30 Righe di Raffaele Bonanni

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Ue, tante sfide per il bis di Ursula von der Leyen

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di Raffaele Bonanni

ROMA (ITALPRESS) – Ursula von der Leyen è stata rieletta per un secondo mandato alla guida della Commissione europea e ha tenuto un discorso programmatico al Parlamento europeo. La sua elezione si è tenuta in un periodo assai problematico per la vita degli europei, nel mezzo di conflitti e di equilibri compromessi tra il blocco occidentale, soprattutto con Russia e Cina, e nell’incertezza di quale modello di sviluppo produttivo e di sicurezza adottare, nonché del modello di governance politico del continente. Von der Leyen è stata eletta con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astenuti e 7 schede nulle. I votanti sono stati 707, con la necessità di superare la soglia di 360 voti. Limite ben superato, se pensiamo che la sua nomina è stata contrastata anche da 50 franchi tiratori. Dopo trattative infinite, la coalizione costituitasi nel Parlamento UE comprende i Popolari, i liberali, i socialisti e i verdi. C’era grande attesa per l’eventuale sostegno di Giorgia Meloni, ma alla fine, a causa di veti incrociati, la possibilità è fallita. Tuttavia, le porte della collaborazione non sono chiuse, con il capo della commissione che ha prontamente sottolineato l’interesse al confronto e alla collaborazione con tutte le forze pro UE, pro Ucraina e pro Stato di diritto, come d’altronde è per Meloni. Lo stesso capogruppo dei conservatori in Parlamento UE, Procaccini, si è espresso fiducioso sulla futura collaborazione.
Poi, Ursula von der Leyen ha precisato le priorità del suo mandato, elencando come primo punto l’obiettivo di realizzare un’Europa forte e competitiva. Un tema assai importante per il nostro futuro, sfidato dai paesi emergenti che competono nei mercati senza riguardo per la condizione dei lavoratori, talvolta schiavizzati senza potere contrattuale, senza welfare e senza alcun diritto paragonabile alla condizione dei lavoratori europei. Di qui l’esigenza di aumentare qualità e produttività in Europa, rafforzando l’education, la ricerca e la collaborazione univoca degli stati aderenti a dotarsi degli stessi programmi concordati. Sono gli argomenti che von der Leyen ha commissionato in un notevole approfondimento a due illustri italiani: Mario Draghi ed Enrico Letta. Altra priorità sottolineata è la sicurezza dei cittadini europei; innanzitutto la difesa della UE, che dovrà provvedere ad allestire un esercito all’altezza della protezione dei nostri interessi, ma oggi addirittura di premunirsi dalle nubi sempre più nere di paesi dittatoriali che ci hanno riportato alle dinamiche di aggressione che sembravano seppellite con la sconfitta nazifascista. Ma sicurezza anche nell’approvvigionamento dell’energia rinnovabile, abbinata a un modello di sviluppo per competere in qualità. Infatti, dall’autonomia energetica UE dipendono fattori assai delicati e fondamentali per il nostro futuro: affrancarsi dalla fornitura energetica dei nemici, superare le fonti fossili per quelle rinnovabili e raggiungere l’efficienza e costi ridotti sono programmi di grande valore che, superandoli, non potranno che dare slancio ai popoli europei.

– Foto Agenzia Fotogramma –

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Salari migliori per arrestare la fuga all’estero

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ROMA (ITALPRESS) – L’Italia continua la sua crisi salariale, come confermato dai dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Nonostante il record di occupazione registrato negli stati dell’area sia ora ai massimi storici, i salari reali in Italia sono in flessione. Nel 2023, l’Italia ha registrato un calo del 6,9% rispetto al 2019. Questo significa che i salari reali (al netto dell’inflazione) sono diminuiti nel periodo post-pandemia da Covid-19. Dunque la stagnazione salariale iniziata dagli anni 90, e mai interrotta, si è aggravata ulteriormente. E’ un campanello di allarme che non può più essere trascurato, pena innescare una reazione economico-sociale di dimensioni assai pericolosa. E’ bene ricordare che tra il 1991 e il 2023, i salari reali in Italia sono cresciuti solo del +1%, a fronte di una media del 32,5% nei Paesi dell’OCSE. Questo indica una stagnazione significativa dei salari reali nel lungo termine.
L’Italia è terzultima tra i Paesi dell’OCSE per i salari reali, superata in peggio solo da Repubblica Ceca e Svezia. Tanti sono i fattori che hanno provocato questa disarmante situazione, ed occorrerà presto prendere provvedimenti assai risoluti. Infatti le tasse nazionali e locali che opprimono il lavoro dipendente sono diventate assai pesanti ed ingiuste. Ormai la progressività nella regolazione della distribuzione dei pesi fiscali ha creato da tempo disparità di trattamento ingiustificabili: la inesorabile ritenuta alla fonte applicata al lavoro dipendente e pensionati supplisce ad ogni disfunzione negli altri prelievi favorendo sperequazioni e persino incentivi di fatto all’elusione ed evasione.
Altra questione che ha significativa influenza negativa sui salari riguarda la scarsa propensione delle parti sociali a privilegiare nella contrattazione collettiva nazionale ed aziendale i criteri di premio da applicare alla maggiore produttività nel lavoro e reddittività dell’azienda.
Anche la scarsa attenzione a remunerare meglio le professionalità alte e medie crea una condizione non favorevole ai salari all’ambizione dei lavoratori di migliorare professionalmente. La contrattazione collettiva avrebbe bisogno di una rivoluzione, accompagnata da una azione governativa e politica concertativa per mettere a punto politiche fiscali, di politiche attive del lavoro stabili nel tempo, in modo da raggiungere gli obiettivi della efficienza salariale in Italia sinora e da tempo compromessa. Richiedere in questo quadro aumenti salariali nei rinnovi dei contratti potrà dare significativi risultati. Governo e opposizioni in luogo di improbabili soluzioni da specchietti per le allodole, farebbero bene, insieme alle parti sociali di dotarsi delle stesse bussole per progetti fondati e responsabili, capaci di superare l’attuale stallo.
La insufficienza di medie e alte qualificazioni abbinata alla fuga verso l’estero in cerca di migliori salari può essere arrestata, con buoni salari legati ad un clima nuovo legato ad efficienza e produttività. La rivoluzione non più rinviabile nella education italiana collegata alle nostre produzioni dovrà programmarsi nella concertazione tra parti sociali e governo. Dunque una nuova stagione che seppellisca quella della lamentela della precarietà e dei bassi salari senza soluzioni credibili, se non offerte pelose di assistenzialismo fine a se stesso. Questo modo di procedere potrà servire nelle campagne elettorali per illudere qualche persona disperata, ma non a cambiare le cose.

– foto: Agenzia Fotogramma –
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Ita-Lufthansa operazione positiva per il Paese

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ROMA (ITALPRESS) – Tanto tuonò che finalmente piovve. Ed ecco la lunga storia dell’Alitalia piena di accidenti che nel lungo tempo di difficoltà ha cambiato nome, partner, e tante divise. Naturalmente in un lasso di tempo durato almeno 15 anni, i ricavi della attività non hanno mai superato le entrate. E tuttavia godendo dello status di azienda con maggioranza di azioni possedute dallo Stato, ha potuto contare su Pantalone che sappiamo essere assai generoso nella spesa dei soldi dei contribuenti. Infatti i miliardi di euro volati via sono stati davvero tanti. Va ricordato che gli sprechi di tempo e denari si potevano evitare in questi ultimi 15 anni qualora il governo dell’epoca non si fosse incaponito sulla vendita ad Air France. Molti avversarono il piano perché i francesi, a conti fatti, erano i meno indicati per unificarsi alla nostra compagnia di volo nazionale ed internazionale. Gli ostacoli che non si volevano considerare erano i seguenti: i nostri cugini d’oltralpe erano e sono nostri concorrenti agguerritissimi nel turismo; erano del tutto indisposti a permettere agli italiani di aggiungere gli hub italiani a quello unico di Parigi per Air France.
Erano contrari a perdere il privilegio dell’aereoporto di Parigi, penalizzazione troppo grande per il turismo, l’economia ed il prestigio d’Italia. Insomma, i passeggeri nostrani ed esteri, per i voli intercontinentali avrebbero dovuto passare obbligatoriamente per l’aereoporto parigino Charles de Gaulle. Con l’accordo tra Ita e Lufthansa di questi giorni avvenuto dopo le autorizzazioni UE, accertate le garanzie per la concorrenza, le cose si sono finalmente incanalate nella realtà più giusta. Roma manterrà integro il suo status di hub internazionale, si otterrà una azienza di volo tra le piu solide del mondo, si potranno incrementare notevolmente le rotte intercontinentali, segnatamente quelle sud-sud est. Questa nuova situazione permetterà al nostro turismo ed economia in generale di incrementare i fattori di sviluppo, mettendo intensivamente a frutto ogni nostra eccellenza. Gli attuali lavoratori del volo otterranno la loro stabilizzazione, e quelli in cassa integrazione potranno essere reintegrati nei ranghi della nuova compagnia, i lavoratori tutti lavoreranno in una compagnia che è governata da un consiglio di amministrazione che vede la presenza di lavoratori nel suo seno.
Per ora Lufthansa acquista una quota di minoranza, ma presto, dopo un primo collaudo di collaborazione, tutto andrà a regime. Naturalmente il patto prevede che in questo lasso di tempo bisognerà perfezionare la concorrenza interna, il miglioramento dei sistemi intermodali degli aereoporti in collegamento con porti e ferrovie. Dunque, procedendo in tal modo, le vicende economiche sono i fatti più interessanti in quanto l’efficienza trasportistica diventa il valore che assume l’importanza giusta per mantenere alti i colori nazionali. Infatti nel mondo moderno le unioni tra grandi aziende sono all’ordine del giorno proprio per mantenere autonomia e capacità di navigare nei mari procellosi dei commerci internazionali.
– foto Agenzia Fotogramma –
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La paura del cambiamento non fermi la possibilità di progredire

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ROMA (ITALPRESS) – Le fasi di grande cambiamento che l’uomo ha dovuto affrontare nella sua storia sono state sempre vissute con paura; questo è stato il sentimento dominante. Le situazioni nuove, si sa, generano diffidenza; la sensazione di pericolo che si avverte è quella di perdere ciò che si possiede. Si teme che il nuovo possa sgretolare le vecchie certezze di status, la realtà nuova confonde, facendo sentire spaesati. Le nuove paure sono legate alle sfide contemporanee: economico-sociali, politiche, tecnologiche, ambientali. Ad esempio, il capitalismo neoliberista ha suscitato preoccupazioni per gli eccessi industriali, tecnologici e propagandistici. Oppure, il timore di non riuscire a realizzare il proprio potenziale o di affrontare il giudizio altrui sono aspetti che possono limitare la crescita personale. Tuttavia, saper affrontare la situazione di turbamento, riconoscere il senso di tali paure e fronteggiarle, può influenzare significativamente la consapevolezza e il coraggio per misurarci con ciò che ci spaventa; ciò può portare a una maggiore crescita personale e a una vita più appagante. Bisogna anche affrontare gli untori dell’era moderna. Essi, nei momenti descritti, approfittano del clima cupo e soffiano sulle debolezze umane per farne una forza politica, sociale, economica. Ad esempio, esasperano valutazioni sui fenomeni climatici, ma gli alti e bassi degli andamenti climatici sono fisiologici per la nostra Terra, anche se non è il caso di continuare con le emissioni di CO2. Annunciano un’ecatombe di posti di lavoro a causa delle tecnologie digitali, quando il rimedio è più istruzione e formazione per recuperare l’imprevidenza passata. Anzi, più veloce è la riprofessionalizzazione delle persone, più rapida diventa la possibilità di ottenere più occupati alla fine della transizione dal vecchio al nuovo. Sparlano dell’intelligenza artificiale, sostenendo che essa sia pronta a dominare l’uomo sfuggendo al loro controllo. Ma il vero dominio che bisogna temere è l’ignoranza. Un’invenzione dell’uomo è sempre dominabile dall’uomo. Ed è l’uomo che può usarla per scopi antisociali qualora le persone non si preparino a gestirla e le autorità pubbliche non provvedano a disegnare le regole d’impiego. Oppure, quando ci mettono contro le migrazioni e la globalizzazione per rinchiuderci negli antichi confini ed istituzioni, come in un presepe. Ma la storia dell’umanità ci racconta altro: di popoli in continue migrazioni, di Nazioni in continuo cambiamento, comprese le istituzioni con le relative garanzie di sovranità che vanno di pari passo con la dimensione ideale per non essere soffocate da Nazioni più potenti. Come nel caso odierno, riguardo alla necessità di acquisire poteri sovrani europei per poter competere con le altre grandi Nazioni, pena di essere scalzati nelle produzioni, commerci, e addirittura nella sicurezza. Dunque, rinunciare agli orizzonti che si propongono davanti a noi
ci priva della lucidità che ci assiste quando desideriamo cose nuove in continuità con gli antenati che ci hanno preceduto e che ci hanno insegnato che nulla è nocivo all’uomo se non la sua mancanza di desiderio di camminare nella storia.
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– Foto: Agenzia Fotogramma –

Deficit, serve una credibile strategia di rientro

ROMA (ITALPRESS) – Ecco l’inevitabile cartellino giallo della Commissione Europea sull’eccesso di deficit italiano. Taluni già si atteggiano a vittime, ma il severo richiamo era già scontato. Il nostro disavanzo si colloca al 4,4%, ben oltre il 3%, e dunque chi ha il gravoso compito di sorvegliare i conti per la salute economica degli Stati aderenti alla UE, ci ricorda che le penalità sono già lì pronte qualora non si dovesse rimediare presto. Dunque, non si tratta di un accanimento contro di noi da parte delle istituzioni europee. È un oggettivo e doveroso controllo responsabile della tenuta dei conti che, se gestiti con disinvoltura, pregiudica alla lunga il benessere dei cittadini europei, italiani compresi. D’altronde, non siamo soli nella lista nera, anche se il nostro deficit è il più alto di tutti. Dunque, sotto sorveglianza ci sono i francesi, polacchi, maltesi, belgi, ungheresi e slovacchi. Va sottolineato che non ci sarebbero più attenuanti, in quanto durante la pandemia si concesse il superamento del deficit oltre la regola, ma per fortuna il Covid e i costi eccezionali che comportò sono dietro le nostre spalle. E tuttavia, l’ordine dei conti non sembra sia in cima ai pensieri della nostra classe dirigente. La politica dei bonus da diverso tempo viene praticata per lenire dolori e ferite di ciascuno, ma a noi sembra più un rimedio placebo, quando non un peso economico fuori dal comune come il super bonus. Ed allora Governo e Parlamento devono in forte intesa subito provvedere a darsi una credibile strategia di rientro.
Una collaborazione dedicata al supremo interesse dei cittadini tutti che non potrà che vedere maggioranza ed opposizione confrontarsi responsabilmente. Come in una sana famiglia, si dovranno considerare con oculatezza le somme delle entrate e come incrementarle, quelle del mantenimento del bilancio famigliare tagliando gli sprechi, e con la graduatoria degli obblighi più indispensabili. Le promesse si rimandano a tempi migliori, per destinare risorse necessarie al piano di ammortizzazione del debito. Le entrate si incrementano con riforme che danno ossigeno alle attività economiche con concorrenza e produttività del sistema economico, e togliendolo alle rendite, corporazioni, clientele. Gli sprechi e spese di minore importanza si possono riassorbire eliminandole nei bilanci statali, regionali, comunali, e nella pletora di enti che fanno da contorno, ma bloccando anche disegni di cambiamento istituzionali come quelle della cosiddetta autonomia differenziata, a meno che non si comprovi che apporterebbero un risparmio significativo della spesa pubblica. Chissà se in Italia le cose possano cambiare davvero. Maggioranze ed opposizione che si contendono il governo della cosa pubblica, non promettendo tutto a tutti, ma promettendo quello che possono fare, sempre con l’occhio attento alle entrate, alle spese debiti compresi, alla crescita delle fonti di guadagno per far fronte ai desiderata e non ricorrendo a tasse palesi o occulte. Ebbene, in un contesto di questo tipo si avranno vere leadership e governi duraturi, dunque stabilità; si può essere sicuri. Volenti o nolenti questo è lo scenario che ci aspetta con 2.000 miliardi di debito con 100 miliardi annui di interessi da pagare e con famiglie che non sanno più a che santo votarsi.
-foto Agenzia Fotogramma –
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L’Intelligenza Artificiale non spegnerà la creatività umana

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ROMA (ITALPRESS) – L’interesse appassionante per l’intelligenza artificiale continua a suscitare confronti senza fine, tipici di argomenti che annunciano grandi cambiamenti nelle nostre abitudini, attività e modi di affrontare la quotidianità. L’irruzione di questa tecnologia informatica così condizionante per l’efficienza nell’interazione tra uomo e macchina ha inevitabilmente provocato dibattiti accesi. Le infinite possibilità di competizione tra le macchine stesse, orientate alla maggiore produttività, hanno suscitato grandi speranze, ma anche smarrimento e preoccupazione. Tuttavia, la storia dell’umanità è costellata di opposti stati d’animo in situazioni simili. Quando siamo di fronte alla possibilità concreta di sconvolgere la nostra quotidianità, aprendo varchi verso il futuro, si contrappone la paura di rendere superflue le nostre abilità professionali.
Tuttavia, la realtà è molto diversa. Negli ultimi 50 anni, la tecnologia ha rivoluzionato il mondo del lavoro, migliorando la produttività e ricollocando progressivamente i ruoli nella nuova organizzazione del lavoro. Inizialmente, possedere un computer era un lusso riservato a pochi fortunati. Solo alcune grandi aziende e università avevano computer costosi e di grandi dimensioni. Ma con l’avvento dei primi computer personali come l’Apple II, il Commodore 64 e l’Atari 800, la tecnologia è diventata più accessibile a un pubblico più ampio.
Negli anni ’90, Internet ha rivoluzionato il modo in cui comunichiamo, cerchiamo informazioni e facciamo acquisti. La navigazione in rete è diventata sempre più facile grazie a browser come Netscape, Navigator e Internet Explorer. Successivamente, con l’arrivo del nuovo millennio, la tecnologia è diventata sempre più mobile, soprattutto con i primi cellulari.
Ora, con l’intelligenza artificiale, la dinamica sarà la stessa, ma forse in modo più accentuato a causa dell’esperienza pandemica. I problemi saranno fortemente correlati alla volontà delle istituzioni di fornire programmi formativi massicci e alla prontezza delle persone nel servirsene per acquisire nuove conoscenze e transire rapidamente dal vecchio al nuovo lavoro.
In conclusione, chi sostiene la possibile caduta dell’inventiva umana sottovaluta il fatto che l’esaltazione e l’efficacia delle invenzioni delle eccellenze umane sono spesso potenziate dall’uso delle tecnologie. L’innovazione e la creatività umana continueranno a essere fondamentali, ma dovranno adattarsi alle nuove sfide e opportunità offerte dall’intelligenza artificiale.

– foto Ipa Agency –
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L’Italia deve cambiare il suo modo di stare nell’Unione Europea

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di Raffaele Bonanni

ROMA (ITALPRESS) – Giunti alla conclusione della campagna elettorale, ed eletta la delegazione italiana nel nuovo Parlamento europeo, dobbiamo cambiare radicalmente il modo di essere degli italiani nella Ue. La campagna elettorale avrebbe potuto essere certamente migliore, ed infatti ha ricalcato essenzialmente la noiosa normalità dello scontro tra gruppi politici, ma non ha pienamente riguardato gli aspetti eccezionali che lo scenario mondiale pone a noi italiani ed europei. Il punto principale dovrebbe essere come utilizzare intensivamente il ricco lascito storico della cultura, della conoscenza e delle risorse economiche per affrontare il futuro e garantire prosperità e crescita civile per i popoli del nostro continente. Le nostre produzioni, il nostro modello di vita basato su libertà civili, sociali e politiche, vengono sfidate e messe in discussione da paesi privi di libertà, di diritti del lavoro e irrispettosi delle convenzioni e dei trattati internazionali. Non bastano da sole le antiche sovranità nazionali a provvedere alla nostra sicurezza e alla competizione economica nei mercati. È necessaria una Unione che abbia almeno sovranità concesse dagli Stati membri sulla diplomazia e la difesa, sul fisco e sulla moneta. Senza questo cambiamento, non riusciremo ad imprimere nuovo slancio per aumentare produttività e competitività, soprattutto nei settori ad alta tecnologia.

Per tutelare il lavoro e la prosperità nel futuro, dovremo investire in ricerca e sviluppo, nell’intelligenza artificiale, nelle tecnologie verdi e incrementare l’indipendenza strategica energetica e delle materie prime critiche, nonché delle batterie. Per rafforzare i nostri fondamentali economici rispetto a Cina e USA, ci serve assolutamente rafforzare la posizione europea nel contesto economico mondiale, mettendo a frutto la massima economia di scala da applicare ad ogni risorsa di cui disponiamo in Europa. Dunque, la sovranità del popolo si potrà usare bene in un sistema sussidiario che provvede localmente e globalmente a secondo delle necessità di scala. Questi inconfutabili obiettivi si coglieranno se abbandoniamo l’idea ipocrita che la coesistenza pacifica tra le potenze si raggiunge solo attraverso gli scambi commerciali. Dovremo prendere coscienza che c’è ancora una parte del mondo governata da autocrati che concepiscono il rapporto tra i popoli solo attraverso gli equilibri brutali stabiliti dalla forza.

Come la rapida progressione della polarizzazione dei redditi e delle ricchezze di pochi, creano ingiustizie minacciose per la coesione sociale e la democrazia. Dunque su queste posizione la delegazione italiana nel Parlamento europeo dovrà essere unita per la nuova Europa al di là dei colori di partenza. Dovranno far contare di più gli italiani e costruire il loro benessere. I capi partito dunque dovranno tutti vestire la casacca degli statisti dell’interesse comune se vogliono bene agli italiani ed agire da rappresentanti di un grande paese dell’Unione. E’ questo il modo di ripristinare la politica e l’affezione per le urne.

– Foto Agenzia Fotogramma –

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Giustizia, la separazione delle carriere dovrebbe mettere d’accordo tutti

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ROMA (ITALPRESS) – Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti, e cosi si sono accesi i fuochi della contrapposizione. La destra esulta per la rivoluzione, la sinistra parla di involuzione. Si può solo sperare che questo tema non diventi un ennesimo focolaio di contrapposizione partigiana, insieme ad altri ancora. Ormai la politica italiana si adopera diabolicamente a dividere il Paese su ogni cosa, raramente ad assottigliare la catasta di pesi che opprimono i cittadini. Ma la “questione” magistratura dura da molto tempo, soprattutto l’annosa responsabilità civile del magistrato. Nel lontano 1987, si tenne un referendum abrogativo che mirava a cancellare alcune norme del codice di procedura civile per consentire ai cittadini che si sentissero danneggiati per dolo o colpa grave del magistrato di essere risarciti da quest’ultimo e non dallo Stato per i danni causati con la sentenza sbagliata.
Ricordiamo che il voto favorevole a questa proposta ottenne un grandissimo favore degli elettori, ma clamorosamente non si applicò. Clamorosamente, l’anno successivo, il governo mise in atto uno strumento legislativo che riportò in capo allo Stato l’eventuale risarcimento, nullificando il volere popolare orientato a ottenere con l’accertata responsabilità dolosa del magistrato un meccanismo equo di deterrenza verso comportamenti dolosi. Un errore clamoroso sotto ogni punto di vista che ha aperto da tempo una ferita grave sul tema della giustizia, alimentato fino ai giorni nostri da molti casi di eclatanti errori giudiziari, quasi tutti riguardanti personalità politiche che poi, dopo lunghissime traversie, hanno potuto essere scagionate dopo aver pagato per lunghi anni prezzi altissimi. Per queste ragioni e per tantissime altre ad esse legate, la convinzione assai diffusa che alcuni casi siano stati infettati da ragioni politiche, basterebbero a giustificare una riforma della giustizia.
Chi ha buon senso dovrebbe comprendere che il potere terzo della giustizia, per poter disporre di indipendenza, non tollera neanche il minimo errore che possa inficiare la sua natura rispetto alla disposizione costituzionale. Dunque, il fatto che si separi la carriera dei giudicanti dai requirenti, dopo i tanti fatti non virtuosi, dovrebbe essere sostenuto da tutti. Non a caso, il miglior servitore dello Stato come Giovanni Falcone aveva assai caldeggiato il provvedimento prima che venisse ucciso dalla mafia. Era la fine degli anni ’80 e su mia richiesta per la preparazione delle tesi di riforma della giustizia da discutere nelle assemblee da tenere a a Roma, Napoli e Milano, si pronunciò con nettezza per la separazione delle carriere, opinione che aveva maturato da tempo. Ora, la proposta del Ministro Carlo Nordio si limita a disciplinare nell’ordinamento giudiziario le carriere distinte, con concorsi distinti. Il tema che i nuovi organismi per l’esercizio disciplinare non siano coincidenti, e che i membri di tali organismi debbano essere sorteggiati tra soggetti del sistema giudiziario estratti a sorte, smentisce ogni dubbio sulla permeabilità del sistema utile per i governi di turno e per le corporazioni, come racconta l’incresciosa storia di Palamara.

– foto: Agenzia Fotogramma –
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