30 Righe di Raffaele Bonanni

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SALARIO MINIMO, GOVERNO NON INDEBOLISCA CONTRATTAZIONE

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Ed ecco che dopo il reddito di cittadinanza, l’arciMinistro Di Maio, si propone di intervenire anche sul salario orario stabilito per legge. A legittimare l’intervento del governo arriva il Pd dall’opposizione, con una proposta identica sul piano ideologico, ma con 9 euro netti anziché lordi proposti dal ministro del lavoro. Si sa, la sinistra ha sempre avuto intenzioni di questo tipo. Nella sostanza, non ha mai rispettato l’autonomia dei soggetti sociali, per le regolazioni nei rapporti di lavoro. Certamente i 5 Stelle non si sarebbero sottratti a questa fatale attrazione: decidere il salario da assegnare per legge ai lavoratori. Naturalmente, si spiega e si rispiega, che lo si fa per venire incontro ai lavoratori privi di garanzie contrattuali, ma credo non si sia soppesata ogni controindicazione per il delicato ed efficace sistema delle relazioni industriali. Tutti i lavoratori italiani hanno finora potuto godere del principio costituzionale a che ciascuno potrà contare su una retribuzione capace di sostenere la propria famiglia, e ragguardata alla prestazione fornita al proprio datore di lavoro.

Questa indicazione costituzionale ha sempre, dico sempre, orientato il magistrato in caso di contenzioso, ad applicare i contratti nazionali di lavoro del settore merceologico di pertinenza, siglati dai sindacati e dalle associazioni nazionali delle imprese sul piano nazionale più rappresentativi. Va sottolineato che sicuramente si tratta dell’unico tema, dove ormai la giurisprudenza si è consolidata, da Trento a Agrigento. La stessa Corte costituzionale, con più sentenze nel corso dei decenni, e fino ai nostri giorni, ha sempre avvalorato questa prassi. Tra le motivazioni più profonde della Corte c’è la oggettiva constatazione che la contrattazione nazionale in ogni settore specifico è definita da associazioni datoriali e dei lavoratori largamente rappresentativi, che nel complesso possono vantare una copertura in Italia che nessun altro paese raggiunge: più dell’80%.

Taluni hanno sostenuto che il ricorso talvolta a spregiudicati contratti ‘pirata’ esponga i lavoratori a salari più bassi, ma non è così, datosi che la misura che il magistrato considera è esclusivamente il minimo contrattuale pattuito dalle associazioni più rappresentative sul piano nazionale. Dunque a chi giova introdurre una misura che addirittura espone il Parlamento a una rincorsa tra le mutevoli maggioranze e opposizioni? Insomma, i lavoratori avrebbero solo da perderci: in prospettiva per il salario e per la perdita del loro potere complessivo nella società. Torneremmo indietro di diversi e diversi decenni. Invece, se il governo vuole fare qualcosa per i paria del lavoro italiano, si preoccupi dei lavoratori para-autonomi: partite Iva povere, cocopro, collaboratori e associati in partecipazione, e altre ancora.

Queste realtà, essendo configurate nel lavoro autonomo e non avendo potere contrattuale come i lavoratori dipendenti, sono esposte sul salario e sul Welfare. Va precisato anche che molti di questi lavoratori autonomi, in verità, svolgono mansioni da lavoro dipendente, per risparmiare su tasse, contributi e salario. Spero dunque che il Governo desista dall’indebolire la contrattazione tra le parti nel lavoro dipendente per difendere la loro preziosa autonomia. A meno che il problema di Di Maio sia un altro.

Raffaele Bonanni

FAMIGLIA E LAVORO, PILASTRI DA NON SVALUTARE

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Papa Francesco ha affermato nel corso della sua visita presso il Santuario di Loreto che la famiglia uomo-donna è insostituibile. Sottolineatura che sembrerebbe scontata, ma così non sembra per quello che avviene intorno a noi. Da qualche tempo a questa parte non c’è film, fiction, racconto, giornale, settimanale o mensile di costume e cultura che non si riferisca a situazioni di segno opposto. Sia chiaro, questa constatazione non vuole indicare ostilità o ripudio verso esperienze di convivenza non tradizionali, ma solo l’esigenza di precisare che, seppure vanno sostenute e rispettate tutte le forme di convivenza e di solidarietà tra persone che fondano il rapporto su amore reciproco, fondato su solidarietà e stima, il rapporto tra uomo e donna è quello naturale: una forma di rapporto congeniale alla necessità di tramandare e custodire la vita. Credo sia importante riaffermare questa verità, in congiunture di forti cambiamenti epocali, e dunque anche di possibili confusioni, facili da subire negli assestamenti dei modelli di vita, nell’incontro fecondo tra quelli esistenti, e quelli che volgono verso il nuovo. Queste affermazioni certamente possono essere sostenute indifferentemente, sia da credenti sia da coloro che non lo sono.

Infatti, ad esempio, non ho mai compreso alcune posizioni ecologiste, talvolta radicali, che mostrano preoccupazione per la salvaguardia della natura del creato in generale, ma trascurano i presupposti cardine della vita umana, nella cura della sua continuità, e nel privilegio da assegnargli nello sviluppo ordinato della sua soggettività e personalità. Chi ha a cuore le sorti future della terra non può che preoccuparsi di due pilastri, i piu fondamentali per la sua esistenza: la prosecuzione e stabilità dei cicli demografici; il lavoro per le persone, inteso non solo come occasione per il proprio sostentamento, ma come vocazione al servizio del funzionamento del proprio contesto comunitario; che è dunque sostegno al funzionamento del creato. Ambedue i pilastri sono svalutati: dalla relatività che ormai si assegna al ruolo della famiglia nel suo assetto naturale, al lavoro mortificato dalle teorie imperanti sulla sua inutilità, a fronte della invasiva e necessaria robotizzazione e digitalizzazione. Le autorità pubbliche si pongono solo obiettivi di sussidi come risarcimento, ma non quello della attività delle persone come funzione essenziale per la loro personalità e dignità, come attività di grande spiritualità. Sottrarre la persona dell’unico scopo della sua esistenza, il lavoro, mina le fondamento della sua personalità e dignità, sgretola il fondamento su cui poggia la vita; dunque il motore che  sviluppa il mondo, si arresterebbe. Si è ancora lontani dal ritenere che lo sviluppo, creerà comunque è sempre, le premesse per dirigersi verso nuovi spazi per l’occupazione. La possibilità di raggiungere tali obiettivi sta nel accelerare il passaggio dai vecchi lavori ai nuovi attraverso dosi massiccie di istruzione e formazione, che dovrebbero essere le esclusive azioni che le autorità pubbliche dovrebbero considerare.

Raffaele Bonanni

 

L'”ELISIR” DELLA PATRIMONIALE PORTA SOLO GUAI

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Maurizio Landini, neo segretario della Cgil, giorni fa, ha riproposto l’ennesima patrimoniale. La motivazione è sempre la stessa: l’equità. In aggiunta a questa proposizione, ne aggiunge un’altra: rastrellare risorse da nuove tasse provenienti appunto dalla patrimoniale, per nuovi investimenti pubblici. Chiedere ai contribuenti di pagare altre tasse per gli investimenti, come se ne pagassimo poche, quando ad esempio, vengono buttati dalla finestra denari per il reddito di cittadinanza, è  una vera e propria offesa al buon senso. Va ricordato, che storicamente, la ‘patrimoniale’ per certe posizioni politiche e sociali, è come ricorrere all’elisir del ciarlatano Dulcamara, nell’opera lirica ‘l’elisir d’amore di Gaetano Donizetti: una pozione miracolosa adatta a curare ogni malanno umano. Ma come ogni intruglio dalle supposte qualità terapeutiche, non potrà portare risultati, casomai altri guai. Non solo  non procura neanche effetti placebo, ma nel caso italiano, quando è stato evocato ed usato, ha dato la stura per  caricare di ulteriori tasse gli italiani, soprattutto il super tartassato ceto medio. Si, perché la parola tanto roboante, che evoca tante speranze di far pagare ai ricchi per sostenere i poveri, non risulta essere che nuovi pesi fiscali per case di lavoratori e ceto medio: soprattutto di coloro che sgobbano di più per risparmiare.

Sono le formiche italiane, che permettono agli analisti economici nostrani di dichiarare che, nonostante l’alto il debito pubblico italiano, tuttavia siamo una nazione solvibile ed economicamente solida. Ma questa condizione nel tempo, si va progressivamente indebolendo, a ragione della crisi che oramai ha caratteristiche endemiche, aggravata da politiche economiche che non prendendo il toro per le corna, scelgono quasi sempre soluzioni facili da dare alla opinione pubblica meno attenta. Insomma, non è la prima volta, che le cose vanno a finire sempre in tasse per ‘la casa’. 

Il risultato finale, però, è che viene immobilizzata l’unica leva principe economica: l’edilizia. L’edilizia abitativa, infatti, oltre ad essere un bene rifugio per chi risparmia, richiede l’utilizzo di cemento, ferro, acciaio, alluminio, gesso, ceramica, legno, rubinetteria, laterizi, impianti elettrici, impianti idraulici, impianti fotovoltaici, e tanti altri materiali. Si è sempre calcolato più di trenta settori produttivi, come settori coinvolti. Allora dico a Landini, che se vuole ottenere investimenti economici, per rilanciare l’occupazione e l’economia, si batta per sgravare di tasse le abitazioni e chieda, non l’aumento delle tasse, ma il contrario: un taglio shock di tasse per lavoratori, pensionati ed imprese.

Per rilanciare consumi e investimenti privati, l’unica soluzione è la flat tax, che chissà perché, pur essendo stata l’unica proposta positiva annunciata da ambienti governativi, finora è stata relegata agli ultimi posti della graduatoria delle intenzioni, al di là di quello che si dichiara. Sicuramente Maurizio Landini dirà che è un intervento utile ai ricchi; la verità è invece il contrario. Ridurre le tasse è l’unico modo per togliere di mezzo ogni ragnatela, che si frappone alla velocità degli investimenti privati ed alla impossibilità di mobilitare quelli pubblici a causa della penuria di fondi; quando non da tare ideologiche, non proprio favorevoli al ruolo degli investimenti privati. Il pil, l’occupazione, l’equilibrio dei conti del welfare, sono in grande difficoltà, proprio perché gli eccessivi carichi fiscali, frenano ogni possibilità a che l’economia possa progredire. Tant’è che il nostro pil è la disoccupazione, sono i peggiori in assoluto tra i paesi Ocse.

Raffaele Bonanni

 

25 APRILE, LIBERTÀ E MEMORIA PER VERA CONCORDIA

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Cominciano i preparativi per il 25 aprile e già si intravvedono i segni della polemica, ormai da molti anni consueta, prima e dopo l’evento. Liti tra favorevoli e contrari, tra i favorevoli che però non sopportano strumentalizzazioni politiche durante cortei e comizi, tra coloro che pur contrari ai valori originali resistenziali riconoscono nell’evento la forza di potenziale strumento di unità nazionale, rispetto a coloro che non lo riconoscono, e che comunque lo vivono come una occasione di divisione.

In effetti in questi anni è successo di tutto. Ad esempio, in anni recenti, si è arrivati a escludere persino i rappresentanti ebrei, che hanno pagato un prezzo altissimo dall’oppressione nazifascista, pur di avere palestinesi. In molte altre occasioni, anche le altre componenti, come quella cristiana, socialista, liberale, monarchica, e repubblicana, hanno avuto da ridire sulla loro sostanziale emarginazione nelle iniziative, sacrificati per ottenere un segno politico specifico, alla narrazione della resistenza.

 

Ma quest’anno, i rischi di polemica e di uso di parte della ricorrenza, possono essere ancora più grandi, a causa dell’imminente voto per il rinnovo del Parlamento europeo. Si sa, sotto le campagne elettorali gli avversari li si può facilmente dipingere dittatori, da indicare alla folla con argomenti discutibili, come è accaduto più volte. Credo, allora, che chi ha a cuore l’unità della Nazione, vuole conservare la memoria della resistenza, come movimento di popolo, e ama la libertà e verità, debba commemorare e ricordare nelle manifestazioni del 25 aprile, ogni situazione che ha mortificato e oppresso la libertà e la vita degli italiani, ucciso persone per il loro credo religioso, per le opinioni politiche, per la loro razza. Il 25 aprile, allora, dovrà ricordare innanzitutto le vittime del nazifascismo, ma anche dell’infamia delle foibe triestine, delle drammatiche uccisioni degli ebrei, delle vittime della stessa resistenza, a partire dai religiosi e religiose giustiziati soprattutto nelle zone della Emilia Romagna. Se si arrivasse alla solennità della rievocazione con questi segni, si otterrebbe finalmente, a distanza di tre quarti di secolo, la concordia degli italiani, dando alla ricorrenza un vero segno per tutti di giorno di festa per la libertà.

Raffaele Bonanni

 

DE MICHELIS, COMPETENZA E SCHIETTEZZA

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È morto a 78 anni Gianni De Michelis, dopo una lunga malattia. Un politico della cosiddetta prima repubblica, molto particolare per la schiettezza, per il suo profondo acume politico, per la sua predilezione per la musica e le discoteche. Socialista, Veneziano, laureato in Ingegneria chimica, è stato piu volte ministro, sempre in dicasteri più importanti. Fu il più conosciuto e riconosciuto dirigente nel PSI di Bettino Craxi. Il craxismo segnò il decennio degli anni 80, e De Michelis ne incarnò lo spirito con la modernità del suo pensiero e della sua opera. Ho avuto modo di conoscerlo e di parlargli più volte, e la sensazione avuta ogni volta, è stata quella di trovarmi davanti una persona molto convinta delle sue capacità, che in effetti erano non comuni. Assai diretto, comunicava con un linguaggio semplice e preciso, pur trattando temi di grande profondità; lo faceva con un apparente aristocratico distacco, dimostrava grande responsabilità, nell’esercizio delle sue funzioni di governo.

In un convegno sull’energia, da ministro delle Partecipazioni Statali, il suo intervento mi impressionò per la padronanza sia tecnica, che per la conoscenza dettagliata dei problemi dell’approvvigionamento petrolifero e delle scelte alternative da intraprendere in Europa ed in Italia. In un altra occasione, ed era ministro del Lavoro, ebbi modo di contattarlo per una vertenza sindacale molto infuocata che aveva bisogno di una soluzione celere. Pur essendo il periodo natalizio e pur avendo qualche difficoltà in quanto il personale ministeriale era difficile da reperire, ci convocò il 27 dicembre, di mattina, presso l’Hotel Plaza di Roma, dove alloggiava abitualmente. Mi ricordo che durante la discussione, l’imprenditore cercava di vanificare la soluzione rapida che si ricercava. Si sentì dire dal Ministro seccamente: “Veda dottore, non creda che io mi sia scomodato durante le feste per farmi prendere in giro da lei! Penso che faccia bene a trovare la soluzione ora. Diversamente, mi creda, avrà molte più difficoltà di quelle che la fanno resistere in questo momento”.

Passarono pochi minuti ancora, e l’accordo fu firmato. Questo era De Michelis: figlio del suo tempo, protagonista convinto delle sue idee, politico intransigente. Insomma, un alto esempio per la classe politica di questo tempo, per competenza, per determinazione e fedeltà alla filosofia a cui aderiva e che cercava di tramutare in opere concrete; senza demagogia, senza trasformismo. Penso che difficilmente si riuscirà a cancellare il valore di De Michelis e di tanti altri, impegnati per il progresso italiano di quell’epoca. Nonostante verità negate e deturpate, nonostante il tentativo costante di abbandonare all’oblio le pagine più belle della democrazia, da parte di chi essendo stato condannato dalla storia, ha voluto con diabolica determinazione riscriverla a proprio piacimento. 

Raffaele Bonanni

UNA GIUSTIZIA GIUSTA FUORI DA LOGICHE TIFO

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In questi giorni si sono aperte qui e lì inchieste giudiziarie, e sono stati indagati e arrestati amministratori pubblici e politici. Queste notizie riportate e ventilate così insistentemente dai media mi lasciano l’amaro in bocca per più motivi. In primo luogo emerge per l’ennesima volta che la corruzione e l’illecito sono ben lontani da essere stati ridimensionati nel nostro Paese. Nonostante Tangentopoli, la catarsi invocata 25 anni fa, provocata per liberarci dalle impurità nella vita pubblica, nonostante le varie authority – non ultima quella sugli appalti -, e anche con il cambiamento radicale dei soggetti politici e dei suoi leader, pare in certi casi che la corruzione o la percezione di essa abbia subito un significativo aggravamento.

In questi frangenti è naturale che in ognuno di noi si generi un moto di sdegno che ci condiziona nella percezione di questi fenomeni. Ma non sarei sincero se non dicessi anche dei dubbi che mi assalgono; non che quello che viene fuori non sia del tutto vero, ma di come queste verità -intere o metà che siano – spesse volte vengono fuori. Siamo in campagna elettorale, e non è indifferente come vengono catapultati sul terreno politico.

Non dico ovviamente che queste presunte illegalità debbano essere nascoste, oppure non vadano perseguite. I reati sono reati e vanno puniti. Ma sono convinto nello stesso modo che nella gestione mediatica, prima di una condanna, per senso di giustizia e per ossequio agli interessi generali, occorra una sufficiente responsabilità nel rispettare forme e sostanza consone alle leggi orientate dallo Stato di diritto. Ad esempio, il caso venuto alla luce in questi giorni dell’assoluzione piena dell’ex sindaco Marino, fa ben capire che certi movimenti, fatti in momenti particolari, per norme non scritte, ma che sono ormai prassi, possono determinare cambiamenti politici non provocati dal voto, ma dal moto di sdegno derivato anche da una sola indagine e da un avviso di garanzia.

Il povero Marino venne indagato (pensate un po’) , per qualche cena avuta e contestata per non essere stata fatta per ragioni di rappresentanza: questa dunque fu l’accusa. Da questa iniziativa, si scatenò una grande offensiva non solo di oppositori, ma anche addirittura dei consiglieri del suo partito per effetto della pressione mediatica, che insieme ad alcuni altri, per ottenere la dimissione del Sindaco di Roma, si recarono addirittura dal notaio. Casi di questo genere ne sono accaduti molti in questi anni; infatti una quantità importante di giunte regionali, comunali, oltre che singole personalità di governo, hanno dovuto prima del tempo di scadenza del loro mandato elettorale, abbandonare il loro compito.

Non c’è bisogno, in questi casi, di descrivere i danni gravi per la credibilità delle istituzioni, della democrazia, ma anche della giustizia. Mi chiedo molto spesso fino a quando nel nostro paese, al di là delle posizioni di ciascuno, la tifoseria sarà l’unico sentimento ad orientarci e non il pensare che una azione sbagliata commessa ai danni del mio avversario potrà capitare dopo anche a me. So che quando raggiungeremo questa maturità, l’Italia sarà più civile e avrà risolto ogni suo problema; della giustizia giusta, del funzionamento dello Stato, della democrazia, dell’economia.

Raffaele Bonanni

 

ORA VERA SVOLTA SU FISCO E CREDITO

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Vogliamo sperare che il voto per il rinnovo della delegazione italiana presso il Parlamento europeo potrà avere delle conseguenze importanti per la struttura del potere politico e per la forza necessaria utile per riordinare strutture normative e strumenti di gestione delle politiche economiche, ultimamente condotte verso esiti assai più disordinati del passato. Nell’ultimo biennio il consenso galoppante dei 5 Stelle aveva alimentato suggestioni e tentazioni per una economia fondata sull’assistenzialismo, come chiave per sorreggere il Pil. Infatti, l’idea di poter fare Pil attraverso politiche distributive, peraltro con denari in prestito, ed annunciandola come politica economica anticiclica, ci ha condotto in una situazione di grave esposizione rispetto ai mercati, che si spera possa ancora essere riassorbita. Ora che la Lega si è affermata grandemente come la più importante forza popolare del paese, ha indotto Matteo Salvini ad annunciare che le prossime mosse governative dovranno riguardare esclusivamente scelte orientate alla ripresa, e indica la flat tax come suo caposaldo, e noi ce lo auguriamo. In verità lo si era annunciato già l’anno scorso, e non si è capito perché poi è stato abbandonato come proposito.

Indubbiamente la riduzione delle tasse è oramai l’unica speranza per movimentare i consumi interni ed investimenti di imprese italiane e straniere. Dovrà però essere una vera misura shock, non la solita soluzione rimandata nel tempo e magari striminzita; deve essere davvero una scelta clamorosa, indicando in questo modo un vero cambiamento di paradigma. Si dice che non ci sono i soldi, indebitati come siamo, ma i soldi si possono trovare rimuovendo la selva di deduzioni, sconti e agevolazioni fiscali, e rimuovendo reddito di cittadinanza di Di Maio e gli 80 euro di Renzi: soluzioni elettoralistiche che nel recente passato hanno appesantito il debito e creato anche malumore tra gli italiani. Altra scelta decisiva, è la separazione della funzione di banca di prestito a quella di banca di speculazione finanziaria, per interrompere la rovinosa attività bancaria, che rastrella i risparmi dei clienti, per poi impiegarli nel mercato finanziario. Questo modo di fare banking provoca effetti nefasti per l’interesse generale: dirotta il denaro risparmiato nel territorio nei grandi mercati finanziari, interrompendo il normale processo di riutilizzo  per famiglie ed imprese nel territorio che lo produce.

 

Cosicché, può accadere, come accade, che la Banca non gioca più il suo ruolo storico di raccolta per il successivo reimpiego per il prestito a famiglie e imprese, ma di rastrellamento di risorse spedendoli nei mercati lontani, per guadagnare di più nella speculazione, ma impoverendo la comunità di riferimento dei risparmiatori. Come si sa, è diventato difficilissimo ottenere prestiti per mutui a favore delle famiglie per la casa, così come per le piccole e medie imprese. Peraltro, le stesse decisioni dei governi di questi ultimi anni, di danneggiare le uniche banche di territorio come il credito cooperative, le banche rurali, le casse di risparmio e le banche popolari, sono state a ben vedere un modo per agevolare le grandi banche per l’investimento speculativo. Allora, se Salvini dovesse dunque occuparsi di questi nodi decisivi per il nostro futuro, come ha annunciato di voler fare, sicuramente ritorneremo ad aver fiducia del ruolo primario ed autonomo del potere politico, sotterrando una stagione di confusione che ha visto molta parte della politica impegnata a promettere provvedimenti regalo ai cittadini con soldi presi a debito, abbandonando la vera sua funzione: quella di regolare i punti vitali economici da cui dipendono le sorti dei cittadini. La fiducia crescerà perché toccheremo, come San Tommaso, la svolta su uno dei punti cruciali del modo di far politica: quello di sostituire i polveroni permanenti sulla fuffa, con quelli sì che ridarebbero al popolo la piena sovranità sugli interessi forti, ipotecati sinora da poteri forti.

Raffaele Bonanni

 

POLITICA VUOLE METTERE SINDACATO SOTTO TUTELA

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Tra le esternazioni sui tantissimi propositi che ha nella sua agenda di governo, al super Ministro Di Maio non poteva mancare l’interesse ad intervenire sulle regole della rappresentanza sindacale. Chissà cosa ci trovano i neofiti del potere contemporaneo, nel voler dimostrare che se vogliono, possono mettere sotto tutela dello Stato le associazioni del lavoro. Aldilà di come là si pensa sul Sindacato, i nuovi politici di questo ultimo decennio sono disturbati da tutto quello che risulta ‘organizzato’.

Pur in evidente difficoltà, i sindacati dispongono di una rete vasta di attivisti, un seguito di milioni di lavoratori iscritti che pagano per aderire alla organizzazione sindacale, in un mondo politico odierno dove nessuno paga per affiliarsi, perché è già tutto pagato; chissà da chi, da quando non ci pensa più lo Stato. Questi aspetti non sono graditi ai rappresentanti politici, il cui potere, molto fugace, risente fortissimamente dei volubili favori degli elettori: per questo sottoposti alla esigenza di spettacolarizzare la proposta politica, che inevitabilmente li porta all’esaurimento della propria esistenza in campo, strangolati proprio dalla loro incapacità di compiere ciò che così verbosamente annunciano.

Due realtà che sono oggettivamente contrapposte dalle prassi della loro vita associativa ed anche dalle culture di fondo che le ispirano, così lontane dai primi passi della esperienza repubblicana: la politica sostanzialmente è sostenuta ormai quasi solamente da referendum giornalieri (i sondaggi), e con vita interna democratica appena riconoscibile rispetto alle indicazioni della Carta costituzionale; le associazioni del lavoro e le altre in generale, sostenuti da persone che iscrivendosi, hanno la possibilità di utilizzare gli strumenti di cui le associazioni dispongono, (talvolta concretamente, talvolta teoricamente), e hanno il diritto di intervenire nella vita interna, così come imperativamente prescritto dalla Costituzione Repubblicana.

Se i primi vogliono rimettere in discussione tutto, anche quello che funziona, i secondi mostrano impaccio nel cambiamento. È quindi la diversa natura che li anima, a spingere chi ha più potere (la politica), a modificare, soggiogare o peggio a mettere ai margini il sociale organizzato. Nel caso di Di Maio, quando dice che vuol mettere a verifica la rappresentanza del Sindacato, non fa altro che dichiarare la sua ostilità e volontà di dominio, su questa parte della società che è lontana dal piegarsi alla accettazione dei paradigmi organizzativi e culturali che lui propugna. Ma nel caso specifico della rappresentanza, sbaglia ancor più.

Il Governo è in diritto di chiedere conto al Sindacato, in quanto datore di lavoro, sulle impostazioni sindacali dell’impiego pubblico, ma lo può fare nell’ambito delle norme di legge di derivazione contrattuale, stipulate da esso stesso con il Sindacato come controparte. Queste norme, stabiliscono chi rappresenta chi, quando ogni tre anni si vota negli uffici pubblici con percentuali di votanti mai sotto l’80%. Ecco perché non è chiaro quale verifica intenda fare. Nel privato poi, le rappresentanze si esprimono con associazioni di lavoratori e dell’impresa, che stipulano accordi anche unitariamente, alla sola condizione di rappresentare lavoratori in maggioranza in azienda per i contratti aziendali, così come nella contrattazione nell’ambito nazionale. Il riconoscimento lo ottengono dalla sufficiente maggioranza di iscritti che li abilita a stipulare accordi, ma anche dalla controparte imprenditoriale, che certamente non rischia contenziosi costosi, sottoscrivendo accordi con realtà non rappresentative.

Comunque le associazioni del lavoro hanno accordi interconfedederali sottoscritti da imprenditori e lavoratori, che regolano nel privato la loro attività contrattuale, e questo basta ed avanza per evitare che i governi di turno si intrufolino nelle loro autonomie, per inquinarle e sottometterle. La volontà sottolineata dalla Costituzione, di preservare la loro preziosa autonomia per il sistema degli equilibri di potere nella società, è stata reiteratamente espressa proprio per evitare che il potere politico, forte dei poteri conferitegli dalle funzioni di governo, potesse utilizzarli per sottometterli ai loro voleri. Ecco perché Di Maio farebbe bene a ponderare quello che dice e che fa. Ma farebbero bene anche le associazioni, a partire da quelle del lavoro, ad aprire una discussione più evidente su questi argomenti, così decisivi per il corretto funzionamento generale della Comunità nazionale. Farebbero bene ad avere più coraggio a trovare soluzioni intelligenti e moderne, proprio per evitare che la politica si faccia avanti per colmare i vuoti. Ma sembrano esprimere timidezza, forse in conseguenza dei tanti problemi e temi che non riescono a dominare e a rielaborare.

Raffaele Bonanni