana, sicuramente sarà arrivato alla considerazione che sono cose tra italiani, lontane per contegno, responsabilità ed affidabilità, dai comportamenti delle classi dirigenti dei Paesi più evoluti e industrializzati. Infatti le nostre classi dirigenti si stanno muovendo come se il mondo non ci stesse guardando, come se fossimo una Nazione marginale, come se non avessimo debiti e problemi economico-sociali  tra i più gravi del mondo occidentale. La sfiducia ai danni del presidente del Consiglio e della coalizione di governo promossa dalla Lega, procedura del tutto strampalata in quanto non accompagnata dalle dimissioni dei ministri leghisti, esprime tutto il pressapochismo e la disattenzione alle regole costituzionali. D’altro canto i 5stelle, con celerità inusitata, si sono immediatamente consolati nel trovare la sponda per un eventuale nuovo governo attraverso una probabile alleanza con il Pd. Comunque la verità più cruda di questa crisi e delle soluzioni che si troveranno, girano attorno al tentativo di Salvini di sfruttare il vento favorevole dei propri successi elettorali, senza preoccuparsi in alcun modo delle implicazioni immediate; mentre i 5stelle impauriti da una nuova prova elettorale e dalla eventualità per i singoli parlamentari di tornare alla vita comune, saranno disposti a tutto pur di restare al governo, e restare seduti negli scranni del parlamento. Si dirà che di queste situazioni le strade politiche italiane sono lastricate di esperienze simili, ma francamente, con tutta la buona volontà, è davvero difficile trovarne altre simili. Ora Salvini, pur di mettere una pezza alle sue vistosissime gaffes, si è offerto in tanti modi di riparare, ma Conte e Di Maio in queste ore stanno approfittando dei provvidenziali varchi aperti per ridiventare centrali, aggirando il loro più temibile avversario per metterlo fuori gioco. Intanto ieri sera dopo il dibattito parlamentare fatto di affermazioni discutibili di Salvini e di verità molto parziali di Conte, quest’ultimo si è recato dal presidente della Repubblica per consegnargli le dimissioni. A questo punto che farà Mattarella? Conoscendo la sua cautela e la sua fedeltà ai doveri costituzionali, sonderà personalmente il terreno su cui eventualmente potrà poggiare la prosecuzione della legislatura, e se lo riterrà sufficientemente idoneo, tenterà di evitare scossoni istituzionali ed economici e indicherà la soluzione più idonea nello spirito più proprio della nostra democrazia parlamentare. Si, perché aldilà delle chiacchiere senza contenuto che spesso ascoltiamo, siamo una democrazia che affida al parlamento ogni chance possibile per le coalizioni governative. 
Insomma, sono convinto che Mattarella farà tutto il necessario per assicurare la prosecuzione della legislatura. Ma l’unica soluzione che è sul tappeto è la coalizione giallorossa. Penso che questo eventuale accordo, potrà creare altri problemi al pari del governo giallo verde. Aldilà delle estemporaneità salviniane, i leghisti, oggettivamente, hanno fatto da contraltare al velleitarismo grillino sia sulle partite economiche, sia sul terreno delicato della tradizione italiana, forti di un ancoraggio solido con ambienti imprenditoriali piccoli e grandi e con mondi anche religiosi più attenti alla salvaguardia della nostra cultura. Spero che con il Pd alleati con i 5stelle, si possa contare sostanzialmente su una dinamica che conduca allo stesso equilibrio, evitando di porci il più possibile lontani da decisioni azzardate in contraddizione con l’economia di mercato. Si spera anche che ci sia qualcuno si preoccupi di pattuire linee di governo per asciugare il debito, anziché usare le risorse per provvedimenti elettoralistici. Ora si potranno trovare anche soluzioni per superare l’attuale impasse politica, ma senza un cambiamento radicale rispetto alle linee seguite sinora, rimarranno sul tappeto gli stessi nodi che affliggono da lustri l’instabilità a tutto tondo della vicenda italiana. Se nel Paese non si faranno avanti forze responsabili, liberali, e socialmente sensibili al cambiamento, difficilmente usciremo dalla crisi morale ed economica. Nella scena italiana manca una aggregazione di moderati consapevole che per essere credibile deve iniziare una grande e lunga marcia che raccolga via via consensi a politiche che un grande paese come l’Italia aspetta di ripristinare da lustri. Una nuova grande aggregazione che per raggiungere però questo risultato, più che ambire nell’immediato ad avere posti in parlamento o presenze nei governi, deve dedicare il suo tempo a darsi un programma credibile di risanamento e sviluppo della economia, di rinnovamento e modernizzazione del welfare, di valorizzazione delle nostre tradizioni, di combattere con tutte le proprie forze il degrado comportamentale penetrato nel linguaggio politico, nel portamento e nelle gestioni istituzionali. Laici e cattolici , insieme, possono dare un grande contributo per la ricerca del bene comune, ma devono imporsi di svolgere il loro ruolo autonomo di realtà che rifuggono clamori, esagerazioni, soluzioni parziali, pur di avere potere. Dovranno percorrere tutte le strade d’Italia, per ricondurre alla politica quell’elettorato moderato che non si reca da tempo alle urne, e ricostruire un collegamento con le imprese, i lavoratori, le associazioni, e con le realtà della cultura e delle università. Occorrerà molto tempo per ridare centralità alle politiche responsabili, ma è l’unico modo per bonificare il terreno finora conquistato dal populismo. Continuare ad allearsi qui e lì, pur di esserci, significherà continuare a regalare la centralità a chi ha largamente dimostrato di non avere nessuna idea strategica riguardo alle questioni centrali nazionali ed internazionali. Diversamente il debito aumenterà e con esso i vari nuovi Masaniello che ambiranno sempre più numerosi ad appropriarsi della scena pubblica, sradicando financo le ultime risorse materiali e spirituali. 

IL CASO LULA E IL LATO OSCURO DELLA DEMOCRAZIA

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Non si sentono più notizie sul Brasile, nonostante l’attuale presidente Jair Bolsonaro della destra radicale, appena dopo poco tempo dalla sua elezione, già è sceso vorticosamente nei consensi popolari. Ma quello che i media stanno trascurando, è soprattutto il caso riguardante l’ex presidente della repubblica federale Brasiliana, Luiz Inazio Lula da Silva, conosciuto da tutti come Lula. Nel grande paese sudamericano cresce intanto la convinzione che sia stato fatto di tutto per non consentirgli di essere candidato alle ultime presidenziali. Infatti nei sondaggi risultava largamente avvantaggiato, e disposizioni di taluni giudici lo hanno messo fuori gioco rendendolo ineleggibile, nei fatti rimuovendo ogni ostacolo per il successo di Bolsonaro. E intanto, molto è il clamore suscitato dalle rivelazioni del Giornale Intercept, un sito di news fondato da un giornalista statunitense che vive in Brasile, che riferisce di chat, registrazioni audio, video, foto, documenti giudiziari che comprovano che l’attuale ministro della Giustizia Sergio Moro, giudice che appena 3 anni fa aveva messo sotto inchiesta Lula incarcerandolo, si sia raccordato con gli attuali giudici per metterlo fuori dalla contesa elettorale.

Insomma il giudice Moro dopo aver capeggiato è gestito direttamente ogni fase della azione giudiziaria  contro Lula, ora eredità dalle macerie governo da lui stesso messo ko,  la carica di Ministro della giustizia. Brutta storia quella brasiliana, piena di lati oscuri e di forzature sulle regole della democrazia è della giustizia. Trovo qualche analogia con la situazione italiana di 25 anni fa, ma a ben vedere anche odierna, situazioni che dovrebbero far riflettere ciascuno di noi sulla esigenza di  grande vigilanza sul funzionamento della nostra democrazia è dei suoi delicati gangli.  Si pensi che Lula, attraverso la sua lunga azione di governo, ha fatto crescere enormemente la economia del suo paese come non era mai accaduto prima, proiettando il Brasile nel novero delle più importanti potenze economiche del mondo, inoltre ha combattuto, tra pochi nel mondo, una battaglia coraggiosa contro la finanza internazionale, refrattaria ad ogni regola per il proprio funzionamento, spronando nel G 20 che ha presieduto, una intesa tra tutti gli Stati del mondo su regole nuove per il controllo dei poteri finanziari, ha ideato un nuovo sistema di cambio negli interscambi tra Brasile, Cina, India, Russia, che ha mandato all’epoca su tutte le furie il governo Usa.

Insomma un personaggio di tutto rispetto, molto diverso dai cliché di tanti leader sud americani conosciuti nel tempo: una forte tempra di statista capace di coniugare diritti sociali con lo sviluppo economico, libertà individuali con quelli collettivi, l’amore per il Brasile proiettandolo in un nuovo equilibrio mondiale. In definitiva un personaggio sudamericano molto lontano dai populismi molto ricorrenti in quell’aerea tradizionalmente incline alle esagerazioni delle classi dirigenti. Probabilmente proprio per queste sue capacità, come capita sovente in situazioni simili, ha incontrato tante  difficoltà. Credo che l’esperienza brasiliana possa essere monito anche per le nostre classi dirigenti, in frangenti tempestosi come quelli che stiamo vivendo, ed insegnarci anche una maggiore fiducia nella capacità del popolo di saper guardare in faccia le realtà manipolate ed ambigue che si presentano di volta in volta alla loro valutazione. Ci sarà pur una ragione se nonostante le forzature avvenute in quel paese ad opera di entità nazionali ed internazionali, interessate a rimuovere Lula, tutti gli analisti politici riconoscono che se si dovesse tornare al voto, il consenso per l’ex presidente sarebbe assai copioso e vincente.

OLTRAGGIO A DI VITTORIO, ISOLIAMO UNTORI DI ODIO

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Nella ricorrenza della nascita di Giuseppe Di Vittorio, il mitico sindacalista bracciante della Cgil, una lapide commemorativa che lo onora nei luoghi dove è cresciuto e lavorato da ragazzo, è stata distrutta da vandali. Nel clima di odio che serpeggia nell’intero Paese, avvengono fatti tristi e preoccupanti come questo. Non era mai accaduto che qualcuno oltraggiasse un sindacalista schietto e determinato come Di Vittorio: è stato sempre rispettato da tutti, in memoria delle lotte che insieme ad altri pionieri del sindacalismo italiano ha saputo condurre a favore dei lavoratori più umili e poveri. Quando si soffia sul fuoco spinti dal furore partigiano, sia di partito sia di contrarietà alle associazioni sociali (e questo avviene ogni giorno da anni), i più ignoranti, gli irresponsabili, gli avventurieri, i delinquenti, trovano facilmente indicate le vie torbide delittuose della provocazione. Dovranno suonare a festa tutte le campane dai campanili d’Italia, quando riusciremo riottenere la pace tra tutti. 

Intanto le persone di buona volontà non abbiano paura nell’indicare pubblicamente gli untori dell’odio, che in verità sono in opera da diverso tempo nella nostra cara Italia. Credo che occorra un patto civico tra tutte le persone pacifiche per concorrere a prosciugare ogni attività politica e sociale che giornalmente introduce modi di fare contrari alla convivenza civile. Nel frattempo il sindaco della località che ha subito l’oltraggio a Giuseppe Di Vittorio, ha prontamente dichiarato di voler ripristinare la lapide in onore del sindacalista pugliese ed è una bella è tranquillizzante testimonianza di responsabilità.

IL FUTURO CON IL NOSTRO PASSATO

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Ho visto una inchiesta della Rai del 1958, di quelle che si facevano una volta, senza colpi di scena, senza esasperazioni, senza accuse a chicchessia. Dettagliata in ogni aspetto, si rimetteva alla oggettività che aiutava lo spettatore televisivo a farsi una propria idea. L’inchiesta riguardava il lavoro delle donne in Abruzzo nel periodo della vendemmia, che per raggranellare qualche entrata in più per il bilancio familiare, si rendevano disponibili per la raccolta della pregiata uva da tavola, da commercializzare nelle grandi città italiane ed europee. Erano giovani ragazze e mamme, che sostavano nei campi delle zone della costa abruzzese lavorando anche 12 ore al giorno e dormendo e mangiando alla buona in capannoni e masserie nei pressi delle vigne. Devo dire che rivedere quelle immagini di quando io ero bambino, mi ha molto emozionato. Negli occhi di quelle donne si notava un grande desiderio di cambiare la condizione propria: chi pensava di provvedere alle spese del proprio matrimonio, chi di comprare o migliorare casa, chi di sostenere gli studi dei propri figli, chi di potersi aiutare alle spese per conseguire un diploma o per pagarsi le spese universitarie.

 

Era l’Italia che preparava il boom economico che ci avrebbe catapultato nel novero delle potenze economiche mondiali. Il tenore di vita, l’ossatura del welfare, “l’ascensone sociale” che avrebbe portato alla ribalta delle cariche dello stato e dell’economia figli di famiglie umili, è permesso a tanti piccoli artigiani  di diventare capitani di grandi aziende. In quell’epoca ci fu anche uno sviluppo straordinario dei diritti sociali e democratici. Ecco, ripercorrendo quei sentieri storici, ho pensato che l’Italia di quel tempo era migliore ed ha ottenuto risultati grandi, perché grandi erano le aspirazioni di ogni italiano; dal più umile al più colto. Si sviluppò un moto di popolo capace di fare grandi cose; la politica a quel tempo era in piena sintonia della gente ed era anche in grado, come fanno i genitori coscienziosi, di indicare anche soluzioni in un primo momento impopolari. Sono convinto che ora, se ci dovessimo ricollegare allo spirito di quel tempo, potrà mettersi in moto nuovamente qualcosa di grande.

Raffaele Bonanni

CARABINIERE UCCISO, GLI STATES SIANO ESEMPIO

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La morte a Roma del vicebrigadiere dei carabinieri ucciso, ha provocato un numero infinito di reazioni di sdegno da parte di chiunque abbia qualche responsabilità politica, e le affermazioni si sono susseguite in un crescendo: chi evoca la pena di morte, chi il carcere duro perpetuo, chi incauto e spregiudicato, ha cercato di aizzare contro poveracci immigrati nel tentativo di lucrare popolarità anche in momenti di gravi lutti. Ma al di là delle solite ‘commedie italiane’, la classe dirigente deve pur dare soluzione alla percezione e reale condizione di abbandono del territorio alla violenza. Le disgrazie come quelle che commentiamo, possono accadere in qualsiasi momento, ma nel fare un ragionamento responsabile, non si può negare che in questi casi come in tantissimi altri, è questione di probabilità correlate alle precauzioni che si allestiscono nella sorveglianza del territorio, negli strumenti che si utilizzano nel farlo, nella stessa influenza da esercitare sulla psicologia dei criminali. Ad esempio, i due cittadini statunitensi fermati, accusati del delitto, sanno bene che negli states, ogni territorio cittadino è sorvegliato da riprese video, ogni 3-4 cento metri è presidiato da 2 agenti, che gli agenti sono armati oltre che da pistole classiche, anche da quelle elettriche e di randelli. 

Costoro sanno che i loro policemans, hanno l’ordine di intervenire efficacemente e senza indugio, e che quando si commette un reato non si torna liberi dopo qualche ora. Ora, se si vuol onorare il povero vicebrigadiere Cerciello, come i tanti altri suoi colleghi caduti in tali circostanze, e se si vuole cambiare davvero la situazione, i governanti devono prendere ad esempio come ci si comporta in casi analoghi in un paese civile come gli USA. Penso che si possono assumere anche altri poliziotti, ma se il territorio rimane sguarnito, gli ordini che si danno sono contraddittori, la giustizia rinunzia al suo ruolo, l’intelligence latita, i delinquenti più che scoraggiati saranno incoraggiati ad essere padroni delle loro pulsioni criminali.

Raffaele Bonanni

IL SUD TORNI A ESSERE UNA PRIORITÀ

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Proseguono gli incontri sul sud tra le parti sociali e il Presidente del Consiglio Conte. La discussione riguarda soprattutto il sud, ed è cosa meritoria. Infatti del mezzogiorno d’Italia non si occupa più nessuno da tempo, e le difficoltà in cui versa sono peggiorate nell’ultimo biennio: il Pil crolla, così come l’occupazione e persino le esportazioni che pur erano cresciute un paio di anni fa, sono ripiombate in basso.

Cgil, Cisl e Uil hanno presentato al governo una piattaforma unitaria che pone anzitutto la questione del «ripristino di un criterio di equità» nella ripartizione delle risorse ordinarie per la spesa corrente e gli investimenti nel Mezzogiorno, con l’applicazione della clausola del 34% a partire dalla prossima legge di Bilancio per garantire i trasferimenti in base alla percentuale della popolazione residente. Altre priorità sono l’accelerazione e il buon utilizzo dei fondi strutturali di investimento europei, insieme al rafforzamento del fondo dedicato alla capitalizzazione delle Pmi meridionali, favorendo l’accesso al credito per eliminare il divario di costi, rispetto ai territori del centro nord.

 

La Cisl comunque, insiste nel confronto a che la vicenda del rilancio del sud ridiventi davvero una priorità nazionale. Il rilancio delle infrastrutture, insieme a un piano di inclusione per i giovani, figura nel pacchetto di proposte di Confindustria che propone l’intervento di una «cabina di regia» nazionale se un’amministrazione non riesce a spendere le risorse assegnate, con la destinazione dei fondi comunitari non spesi al credito d’imposta. Spero che il confronto ricrei le condizioni di tensione morale e fiducia sull’impegno concreto sul sud. Da questo eventuale risultato potrebbe passare il rilancio. della economia nazionale e della stabilità politica. Come si può pensare di poter continuare a mantenere il grave divario esistente che peraltro rende il Mezzogiorno una polveriera sociale utile solo ad avventurieri di ogni risma.

Raffaele Bonanni

 

SELEZIONE POLITICI DECISIVA PER GOVERNO DURATURO

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Viviamo in un epoca tumultuosa: lo sviluppo economico, quello digitale, catalizzati dalla globalizzazione, incidono fortemente sui costumi, sulla cultura, sull’apprendimento, che tuttavia a secondo della persona, possono avere un effetto diverso. Le persone riflessive e sensibili, traggono fortemente profitto dagli innumerevoli mezzi che la modernità mette loro a disposizione; sanno goderne con semplicità e umiltà. Anzi, costoro più apprendono e più diventano consci dei limiti che hanno al cospetto di confini senza limite della conoscenza. Ci sono invece i presuntuosi che mancano di sensibilità e non conoscono e non vogliono conoscere i propri limiti. Si ingozzano di nozioni e informazioni che la civiltà della informazione mette a disposizione e in assenza di basi solide, le affastellano e le utilizzano maldestramente nelle relazioni con altri, nelle comunicazioni politico-sociali, nelle delicate e complicate attività della difficile democrazia di questi tempi moderni, creando non pochi problemi per i processi di responsabilizzazione nella Comunità.
Infatti questo è un momento difficile per le attività sociali e politiche; la differenza viene fatta da persone consapevoli e responsabili, in grado di cogliere la complessità dei fattori che di volta in volta si presentano, e dimostrano di saper scegliere soluzioni, al riparo dagli opportunismi demagogici.

 

Ogni volta che rifletto su questi aspetti della vita sociale odierna, mi viene sempre in mente un aneddoto a cui sono molto legato, secondo me attinente il problema che sollevo, tema che ha assillato già in tant’è altri periodi storici, ma a ragione di nuovi e vastissimi cambiamenti odierni, il fenomeno è attualmente sensibilmente più acuto ed esteso. L’aneddoto parla del generale De Gaulle, che festeggiando la cacciata dei nazisti da Parigi e sfilando in parata lungo ‘le Champs Elysees’, ebbe modo di dare il suo giudizio su una categoria di persone a parere suo nocive per il buon governo della nuova Francia libera. Impettito sulla camionetta, che lo vedeva intento a salutare la grande folla disposta a destra e sinistra del grande viale, fu distratto dal suo attendente che gli indicò  una grande scritta sul muraglione del lato sinistro, che così diceva: ‘abbasso i cretini’. 

Il generale senza scomporsi, subito gli disse: ‘caro amico, questo sì che è un grande programma di Governo per la ricostruzione rapida e proficua della Francia’. Credo che l’aneddoto di De Gaulle si riproponga grandemente nella nostra attualità. Significativo che qualche mese fa, un cronista rivolgendosi al vecchio leader della Dc Ciriaco De Mita, avendogli chiesto del perché alla sua veneranda età, si sarebbe candidato per la ennesima volta a sindaco della sua città di origine, si sentiva rispondere: ‘mi candido contro là stupidità’. Insomma il rischio che corriamo oggi, in assenza di criteri efficienti di selezione di classe dirigente a causa del cattivo funzionamento della democrazia rappresentativa, è di affollare l’agone politico di personale inadeguato non in grado di avere le qualità sufficienti per affrontare la complessità della gestione politica. Lo svolgimento della vita democratica, come si sa, può funzionare solo a determinate condizioni, dato che i suoi ingranaggi sono molto delicati ed hanno bisogno di costante manutenzione. La selezione attraverso i criteri della democrazia rappresentativa, possibile solo in associazioni politiche a statuto trasparentemente democratico, è  la condizione essenziale per esprimere una capacità di governo efficiente e duratura. Ne si può tornare indietro, per eliminare i rischi, a più di un secolo fa con il diritto di voto e quindi di eleggibilità per censo e dunque per istruzione. Un sistema democratico davvero efficiente, riduce al massimo la presenza di personale politico inadeguato. Dunque non soffermarsi sulle cause dell’imbarazzante situazione, ma farlo solo sugli effetti, non può che condurci drammaticamente sempre allo stesso risultato. Nella situazione odierna, questa valutazione, si pone grossomodo per tutti i soggetti in campo; nessuno escluso.

ONORE A SERGIO MARCHIONNE

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Non volevo scrivere nulla su Sergio Marchionne, io che ho condiviso e sostenuto concretamente il progetto che lo ha reso vincente, e che ha permesso ad almeno 150 mila lavoratori impegnati tra diretti e di indotto Fca, di continuare ad avere un impiego, ed alla Fabbrica italiana automobili, di avere ancora un posto di rilievo nel gotha dell’automotive mondiale. Non volevo, io stesso, unirmi al fiume in piena di questi giorni di commemorazioni che immancabilmente, come avviene in simili circostanze, sono inquinate da banalità ed ipocrisie. Ma sono stato mosso da un sentimento di fastidio, leggendo e ascoltando un esercito di opinion leaders, politici ed imprenditori, che nelle difficoltà iniziali di conduzione dell’impresa di ricostruzione della Fiat, hanno partecipato all’offensiva di screditamento del progetto, o hanno fatto finta di nulla per quello che stava accadendo. Era il tempo di quando il fior fiore della classe dirigente italiana, con il codazzo lunghissimo della stampa scritta e parlata, era impegnata a descrivere le idee di Marchionne come eresie, quando non dense di imbrogli.

Infatti lo accusarono di aver proposto un piano industriale fitto di falsità, che il crollo della azienda fosse prossima, in assenza di modelli di auto da proporre, che si stava svendendo la Fiat agli americani, che si stavano schiavizzando i lavoratori. Mano mano che si compivano positivamente i vari step del progetto industriale, subito i sindacalisti antagonisti chiosavano negativamente gli eventi, con l’ausilio dello sciame dei soliti vari soggetti dell’italietta: imprenditori invidiosi e con la coda di paglia, politici ideologizzati ed opportunisti, banchieri irritati dalla utilizzazione di capitali finanziari d’oltre oceano, editori e giornalisti delle relative aree politiche e d’interesse. Però, va ricordato, che se fuori della azienda c’era una grande avversione iniziale, nelle fabbriche Fiat, invece, il consenso era grande. In ogni opificio, i referendum furono tutti vinti da chi voleva cambiare: niente più cassa integrazione, niente più preoccupazione per il proprio posto di lavoro, niente più scioperi pretestuosi. Si manifestò anche una minoranza sindacale: era quella che non voleva cambiare la vecchia organizzazione del lavoro di altre epoche, inadatta alle produzioni robotizzate, e che non intendeva dare garanzia di tregua sindacale, in presenza di un contratto stipulato tra l’azienda è i lavoratori.

Due questioni superate da tempi immemorabili nei Paesi industrializzati. Si è anche detto che Sergio Marchionne fosse un despota, un cinico privo di umanità. Ma invece noi sappiamo che chi è privo di umanità, non è mai in grado di progettare ed eseguire grandi opere, perché gli importanti progetti ottengono esiti positivi, alla sola condizione del coinvolgimento emozionale di tantissime altre persone, che entrano in sintonia per cambiare le cose, in una dinamica e clima di grande umanità. Ecco perché dico nel lutto “Onore a Sergio Marchionne”.

Raffaele Bonanni