30 Righe di Raffaele Bonanni

Home 30 Righe di Raffaele Bonanni

GOVERNO, TANTI I MOTIVI DI PREOCCUPAZIONE

0

Si fa un gran discutere sulle decisioni e sulle intenzioni del governo, e taluni usano termini assai forti nel mettere in guardia i cittadini sulle conseguenze di tali scelte. In verità, i motivi di preoccupazione ci sono ed anche tanti: sulla loro compatibilità con il debito e andamento della economia, sulla pedagogia pessima di garantire aiuti comunque a chi non ha lavorato, clima arroventato nel paese e talvolta di caccia alle streghe. Ma a ben vedere, questi propositi e pratiche, sono presenti da da più tempo nel paese; quello che troviamo in più, è la grande approssimazione ed arroganza. Prendiamo il nodo della opposizione alla TAV. Da anni assistiamo all’opera dei ‘no Tav’ nell’ostacolare le opere, ed in definitiva, soprattutto i governi di sinistra li hanno nei fatti assecondati, in presenza di un connubio stretto tra alcuni cittadini di territori interessati alle opere ed i ‘Centri Sociali’, con iniziative violente, nel tentativo di fermare le opere. Molti di coloro che ora si stracciano le vesti, non è parso che abbiano profuso in passato tanto impegno, nel spiegare la importanza strategica di quelle infrastrutture. Eppure la Nazione italiana è fortemente interessata a sostenere la propria economia con le costruzioni come volano Keynesiano, e sopratutto come infrastrutture per agevolare la circolazione di persone e merci. Non c’è stata l’informazione adeguata e limpidezza di intenti da parte dei vecchi governanti. Ora ci ritroviamo no tav più potenti, con la cecità localistica moltiplicata, con la mancanza di visione di modernità, con la medesima ostilità contro ogni opera in costruzione. Così si sono riorganizzati sotto le bandiere dei 5stelle, a combattere la loro battaglia per distruggere ogni possibilità di visione di insieme degli strumenti dello sviluppo comunitario. Sulle materie del lavoro, la situazione è pressoché identica. Veniamo da un ventennio di grandi scontri tra riformisti e conservatori, ogni qualvolta si sono dovute adeguare le normative del lavoro alle esigenze poste dalla globalizzazione e dalle tecnologie digitali. Anche in questo campo i 5stelle sono diventati i restauratori delle vecchie modalità del lavoro in nome di una presunta giustizia sociale, inglobando nel eproprio sistema tutti i vecchi oppositori. Con il provvedimento definitivamente passato al Senato, si torna indietro sulle condizioni di assunzione con i contratti a termine, si da vita al reddito di cittadinanza scassando i sistemi di ammortizzazione sociale, favorendo l’idea malsana di ottenere sussidi pubblici anche senza lavorare. Cosicché, se nel passato, contro i sostenitori di provvedimenti concreti su infrastrutture e riforme del lavoro, puntualmente nelle fabbriche e nella società, si attivava la denigrazione e talvolta anche azioni violente, ora la denigrazione e la violenza è gestita a mezzo web attraverso i social, in una gestione sapiente di profili di identità camuffati. Quindi, mutatis mutandis, nulla di nuovo sotto il sole del Bel Paese; quello che muta in peggio, e la condizione economica dell’Italia, martoriata da demagogie e populismi di prima e seconda Repubblica. Molti sostengono che nella modernità è difficile combattere queste condizioni a causa di un sistema di informazione deresponsabilizzato, e di una opinione pubblica incline a soluzioni di ‘pancia’. Ma questo è vero solo in parte, a condizione che persone che hanno una opinione diversa, vogliano impegnarsi senza sosta e disinteressatamente, nel spiegare tesi di verità, anche impopolari, pur di uscire dal pantano. In questi ultimi 4 lustri, a forza di scelte ‘popolari’ il paese si sta impoverendo moralmente ed economicamente.  

RIVEDERE LE CONCESSIONI E RENDERLE PIÙ TRASPARENTI

0

La costruzione delle opere e la loro manutenzione devono essere in cima ad ogni proposito delle comunità, e invece da un venticinquennio né si costruisce e né si manutengono opere che dovrebbero essere sotto costante sorveglianza. Non esiste un’unica anagrafe delle opere, della loro vetustà, delle esigenze impellenti che hanno per la loro efficienza e sicurezza. Non sappiamo neanche le reazioni nel tempo della affidabilità dei pur imponenti e solidi precompressi di cemento utilizzati, per ponti o altre opere. Insomma credo che tra i paesi industrializzati, siamo i più esposti alle pressioni del far niente, alla incultura della manutenzione, a polemiche solo dopo che accadono sfracelli. In definitiva a causa di una opinione pubblica ignara o depistata sapientemente su altro, la organizzazione e la gestione delle principali infrastrutture sono affidati a privati, con concessioni discutibili, i cui termini di garanzia pubblica nessuno conosce, così come risultano nascoste le opportunità e responsabilità per le imprese.

Nel tempo peraltro i termini delle condizioni, si sono decisamente spostate ancor più a favore delle imprese, che hanno fatto delle Autostrade, la lo loro gallina dalle uova d’oro. Queste imprese, in definitiva, si ripagano con introiti di pedaggio che non hanno precedenti in altri paesi; persino maggiorati negli ultimi anni con la ‘giustificazione’ di dover provvedere alla manutenzione, alla costruzione di ulteriori altri tronchi autostradali, o al loro allargamento, con la loro programmazione, progettazione e costruzione. Senza retorica, si può dire che è come affidare la pecora al lupo. Negli ultimi anni, nel silenzio più colpevole, e addirittura, senza nessuna gara, si è provveduto ad allungare per tanti anni in più la scadenza delle concessioni per meglio gestire le autostrade.

C’è da chiedersi: possono esserci condizioni più vantaggiose di queste per le imprese? E dunque in questa impalcatura equivoca di affidamenti di gestione di un ‘monopolio naturale’, che si accartoccia su se stesso la corretta gestione dell’interesse pubblico? Ma il mal funzionamento autostradale, a dimostrazione delle distorsioni, riguarda anche i servizi congeniti della erogazione del carburante, della vendita delle vivande, bevande ed altri beni, a prezzi non certo morigerati.

Non c’è luogo di maggior frequenza di avventori come in autostrada, eppure nessuno dei Governi, si è preoccupato di immettere condizioni degne dell’interesse pubblico. Ora il nuovo Governo annuncia che farà saltare la concessione del tronco autostradale incriminato in questi giorni, ma il problema è rivederle tutte e renderle chiare agli italiani. Intanto ai viaggiatori costa molto più il pedaggio che il carburante occorrente per raggiungere le loro mete. Speriamo dunque che il dossier Autostrade si apra e lo si gestisca nella massima pubblicità. Il problema naturalmente non è rinazionalizzare ma definire convenzioni eque e rivolte all’interesse pubblico. Vedremo cosa succederà, se siamo al teatrino, oppure davvero è arrivato il tempo dell’equilibrio necessario tra libera concorrenza come garanzia dell’interesse generale sorvegliato dai poteri pubblici.

Raffaele Bonanni

INCENTIVI FISCALI PER “CONTROESODO” AL SUD

0

Finalmente un’idea per il Sud. La fa conoscere il ministro dell’Interno Matteo Salvini: quella di agevolare fiscalmente gli stranieri ed italiani disposti a trasferirsi al Sud. Dopo le rampogne moralistiche contro i tantissimi italiani trasferitisi in paesi europei che praticano tasse zero su pensionati disposti a prendere residenza nelle loro città, ecco che sembra cambiare il clima, diventando più realistici. Il Sud regredisce demograficamente da decenni, a ragione della sensibile contrazione delle nascite e dell’esodo di giovani, verso ogni direzione d’Italia, d’Europa e del mondo: le sue città sono da qualche tempo visibilmente regredite, le zone interne con la moltitudine di comuni e comunelli, svuotate come mai. Se è vero che dal meridione si esoda dall’unita’ d’Italia, con le proprie masse povere in cerca di fortuna ovunque possibile, da qualche anno vanno via anche giovani di famiglie benestanti. Questo stato di cose non solo impoverisce il patrimonio umano di giovani istruiti, indispensabile per qualsiasi movimento economico, ma si rovina progressivamente il patrimonio immobiliare pubblico e privato, con i servizi pubblici sempre più carenti e inefficienti. Quindi, non c’è scelta migliore che attrarre verso questi territori, italiani e stranieri alla ricerca di un clima mite, di detassazioni in grado di migliorare loro il tenore di vita, di uscire definitivamente dalla vita caotica delle città.

Questa operazione avrebbe almeno due vantaggi: ridare vitalità a comunità in agonia, ridare speranze a pensionati italiani gravati di tasse più di qualsiasi altro pensionato europeo. Comunque, è già presente un fenomeno importante di pensionati e pensionandi del nord Europa che hanno già comprato casa o riattato casolari nella campagna e in piccoli centri delle zone rivierasche centromeridionali. Si tratta perlopiù di persone del ceto medio inglese, scandinavo e di persone di ritorno che hanno vissuto tutta la vita lavorativa nel nord Italia o altrove nel mondo. Essi comprano abitazioni disabitate a basso costo, e le ristrutturano. Si insediano in zone lontane da località molto turistiche e pertanto costose; sono interessati invece a località con distanze ragionevoli dal mare o dai monti: prevalentemente in piccoli borghi. Questi pensionati stazionano in queste località per lunghi periodi ed invece altri, fanno lunghi fine settimana approfittando dei collegamenti aerei low cost. Se questo interesse verso i nostri territori del sud venisse fortemente stimolato, ci guadagneremmo molto sul piano economico, salvaguarderemmo il nostro patrimonio immobiliare pubblico e privato diversamente progressivamente in rovina, stimoleremmo la nascita di un vasto ‘indotto sociale’, decisivo per dare tono a ogni comunità.

Si tratterebbe allora di garantire detassazioni ed agevolazioni nei servizi, pur di ottenere un ‘contro esodo’. Un piano ben mirato, costa poco e può dare risultati enormi in ogni senso. Abbiamo letto in questi giorni autorevoli personaggi discettare sulla difficoltà di allestire servizi sanitari e sociali all’altezza della sfida. Ma questi nodi sono più facili da sciogliere in comunità in crescita demografica che in perdita inesorabile. Ora si spera che Salvini se ne occupi velocemente coinvolgendo i sindaci e le Regioni, che insieme al Governo Nazionale devono saper governare una operazione che può diventare poderosa, e creare un clima del fare cose nuove e sensate. Da tanto tempo non si respira un aria di vera novità, che non siano solo chiacchiere o urla inconcludenti.

Raffaele Bonanni

 

CHIUSURE DOMENICHE, MERCATI NON CAPIREBBERO

0

Nella corsa forsennata per il consenso, senza sosta e senza limiti, l’arci Ministro Luigi Di Maio insiste e rassicura che la legge per la chiusura dei negozi, nelle domeniche e super feste, avverrà immancabilmente entro la Fine dell’anno. Si vuole così fare contenti gli ortodossi di vario genere, che da tempi immemorabili, sostengono che di domenica, caschi il mondo, non bisogna lavorare. Decisioni che sarebbero andate bene negli anni 50, quando l’Italia rurale influenzava le abitudini, l’uso del tempo libero ed i ritmi di vita. Nelle famiglie di quell’epoca, difficilmente si lavorava in due; allora, i beni alimentari e altri beni, erano ben lontani dall’essere totalmente industrializzati, potendo contare ancora su un circuito di distribuzione informale, soprattutto nella campagna, in quell’epoca sensibilmente più abitata di ora. Ma ai giorni d’oggi, le famiglie avrebbero qualche problema se dovesse sottrarsi loro la possibilità degli acquisti nei giorni di festa. Il modello attuale di vita ha ritmi molto sostenuti: tutti i membri sono occupati nel lavoro ed altri obblighi, e i giorni di festa rientrano nelle occasioni più utili per la spesa di famiglia. Infatti, è molto agevole poter parcheggiare l’auto nei centri commerciali, fare le compere e nel contempo usufruire degli svaghi delle zone attrezzate a giochi per i bambini, usufruire di sale cinematografiche, ristoranti e pizzerie. Poi sul numero sterminato di negozi e servizi nelle Città turistiche con il movimento economico che procura e i relativi flussi di persone, non hanno bisogno di fare analisi particolare per capire l’importanza di mantenere le aperture liberalizzate. Questa è la realtà della modernità da molti lustri, e più che una costrizione, è ritenuta una opportunità ormai da tutti. Quanto ai risvolti riguardanti il lavoro, si sa, i posti di lavoro si ottengono quando le imprese sono sane e se per loro è conveniente investire. Che segnale si darebbe agli investitori della grande distribuzione e non? Il salto nel passato, costerebbe il calo grave degli attuali occupati. Il Governo forzare l’attuale sistema, almeno tre ragioni: le stime dicono che gli incassi dei negozi nei giorni festa equivalgono al 25% degli incassi settimanali e si perderebbero; le vendite on line si incrementerebbero ulteriormente con ripercussioni pesanti, la ‘distribuzione’ in nero’ si incaricherebbe di produrre ancora più danni in ogni senso. Gli attuali supermercati e negozi in generale, hanno organici che sono stati tarati per l’organizzazione del lavoro compatibile con il sistema liberalizzato. Qualora gli incassi dovessero diminuire, drasticamente perderemmo irreparabilmente posti di lavoro e molte attività commerciali ‘salteranno’. Quando sono stati allestiti, il conto economico degli investimenti, ha considerato gli introiti correnti del modello odierno, in un regime di grande concorrenza. Ma c’è di più: i piccoli commercianti che a prima vista potrebbero sembrare trarre giovamento dal provvedimento, oltre a temere i vari Amazon, dovranno preoccuparsi anche della vendita on line che alcuni supermercati praticano con la loro piattaforma logistica-informatica, che i piccoli commercianti non potranno contrastare. Senza parlare dei lavoratori e studenti che hanno contratti di impiego per i picchi di lavoro, che verrebbero licenziati. Quindi, tutto dovrebbe consigliare a fare il contrario di ciò che si dice; per gli interessi generali, quelli delle famiglie, quelli dei lavoratori e delle imprese. Da troppo tempo oramai in Italia non si considera il presupposto principale del nostro benessere economico. Ed ecco che istintivamente viene da dire: “In quale guaio irreparabile si sta cacciando l’Italia, con questi annunci?”. Troppe promesse giustificate solo da profitti elettorali: le promesse di benefici ai cittadini somigliano a quelle del ‘paese dei balocchi’ del Collodi, come i conti economici delle spese ed entrate fondate sul ‘campo delle monete d’oro’ che hanno attratto Pinocchio nella celeberrima fiaba. Allora, se si decidessero ‘ le chiusure ‘, i segnali non sarebbero affatto positivi per i mercati. Infatti non capirebbero le picconature sempre più frequenti degli italiani, contro modernità ed economia, e nel contempo, promettendo benefici a urbi et orbi.

ALL’ITALIA SERVE LA STESSA TERAPIA FISCALE DI TRUMP

0

Anche quest’anno, come di consueto, il dibattito e le polemiche sul documento governativo di economia e finanza, trascina gli italiani a schiere di favorevoli o contrari, anche a prescindere dal merito delle cose in ballo; ma la maggioranza silenziosa, quella che non è partigiana, già da i suoi segnali di malumore sugli aspetti più evidenti delle contraddizioni presenti, rispetto alle decisioni annunciate dall’Esecutivo.

Si penserà che l’alleanza Lega-5 Stelle, in assenza di una reale opposizione sociale e politica, possa procedere senza problemi, ma così non è. Sono vent’anni e più che i governi, bisognosi di consensi stabili, cercano simpatie tra gli elettori spargendo qui e lì risorse a favore ora di questi, ora di quelli. Il penultimo governo Renzi è stato il più deciso di quelli che lo hanno preceduto: ottenne una popolarità assai vistosa, ma con il passare del tempo, in assenza di una strategia economica utile a risolvere i mali di fondo, come si è innalzato, con la stessa rapidità si è inabissato.

In realtà, anche l’attuale Governo ha scelto di camminare sullo stesso crinale, con misure tutte orientate a condizionare il risultato elettorale delle europee della primavera prossima. È inutile che taluni si straccino le vesti: il movente è lo stesso; quelli di prima a tavola usavano le posate, quelli di oggi usano le mani; sarà irrituale per il galateo, ma la sostanza è la stessa. La differenza (ma non è certo colpa degli attuali governanti) è che oggi le grandi difficoltà sociali ed economiche, sono molto più stringenti e richiedono una cura con dosi da cavallo, per raffreddare conti e disfunzioni: invece si sceglie di buttare ancora più benzina sui conti e sulle disfunzioni di sistema.

Ci si aspettava che il cuore della ‘manovra’ dovesse essere l’adozione della ‘flat tax’ ma si è preferito fare tutt’altro. Eppure è necessario decidere misure anticicliche, che possano sostenere la nostra esangue condizione economica.

Gli Stati Uniti che pur hanno un debito alto e spese militari esorbitanti che richiedono entrate pubbliche grandi e costanti, hanno saputo tagliare vigorosamente i pesi fiscali, riducendoli a un terzo dei nostri. Trump mirava a rafforzare i consumi interni e riportare le produzioni di beni e servizi in Patria; ci è riuscito benissimo, con risultati che hanno stupito il mondo. L’Italia ha bisogno della stessa terapia per tornare nel mondo reale: le persone fisiche sono oberate oltremisura di carichi fiscali nazionali e locali, e riducendo i consumi familiari spingono in basso gli indici economici, così come le imprese che oramai ritengono impossibile investire nei nostri territori. È vero, si è detto che la flat tax si potrà adottare nei prossimi tempi; ma dubito molto sulle chance future di questo proposito. Dopo che ingenti risorse pubbliche sono state dirottate nella assistenza: prevalentemente per la revisione della legge Fornero sulle pensioni, e reddito di cittadinanza.

Quindi difficilmente si potrà stressare ulteriormente la finanza pubblica; e poi la tempestività di intervento sui nodi economici è ormai non rinviabile. Stia attento il governo: la corsa forsennata verso il consenso, nei tempi medio-lunghi, si potrà trasformare in un ruzzolone, se non si dovesse recuperare il senso della realtà. La base storica della Lega vede con sospetto l’assistenzialismo; insieme a tanti elettori di buon senso, capisce che al di là delle parole d’ordine contro chi ordirebbe complotti anti-italiani, le sorti del benessere stanno comunque nel recuperare, da italiani, il dominio delle leve che dovranno riportarci nel cammino virtuoso di crescita.

Raffaele Bonanni

L’ITALIA CHE SI INDEBITA PEGGIORA IL SUO ISOLAMENTO

0

 

Una manovra economica e finanziaria, nel mezzo di tutti i nostri guai nazionali, e alle prese con i poteri finanziari sempre più attenti ad approfittare delle nostre debolezze economiche e della difficile solvibilità dei debiti, suggerirebbe grande attenzione ai ‘ fondamentali’ che ci danno da vivere, così come adoperarsi per trovare tutte le possibilità a riassorbire spese superflue, comunque quelle che non danno frutto. Così farebbe un capofamiglia, qualora non avesse il necessario per mandare avanti le spese essenziali per la famiglia, e si trovasse con i creditori dietro la porta. Eppure il documento economico-finanziario che l’Esecutivo si appresta a portare alle Camere risulta il contrario di quello che scriverebbe chiunque abbia buon senso. Non è che i Governi precedenti abbiano dato particolari esempi, ma le esagerazioni attuali li fa sicuramente sbiadire.

Tutti in passato hanno cercato di accattivarsi le simpatie dell’elettorato, con regali dedicati a categorie di persone, che avrebbero favorito la popolarità delle loro maggioranze politiche; ma poi, per pudore o per ‘ammorbidire’ la Commissione Europea, a quelle misure si affiancavano altre ‘anticicliche’ per dare parvenza di voler adottare politiche utili a dare un qualche sostegno alla economia. Quella odierna invece non si pone neanche la esigenza di dare un colpo al cerchio e un’altro alla botte: è pressoché solo spesa improduttiva, e di grandi dimensioni, accompagnata da pedagogia maldestra, di voler distribuire diritti non sostenuti da impegno lavorativo. Poi, la scelta plateale di collocare le costose provvidenze, tutte a ridosso delle elezioni europee, non ha bisogno certo di spiegazioni.

Ma a proposito di pedagogia negativa: contribuire a consolidare l’idea che le nostre difficoltà sono gonfiate e provocate da realtà esterne che vogliono approfittarsi dell’Italia, questo sì che distoglie il paese dalle proprie responsabilità, al di là di quelle che i nostri concorrenti contribuiscono ad alimentare. Se volessimo collocare queste scelte dentro culture politiche che animano i nuovi movimenti in Europa che si riconoscono nelle posizioni cosiddette ‘sovraniste’ o di destra, a ben vedere, non ce n’è uno che non si collochi dentro una posizione di forte rigore economico per le loro rispettive nazioni e per le politiche della Unione Europea. Ecco, questi nodi vanno chiariti dentro gli ambiti politici responsabili, e storicamente sodali tra loro: non farlo significa ridurre la politica a cosa ancora più incomprensibile ai più, oltre alla permanenza nel nostro ‘isolamento’ in Europa.

Bruciano ancora le affermazioni del pessimo Sarkozy, che alludendo con la Merkel alle nostre passate incongruenze, disse con un sorrisetto complice e vigliacco: “ils sont italiens”. Credo che i nostri interessi a uscire dal tunnel della crisi iniziata dieci anni fa, che ci vedono ancora unici fermi al palo nell’ambito OCSE, sia preminente a tutto. Sono troppi gli anni che in ambito internazionale e nelle istituzioni del ‘vecchio continente’ ci ritroviamo declassati politicamente ed economicamente, mentre nel paese si continua ad aumentare l’indebitamento e a impoverire il nostro patrimonio storico di industria e servizi. Dunque la situazione odierna è la cifra delle nostre passate negligenze. Cerchiamo di riassorbirle, anziché renderle ancora più evidenti.

Non ci siamo proprio: l’Italia cambierà solo quando ci sarà uno sforzo unanime rivolto a togliere una per una le cause che indeboliscono il nostro sistema economico. Anche in questa occasione i pesi non sono stati alleggeriti, ma purtroppo aggiunti. E intanto la Commissione Europea ha bocciato la nostra manovra e ci chiede di reiterarne un’altra entro tre settimane. Qualora non dovesse accadere rischiamo una multa che può arrivare fino allo 0,2 dell’intero Pil. Non sarà facile convincere la Ue a cambiare atteggiamento; tutti gli Stati sono contro la manovra italiana ritenuta incompatibile con i trattati, e pericolosa per la stabilità dell’Euro. Anzi proprio i Paesi più critici contro la Unione, chiedono il pugno di ferro contro l’Italia. Stando così le cose, i nostri eroi del governo ce la faranno a risolvere problemi così ingarbugliati?

Raffaele Bonanni

FISCO, EDILIZIA E INDUSTRIA PER RIPARTIRE

0

Credo che di questi tempi bisogna porsi una domanda: qualcuno si sta occupando della nostra industria?

Autorevoli governanti affermano che con i propositi di accorciare i tempi di andata in pensione, di elargire il reddito a chi non ce l’ha, di assunzioni nella Pubblica Amministrazione ed altre provvidenze di redistribuzione, si potranno garantire spinte per l’economia, facendo leva sui consumi. Queste tesi, come dovrebbe sapere il ministro Tria, possono avere certamente quest’effetto, ma alla sola condizione, (soprattutto per chi ha un debito pubblico altissimo) di avere sotto controllo ed in efficienza, ogni caposaldo che ci porta crescita del reddito nazionale, per quello che riusciamo a vendere nel mercato interno e nei mercati internazionali. I consumi interni, come si sa, vanno male a causa delle tasse eccessive che pesano sui salari e sulle pensioni. Nonostante fino a qualche mese sembrasse che fosse la volta buona con la flat tax, poi, bruscamente, ci è stato annunciato che se ne dovrà parlare non si sa quando. Penso che sarebbe stata l’unica iniziativa utile che avrebbe gratificato l’attuale maggioranza di governo in cerca spasmodica di consensi, e aiutato considerevolmente famiglie ed imprese.

L’industria delle costruzioni, in tutte le economie, viene utilizzata come volano per sostenere il PIL , attraverso la costruzione delle abitazioni, opere pubbliche e manutenzioni. Ma questo comparto così essenziale, ha subito colpi sempre più dolorosi: abitazioni oberati di crescenti tasse, opere pubbliche e manutenzioni, non sostenute da denari pubblici, per la crescente opposizione anti cemento. Per avere idea della decisivita’ dell’uso anticiclico dell’edilizia nella economia, basti elencare i tanti settori industriali che vengono coinvolti nelle opere: il ferro, l’acciaio, il legno, i laterizi e ceramiche, materiali elettrici e idraulici, cemento, plastiche e vetro, ed ancora tanti altri. Mi ha sempre molto colpito il detto molto comune in Francia, usato per significare la strategicita’ del settore, che poggia sull’insieme delle produzioni prima elencate; dice: “quand le batiment va, tout va”, quando l’edilizia va tutto va. Si spera ora che almeno sulla scia del clamore drammatico del ponte di Genova e dei crolli di altre strutture, palazzi, e di strade nazionali, provinciali e comunali (gran parte non mantenute da tempo), si apra una stagione straordinaria manutenzione.

Poi l’industria manifatturiera che nel periodo 2015-2017 aveva dato segni importanti di ripresa, nell’ultimo anno ha subito cedimenti. Ad esempio nel 2017, il valore aggiunto conquistato dagli italiani nelle manifatture (+3,8), è stato superiore a quelli rispettivi di Germania (+2,7), del Regno Unito (+2,3), della Francia (+1,7). Tuttavia dalla fine dello scorso anno, venendo meno il vantaggioso costo del petrolio e una congiuntura favorevole dei mercati internazionali che hanno favorito i prodotti Made in Italy, si sta registrando un calo del valore aggiunto, che coinvolge in qualche modo anche i nostri concorrenti europei. Ora, datosi che dalle manifatture traiamo buona parte del Pil, ci si aspetterebbe che il Governo investisse in modo importante per l’industria, giacché risulta ignorata.

Non abbiamo scelta, dobbiamo trarre maggiore vantaggio da questo caposaldo economico, ed arrivare in tale modo ad un equilibrio più sostenibile tra ciò che guadagniamo è quello che spendiamo. Speriamo che in questi tempi contraddittori per la nostra Nazione, si possa fare tesoro del concetto che espresse Cicerone nel 55 A.C. Così ammoniva i Romani; evidentemente erano soggetti alle stesse preoccupazioni odierne, indicando i comportamenti più appropriati per ottenere la buona economia: “la finanza pubblica deve essere sana; il bilancio in pareggio; il debito pubblico ridotto; la popolazione deve imparare a lavorare invece di vivere di sussidi pubblici”.

Raffaele Bonanni

 

STATI UNITI D’EUROPA META DEL FUTURO

0

Domani, decine di capi di Stato, saranno a Parigi per commemorare la conclusione della Prima guerra mondiale, degli accadimenti drammatici che coinvolsero l’Europa e gli Stati Uniti d’America, comprese le colonie delle potenze belligeranti. In quel conflitto persero la vita 17 milioni di persone e 20 milioni furono i feriti. Mai una guerra provocò tanti lutti e presto ne provoco un’altra appena vent’anni dopo, per carichi insostenibili che i vincitori imposero ai vinti. Nel tempo, poi, incubò un odio popolare che i nazisti seppero ben utilizzare nei loro propositi di revanscismo. Quindi, da una rovinosa e inedita esperienza bellica, si giunse a una seconda ancora più devastante, che coinvolse pressoché tutti i Continenti della terra, e generò altri milioni di morti al punto che sommando i morti e feriti dei due conflitti – militari e civili – si arrivò a 150 milioni di esseri umani: un’ecatombe infernale che agli occhi di chi, come noi, non ha mai assistito o partecipato a conflitti bellici, quegli eventi rovinosi, ci appaiono surreali. 

L’Europa, peraltro, oltre ad avere pagato un prezzo altissimo di vite umane e di rovine materiali e morali, ha pagato da quei momenti, lo spostamento dell’asse di potere politico ed economico mondiale, a favore degli Usa e dei paesi estremo orientali. Insomma, quegli accadimenti, hanno ridotto l’Europa alla condizione dell’Italia del Cinquecento: ricca, evoluta, ma politicamente debolissima, incapace di regolare la vita economica e politica al proprio interno, incapace di influire negli scacchieri regionali viciniori, estranea dai giochi di potere dell’allora Europa. Se un senso deve avere l’incontro di Parigi, è certamente quella di ripudiare la guerra e di rifuggire dalla retorica della vittoria e dal nazionalismo. Ma deve soprattutto saper analizzare le ragioni più profonde che hanno mosso quei conflitti: quelle economiche; quelle della inesistenza di ambiti di organizzazioni statuali adeguate alla modernità; la questione di masse popolari alla ricerca di benessere e di protagonismo. Queste spinte presenti nel Novecento, non sono state comprese dalle elites liberali dell’epoca e presto facilmente strumentalizzate dalle ideologie autoritarie comuniste e nazifasciste, che hanno soggiogato tristemente molti popoli: due regimi, che si sono alimentati a vicenda nella contrapposizione. 

L’unico antidoto dunque, è e resta l’Europa. Il Vecchio Continente dovrà mirare presto ad un governo politico eletto dai cittadini, capace di dare prospettive ai propri popoli; in definitiva deve diventare un nuovo pilastro di equilibrio per la stabilità economica e politica Afro-Europea e collocarsi nel crocevia di quello orientale ed occidentale. A ben vedere, le odierne convulsioni presenti nei vari paesi europei, sono il sintomo di un malessere proveniente dallo scadimento della propria identità e della paura verso tutto ciò che si sviluppa nel mondo che non li vede partecipi. Allora, una vera Unione Europea, è esigenza non rinviabile del nostro sviluppo, una opportunità per la stabilità mondiale, per stroncare i populismi che prosperano, proprio perché il cammino della Storia è troppo intralciata da mancate risposte all’altezza dei grandi cambiamenti avvenuti. L’attuale Unione Europea, seppur insufficiente e precaria, comunque ha avuto il merito di evitare nuovi scontri. 

Ma dovrà presto evolversi, così da offrire a lavoratori ed imprese un nuovo modello incardinato nella economia sociale di mercato, presupposto fondamentale per dare forza a una nuova e moderna democrazia. Dunque il benessere economico e sociale e il rinnovamento della cultura sociale Europea passa per gli Stati Uniti d’Europa. Questa meta, serve a offrire come nel passato, un riferimento importante per l’evoluzione morale e spirituale del mondo, in contrapposizione a possibili nuovi demoni pronti a distruggere l’umanità.