30 Righe di Raffaele Bonanni

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GOVERNO NON GUARDI SOLO I SONDAGGI

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Dalle mie parti, un vecchio adagio dice, “quando la neve si squaglia, si vedono i buchi”. Quest’immagine ben rappresenta lo scenario economico-politico di questi giorni. Il senso dell’incontro avvenuto tra il presidente della Commissione Jean Claude Juncker e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ben descrive la situazione in cui ci troviamo, per una possibile trattativa per smussare una manovra finanziaria, che per ora è sostanzialmente solo pro-ciclica. Ormai siamo al dunque delle cose, con il Pil in prospettiva stimato dalle agenzie di rating internazionali, tre misure in meno di quelle dichiarate dal Governo, e dalla classificazione dei titoli italiani appena un gradino più in alto di quelli ‘spazzatura’.

Ancora non è chiaro che decisioni vorranno prendere i ‘diarchi’, ma non credo che avranno molti spazi di manovra per tenere in vita le loro originarie promesse fatte agli elettori. La situazione è pesante con circa 85 miliardi delle famiglie bruciate (secondo Banca d’Italia), a causa del calo dei titoli di stato nel corso dell’ultimo semestre, che determina anche un aumento del costo dei mutui a tassi variabili a carico di chi ha acquistato ed acquista abitazioni.

La situazione paradossale, è rappresentata dalle principali tessere del puzzle: dal reddito di cittadinanza alla revisione della ‘Fornero’; hanno spaventato così tanto i mercati, che il costo complessivo delle eventuali provvidenze promesse, per la sfiducia provocata nei mercati, costerebbero almeno 5 volte in più. Il conto è presto fatto: impegno di spesa delle provvidenze a debito; la perdita di valore dei titoli di Stato per le famiglie; il rialzo a causa del conseguente ricalcolo dei mutui. Per giustificare la propria linea, il Governo ha più volte sottolineato i benefici che deriverebbero per il mercato interno, dalla disponibilità di denaro dei beneficiari del reddito di cittadinanza, e dalle opportunità di nuovi posti di lavoro di risulta per l’accelerazione dei pensionamenti che richiederebbe immediati rimpiazzi nelle aziende.

Ma sono pie illusioni: un conto è distribuire redditi provenienti dalla crescita della ricchezza, altra cosa se tutta l’operazione è fatta a totale debito. Quanto alle nuove assunzioni, anch’essa è infondata. Quando le aziende perdono una professionalità affidabile, hanno il bisogno fisiologico di sostituirla nel medio lungo tempo, pena la perdita di capacità di risposta efficiente alle commesse, in quanto non è facile nell’immediato ottenere nuove immediate abilitazioni professionali. Se il Governo volesse davvero rafforzare la domanda interna e avere più occupati, dovrebbe desistere dagli attuali propositi ed invece lanciare la riduzione fiscale per persone fisiche ed imprese. Per stare agli argomenti dei governanti, anche la flat tax è nel ‘contratto di governo’.

Anzi, sarebbe l’unica decisione opportuna, che avrebbe forza ‘anticiclica’. Un consiglio spassionato è il caso di dare alle persone più avvedute presenti nel governo; non guardate solo i sondaggi per capire l’umore degli elettori, guardate anche gli indicatori economici. Se dovessero continuare così come stanno andando, saranno proprio i guai economici a farvi regredire rapidamente nel favore popolare, come è accaduto a chi vi ha preceduti.

Raffaele Bonanni

 

MANOVRA, CONTO SALATO PER IL PAESE

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Se teniamo conto del tempo, dei toni, e passioni usati in tutti questi mesi, ci si sarebbe aspettati la definizione di un ‘new deal italiano’. Invece, da quello che emerge, le decisioni prese, hanno riguardato soluzioni così lontane da quelle annunciate, da mettere in conto a breve, malumori dei cittadini: di quelli che li volevano e di quelli che le osteggiavano. E tuttavia il Governo precisa e riprecisa che reddito di cittadinanza e superamento Fornero sono stati realizzati. 

Ma il conto finale di questa lunga e rumorosa storia, è molto salato: ci sono costati sensibilmente in più, per finanziare il nostro debito, ed per mutui per abitazioni  che hanno subito importanti rialzi; ed intanto il ceto medio continua a impoverirsi. Per trovare un po’ di soldi, si sono dovuti cancellare bonus agevolazioni e deduzioni fiscali, e promettere alla Ue, improbabili vendite di beni demaniali, oltre a tanti altri espedienti che apprenderemo meglio in seguito. È davvero preoccupante che questo avvenga, non per la soluzione dei nodi economici, ma per distribuire denari presi a debito. E poi, se gli indicatori economici volgono tutti al rosso, il mantra che i governanti ripetono, è che con l’assistenza, migliorerà il PIL.

 Di questi giorni, alla opinione pubblica, che per ora sembra poco attenta, fa da contraltare la insistente campagna di allarme per l’economia di alcuni analisti politici dei ‘giornaloni’ , ma non sono creduti: costoro in altri momenti, avevano sostanzialmente elogiato analoghe politiche assistenziali, ma varate da Renzi. Dunque, dopo la conclusione del primo step di Governo, si può certamente affermare che anche i gialloverdi – e forse più di altri – intendono il ruolo di governo, come opportunità per ingraziarsi i favori dell’elettorato con provvedimenti assistenziali, anziché pensare a come riassorbire il debito. D’altro canto, è acclarato, i cittadini, puniscono con il voto, non le proposte non compatibili con l’economia, ma quando le promesse, anche le più spericolate, non vengono mantenute.

Di qui il corto circuito continuo, che affligge senza pace la politica italiana. Quindi nulla di nuovo sotto il sole; situazione che fa intendere, che nulla sta cambiando, se non l’avventatezza di principianti, incapaci di schermire anche i movimenti più goffi, inadatti alle circostanze. Intanto i ‘gialli’, rassicurano a parole il proprio elettorato sul tanto celebrato ed adorato reddito di cittadinanza, e fanno sapere a ripetizione, che gli intoppi europei avuti, nel futuro non si avranno, con la sicura scomparsa dei Juncker e Moscovici dopo le elezioni europee. Ma si sbagliano. Abbiamo già notato che i sovranisti di altri Stati, che si includevano tra i sostenitori delle politiche italiane, si sono rivelati tra i più spietati denigratori.

Ma non poteva che essere così: quando mai si sono visti movimenti sovranisti, sostenere politiche economiche di redistribuzione di soldi non guadagnati? C’è da giurare che non sarà facile per il futuro la vita del Governo. Cosa mai potrà inventarsi di nuovo, per tenere alta l’attenzione degli elettori. Speriamo che la realtà politica governativa più avveduta ne tragga le conseguenze. La riflessione è d’obbligo: non si fanno scelte forti e necessarie per la salute del paese, con coalizioni molto assortite e dalle posizioni sostanzialmente ‘chaviste’. E i cittadini non si illudano: non vedranno risolti i loro problemi affidandosi a chi va ripetendo in giro, per la penisola e isole, che basta volerlo, e i poveri saranno aiutati dai soldi che si prendono dai ricchi. Spero che in politica esistano ancora, persone che credono che la Nazione, potrà progredire solo quando imparerà a usare bene i suoi punti di forza ed eliminare quelli deboli, per saper vivere nel mondo d’oggi, fortemente cambiato.

Raffaele Bonanni

PARTI SOCIALI CHIEDANO AL GOVERNO CONFRONTO VERO SULLA CRESCITA

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Ecco che con il nuovo anno si riprende il cammino della vita nazionale, che si auspica più regolare di quello passato, fatto di enfasi su tanti argomenti fuorvianti, con il risultato di esserci esposti, ancor più di prima: più debiti, meno lavoro, più tasse. Ma i guai possono persino crescere, qualora i cittadini e le loro organizzazioni politiche e sociali non dovessero impegnarsi con forza per spingere a spostare l’asse delle attenzioni sulla salute dell’economia. Il governo ha gravi colpe per aver sprecato un pozzo di miliardi per inseguire le proprie proposte elettorali, agevolato dall’opposizione. Ma anche le associazioni sociali hanno sinora mostrato incertezza, con soluzioni governative così lontane dalle esigenze generali. In qualche circostanza, taluni hanno persino fatto intendere qualche interesse per la redistribuzione di soldi presi a debito, e per soluzioni di welfare e pensioni squilibrate. Ma sciolta la neve si vedono chiaramente i buchi di decisioni contraddittorie e nocive.

Ora bisogna stare molto attenti alla discussione da aprire nel paese: ad esempio la rissa ingaggiata con il governo da alcuni sindaci è un diversivo rispetto alle cose che contano per la sicurezza dei posti di lavoro e delle aziende dell’industria e dei servizi. D’altronde la nostra grande fragilità risulta eccessivamente esposta alle tempeste internazionali: mercati finanziari in crisi; crescita mondiale in arretramento; guerre commerciali planetarie; paesi forti europei impegnati più a evitare contagi che a trovare nuove soluzioni. E poi come sottovalutare le scadenze del 2019 di collocazione di titoli di Stato in scadenza per 260 miliardi di euro che ci costeranno di più dell’ultimo acquisto: sia per lo spread in rialzo, sia per l’attenuazione della ‘protezione’ della Bce sui tassi d’interesse, sia per la decrescita di -0,1 del Pil di quest’ultimo trimestre. Quindi c’è di che preoccuparsi da parte di chi ha consapevolezza della situazione e responsabilità verso la Nazione.

La voce più forte che si è sentita ultimamente nel richiamare l’attenzione sul lavoro e la difesa delle produzioni è stata quella di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria. Ha chiesto agli imprenditori di mobilitarsi per costringere l’Esecutivo a ricentrare gli obiettivi di governo. Penso che la pressione delle imprese sia preziosa per riaprire una nuova prospettiva di dibattito e uscire dal frastuono da ‘paese dei Balocchi’. Da quello che vediamo in giro, le forze del lavoro possono essere per ora l’unica realtà capace di interrompere la bolla di chiacchiere che immobilizza l’Italia, catalizzando il crescente malumore di piccoli, medi e grandi imprenditori. Costoro giustamente chiedono di dare il via agli investimenti nelle infrastrutture e nella logistica per la competitività e per trarne concreti posti di lavoro. Chiedono che i pochi soldi che abbiamo vadano indirizzati così, ed è molto incoraggiante che siano determinati a confrontarsi duramente con i teorici del no ad ogni opera.

Quindi speriamo che si apra un confronto vero, rimettendo al centro l’altro punto nodale per rilanciare i consumi nel mercato interno e stimolare gli investimenti privati: le tasse. Queste ultime continuano ad aumentare, strangolando famiglie e imprese. La promessa della flat tax, dunque, si è trasformata in nuove tasse nazionali, mentre dalla possibilità data ai Comuni di tassare nuovamente c’è da aspettarsi tutto e di più. C’è da ricordare che la flat tax era stato l’unico argomento coniugabile con l’interesse generale nel cosiddetto ‘Contratto di Governo’. Ma non è successo nulla: altre cose interessavano al governo. Intanto preziosissime poste di agevolazioni, deduzioni e altri vantaggi fiscali per i contribuenti sono stati bruciati e sacrificati per il reddito di cittadinanza. Ora o tutte le associazioni delle imprese e dei lavoratori si fanno sentire, richiamando l’attenzione della pubblica opinione, oppure la confusione continuerà con danni irreparabili. C’è bisogno di dare coraggio a tante realtà positive, che tutto sommato sono ancora il pilastro del ‘calabrone Italia’.

Raffaele Bonanni

RIFORMA FISCO NON SI PUÒ RINVIARE

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Ci sono più motivazioni che spingono i governanti a non affrontare il tema annoso delle tasse, anzi ad aumentarle, quando devono stilare il documento di politica economica e finanziaria. In primo luogo non vogliono sfidare i Sindaci e Presidenti delle regioni, loro grandi elettori, che nel caso di riduzioni, sono i primi a dover mettere in conto, dimagrimenti dei loro programmi. L’altra motivazione, è che i governi nazionali, dovrebbero a quel punto, sobbarcarsi di problemi complicati, riguardo le politiche di crescita derivanti dalle produzioni industriali e dei servizi.

Molto più agevole è promettere provvidenze al proprio elettorato di riferimento; magari raschiando il barile delle risorse pubbliche, sempre più precarie. Insomma la motivazione del degrado, è da attribuire alla distorsione avvenuta nel tempo, del ruolo e responsabilità del governante e dunque della politica in Italia. Questa situazione, denota problemi nella rappresentanza politica, e gravi criticità nella gestione economica. Sarebbe il caso voler urlare, al pari dei coloni di Boston contro il governo: “no taxation, without representation”. Ma quei coloni ‘del nuovo mondo’ erano a 6.500 km dalla madre patria, mentre noi li abbiamo a Roma.

Non è un caso che noi italiani siamo a un punto in meno di pil da molti anni rispetto agli altri paesi europei. Si continua a usare le risorse non per investirle per lo sviluppo e riassorbire il debito, ma per distribuirle a casaccio. Quando una nazione qualsiasi sviluppata, soffre per l’occupazione a causa della propria economia anemica, la prima preoccupazione che l’assale, è quella di stimolare i privati a spendere ed investire di più. Lo si dovrebbe sapere che le imprese, nel mercato globale, fuggono dai territori costosi, alla ricerca di vantaggi altrove. Proprio in questi giorni, abbiamo avuto una dimostrazione plastica di quanto vero sia questo assunto.

Il Governo, come è noto, ha deciso di aumentare le tasse sugli autoveicoli Diesel e a benzina? Ebbene, dopo poche ore, la Fca, ritenendosi danneggiata, fa sapere che per tale ragione intende rinunciare ad investire 5 miliardi in Italia, con l’implicita intenzione di farlo in altri luoghi convenienti. E poi, se le famiglie vengono di nuovo gravate da altri pesi fiscali dagli enti locali, i quali tornano ad essere liberi di tassare a proprio piacimento i cittadini con addizionali e pesi sulle case, come ha deciso il Governo, il risultato sarà meno consumi interni. Così come con i carburanti che continuano ad innalzarsi di prezzo,  non per il rialzo del costo del barile, o della raffinazione, o della distribuzione, ma per le accise, che si sommano costantemente a prescindere dalle fluttuazioni dei prezzi.

Queste circostanze, e tante altre, hanno determinato un asfittico mercato interno di consumi senza precedenti. Anche i lavoratori dipendenti sono tartassati. Se mettiamo a confronto le nostre buste paga, con quelle statunitensi, si impallidirebbe. Facciamo un esempio: un lavoratore italiano che guadagna 35 mila euro lordi l’anno, ne riscuote netti 25 mila; mentre uno statunitense, per la stessa somma lorda, ne prende ben 31,500 euro. I nostri pensionati poi pagano le tasse come i lavoratori attivi, mentre in altri paesi, no. Anzi sono sottoposti a prelievi e sottrazioni di rivalutazione a piacimento dei governi. Ecco perché la Flat Tax è la cartina di tornasole per avviare una buona economia con più consumi e più imprese nostrane ed estere interessate ad investire in casa nostra.

Ma non può sfuggire alle persone attente: chi decide di adottate politiche virtuose contro la mortificante e costosa pratica di promesse irresponsabili e demagogiche, ricondurrebbe la Democrazia nel letto del fiume della normalità. Non c’è alternativa alla drastica riduzione di pesi fiscali a favore di famiglie ed imprese; chi intenderà davvero prendere in mano questa bandiera, farà una cosa santa per la Nazione, ma costruirà anche una classe dirigente duratura, in grado di scavalcare gli ostacoli della suggestione del facile consenso su cose futili, di saper coniugare leadership e capacità di attraversare terreni impervi. Sono convinto che questo tempo è vicino, non fosse altro per la sempre puntuale, ed inesorabile legge del contrappasso: i tanti errori commessi, come sanzione, producono le premesse per politiche inverse. La mia speranza che ci sia già oggi, chi sa guidare questo cambiamento imminente. Diversamente ci sarà sicuramente qualcun altro che lo farà dopo, a ragione di una condizione di asfissia economica e sociale prodotta dalla idrovora fiscale.

Raffaele Bonanni

CONGRESSO CGIL, SINTESI POSITIVA

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Si chiude il Congresso della Cgil, e si chiude bene. La sintesi fatta, di notte, dai sostenitori dei due  candidati alla segreteria generale nazionale, di Vincenzo Colla e Maurizio Landini, ha sottolineato la solidità identitaria ed organizzativa, su cui può ancora contare la Cgil; per fortuna distante dalla subcultura dominante di questi tempi, che ritiene un valore ripudiare la mediazione (arte nobile politica), e ridurre ogni circostanza di decisione collettiva, a vincere o perdere. Infatti, lo notiamo da tempo, che in politica come nel sociale, le mediazioni, i contrappesi di poteri tanto necessari negli organismi democratici, tolleranza e pluralismo, sono sbeffeggiati e ritenuti un ingombro. Il fatto di aver costruito un intesa tra le due posizioni emerse è foriera di buoni auspici. È positivo perché si evita le solite guerre di posizione, che distraggono le ‘burocrazie’ dal lavoro sindacale , accartocciandosi così  sulle vicende interne. Nel Sindacato, persino di più che nei partiti, il patto di convivenza tra posizioni ed interessi, è essenziale per evitare di ‘bruciare le risorse umane disponibili’, che in presenza di forti contrapposizioni, vengono sempre sacrificate, al di là della loro capacità di leadership.

Il patrimonio dirigenziale è preziosissimo, proprio perché essenziale per sostenere una attività faticosa e tumultuosa come quella sindacale, che deve saper dare risposte rapide e qualificate, alimentate da esperienza e preparazione, nelle vertenze contrattuali, nella gestione dei contratti, nella analisi e progettazioni per obiettivi decisi. Si spera ora che la Cgil, in un cambio di vertice così ben riuscito, riesca a lasciarsi alle spalle l’affanno storico di servire la sinistra del paese, e sposti le attenzioni a recuperare davvero un rapporto con gli altri Sindacati, per ottenere strategie davvero in grado di spingere ogni lavoratore di qualsiasi orientamento culturale e politico, a riconoscersi nell’azione sindacale.

Questo è un tema cruciale per l’avvenire del lavoro italiano e della economia, ma anche della democrazia. Il Sindacato, se vuole avere futuro deve necessariamente smarcarsi dai condizionamenti passati, e dare vita ad una nuova impostazione che l’affranchi dall’attuale isolamento. Sinora, i ‘signori della politica delle ultime stagioni’ hanno avuto facile gioco a sbeffeggiare e scavalcare le istanze promosse dalle associazioni dei lavoratori, a causa dei gravi ritardi avuti negli aggiornamenti resi necessari dai cambiamenti avvenuti nei mercati, e nella organizzazione del lavoro.

La carenza di visione moderna delle parti sociali nello svolgere il proprio autonomo ruolo ha provocato situazioni peggiori, con la continua intromissione dei governi di turno, impegnati a regolare, spesso maldestramente, le normative del lavoro.

Costoro, in luogo di uno sprone alle parti sociali a compiere il loro dovere, si sono cinicamente sostituiti a loro, con danni gravissimi.

Gli ultimi decreti sul lavoro, le modifiche delle regole pensionistiche, il reddito di cittadinanza, sono solo le ultime decisioni gravi a scavalco totale dei soggetti sociali. Lo hanno fatto ultimamente con maggiore irruenza, proprio perché la loro intrinseca natura di realtà politica nemica della cultura della democrazia rappresentativa, del terreno sociale e della sussidiarietà, quali luoghi privilegiati di bilanciamento tra poteri, e luoghi di protagonismo e costruzione di identità di classe dirigente. Ecco perché se il Sindacato, le associazioni industriali, e le associazioni in generale,  non dovessero entrare nella idea di ricostruire strategie ed alleanze, esclusivamente nel loro ambito di azione, spingeranno le realtà loro ostili a isolarle ancor più, con contraccolpi per l’economia e per la qualità della vita democratica.

L’unità tra i corpi intermedi, per nuovi obiettivi sociali di modernità, probabilmente è una delle poche chances, rimaste decisive per la nostra comunità nazionale.

Io spero davvero che la Cgil sappia superare dopo il proprio Congresso il posizionamento passato, intriso spesso di populismo nelle rivendicazioni, che hanno aiutato il populismo politico ad avviare un epoca che si concluderà quando il suo brodo di coltura verrà prosciugato in ogni ambiente, e ancora più nel sociale.

Raffaele Bonanni

VENEZUELA VERSO IL RITORNO ALLA DEMOCRAZIA

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In Venezuela siamo a “redde rationem”. Dopo anni di ‘chavismo’, ecco che si riaffaccia la possibilità di riottenere la democrazia nel paese più democratico del Sud America fino agli anni Ottanta, per poi progressivamente diventare il meno libero di questa area geopolitica. 
Ma questo paese caraibico, era anche il più ricco ed evoluto sudamericano. Prosperava l’industria, l’agricoltura e altre attività economiche, al punto che prima della dittatura socialista, con il bolivar (così si chiama la loro moneta), a Miami si faceva incetta di beni, con il dollaro statunitense meno forte. Quei tempi ormai sono lontani, e invece conosciamo un Venezuela che negli ospedali usa scatoloni di cartone per i nascituri, strade e palazzi malandati, un’industria pressoché ridotta al lumicino, il bolivar che ormai fa impallidire persino il marco di Weimar. Nel solo 2015, nonostante la trovata ridicola di Maduro per nascondere ben 5 zeri in più della svalutazione della moneta, provoca una inflazione del 1.300%. In questo contesto, un pacco di pannolini per bambini, arriva a costare 8 milioni. Eppure, i venezuelani sono i quarti produttori di petrolio nel mondo, con un greggio ‘pesante’ che è tra i più redditizi, capace di resa per le svariate produzioni di derivati. Questa cospicua ricchezza, insieme alle altre, sono state rovinate da politiche dissolute della dittatura. Manie di grandezza, che hanno finanziato paesi e movimenti rivoluzionari ritenuti vicini al regime, sussidi ed equivalenti del reddito italico di cittadinanza, per persone che non lavoravano e che in seguito hanno continuato a non farlo. Insomma, una bancarotta economica e politica, pur di rafforzare il cosiddetto regime bolivariano. Simon Bolivar, il grande libertador sudamericano, da liberale com’era, si rivolta ancora dalla tomba. Infatti il chavismo, ha impoverito progressivamente il paese ed è riuscito sinora a mantenere il timone saldo grazie ai militari, e  a coloro che Bertold Brecht avrebbe definito il lumpen proletariat class (sottoproletariato). I primi, appartenenti alla casta da cui veniva Chavez, premiati in ogni modo, i secondi, sostenuti costantemente con sussidi. 

Insomma il regime è stato retto da costoro, che man mano nel tempo, sono diventati uno zoccolo duro di circa il 30% dell’elettorato, che ha permesso al governo di cambiare la Costituzione. Con la nuova Carta Costituzionale si è  concentrato nelle mani di Chavez, poi di Maduro: la Banca centrale, l’esercito, il potere esecutivo. Va ricordato che il consulente di Chavez per cambiare la Costituzione è stato Tony Negri. Con un potere così grande, e con regalie elettorali, il regime è giunto fino a questi giorni, seppur con una vasta opposizione di popolo, intimidita con sistemi liberticidi pari a quelli vissuti in sudamerica negli anni 70-80, con regimi militari cileni, brasiliani, argentini uruguaiani. Tra i grandi oppositori si annoverano tutti i sindacati, autonomi dallo Stato, gli imprenditori,  tutti i rappresentanti delle professioni, la chiesa e tutte le associazioni e partiti politici autonomi dallo Stato. Anche le associazioni di emigrati italiani in grandissima part, ha simpatia per la rivolta civile in atto. Molti sono imprenditori, vivono una condizione drammatica, a causa delle leggi varate, che non permettono di vendere beni, e spostare i propri proventi all’estero. 

Questa opposizione, se non è riuscita a non rieleggere Maduro a Presidente, complice la gestione elettorale presidenziale opaca, è invece stata capace di ottenere poi, la maggioranza nella assemblea nazionale, peraltro svuotata di potere dalla nuova Costituzione. La iniziativa del Parlamento di indicare il proprio Presidente Guaido a Presidente della Repubblica, è la coerente conclusione di una vicenda nazionale fallimentare, che richiede un vero cambiamento nel ripristino della democrazia e dei conseguenti diritti civili. Bene hanno fatto l’Europa, e tanti altri Stati a prendere posizione a favore. A scanso di equivoci basta leggere l’elenco dei paesi a favore di Maduro, per rendersi conto della natura del governo attuale Venezuelano: sono tutti regimi che sconoscono la democrazia. 

ABRUZZO, VOTO “MOBILE” E ASTENSIONE RECORD

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Tanto tuonò, che piovve! Si era pronosticato che i 5 Stelle avrebbero perso moltissimi consensi, che la Lega li avrebbe al contrario guadagnati nella medesima misura, che il centrosinistra avrebbe limitato i danni del dissanguamento di voti in corso, e che anche a Forza Italia sarebbe toccata la stessa sorte, e così è avvenuto. In queste ore, a ragione di ciò che è accaduto, c’è chi esulta, di fa buon viso a cattivo gioco, e chi biblicamente piange e stride i denti. I perdenti tentano di banalizzare la sventura, sostenendo che la competizione elettorale ha riguardato il voto amministrativo di una piccola regione, ma non è così.

Soprattutto i più grandi partiti hanno deliberatamente usato l’Abruzzo come test per le prossime elezioni europee. Ma al di là delle enfasi e delle sminuizioni del voto, sono sostanzialmente due gli spunti che provengono da questa esperienza: nessuno può stare tranquillo circa la stabilità dei consensi che si ottengono di volta in volta; il partito più potente e numeroso è quello di chi si astiene dal voto.

Prendiamo i ‘grillini’. Appena dieci mesi fa, in occasione del voto politico nazionale, hanno ottenuto nella stessa regione il 40% dei suffragi, eppure dopo un brevissimo lasso di tempo, sono sprofondati al 20%. Tutto questo è potuto avvenire principalmente perché il movimento giallo paga la grande eterogeneità della sua constituency, le promesse elettorali eclatanti a cui non ha dato seguito, la patente impreparazione della propria dirigenza. Lo stesso si può dire del centrosinistra, che perde tanti voti per lo sfarinamento del Pd nazionale, pur avendo governato senza sostanziale opposizione alla Regione gli ultimi cinque anni. La Lega raccoglie i voti di protesta, che nell’altra competizione fu appannaggio esclusivo dei 5stelle, e succhia i voti a Forza Italia, auspice una sorta di alternanza fai da te, per la guida del Centro destra, voluta dagli stessi elettori di area. L’altra questione che induce a riflettere ancora una volta, è che gli astenuti dal voto, si eguagliano con quelli che vanno a votare.

Questo fenomeno, oltre a segnalare la grande sfiducia esistente, deve mettere in guardia chiunque si atteggi a dominus della politica per i consensi ottenuti al momento. Come si è visto con Renzi, ma anche con altre realtà, il favore elettorale si mostra molto volubile, a fronte di proposte in larga parte non attuabili. Non c’è cosa peggiore in politica, di quando gli stessi governanti aizzano la gente contro qualcuno e qualcosa, promettendo mari e monti. Subito dopo quei mari e quei monti si incaricheranno di affogare o schiacciare gli stessi che li hanno evocati. Questa lezione, che più volte è stata impartita, ancora non è stata compresa. Finché non ci sarà questa consapevolezza per tornare alla normalità responsabile, non ci sarà cambiamento. Infatti la nostra stabilità politica oramai è un problema grandissimo, per gli italiani e per i paesi esteri. Il nostro degrado economico e sociale aumentano proprio per la instabilità politica, oramai permanentemente patologica.

Raffaele Bonanni

IL CORTOCIRCUITO DEL VUOTO DI POTERE ITALIANO

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Il repentino e clamoroso cambiamento dei rapporti di forza tra i partiti politici, nelle ultime competizioni elettorali regionali, ha confermato l’idea che ho maturato ormai da diverso tempo, del sostanziale vuoto di potere che affligge l’Italia. Tanto più le formazioni politiche adottano filosofie (si fa per dire) incompatibili con l’economia, ma capaci di suggestionare cittadini esasperati dalle difficoltà, tanto grande sarà il successo, seguito da altrettanto rapido insuccesso. Appena gli elettori sono in grado di capire che le promesse fatte non hanno avuto esito positivo, e che sono in arrivo guai ancora superiori a quelli preesistenti, modificano orientamento nel voto.

Se non si avessero peggioramenti ulteriori economici e democratici, potremmo dire che da diversi anni, ogni cambiamento politico, avviene sempre con il solito risultato: zero. Da ‘tangentopoli’ in poi, d’altro canto, tutte le infrastrutture portanti della politica e del sociale sono state divelte da una pressione sempre crescente dei poteri, che di solito descriviamo forti: il potere finanziario nostrano e internazionale; potentati nazionali assortiti, da potenze estere interessate alla instabilità italiana ed europea. Questi ultimi, consapevoli dalla notte dei tempi, che il nostro paese è permeabile ad ogni intervento, fragile e volubile.

Questa ‘armata’ invisibile, ha avuto facile gioco nel denigrare e indebolire i partiti, già fiaccati dai  propri errori, per privarli di finanziamenti pubblici, di sistemi elettorali più consoni alla loro crescita organizzativa e democratica. Da più di vent’anni, sulla classe dirigente politica si è abbattuta una furia iconoclasta, che non ha precedente in nessun altro paese democratico, alimentata da ‘giornaloni’ e Tv. Una bufera orientata a sradicare ogni frutto, che nel bene e nel male, provenivano da processi lunghi di partecipazione che sostenevano processi complessi e preziosi per crescere classe dirigente.

Cosicché, cambiati nel tempo i rapporti di forza tra i poteri politici e gli altri, la instabilità ha prodotto un personale politico non in grado di sostenere le sfide ardue di questi tempi di cambiamento, ed in conseguenza una economia  precaria. Ieri sera mi sono soffermato ad ascoltare nei talk show ministri, capi di movimenti e partiti, di governo e di opposizione. L’idea che ne ho tratto, è che per inesperienza, ignoranza o furbizia, tutti parlavano di povertà e di come provvedere di conseguenza ed altre proposte, per venire incontro, ora a questo ora a quello. Certamente il tema della povertà è cosa seria, ma in qualsiasi altro paese industrializzato, oltre a specifiche soluzioni da prospettare per venire incontro ai malcapitati, si sarebbero accompagnate soluzioni e proposte economiche per agevolare una più equa redistribuzione della ricchezza.

Ma invece di economia non ne ho sentito parlare, se non per aggravarla con i no a qualsiasi progetto di sviluppo già programmato. Ho pensato fra me e me, che tutto sommato, il comportamento avuto, confessa o la consapevolezza della loro impossibilità a farsi carico di siffatti fardelli, oppure che sono scelte che per loro, riguarda altri; coloro che comandano davvero: potentati nazionali e internazionali. Insomma, in un cortocircuito che si ripete costantemente, il nostro futuro non potrà che peggiorare. A meno che…

Raffaele Bonanni