30 Righe di Raffaele Bonanni

Home 30 Righe di Raffaele Bonanni

IL GIOCO DELL’OCA DELLE APERTURE DOMENICALI

0

Il vicepremier Luigi Di Maio, ha detto chiaro e tondo che le aperture degli esercizi commerciali nelle festività, devono essere soppresse. Come nel gioco dell’oca, si dovrebbe tornare indietro, al punto di partenza, a quando Monti liberalizzò le aperture. Da quel tempo, è passato più di un lustro, e il provvedimento ebbe un buon accoglimento da parte dei consumatori e operatori del commercio e turismo. Si pensò, e si fece bene, che avrebbe giovato alla nostra economia tonificandola, e che avrebbe accompagnato meglio il turismo, giacché il comportamento precedente lo ostacolava, con esercizi sottoposti a regolamenti ingiustificatamente rigidi. Ora Di Maio dice di voler tornare indietro e francamente non se ne comprende la ragione: sia quella riferita alle abitudini degli italiani, sia quella economica.

Il consumo interno italiano, si sa, non va bene, e il cambio di rotta lo aggraverebbe ancor più. I turisti stranieri verrebbero in tal modo disserviti, e conseguentemente riducendo il volume delle entrate, nel momento di maggior loro presenza in Italia, a ragione della paura di recarsi in altre aree europee ed extraeuropee, ritenute meno sicure. Le stesse abitudini degli italiani sono molto cambiate: 

I centri commerciali sono luoghi frequentatissimi per le famiglie, potendo loro fruire di negozi, tutti li concentrati, per massimizzare l’utilizzo del tempo a fine settimana, con parcheggi comodissimi, con luoghi di ristoro, parchi giochi per bambini e sale per il Cinema. Ma riportare le lancette all’indietro, certamente non fermerà il crescente traffico di acquisti on line, a quel punto più indirettamente incentivati. Per questi motivi non si comprende a chi serve chiudere l’esperienza della liberalizzazione degli orari per le attività del commercio. Non è plausibile per il Ministro dello Sviluppo, che dovrebbe preoccuparsi del tono della economia, ma neanche per il Ministro del Lavoro, che dovrebbe sapere che i posti di lavoro si tengono in piedi con attività che riescono a massimizzare l’utilizzo delle opportunità e degli impianti, ed a frenare il più possibile il commercio parallelo on line.

Insomma più che pensare di rimettere in questo campo i lacci, occorrerebbe scioglierli. Se poi vuole fare il Sindacalista, agisca nel tagliare di più le tasse sul salario; i lavoratori non potranno che apprezzare.

Raffaele Bonanni

LAVORO, LA CONTRORIFORMA DEL CONTRATTO A TERMINE

0

Ecco che arriva puntuale la promessa di Luigi Di Maio: la cancellazione del jobs act. In tal modo, le lancette dell’orologio tornano all’indietro di 17 anni, con la controriforma del contratto a termine.
La motivazione fatta conoscere, è stata quella di voler sconfiggere la precarietà. Con un decreto, e senza un approfondimento, si è proceduto, sicuramente con l’obiettivo di impressionare i cittadini, nel segnalare che si fa sul serio sul lavoro. Così si sono drizzate gli orecchi di tutti coloro che hanno osteggiato per decenni, in ogni modo, le riforme del lavoro, che erano arrivate in Italia già in ritardo, rispetto ai mercati del lavoro dei paesi nostri concorrenti. È stata sempre forte in Italia, la componente politica e sociale che ha tradizionalmente, con la propria iniziativa ideologica, ostacolato il cambiamento, con il proposito di mantenere tutta la impalcatura giuridico-contrattuale sempre uguale a se stessa: a dispetto della mondializzazione del mercato e dello sviluppo delle tecnologie digitali. Si è versato anche sangue di persone come Biagi, uccise solo perché con l’opera di ricerca, ha proposto con molti altri, il superamento del dannoso e farraginoso sistema del mercato del lavoro all’inizio degli anni 2000. Ora con un colpo di spugna tutto torna come prima.

Non credo ci si renda conto del segnale negativissimo che si dà ai mercati; tutto ciò mentre l’economia italiana è diventata il fanalino di coda per ripresa tra i paesi industrializzati.
Sfugge l’idea semplice e incontestata, che il lavoro non si crea con decreti, ma con investimenti che si ottengono in paesi accoglienti e vantaggiosi. La precarietà che si intende combattere con l’idea della “restaurazione”, non potrà che avere esiti opposti, a causa della conseguente contrazione delle attività produttive provocate dal “riflusso”. La rigidità del mercato, è certo, scoraggerà gli investimenti di italiani ed imprenditori esteri; si meno investimenti, e meno assunzioni.
Ai tanti gap già presenti, se ne aggiungeranno altri, che tutti davano per scontato e già risolti da tempo. Poi che dire della idea, che basta rimettere le ‘causali’ al contratto a termine, e ridurre il numero dei rinnovi per eliminare la precarietà. L’unica conseguenza che si avrà, è il ricorso massiccio al lavoro para subordinato: ingrosseranno le fila delle partite iva e del lavoro interinale, come è accaduto in passato quando il contratto a termine era molto rigido.

Ma i lavoratori sanno benissimo che l’alternativa del lavoro somministrato e di partite Iva rispetto al contratto a tempo determinato, è molto svantaggioso. Infatti il tempo determinato garantisce gli stessi diritti del rapporto di lavoro a tempo indeterminato: il salario, le contribuzioni sociali, i diritti sindacali, sono identici. È molto chiaro che queste considerazioni di merito non sono state volutamente ponderate, proprio perché si è voluto mandare un messaggio forte agli ambienti ideologici di sinistra; anche a scapito della economia e delle persone. Ora non resta che sperare in un ravvedimento; il decreto dovrà pur passare in Parlamento e chissà che non incontri forze sufficienti utili ad un ripensamento.

PIERRE CARNITI ANTICONFORMISTA DA AUTENTICO CISLINO

0

È morto Pierre Carniti, il segretario della Cisl degli anni ottanta e protagonista di primissimo piano dell’autunno caldo degli ultimi anni sessanta. Erano gli anni a ridosso della ricostruzione del paese dalle macerie materiali e morali provocate dalla seconda guerra mondiale, e i salari, il tenore di vita, e i dirittti sociali, erano lontanissimi da quelli di oggi. Intanto in quel momento storico, l’economia italiana, grazie ai bassi salari, alla innata voglia degli italiani di progredire, ottenne quello che fu definito il ‘boom economico italiano’. Avevamo ritmi di crescita come quelli della Cina odierna, e Carniti fu un protagonista di primissimo piano per la battaglia di equiparazione dei salari e diritti sociali dei paesi più avanzati dell’occidente.

L’azione del Sindacato tutto, fu da lui così tanto influenzato, che per la prima volta dalla nascita della Repubblica, la ‘piazza’ sfuggi al controllo del Partito Comunista. Quelle lotte, oltre al miglioramento importante del tenore di vita dei lavoratori, spinse il legislatore a varare, tra le polemiche, lo Statuto dei Lavoratori, come occasione per dare mezzi al Sindacato per compiere il volere dei Padri Costituenti, a realizzare concretamente uno strumento concreto per il riequilibrio dei poteri forti, allora come oggi, sempre in agguato per svilire il senso della Democrazia.

Poi negli anni 80, da capo della Cisl, ancora una volta, diede prova di anticonformismo, entrando in conflitto durissimo con la sinistra politica e sindacale sulla vicenda rovente della Scala Mobile. L’inflazione all’epoca era oltre il 20%, e falcidiava i salari dei lavoratori. La scala mobile che pure in altra epoca di inflazione bassa, risultava capace di restituire in breve tempo il salario eroso, con la dinamica impazzita inflativa, originava una sorta di rialzo continuo con danni generali sulla economia e i ceti meno abbienti. Anche in quella circostanza, la sua indole di sindacalista libero, e con l’aiuto dell’economista Ezio Tarantelli, poi ucciso dalle Brigate Rosse, come è accaduto tante altre volte dopo la scatenata campagna di odio della sinistra politica e sociale per altre personalità, fu d’accordo insieme a Giorgio Benvenuto della Uil, per un patto con il Governo di Bettino Craxi, per la soppressione della scala mobile.

Successivamente, il Pci promosse un referendum contro l’accordo, che perse soprattutto per la tenacia di Cisl e Uil. Lascia una eredità importante nel mondo del lavoro: il Sindacato è forza autonoma e non può schierarsi partiticamente, pena la sua perdita di autorevolezza tra i lavoratori che come si sa, possono avere le più disparate opinioni. Ma è importante anche il suo ‘anticonformismo dell’autentico cislino’, che non si è mai piegato alla comodità delle ammucchiate unitarie sindacali e politiche, a scapito della propria cultura; a costo anche di spaccature dolorose.

Raffaele Bonanni

TERREMOTO ISCHIA, LO STATO VADA OLTRE LE IMPALCATURE

0

Un week end stupendo, quello trascorso nell’isola di Ischia. C’ero stato più volte in passato: una volta tanti anni fa, ma non mi mossi dell’albergo affascinato come fui dall’acqua naturalmente calda proveniente dalle viscere di Ischia, che mi permise lunghe abluzioni nonostante non fosse la stagione adatta. Le altre volte, per me sono state fugaci soggiorni, trascorsi tutti rigorosamente in hotel, nei saloni allestiti per riunioni, trascurando il ristoro del corpo con le celebri ed antiche terme.

Stavolta però, pur in breve tempo, ho potuto visitare i punti principali dei luoghi più belli, e ne sono rimasto ammaliato. Il mare è color smeraldo, il verde è ovunque e si mostra in eguale intensità dalla marina al monte Epomeo di circa 800 metri. In effetti il monte impressiona, per il ripido stagliarsi verso il cielo, in un rapido crescendo dalle spiagge. Elegante e misterioso, dona al paesaggio insulare, quel carattere originale che poche altre località elette possono eguagliare. Poi la cucina ben rappresenta la cultura autoctona pur collegata all’arte e tradizione culinaria campana.

Gli isolani sono fieri, come siamo abituati a conoscerli in tutte le analoghe perle dei mari italici; generosi e socievoli e innamorati della loro comunità. Credo che qualunque turista rimanga rinfrancato dal fatto che nel bel paese ci sono pur tanti luoghi ordinati e ben vissuti, che possano suscitare speranze e esempi, per contenere il degrado che spesso assalgono le nostre città. Una cosa però mi ha rattristato: constatare che il terremoto che ha colpito l’isola lo scorso agosto, e solo in un luogo limitato della parte alta sotto il monte, oltre alla consueta nomina del Commissario, non ha spinto le autorità statali ad andare oltre l’allestimento di impalcature di salvaguardia, a proposito ma anche a sproposito.

Mi sono chiesto perché mai la Regione Campania e lo Stato non muovano nulla. Eppure quella località fornisce alla comunità regionale e nazionale un sostegno al Pil non indifferente, oltre al grande prestigio e bellezza che attirano turisti da ogni parte del mondo, Frau Merkel, con la sua persistente affezione a quei luoghi.

Solo la compostezza degli isolani finora non ha dato vita a manifestazioni di protesta che non sono dignitose e convenienti per nessuno. Ma ho chiaramente notato un malumore, molto accentuato, per la sottovalutazione che sconfina nell’assenza di rispetto, verso chi è stato costretto ad abbandonare la propria abitazione e vivere chissà ancora per quanto tempo in alcuni alberghi messi a disposizione.

Raffaele Bonanni

L’UOMO NON NASCE PER OZIARE

0

Alimenta ancora suggestioni la proposta del reddito minimo garantito soprattutto nel Sud; anzi c’è malumore diffuso: si ritiene che la promessa fatta, stia già per sfumare. I cittadini già se la prendono o con chi non avrebbe mantenuto la promessa, o con chi, contrario, ostacolerebbe questa attesa provvidenza. Ma è davvero una emergenza elargire denari pubblici, senza l corrispettivo di un impegno di lavoro? Le tesi principali di chi sostiene da decenni il reddito garantito, poggiano ideologicamente su almeno 3 punti: la irreversibile perdita dei posti di lavoro procurata dalla rivoluzione digitale; il diritto comunque di ogni persona ad avere un reddito; l’aspirazione dell’uomo di affrancarsi dal peso della fatica. Il primo punto è posto male, in quanto se è vero che la rivoluzione digitale spazza via ogni professione e mestiere, nel passaggio definitivo ai nuovi lavori, se ne creano altrettanti, come è già accaduto negli ultimi 3 secoli con le rivoluzioni industriali. Il problema, dunque, non è obbligarci alla mummificazione dei progressi passati, ma accelerare con istruzione e formazione, la conquista delle abilità professionali nuove.

Il secondo punto è molto ambiguo, giacché se è fondamentale che ogni persona abbia un reddito capace di offrigli sostentamento, il fatto stesso che gli sia dato al di fuori di una logica economica, che presuppone che ad ogni reddito ci sia una produzione di ricchezza, nega la garanzia nel tempo del reddito stesso. Prendiamo il caso tra tanti altri del Venezuela: il regime di Chavez ed ora di Maduro, hanno prelevato a piene mani dalle casse dello Stato, redditi di cittadinanza per accattivarsi le simpatie dei poveri, ma in un ventennio il Venezuela è stato condotto alla bancarotta, ed i poveri sono ancora più poveri di prima. La dittatura che si è retta sul questo patto con il popolo, ha distrutto in pochi anni l’economia più fiorente del Sud America, con l’adozione di innumerevoli soluzioni anti economiche.

Il terzo punto, è il più innaturale per la persona. L’uomo non nasce per oziare; se fosse stato così, non avremmo avuto evoluzioni, l’avremmo privato dell’unico scopo che ha; di soggetto che pensa e che crea. L’esistenza del mondo poggia proprio sul desiderio positivo dell’uomo di migliorare la sua condizione con il lavoro, e attraverso questa spinta di contribuire collettivamente a dare forza al motore della storia.

Raffaele Bonanni

 

IL PRIMO MAGGIO E LA CRISI DELLE PARTI SOCIALI

0

Che senso ha il Primo Maggio nell’epoca della polverizzazione dei posti di lavoro, della crescita esponenziale del lavoro autonomo e para autonomo, della presenza massiccia di immigrati nei vari lavori, della diffusione dei lavori autonomi e para autonomi, dello Smart working.

I lavoratori e i lavori sono molto cambiati in questi ultimi tre decenni, e le istituzioni e le associazioni che lo rappresentano, come in ogni cosa umana, tendono ad avere un comportamento conservativo rispetto alla custodia della cultura e strumenti di salvaguardia dei diritti, che si sono sviluppati nel periodo più fecondo del periodo “fordista”.

Occorrerebbe anche porsi la domanda di che senso dovrebbe avere la festa dei lavoratori, nell’epoca più prodiga di garanzie sociali per i lavoratori a tempo indeterminato e di garanzie striminzite e addirittura nulle per i precari ed lavoratori in nero. Ci sono nello stesso tempo lavoratori che spesso usano i diritti sacrosanti sindacali come la “104” fraudolentemente, e lavoratori precari e in nero che non hanno alcuna protezione sociale. Lavoratori che hanno un contratto di lavoro e altri che lavorano con retribuzioni svantaggiose della serie ‘O questo o niente’. Oggi dunque il Primo Maggio avrebbe più forza, se al lavoro venisse dato nuovamente il significato di occasione di sostentamento per se stessi e per la propria famiglia e per esaltare la propria personalità con l’ingegno e la dedizione, l’unico modo per dare senso alla propria vita qualsiasi attività si svolga.

Quindi non redditi garantiti senza lavoro, o lavoro come sfruttamento; ma esperienza di realizzazione per ciò che positivo si sprigiona nell’impegno individuale e collettivo, e nel luogo per misurare il proprio ingegno ed intelligenza.

C’è allora la esigenza di dare al Primo Maggio il segno nel saper rappresentare giovani e anziani, operai e specialisti, italiani e immigrati, tutelati e non, disoccupati e disoccupati. Nello stesso tempo di riscoprire la vocazione più profonda dell’uomo e del suo scopo nella vita.

La crisi preoccupante delle associazioni delle rappresentanze dei lavoratori e delle imprese, è causata proprio dalla incapacità di farsi carico degli interessi di tutti, e dalla scarsa propensione al coraggio nelle parole e negli atti usati nelle loro attività di rappresentanza, come di rappresentare la impronta voluta dai costituenti della forza morale e spirituale del lavoro.

Sono quindi vittime del “passatismo” e della propensione ad avvalersi dell’aiuto della politica anziché di quella che può derivare integralmente dalla forza della rappresentanza. Eppure, rimettere in ordine l’associazionismo del lavoro servirebbe a ridare “soggettività primaria”, forza a lavoratori e imprese, in un paese che vive solo della capacità di trasformare prodotti e di allestire servizi. Darebbe anche una bussola con punti cardinali reali rispetto al disordine politico e quindi economico in cui si trova il Paese spesse volte animato da improbabili governanti o aspiranti tali.

Anche in questi giorni, alcuni operatori dei media auspicano il rinnovamento del Sindacato, che senza dubbio è una delle cose necessarie. Ma occorre capire che significa. Senz’altro lo sarebbe se i sindacalisti mettessero al centro della loro riflessione ed azione, l’impresa. Senza impresa non c’è lavoro, nel senso che prima di tutto viene la produzione per dividersi la ricchezza. Senz’altro lo è lo stato della economia del paese come riferimento per qualsiasi rivendicazione. Lo è senz’altro un comportamento controcorrente alle pratiche della italietta che ci stanno debilitando mortalmente. Spero che non sia avere giovani al posto di meno giovani, donne al posto di uomini, persone di un colore politico anziché un’altro, di stare acquattati per non rischiare anziché il contrario. Ci vorrà molto coraggio, anticonformismo, dedizione ed autonomia, per ottenere un rinnovamento delle associazioni, da cui potrà trarre vantaggio il mondo del lavoro e la società tutta così in cerca di riferimenti alti e reali.

Raffaele Bonanni

LULA E LA PRECARIETÀ DI DEMOCRAZIA ED ECONOMIA

0

Ho conosciuto Lula da Silva, l’ex Presidente brasiliano arrestato per corruzione, e francamente mi è dispiaciuto quello che gli è capitato, dopo una lunga e straordinaria esperienza nel campo accidentato del paese più importante sudamericano. L’ho incontrato a Roma, quando in visita ufficiale di Stato, con mio lieto stupore, mi chiese di concludere a Roma, i lavori della Cisl dedicati alla situazione mondiale della finanza. L’imbarazzo  del suo ambasciatore per la inusuale rottura del protocollo di Stato, fu dribblato con l’affermazione: “sono il Presidente del Brasile, ma mi sento ancora sindacalista. Credetti comunque che fu un modo per sdebitarsi con la Cisl, che durante la dittatura nel suo paese, aiutò consistentemente il Sindacato da lui stesso presieduto, a prepararsi alla democrazia. Poi l’ho incontrato a Washington nel 2008, in occasione del G20 da lui presieduto. In quella circostanza fu il vero animatore della tesi di restringere le maglie troppe larghe del potere finanziario, e accolse con entusiasmo il documento presentato dalla delegazione del Sindacato mondiale, che io stesso ebbi modo di cognegnarli solennemente, nell’incontro ufficiale che ebbimo con i capi di Stato.

In quel periodo così denso di cambiamenti, il Brasile vedeva crescere il Pil prodigiosamente, grazie all’impulso dato al paese dal Presidente operaio, e così riusciva a collocarsi al centro dei nuovi ‘giochi’ mondiali, con la inedita alleanza politico-commerciale di Brasile, Russia, India, Cina (bric). Insomma quel continente nel continente sudamericano, in un breve lasso di tempo migliorava la economia, il tenore di vita delle persone, e si poneva al centro del potere mondiale; con il ‘bric’ sfidava la egemonia del dollaro negli scambi commerciali, dopo circa 70 anni di incontrastato dominio della divisa statunitense. La politica da lui diretta ha saputo mantenere le distanze dall’estremismo ‘Chavista’, che  tanta suggestione ha provocato all’epoca in molti paesi latinoamericani, principalmente in Argentina.

Insomma Lula ha smosso molte acque ai danni dei potenti del mondo, che in verità non hanno mai sopportato che un tornitore metalmeccanico, esprimesse tanto acume e capacità di governo, con una politica in controtendenza, rispetto al dilagare dei poteri finanziari. Per queste ragioni è difficile che i ceti bassi e operai, non leggano nelle iniziative giudiziarie contro il loro leader, (che peraltro si apprestava a candidarsi di nuovo con sondaggi favorevoli) un modo per metterlo fuori gioco.

D’altronde l’offensiva di discredito alimentata, è sembrata per dimensioni, pari a quella usata per il dittatore rumeno Ceaucescu. È chiaro che in democrazia, chi sbaglia paga: un fondamento cardine della civiltà occidentale; se Lula è stato condannato, dovrà  comunque scontare la pena prevista dalla legislazione del suo paese. Ma è pur vero che nelle attuali democrazie, gli strumenti nuovi della lotta politica, talvolta, non sono proprio allineati con l’etica democratica e comunque spesso, sono sostanzialmente fuori controllo scavalcando gli organismi di garanzia previsti dalle rispettive costituzioni. Il Brasile in un volgere di pochi decenni è passato dalla dittatura alla democrazia, dal sottosviluppo ad essere uno dei maggiori player economici mondiali. Ma abbiamo imparato da tempo che sia la democrazia che la economia, possono incorrere in una precarietà pericolosa, quando le Istituzioni non riescono più a godere della fiducia di tutte le componenti sociali. A quel punto, tale vulnerabilità, è l’occasione per offensive utili alla fisiologica lotta politica di alternanza, ma anche alle occulte trame volte alla instabilità.

Raffaele Bonanni

 

INSEGNANTI SBEFFEGGIATI, AUTORITÀ SILENZIOSE

0

Cosa sta accadendo nella scuola italiana? Quotidianamente o alunni o genitori picchiano insegnanti, i quali ben che vada, vengono offesi e sbeffeggiati. Di violenze avvenute in questi ultimi tempi, se ne possono raccontare a centinaia, e le motivazioni sono sempre le stesse: teppismo in classe, genitori contro i docenti. Quando ero bambino, mi guardavo bene da raccontare ai miei genitori di un rimprovero, o di una bacchettata dell’insegnante durante una lezione; se l’avessi fatto inesorabilmente avrei subito uno schiaffo, comunque una esemplare punizione. Cosa è successo nella società, che ha così cambiato il modo di comportarsi degli italiani? Perché generalmente non si da credito al ruolo della scuola ed al compito cardine dell’insegnante? I ragazzi di ogni generazione sono irrequieti, ma quelli di generazioni passate, non picchiavano i propri docenti. I giovani d’oggi certamente vivono in una società violenta, rovinosamente ostentata dalla civiltà della informazione; si soffia sui carboni ardenti delle contraddizioni odierne, in cui si trovano le nuove generazioni, non di meno per lo sbandamento causato dalla involuzione del ruolo e responsabilità dei genitori, e della precaria loro unità nell’ambiente domestico. L’aumentata instabilità familiare, alimenta un malessere e di insicurezza, che si riversa sul dato comportamentale dei ragazzi.

I genitori stessi, quando in condizione di una storia di matrimoni falliti, si contendono l’attenzione dei figli, con azioni non proprio consoni con criteri educativi esemplari. La stessa tendenza nella attuale società alla iconoclastia verso tutto ciò che è autorità, spinge ciascuno a sentirsi arbitro assoluto su ogni cosa, prescindendo da meriti e ruoli, in un corto circuito che conduce all’anarchia. In questo magma di problemi esplosi ed irrisolti, si consuma il fenomeno così pericoloso per la Istruzione. Va detto comunque che la Scuola, presta molto il fianco al disordine, con il suo stato di endemica incapacità a tenere il passo con la rivoluzione digitale ed i cambiamenti di impostazione didattica che ne  conseguono. 

La immissione caotica nei ruoli di insegnante dell’ultimo trentennio, non ha fatto che aggravare le cose. E’ preoccupante che di fronte a tanto caos nella scuola, le autorità restano silenziose. Danno l’impressione che gli accadimenti, riguardano fatti isolati o atteggiamenti goliardici degli studenti: ma così non è. Ecco perché è un bene raccogliere le firme per una petizione utile a provocare finalmente una discussione vera in Parlamento. Il tema scuola, è questione fondamentale per il nostro futuro. Società’ civile e rappresentanti di istituzioni, dovranno pur conseguire la sufficiente coscienza per intervenire, ed evitare che si arrivi addirittura a fare della scuola, un luogo di esercitazione di teppismo, anziché di preparazione ad affrontare le sfide personali e quelle della Nazione.