30 Righe di Raffaele Bonanni

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Rapporto Draghi, l’Europa è grande solo se unita

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di Raffaele Bonanni

ROMA (ITALPRESS) – Il rapporto sulla competitività europea, presentato a Bruxelles da Mario Draghi alla presidenza della Commissione UE, ha suscitato due tipi di reazioni: una di timida e generica approvazione, l’altra di dubbio sulla realizzabilità del progetto, se non di aperta ostilità. Era prevedibile che emergessero sentimenti di questa natura. Il “rapporto” non è altro che un riepilogo di tutte le inefficienze sistemiche del vecchio continente e dei ritardi accumulati negli anni rispetto alla competizione mondiale, inasprita da concorrenti aggressivi e potenti come la Cina e altri competitor dell’Estremo Oriente. Il mondo è cambiato, ma l’Europa ha preferito restare ancorata alle sue anacronistiche certezze, consumando la consistenza raggiunta nelle stagioni passate e, con essa, la progressiva perdita del proprio potere economico, benessere e influenza politica su scala mondiale. Si potrebbe paragonare la situazione all’Italia dell’inizio del Cinquecento: indifferente alle scoperte di nuovi mondi, nuovi commerci e nuove rotte marittime, rimaneva chiusa nelle anguste nicchie dei suoi staterelli, delle sue decadenti banche e del suo antico ma ormai insufficiente dominio dei traffici commerciali mediterranei. Così, nel tempo, come sappiamo, evaporarono i benefici del Rinascimento e la stessa indipendenza politica, classificata al culmine della sua decadenza dal Principe Metternich come una semplice “espressione geografica” assolutamente priva di una propria sovranità.
La sovranità, allora come oggi, dipende dalla capacità intrinseca di raggiungere un’economia di scala in tutte le attività sostenute da efficienti fattori di sviluppo. Infatti, indipendenza energetica, autonomia nella ricerca e innovazione, coordinamento nei sistemi di trasporto, logistica, produzione e distribuzione commerciale, unificazione e snellimento dei sistemi autorizzativi pubblici sono i punti salienti delle proposte di Draghi. Il piano mette inoltre in evidenza la necessità di assicurarsi la disponibilità autonoma di materiali strategici per l’industria elettronica, come i semiconduttori fondamentali per le moderne automazioni, i metalli e i componenti basilari per batterie e pannelli solari, e l’unificazione della programmazione dell’industria della difesa, oltre all’incremento dello sviluppo e gestione del digitale e dell’intelligenza artificiale. Un piano così impegnativo ma vitale per gli europei, secondo Mario Draghi, richiede circa 800 miliardi di euro annui, autofinanziati dal debito tipo Next Generation EU, dal prossimo anno fino al 2030. Un investimento poderoso che potrà riportare l’Europa nel solco della sua storia nel mondo ed evitare una catastrofe sicura in un futuro molto prossimo.
Ora dipenderà dalla lungimiranza della dirigenza UE, ma soprattutto dalla consapevolezza dell’opinione pubblica nel rifiutare le lusinghe in atto in ogni paese da parte di ottuse forze che ripropongono imperialismi e pericolosi isolazionismi. Ed invece deve affermarsi la convinzione che l’Europa è grande se integrata, ma assai vulnerabile se rimane un’incompiuta istituzionale e, ancora peggio, divisa.

– Foto Agenzia Fotogramma –

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Con Maduro tornano gli anni bui delle dittature sudamericane

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ROMA (ITALPRESS) – Nei tristi accadimenti venezuelani riemergono gli stessi drammi vissuti tra gli anni Sessanta e Settanta in Argentina, Brasile, Cile e Uruguay. In quegli anni si verificarono colpi di stato per la soppressione delle garanzie costituzionali in vigore in quei paesi, e chiunque si opponesse veniva incarcerato, torturato e fatto sparire da militari in borghese. Erano gli anni delle dittature militari in Sud America, su cui si sono scritti fiumi di parole di sdegno, eventi che hanno mobilitato per anni i democratici italiani.
Gli italiani furono molto toccati da quelle esperienze brutali, ritrovandovi gli stessi patimenti subiti durante la dittatura fascista in Italia, lo stesso degrado morale e civile pagato a caro prezzo. La vicinanza fu viva anche per i forti legami con le vaste comunità italiane presenti in quei paesi sudamericani.
Infatti, oltre alle informazioni dei media, erano le stesse nostre famiglie a essere direttamente informate dai loro parenti residenti in quei paesi.
I racconti parlavano di uomini armati dai regimi che irrompevano di notte nelle case dei dissidenti, in passamontagna, e li facevano sparire; militari e paramilitari che sparavano sui manifestanti e poi li torturavano; giornali e radio chiusi e devastati. In Venezuela si stanno ripetendo quelle scene.
Il Presidente Maduro ha perso il confronto elettorale con Edmundo Gonzales, che ha ottenuto due terzi dei voti espressi, come risulta dai certificati elettronici che gli oppositori hanno esibito al pubblico e ai media e consegnato alle cancellerie dei paesi democratici. Tuttavia, Maduro, forte degli organismi controllati dal regime, non ha voluto esporre prove certificate e si è fatto proclamare eletto. Dunque, un’elezione palesemente illegale, sostenuta dalla violenza e dalla soppressione di ogni libertà e garanzia civile e politica.
Nonostante le richieste provenienti dai paesi democratici di far valere i risultati elettorali, il regime venezuelano fa ritornare la storia agli anni bui delle dittature sudamericane. Proteste e richieste di far valere la volontà popolare del voto si sono manifestate da gran parte delle cancellerie dei paesi del Sud America. Il Presidente del Brasile, Lula, insieme al Presidente messicano e a quello colombiano, si sono mostrati finora interessati a porsi come mediatori della situazione, ma il regime non ha accolto la loro richiesta di poter prendere visione dei certificati elettorali prima di dare un giudizio sull’accaduto. Lo stesso incontro pattuito tra questi capi di stato e Maduro è stato rifiutato, seppur a parole non negato per i prossimi giorni.
Intanto, da più di un mese continuano le proteste che ogni giorno si tengono in ogni città del paese, nonostante la dura repressione. Potrà Lula mostrare ancora cautela con Maduro, lui che ha patito con il suo popolo le stesse esperienze dei venezuelani di questi giorni? E i partiti della sinistra italiana possono mostrare ancora cautela nelle dichiarazioni in questa vicenda e non promuovere alcuna iniziativa di protesta e di informazione?
Questo è un periodo assai complicato per la democrazia, assediata da dittatori sempre più spregiudicati sulla scena mondiale. Essi vivono anche grazie a complicità nascoste e opportunismi di varia natura. Orientare i cittadini e usare sempre gli stessi pesi e le stesse misure è decisivo per dare senso e autenticità alla lunga battaglia per l’affermazione della libertà, insidiata perennemente da violenti alla ricerca del potere senza consenso.
(ITALPRESS).

IA, la sfida delle istituzioni è tra la sua regolamentazione e la tutela del lavoro

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ROMA (ITALPRESS) – L’avvento delle tecnologie digitali, la globalizzazione delle catene di produzione e l’invecchiamento della popolazione hanno generato una serie di sfide per la protezione dei lavoratori e la sostenibilità dei modelli di redistribuzione del reddito nei paesi sviluppati. Questi cambiamenti hanno avuto effetti destabilizzanti anche sulla stabilità delle istituzioni democratiche. L’impatto di questi fattori è destinato a crescere esponenzialmente con la diffusione delle applicazioni di intelligenza artificiale. Le tecnologie digitali hanno trasformato radicalmente il modo in cui lavoriamo e viviamo. L’automazione e l’intelligenza artificiale stanno sostituendo molte mansioni tradizionali, riducendo la domanda di lavoro umano in vari settori. Questo fenomeno, noto come “disoccupazione tecnologica”, rappresenta una sfida significativa per le politiche del lavoro e la sicurezza sociale. La capacità delle nuove tecnologie di distruggere posti di lavoro, dovuta alla loro pervasività in tutti i settori dell’economia e al numero di attori che le utilizzano, supera di gran lunga la capacità delle istituzioni di regolamentarle e di creare nuove opportunità per i lavoratori coinvolti e comunque predisponendo politiche sistematiche di aggiornamenti professionali.
La globalizzazione delle filiere produttive ha portato a una maggiore interconnessione tra le economie mondiali, ma ha anche esposto i lavoratori a una concorrenza globale senza precedenti. Le aziende possono ora spostare facilmente la produzione in paesi con costi del lavoro più bassi, mettendo sotto pressione i salari e le condizioni di lavoro nei paesi sviluppati. Questo ha contribuito a un aumento delle disuguaglianze economiche e sociali, minando la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni democratiche. L’invecchiamento della popolazione rappresenta un’altra sfida cruciale. Nei paesi sviluppati, l’aumento dell’aspettativa di vita e il calo dei tassi di natalità stanno portando a una popolazione sempre più anziana. Questo trend demografico mette a dura prova i sistemi di welfare e pensionistici, che devono sostenere un numero crescente di pensionati con un numero relativamente minore di lavoratori attivi. La sostenibilità di questi sistemi è a rischio, richiedendo riforme strutturali e nuove politiche per garantire un equilibrio tra le generazioni. L’intelligenza artificiale, in particolare, ha il potenziale di amplificare ulteriormente questi problemi. Le applicazioni di IA stanno diventando sempre più sofisticate e pervasive, con la capacità di svolgere compiti complessi che un tempo erano riservati agli esseri umani. Questo potrebbe portare a una maggiore polarizzazione del mercato del lavoro, con una crescente domanda di competenze altamente specializzate e una diminuzione delle opportunità per il personale meno qualificato. Le istituzioni devono affrontare la sfida di regolamentare l’uso dell’IA e di promuovere politiche che favoriscano la riqualificazione e l’aggiornamento delle competenze dei dipendenti. In conclusione, l’impatto delle tecnologie digitali, della globalizzazione e dell’invecchiamento della popolazione richiede un ripensamento delle politiche del lavoro e dei modelli di redistribuzione del reddito. Le istituzioni devono adattarsi rapidamente a questi cambiamenti per garantire la protezione dei lavoratori e la sostenibilità dei sistemi di welfare, preservando al contempo la stabilità delle istituzioni democratiche. Solo attraverso un approccio integrato e proattivo sarà possibile affrontare le sfide del futuro e costruire una società più equa e resiliente.
-foto Agenzia Fotogramma-
(ITALPRESS).

Sulla spesa pubblica serve una svolta responsabile

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di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Settembre si avvicina e già sentiamo proposte su come organizzare la spesa pubblica, ovvero come impiegare i soldi pubblici. La spesa consolidata è considerevole, e il desiderio della politica è sempre portare “nuovi doni”. Tuttavia, dobbiamo sperare che lo spirito di diffidenza del troiano Laocoonte verso i doni cresca, per evitare i tanti cavalli di Troia disseminati nel tempo. Questi, schermati da necessità complesse, hanno fatto crescere il debito pubblico a tremila miliardi, con un costo annuo di circa 90 miliardi di interessi. La spesa pubblica, purtroppo, non è al riparo dalla dissipazione, orientata com’è in innumerevoli direzioni, spesso mossa da dinamiche prive di visione. Ed intanto il mondo è in subbuglio, le vecchie certezze si sgretolano, la competizione per la conquista dei mercati aumenta e ci trova impreparati. I ritardi sono così grandi da richiedere sforzi importanti che in altre difficoltose epoche, tutto sommato, ha trovato forze politiche e realtà vive del Paese pronte a collaborare ed a concentrarsi sulla cura degli interessi vitali.
Anche in questi frangenti avremmo bisogno dello stesso sforzo comune pur di sottrarci allo scontro autodistruttivo orientato verso il nulla. Si stanno così dissipando energie, e quello che è preoccupante che la stesse èlite intellettuali sembrano incapaci di porsi fuori dal contrasto che divide il paese. Eppure bisogna sperare in un sussulto della classe dirigente più consapevole della posta in gioco, per rimettere al centro dell’agenda del paese un programma di medio-termine che possa invertire il modo di decidere la spesa pubblica e i punti di forza delle nostre entrate economiche. Cessare la politica assistenziale dei bonus finanziata ancora dal debito per esigenze elettoralistiche, e sostituirla con la riduzione del debito e dunque di fette della spesa per gli interessi è la scelta ormai non più procastinabile. Abbiamo oltrepassato da tempo i limiti della sicurezza per il Paese e credo che i migliori politici presenti in ogni schieramento, per la loro popolarità ed affidabilità dovranno investire sulla responsabilità della dedizione agli interessi generali. E’ necessario aumentare le entrate ed allora occorre fortificare i fattori dello sviluppo: energia, fisco, infrastrutture e logistica, giustizia e istruzione. Sulla education, ad esempio, bisogna concentrarsi per rivederla da capo a fondo. Rivedere programmi, formazione a tappe forzate dell’attuale docenza e selettività rigorosa sulla assunzione di nuovi docenti.
Cambiare anche fortemente il rapporto con le accademie e le imprese, con lo scopo di recuperare le distanze gravi evidenti che ci vede deficitari rispetto alle nuove conoscenze. Gran parte dei nostri handicap odierni di competitività dipendono principalmente da questo tema. Il mezzo milione di qualifiche alte e medio alte introvabili nel mercato del lavoro è il sintomo più evidente dello scollamento con la modernità e con le esigenze più preziose ed impellenti delle produzioni e dei servizi. Lo scivolamento verso produzioni meno qualificate si nota già da tempo dalla composizione occupazionale degli ultimi anni e dai salari. Abbiamo bisogno di giovani preparati per l’uso intensivo delle nuove tecnologie applicate alle produzioni, che aumentano la produttività e la competitività delle aziende. Attualmente, ci sono mezzo milione di posti di lavoro ad alta qualificazione non coperti, e questo dovrebbe preoccupare tutti coloro che comprendono che i nuovi posti di lavoro derivano dalla produttività di quelli già esistenti. Il documento finanziario che verrà discusso in autunno dovrebbe considerare questi aspetti basilari per il governo del Paese, sarebbe davvero un servizio al paese trovare convergenze tra maggioranza ed opposizioni e comunque confrontarsi sul rigore economico anziché concorrere con la demagogia.

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Immigrazione e integrazione, lo Ius Scholae merita attenzione

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ROMA (ITALPRESS) – In un periodo caratterizzato da una marcata polarizzazione politica, l’Italia è di fronte a un bivio fondamentale: trovare un modo per gestire le delicate questioni legate all’immigrazione e all’integrazione in maniera equa e produttiva. La proposta dello “Ius scholae” emerge come un avanzamento notevole verso questo obiettivo, dimostrando come la politica possa navigare una via di mezzo, conciliando diverse visioni e scoprendo soluzioni praticabili.
Confrontandosi con sfide demografiche rilevanti simili a quelle di altre nazioni occidentali, l’Italia ha visto un incremento dell’aspettativa di vita di circa 15 anni negli ultimi cinquant’anni, un segno tangibile di progresso sociale. Al contrario, il tasso di natalità è drasticamente calato di due terzi nello stesso arco di tempo.
Queste tendenze, insieme all’allungamento della vita media, esigono strategie che guardino al futuro. Nonostante ciò, sembra che pochi siano disposti a confrontarsi con queste problematiche.
Sul fronte lavorativo, molti dei ruoli meno ambiti sono ricoperti da lavoratori stranieri. Inoltre, vi è una carenza di competenze specialistiche che rende difficile il riempimento di posizioni lavorative più qualificate. Di conseguenza, l’integrazione di questi lavoratori diventa essenziale per il tessuto economico italiano. Tuttavia, si ha l’impressione che l’attuale leadership politica distolga l’attenzione da questi temi cruciali.
La posizione di Forza Italia sul tema dell’immigrazione merita attenzione. La loro iniziativa “Ius scholae” è un esempio di azione positiva in contesti controversi. Tale proposta si allinea agli interessi collettivi, si colloca in una posizione centrista e illustra l’importanza di un nucleo politico capace di moderare gli estremismi e facilitare il dialogo in una società diversificata.
In conclusione, l’Italia necessita di una politica che adotti un approccio ponderato e centrista. L’integrazione dei lavoratori immigrati non è solo un dovere ma una reale esigenza, e l’iniziativa dello “Ius scholae” rappresenta un modello su come procedere in tale direzione. È giunto il momento per l’Italia di affrontare queste sfide con audacia e risolutezza.

– foto: Agenzia Fotogramma –
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Venezuela, perchè la politica non tutela la comunità italiana?

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ROMA (ITALPRESS) – In Venezuela, la comunità italiana ha una lunga storia e continua a dare un significativo contributo nonostante le gravi condizioni economiche e sociali. Vi risiedono 120 mila italiani con il nostro passaporto, ma a questi ne vanno aggiunti molti altri. Infatti, si stima che i discendenti dell’emigrazione italica assommino a più di mezzo milione di persone. Tra costoro, ci saranno ancora altri che hanno ottenuto la doppia nazionalità con passaporto venezuelano ma anche italiano. Noi siamo tra i pochi nel mondo che abbiamo adottato questa modalità per mantenere un legame forte con milioni di nostri connazionali in diaspora nelle varie regioni del mondo per trovare lavoro, benessere, occasioni di stabilità economica per le proprie famiglie. Dunque, in Venezuela come in tanti paesi sud e nord americani, in Australia, nell’Europa stessa, in tanti possiedono lo status di cittadini italiani ed esercitano anche il diritto di voto presso i nostri consolati ed ambasciate dislocate qui e là nel mondo.
Dunque è singolare che la condizione della sicurezza e dello stato di grave disagio in cui vivono i nostri connazionali non venga vissuta con apprensione e le forze politiche tutte non abbiano nulla da dire su ciò che in quel disgraziato paese avviene. Il sommovimento popolare per difendere la legalità del voto compromesso dal Presidente Maduro viene represso dallo stesso per imporre attraverso la evidente distorsione del potere statale per rimanere alla presidenza, pur avendo ottenuto meno voti del suo avversario Edmundo Gonzales. E in questa situazione si sta mettendo in mostra la vera natura di regime autoritario e fraudolento presieduto da Maduro. Ormai si arrestano migliaia di persone che chiedono legalità, si rapiscono persino deputati, si minacciano giornalmente i capi dell’opposizione. Insomma, molti italiani sono in grave pericolo ma poche voci si levano dal dibattito politico italiano.
È singolare in un paese dove le minuzie assurgono ad importanza elevata, una vicenda così vicina a noi non merita prese di posizione, richieste di garanzia, premura almeno per gli italiani. Si sa, molti connazionali hanno dato vita nel tempo ad attività di terziario e industriali. I loro sacrifici stanno evaporando a causa di un paese che da tempo ha rovinato l’economia per l’imposizione ideologica delle nazionalizzazioni, della rimozione dei criteri della concorrenza, della distribuzione dei denari dei contribuenti per l’assistenzialismo fine a se stesso. Ebbene, come accadde in Libia con l’avvento di Gheddafi, chi vuole andare via dal Venezuela per tornare in Italia lo potrà fare, ma senza i loro averi. Dunque un paese senza stato di diritto, liberticida meriterebbe una forte pressione dell’Italia a difesa dei propri cittadini e della legalità italiana. Ma non lo si fa, perché alcuni partiti hanno considerato nel recente passato il “chavismo” il sole dell’avvenire in Sud America.
Ma non è mai troppo tardi per schierarsi a fianco di un popolo che chiede libertà. Non farlo corrisponderebbe a pagarne le conseguenze. A forza di fare di una pagliuzza una trave, e di una trave una pagliuzza a seconda della propria convenienza, persino i propri seguaci non ci capiranno più niente di quello che succede. Tant’è che il fenomeno è già ben avanzato, e si vede.

– foto: Ipa Agency –
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Le elezioni in Venezuela offuscano la democrazia

La vicenda venezuelana, oltre a provocare sconcerto nel mondo civile, manifesta anche la situazione assai pericolosa che si sta formando nelle democrazie a causa di contraddizioni mai risolte. L’attuale situazione in Venezuela presenta molte analogie con l’Italia del 1924. Ora, nel paese sudamericano, come nel Bel Paese di un secolo fa, a condizionare e rendere illegale il risultato elettorale sono squadracce minacciose e violente, brogli, ritorsioni e intimidazioni, unitamente alle certificazioni di validità del voto di organi dello Stato già addomesticati dal regime. Infatti, il Consiglio Elettorale e la Corte di Giustizia, che sono alle dipendenze del Presidente, affermano solennemente la vittoria di Maduro. Tuttavia, gli avversari di Maduro, dati alla mano, hanno reso pubblici elementi probanti della vittoria di Edmundo Gonzales, con file legati a schede elettorali utilizzate che rendono chiari i dati: il presidente uscente ha ottenuto circa la metà dei voti di Gonzales. Mentre si moltiplicano le manifestazioni di piazza in tutto il paese per il cambiamento voluto dagli elettori, il Presidente uscente si comporta come il capo di un regime: arresta e colpisce con l’esercito i manifestanti, minaccia la carcerazione dei capi dell’opposizione. Nel frattempo, aumenta il numero dei governi nel mondo, sia in America del Nord che del Sud, che riconoscono l’elezione di Gonzales. È da notare che i Paesi che orbitano nell’area di quelli autocratici, sono comprensibilmente a favore del regime di Caracas. Un caso particolare è il Brasile, propenso insieme al Messico a prendere tempo. Lula, il presidente della Repubblica brasiliana, noto per mantenere rapporti stretti con Russia e Cina, sembra indeciso su quale posizione prendere. L’imbarazzo è forte, come lo è per molti partiti progressisti nel mondo che, nell’avvento di Chavez a Caracas 25 anni fa, videro l’affermazione di una forza progressista, nonostante il degrado economico e sociale e l’assenza di diritti sociali, civili e democratici. In Italia, ad esempio, se ne parla poco. Al massimo, si lanciano appelli per chiedere di non reprimere le proteste di piazza. E poi si dice che i cittadini si allontanano dalla politica. A ragione, ci si proclama paladini della democrazia e di fronte a questi casi si resta in silenzio. Si propugnano diritti civili e si ignora la situazione degli arresti di giovani e donne che lottano contro il regime medievale di Teheran, e nel Medio Oriente si confondono carnefici con vittime. Come nella triste storia dell’Ucraina, dove si impongono vincoli a perimetri mai valicabili alla reazione di chi è aggredito e mai all’aggressore che scavalca ogni legge internazionale di convivenza pacifica. Se nel mondo non si allineano i principi professati con i comportamenti reali, l’ambiguità che ne risulta si trasforma in un facile propellente per i paesi canaglia e autocratici in generale, per far tornare indietro le lancette della storia.
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– Foto: Ipa Agency –

L’inverno demografico rischia di far collassare il mercato del lavoro

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di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – Negli ultimi cinquant’anni l’Italia e altre nazioni industrializzate hanno vissuto trasformazioni significative. L’aspettativa di vita è cresciuta notevolmente, passando da 71 anni nel 1970 a 83 anni per i maschi e 86 per le femmine oggi, grazie al miglioramento delle condizioni di vita e socio-economiche, nonostante la pandemia recente.
Contemporaneamente, il tasso di natalità è sceso da 18 nascite ogni 1000 abitanti a 6,4. Questa riduzione di due terzi nelle nascite in cinquant’anni sottolinea che questi fattori diventeranno ancora più rilevanti in futuro. Queste statistiche dovrebbero spingere la nostra classe dirigente a riflettere e a sviluppare politiche del lavoro che tengano conto della realtà attuale.
Il nostro paese è alle prese con un inverno demografico, un aumento esponenziale degli anziani e un sistema educativo che fatica a rispondere alla domanda di qualifiche elevate, mentre molti giovani emigrano in cerca di salari migliori.
Continuiamo a utilizzare modelli di welfare e regolamentazioni del mercato del lavoro obsoleti, così come un sistema educativo che non supporta l’adeguamento delle competenze alla rivoluzione tecnologica in corso. Questo avviene in un contesto di cambiamenti significativi nei metodi produttivi, aggravati dai ritardi della nostra classe dirigente. Non si considera il valore dei lavoratori anziani, che potrebbero contribuire notevolmente se incentivati da normative flessibili e opportunità vantaggiose per la loro pensione futura.
In conclusione, chi non può più lavorare è una questione a parte; chi invece desidera continuare a lavorare dovrebbe avere la possibilità di sfruttare appieno le proprie competenze ed esperienze, arricchendole con formazione digitale mirata. Per i giovani, è fondamentale un orientamento verso percorsi professionali di alta qualificazione.
Le aziende incontrano difficoltà nell’assumere lavoratori qualificati, che rappresentano quasi il 50% delle potenziali assunzioni, e il tasso di occupazione tra i 25 e i 64 anni è del 66%, inferiore di 10 punti rispetto alla media UE. Se non si interviene, questa situazione potrebbe avere conseguenze gravi, riducendo la nostra capacità di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro e portandolo al collasso.
Un alto debito e tassi di interesse elevati, uniti a un PIL in calo a causa della contrazione produttiva, sono lo scenario che ci attende se non cambiamo direzione. Tuttavia, abbiamo ancora la possibilità di agire e investire nelle risorse umane. È necessario prendere decisioni rapide e mirate per garantire la sostenibilità del mercato del lavoro.
Sindacati, governo centrale e locali dovrebbero collaborare per offrire soluzioni nuove e valide per il paese. Le forze politiche devono concentrarsi sugli aspetti cruciali per l’economia e le condizioni di lavoro, piuttosto che su se stesse.
In breve, è essenziale che le parti sociali e il governo agiscano e che le forze politiche pongano al centro della loro agenda gli aspetti rilevanti per l’economia e il lavoro. Restare fermi in questo contesto di cambiamento è pericoloso.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

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