30 Righe di Raffaele Bonanni

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Lavoro, la svolta passa dalla formazione

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ROMA (ITALPRESS) – I dati forniti dall’Istat sulla occupazione sono positivi ed accentuano altre indicazioni incoraggianti degli ultimi tempi. Nel mese di ottobre risultano 27 mila occupati in più rispetto al mese di settembre, e crescono le persone in cerca di occupazione, prima non interessate ad entrare nel mercato del lavoro. Dunque questi occupati in più danno più forza ai numeri incoraggianti ottenuti dall’ottobre del 2022. Si recuperano tutti i lavoratori persi durante la pandemia, e anzi ne avanzano mezzo milione in più rispetto ai dati occupazionali dell’inizio del 2020 prima del Covid. Insomma ormai i lavoratori dipendenti raggiungono il dato più alto nell’ultimo decennio a circa 25 milioni. Dunque a prima vista i dati sembra molto positivi, e certamente lo sono. Soprattutto se si considera che questi indici si ottengono nel periodo della pandemia e della contrazione dei commerci e delle attività economiche, delle guerre, della crisi energetica, del rialzo dei tassi di interesse e della impennata inflativa. Ma occorre leggere il fenomeno con lenti molto diverse da quelle utilizzate nel passato se non vogliamo avere brutte sorprese occupazionali per i prossimi mesi. La gelata demografica che ci colpisce, persino con più virulenza dei paesi nostri concorrenti, la emigrazione dei nostri giovani più istruiti, qualche milione di assistiti dal reddito di cittadinanza allontanati dal mercato del lavoro, ha spinto le aziende a raschiare il barile del patrimonio umano disponibile.
Le varie attività produttive hanno potuto contare su qualche centinaio di migliaia di lavoratori autonomi che hanno abbandonato i loro laboratori, stretti come sono da tasse e penuria di commesse, di altre persone spinte dall’impoverimento delle loro famiglie che si sono rese disponibili al lavoro dipendente. Si spiegano così i dati concomitanti dell’aumento percentuale dei tassi di attività sempre molto bassi in Italia, ed il sensibile aumento dei contratti a tempo indeterminato offerti dalle imprese per fidelizzare ed attrarre le professionalità ritenute più preziose. Ed allora sono principalmente due gli aspetti da considerare con più attenzione: rendere più appetibile il lavoro dipendente aumentando i salari soprattutto attraverso politiche di premio per la produttività ed incentivando la partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali; azzerare il mismatch tra le esigenze delle aziende e la scarsa disponibilità di capitale umano altamente professionalizzato. La rivoluzione digitale che ne ha generato immediatamente un’altra, la intelligenza artificiale, sta cambiando i modi di produrre e i modi di pensare ed agire dell’umanità. Ma la nostra education è sostanzialmente inchiodata al novecento, così come le politiche attive del lavoro. Ed ecco perché la politica, i governi locali e centrali, sindacati ed imprese devono cambiare il loro modo di agire e pensare.
Le competizioni politiche, le proteste e proposte del sociale, le azioni di governo devono guardare al futuro che finora non hanno voluto considerare per la sola ragione che trovano più facile indicare effimere soluzioni non faticose, invece di occuparsi delle impegnative sfide del futuro che richiedono rischi e pazienza per raggiungere gli obiettivi che là modernità ci chiede. Ma se vogliamo il benessere la strada non può che essere questa. Diversamente la nostra storia sarà segnata dalla decadenza.

Raffaele Bonanni

(ITALPRESS).

– Foto: Agenzia Fotogramma –

Un “Patto Repubblicano” per un nuovo cammino della Nazione

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ROMA (ITALPRESS) – Coloro che sentono i pesi delle proprie mancanze spesso sono spinti dal loro istinto ad individuare effimeri modi per nascondere o almeno attenuare la percezione negli altri degli errori che si commettono. E’ questo il comportamento di gran parte della classe dirigente italiana che da un quarto di secolo non riesce a mettere a fuoco le proprie responsabilità e dunque spinge la palla oltre il campo di gioco. Il caprio espiatorio privilegiato è l’Unione Europea scelta come parafulmine assorbente di ogni possibile saetta della irritazione della opinione pubblica per i troppi guasti economici e dunque sociali e politici. Prendiamo l’esempio dei tassi d’interesse bassissimi della Bce voluti da Draghi per sostenere proprio il debito italiano. Ci ha fatto risparmiare una montagna di miliardi per anni, ma non li abbiamo impiegati ne per investimenti produttivi ne per ridurre il debito, bensì per bonus e regalie varie. Ma poi con l’esigenza di spegnere l’inflazione con il rialzo dei tassi d’interesse abbiamo assistito ad accuse terribili contro la BCE, rea di indebolire l’Italia. Eppure neanche con la discesa prodigiosa della inflazione grazie a questa manovra, si sono sentite scuse o almeno spiegazioni riguardo all’avvenuto. In questi giorni invece è la notizia tedesca di possibile occultamento dello sforamento del deficit di bilancio, quella utilizzata per indicare fantasiosi imbrogli dei tedeschi, e comunque utilizzando il fatto come da massima “mal comune mezzo gaudio”. Si punta l’indice sui tedeschi rei di avere appostato fondi speciali fuori bilancio per coprire un lieve sforamento del deficit. Si sa, la loro Costituzione prescrive che il deficit di bilancio dello Stato non possa sfiorare il 3,5% e che comunque lo può fare entro i limiti di una approvazione qualificata del Bundestag. La Germania ha molti problemi in più dei suoi momenti migliori, ma la sua situazione rimane la più solida in Europa. Noi italiani invece siamo chiamati a cambiare verso se vogliamo evitare che il progressivo e lento smottamento della nostra economia imbocchi strade senza ritorno.
Le nostre energie sono ancora tante ed ancora abbiamo chance da giocare come si sta notando nelle relazioni internazionali, che possono farci più forti ed influenti. La politica italiana, almeno quella più responsabile presente nei due schieramenti odierni, dovrà procedere verso una profonda riflessione sulla propria funzione e stabilire gli assi principali per un nuovo cammino della Nazione. Indicare un patto repubblicano, che dovrebbe darsi i seguenti obiettivi di un impegno straordinario per la crescita di produttività nel terziario e nell’industria.
Stessa esigenza dovrà ottenersi dalla produttività nel sistema dell’education e nella sanità pubblica come nella giustizia. La riforma per gli equi pesi fiscali dei ceti sociali, dovrà sottolineare una nuova relazione tra Stato e cittadini. La separazione netta tra aiuti ai poveri da quelle delle politiche sociali generali, la trasparenza da ottenere che sinora è mancata. Questa ultima esigenza tradita, fino ad oggi ha fatto felici i furbi e più poveri i poveri. Ed infine il patto per l’impegno a ridurre il debito senza se e senza alcun ma. Ecco, sicuramente dedicarsi a questi obiettivi risolverà i nostri guai e definirà meglio chi merita di essere chiamato “Statista”. Una qualificazione che da molto tempo è scomparsa dal vocabolario della politica italiana.

– foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

Sciopero, l’Italia vittima di un incantesimo che fa litigare tutti

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ROMA (ITALPRESS) – In molti si sono chiesti se valeva la pena organizzare uno sciopero generale con punte massime del 6,5% tra gli insegnanti, ferrovieri e pubblico impiego dopo una querelle infinita. Il risultato negativo è nelle cose: la percezione di un sindacato indebolito e velleitario; di uno strisciante appoggio alla opposizione politica; di un solco vistoso con la Cisl, con manifesta incapacità di rappresentare il pluralismo sindacale. Eppure i problemi dei lavoratori italiani sono assai evidenti, somma della irresponsabile incustodia dei fattori dello sviluppo che dura da anni ed anni. I salari sono i più bassi tra le economie nostre pari, il welfare diventa sempre più precario ed insufficiente, le prospettive per la stabilità dei posti di lavoro assai problematiche. Tuttavia, in luogo di ingaggiare una battaglia sociale di merito su ogni fattore mal messo che ci procura guai, si va a dar man forte alla sciagurata e persistente tendenza di buona parte della politica di raccontare ciò che non va, senza però indicare il modo di uscirne.
Nella sostanza il paese è vittima dell’oscuro incantesimo che tende a far litigare tutti contro tutti per dividersi i resti delle passate stagioni delle formiche italiane, anzichè rinnovare i modi migliori per inaugurare nuove vie di sviluppo in un epoca di rivolgimenti e di occasioni. Il sindacalismo italiano, pur storicamente attento alle culture politiche che l’hanno fatto nascere, attraverso il suo pluralismo ha svolto un ruolo di positiva influenza alla composizione degli intenti collaborativi tra maggioranze e minoranze politiche sui temi economici e sociali. La sua storia annovera tantissimi meriti in momenti di grande difficoltà della vita del paese.
Insomma storicamente il riformismo era più presente nelle formazioni sociali che in quelle partitiche. Nella seconda Repubblica le cose sono cambiate e si sono capovolte. Una parte del sindacato è scivolato progressivamente nel piano inclinato di appoggiare ed incitare alcuni partiti al populismo.
Viene così a mancare la realtà sociale che compensa con il proprio realismo la tendenza alla rincorsa della facile opposizione che ultimamente ha alimentato populismo e scarsa attitudine ad occuparsi delle partite economiche. Ma in questi frangenti chi porta avanti la croce del lavoro?
Giocoforza, con parte del sindacato incapace di svolgere un ruolo costruttivo di proposta con gli altri sindacati e con le associazioni imprenditoriali, provoca l’indebolimento della rappresentanza del lavoro ed affida tout court ogni decisione alla politica. Viene dunque a mancare la preziosa mediazione tra le parti sociali che, quando funziona, fa funzionare su tali temi i governi e i partiti.
Ecco, prima di addebitare errori ai vari Landini e soffermarsi sulle modalità sbagliate tecnicamente e sindacalmente usate per lo sciopero generale, farebbe bene a rendersi conto che le responsabilità vere sono quelle di aver deliberatamente cessato a svolgere quel ruolo positivo unendosi ai pifferai di turno, anzichè favorire la presa di coscienza in Italia che senza mettere mano ad ogni fattore di sviluppo, alle tasse, all’istruzione ed a tant’altro, difficilmente i lavoratori andranno incontro al loro benessere.

– foto: Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

Per uscire dallo stallo l’Europa segua l’esempio americano

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ROMA (ITALPRESS) – In questi tempi siamo avvolti da incertezze e subbuglio. In tali casi la classe dirigente più avveduta sa valutare pericoli e difficoltà e viene istintivamente spronata a trovare soluzioni adeguate ai nodi che si presentano come rischi. Stiamo vivendo situazioni davvero difficili, e continuare il tran tran dell’ultimo quarto di secolo ci espone ad azzardi forse mai visti. Due paesi alleati, nostri importanti partner commerciali, sono incendiati da guerre che si prospettano lunghe e costosissime. Gli equilibri mondiali stanno rapidamente compromettendosi a causa della costituzione di una sorta di internazionale dell’autocratismo coalizzato contro le democrazie occidentali.

Proveniamo da prove impegnative di Covid e manovre paramilitari nell’energia che hanno provocato impennate inflattive e recessive molto insidiose. Ma non si ha l’impressione che ci si renda conto della posta in gioco per il futuro. E intanto ai problemi di ieri mai smaltiti del tutto si sono aggiunti altri nuovi persino più insidiosi. In Italia e in Europa non si notano cambiamenti all’altezza dei tempi odierni impegnati come si è ad assecondare gli umori degli elettori.

In Italia si continua a dissipare i pochi soldi pubblici disponibili con i bonus per dare la sensazione della vicinanza alle esigenze immediate ma lasciando senza contrasto le future valanghe che potranno sommergerci. In Europa occupandosi solo dei conti, i quali pur importanti, possono assai variare di consistenza se i fattori che li condizionano sono lasciati ingovernati e fuori controllo. Insomma gli italiani dovranno occuparsi finalmente del loro debito. La sua permanenza limita ogni possibile movimento necessario in momenti così imprevedibili.

E comunque se lo vogliono procrastinare, dovranno smettere la pratica ormai consueta di destinare i soldi ai loro clientes anziché a investimenti produttivi provati e certificati. Devono assolutamente tagliare la spesa improduttiva, innalzare la produttività in ogni settore, investire nei fattori di sviluppo per cambiare davvero verso sui fondamentali della propria economia. L’Europa dal suo canto dovrà muoversi come gli Stati Uniti. Gli States hanno deciso veri e propri piani keynesiani di sviluppo con 370 miliardi di dollari di intervento pubblico. Lo hanno fatto dopo aver dovuto raffreddare l’inflazione alzando i tassi di interessi provocata dall’energia stressata dalle guerre e dagli effetti post Covid. Dopo aver placato le fiamme inflattive, si sono dedicati a combattere il guasto collaterale della recessione provocata dal costo maggiore del denaro.

Poi hanno somministrato l’antibiotico per una spinta decisa all’economia con investimenti considerevoli dello Stato. Tant’è che gli americani dopo aver investito ingenti quantitativi di denaro, sono in attesa un Pil più alto di quello cinese, mentre l’occupazione è già sensibilmente cresciuta. Ecco! L’Europa deve fare nello stesso modo se non vuole andare incontro alla recessione. Stia attenta ai conti, ma decida di muoversi come ha fatto durante il Covid se si mira a conseguire come risultato un futuro favorevole e dare così prospettive concrete e speranza ai popoli europei.

Raffaele Bonanni

(ITALPRESS).

– Foto: Agenzia Fotogramma –

Un “Patto Repubblicano” per assorbire il debito pubblico

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ROMA (ITALPRESS) – Anche questa legge di bilancio per il 2024 è stata condizionata fortemente dalle campagne elettorali future che impegneranno alcune regioni nel rinnovo dei consigli regionali e poi subito dopo il rinnovo dei deputati italiani nel parlamento europeo. Dunque anche stavolta il debito è passato in secondo ordine e non potrà essere ridotto. Anzi accrescerà per sostenere la manovra di 24 miliardi di Euro, che per stare in piedi ha bisogno di 16 miliardi da prendere a debito se si vogliono mantenere le promesse fatte in questi ultimi mesi. Il Presidente Meloni non poteva certamente disattendere l’emergenza salariale italiana diventata sempre più urgente e riconosciuta sia da commentatori italiani che esteri di redditi diventati il fanalino di coda dei paesi OCSE.
La stessa offensiva della opposizione sul salario minimo, ha spinto l’Esecutivo ad un intervento visibile e deciso sulle buste paga per parare i colpi delle accuse di insensibilità riguardo al mondo del lavoro. Cosicché la manovra ha impegnato quasi la metà delle risorse previste per garantire un centinaio di Euro mensili di aumento attraverso la riduzione del cuneo fiscale: 7 punti percentuali in meno per I redditi sotto 25 mila Euro, e 6 punti in meno per coloro sotto i 35 mila. Misura governativa coerente ad altri interventi del 2022 e 2023 di Draghi e della stessa Meloni per dare aiuto al lavoro dipendente attraverso la calmierazione della pressione fiscale e per lenire le ultime piaghe inflattive che come sempre riguardano i redditi meno consistenti dei dipendenti e dei pensionati, anchessi considerati dalla manovra. Altri 5 miliardi sono stati necessari per il rinnovo dei contratti pubblici che negli anni sono stati rinnovati a fasi alterne, circostanza che ha creato nel tempo non poco malumore tra gli impiegati del pubblico impiego. Poi altri 3 miliardi per la sanità ed altre operazioni fatte qui e là, come ormai è consuetudine per tenere su le bandierine dei leader della maggioranza e dei loro clientes. Naturalmente si fanno sentire le accuse della opposizione riguardo alla insufficienza della “finanziaria”, ma in verità se usiamo il metro delle urgenze sociali, l’operazione in corso probabilmente risulta più chiara di tante altre confezionate dai tanti governi precedenti. Ma se maggioranza ed opposizione volessero far compiere un importante passo in avanti all’Italia, potranno decidere di costituire insieme un “Patto Repubblicano” per iniziare finalmente a darsi un piano per assorbire il debito pubblico mai affrontato da un quarto di secolo ed addirittura progressivamente aumentato.
Sarebbe davvero un atto di amore e responsabilità verso gli italiani, davvero questo si l’avvio della tanta agognata “terza repubblica”. Dopo tanti anni di sbornie del populismo siamo giunti a circa 3 mila miliardi di debito pubblico a fronte di un PIL traballante che se va bene non raggiungerà nel 2024 i 2 mila miliardi di euro. Per questo debito paghiamo a ci presta i denari per gli interessi ben 80 miliardi annui che equivalgono al costo di 6 ponti sullo stretto di Messina da poter costruire in un solo anno. Dunque un debito che da troppo tempo ostacola il nostro futuro: quello della istruzione all’altezza di questi tempi, della sanità che previene e garantisce a tutti assistenza, di opere pubbliche finalmente al servizio dello sviluppo, degli investimenti necessari per essere pienamente nella modernità. Tutto sommato i dati forniti da Eurostat ed ISTAT in questi giorni sono rassicuranti sulla inflazione italiana che in soli 12 mesi cala dal 5,3% a 1,8% registrandoci come il migliore dato europeo che in media scende al 2,9%. Tuttavia la crescita del PIL aumenterà lo 0,6%, la metà di quella preventivata. L’inflazione è stata domata grazie al raffreddamento operato dalla UE con il rialzo dei tassi d’interesse, e senza pagare i costi collaterali di recessione nell’economia e nella occupazione che intanto è cresciuta sensibilmente, soprattutto il lavoro a tempo indeterminato. Ed allora possiamo, nonostante tutto, avere ancora altre chance. Ma alla condizione che ci si ponga l’obiettivo di asciugare il debito che nessun altro paese nostro concorrente ha permesso di alzare la testa come da noi. Cambierebbe davvero l’Italia se le forze politiche si confrontassero tra loro su questi punti abbandonando rincorse che conducono a vicoli ciechi.

Raffaele Bonanni

-foto Agenzia Fotogramma-
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Si acuisce la povertà in Italia

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ROMA (ITALPRESS) – Si acuisce e si estende maggiormente rispetto al recente passato la povertà in Italia. Ormai sono in condizioni di povertà assoluta più di 2 milioni di famiglie italiane. E se la situazione generale economica non dovesse cambiare in meglio non potrà che peggiorare. A confermarlo è l’Istat dopo che già nel luglio scorso l’OCSE in un suo rapporto sulle prospettive dell’occupazione del 2023 aveva delineato uno scenario in cui l’aumento dell’inflazione e la debolezza dei salari vedeva l’Italia particolarmente sofferente ed esposta a peggioramento. Inoltre i dati ci dicono che ormai oltre 5,6 milioni di persone hanno difficoltà ad arrivare a fine mese e potrebbero esporre altre persone a condizioni di povertà. D’altronde oltre alle tante cause accumulate nel tempo e mai alleggerite, si fanno sentire i disagi economici e sociali provocati dal Covid. Tra i guasti più gravi post Covid l’inflazione.
La mano invisibile dell’inflazione ha concorso gravemente ad impoverire le famiglie in conseguenza dell’inasprimento dei costi di tutte le materie prime e dell’energia generate da speculazioni di vario genere. Sicché sull’economia e sulle famiglie si sono subiti riverberi pesanti di ogni genere; si è dunque ostaggio di una morsa assai stringente e penalizzante per i ceti meno abbienti. Insomma, oltre alle difficoltà per i conti della spesa, le nostre famiglie fronteggiano ancora le distorsioni dovute dalla inflazione. Esse rendono i loro redditi ancora più insufficienti. Non dovremmo mai dimenticare che i salari italiani sono rimasti immutati da trent’anni, ed anzi sono scesi a -2%, collocandoci ultimi nella graduatoria di altri paesi europei che nello stesso periodo hanno conseguito al contrario aumenti che vanno da +20%, fino a +30%. Ma come sta reagendo il Paese con i suoi governanti, forze politiche, le realtà sociali, e la informazione? Si limitano a raccontare la povertà, senza porsi la domanda delle cause che l’hanno originata e senza prospettare soluzioni da adottare di medio lungo tempo come imporrebbe tale incresciosa circostanza. Ed infatti oltre ai soliti provvisori bonus ed altri pannicelli di emergenza non si va. Accade ciò perché sinora la classe dirigente italiana ha preferito non occuparsi del debito, ed anzi facendolo aumentare, non si sono gestite con razionalità le risorse pubbliche, la scuola e la sanità si sono lasciate governare prescindendo dalle esigenze che la modernità pone.
Ritardi e disordine hanno prodotto investimenti improduttivi, lontani dall’adeguamento dei fattori decisivi che conducono con l’istruzione e formazione alla competitività. Così la sanità ad una spesa non collocata su standard di economia e di sicurezza della salute al passo con la moderna medicina. Ed in questo contesto di impoverimento a causa della incustodia dei fattori principali che portano benessere, che registriamo i risultati negativi che elenchiamo. Vediamo tutti impegnati ad affermare di aiutare i poveri, ma davvero non dovremmo mai dimenticarci di loro, però essendo conseguenti e prevenendo le cause che li penalizzano. E poi, oltre a combattere la povertà occupandosi di come generare ricchezza nuova, si dovrebbero anche modificare i criteri di selezione dei soggetti da sostenere. Ad esempio stabilire la differenza tra coloro che sono poveri momentanei in grado di lavorare, e chi invece per età e malattia non potrà più essere attivo. Per i primi ogni aiuto non potrà prescindere dal loro impegno lavorativo, per i secondi l’aiuto dovrà essere stabile e naturalmente decoroso. Stabilità dei sostegni e aiuti momentanei attraverso il lavoro non solo saranno rispettosi della dignità delle persone, ma anche il riparo dalla “carità pelosa” che spesso nasconde provvedimenti non orientati al bene pubblico ma a creare dipendenze irrispettose per le persone e distorsive per la società.

Raffaele Bonanni

– Foto: Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).

L’Europa verso nuovi equilibri

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Sono in molti che in queste ore si interrogano se le elezioni regionali francesi possano essere in qualche modo svelatrici di tendenze che si avranno dopo l’estate nelle elezioni federali tedesche e così come nel nostro Paese, che addirittura arriva a misurare giornalmente i sondaggi pur di farli valere nel mercato politico come se si fosse alla Borsa di Milano. D’altronde, nella sostanza, i successi e insuccessi degli schieramenti politici che si manifesteranno in Germania e Italia, sono quelli che più influenzeranno le decisioni che si prenderanno poi a Bruxelles. Fa impressione che in Francia solo un elettore su tre si sia recato alle urne e che la rumorosa Le Pen che sembrava avere il vento favorevole, sia uscita dalla competizione malconcia. I pronostici la davano fino a qualche giorno prima del voto risultati diversi, e intanto possono ritenersi soddisfatti solo i Gollisti e socialisti, mentre lo stesso movimento del Presidente Macron non è giunto oltre percentuali a una cifra. Insomma quei pochi francesi che hanno depositato la scheda nelle urne hanno dato il consenso alle antiche e tradizionali forze di governo, gelando le formazioni politiche che della novità e delle promesse mirabolanti hanno fatto il perno della loro offerta politica. Da questa esperienza si ricavano tre aspetti importanti che possono facilmente confluire in una medesima categoria di valutazione: la gravissima diserzione dalle urne indica la insoddisfazione dei cittadini rispetto alle forze politiche sinora prevalenti non considerate capaci di offrire sicurezza; il ritorno del consenso ai gollisti e socialisti, la insofferenza verso nuovismo e populismo; la vistosa l’astensione che segnala un elettorato guardingo alla ricerca di assetti di potere di maggiore garanzia per il futuro. Vedremo a settembre cosa accadrà in Germania, scadenza ancora più significativa a causa dell’abbandono dell’impegno politico di Angela Merkel, che della stabilità è stata il perno su cui si è retta la politica tedesca negli ultimi 16 anni. Se l’elettorato dovesse mostrare le stesse tendenze che si sono manifestate in Francia, vorrà dire che si sta incubando un nuovo clima di cambiamento di fase, che condurrà alla ricerca di stabilità attraverso soggetti responsabili che potranno mandare gambe all’aria i populismi di ogni genere. Il tema che sinora ha scosso e sbandato gli europei è la sensazione amara di essere fuorigioco dalle grandi decisioni mondiali con il rischio conseguente di perdita del benessere. Ora che invece si aprono fondate prospettive per lo sviluppo dell’Europa Federale e nuove prospettive “atlantiste” si avverte un clima nuovo che annuncia cambiamenti in grado di dare risposte concrete agli europei e nuovi equilibri per le democrazie nei confronti dei paesi governati da autocrati, così come la ricostruzione di equilibrio politico tra le Democrazie e gli invadenti poteri della finanza e delle Big Tech. Quanto al nostro Paese, vivendo in ogni epoca dentro ogni turbolenza premonitrice di sviluppi di novità, già è iniziata la corsa di soggetti provenienti dal populismo verso il centro, almeno nella tattica. Sarà per la presenza di Draghi alla Presidenza del Consiglio, sarà per l’avvento di Joe Biden negli USA, sarà per la crescita di credito della Unione Europea tra gli italiani, sembra che nel bel paese circola nuova aria. La differenza sarà fatta però dalla attenzione e responsabilizzazione che si avrà sui dossier più delicati della ripresa economica, per fugare timori e preoccupazioni sulle sorti future del paese, rese più chiare agli occhi dei cittadini dalle difficoltà provocate dal Covid. In mancanza di sincerità e disponibilità di queste realtà in movimento per la cultura di governo responsabile, difficilmente manovre tattiche risulteranno convincenti per gli elettori. Dunque credo che ci saranno significative novità nel futuro prossimo: per la delusione dell’elettorato nei confronti della politica urlata; per l’affermazione di nuovi soggetti che sapranno dare risposte fondate alle attese dei cittadini. Se dovesse andare così, cesseremo di essere una non edificante anomalia tra i paesi occidentali.

Raffaele Bonanni

Recovery Plan, adesso serve chiarezza sulle riforme

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Nel corso dell’incontro avvenuto a Roma con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Mario Draghi ha avuto modo di affermare: “Il Paese avrà una responsabilità che non si esaurisce entro i confini nazionali; soprattutto nei confronti dei Paesi europei e dei cittadini contribuenti europei che pagano le tasse. Abbiamo quindi la responsabilità non solo riguardo noi stessi ma anche verso i cittadini dell’Europa”. In questo modo, da par suo, il nostro Presidente del Consiglio ha sottolineato l’essenza dell’approccio che gli italiani dovrebbero avere rispetto al percorso economico che stiamo per affrontare, che deciderà o la svolta positiva del Bel Paese dopo tanti anni di carenti virtù, o la definitiva declassazione ad ex paese produttore leader nel mondo. Ursula von der Leyen con la sua presenza a Roma in questi giorni, annunciando solennemente il via libera per il Recovery plan italiano, ha inteso sottolineare la scommessa europea sull’Italia, nonostante la endemica instabilità politica e politiche economiche inadatte praticate da decenni per un paese come il nostro, ormai il più indebitato d’Europa. Si sa, abbiamo ottenuto dalla Unione Europea prestiti quasi a tassi zero e quantità di denaro a fondo perduto, la più alta tra gli Stati membri, nonostante le diffidenze degli altri paesi europei, proprio per tentare di toglierci da una condizione anomala economica la cui gravità alla lunga avrebbe potuto travolgere l’intero continente, e per sottrarci al clima anti Unione seppur sentimento minoritario in Italia minoritario, che i vertici di Bruxelles ritengono ambiguamente alimentato da forze internazionali ostili in oggettiva collaborazione con realtà politiche italiane. Draghi ha voluto toccare anche il punto più sensibile del nostro dente più dolente: la nostra insufficiente percezione che la finanza pubblica allegra ha conseguenze gravi sul debito; sulla economia generale della Nazione; sui propri carichi fiscali, sempre più insostenibili. Dunque le precisazioni del Presidente del Consiglio sono state apprezzate dalla Von der Leyen, ma rimangono ancora da chiarire il come e quando si faranno le riforme tanto richieste ed attese. Infatti pur in presenza di ingenti risorse da investire per la transizione energetica, attraverso interventi nelle infrastrutture materiali ed immateriali e per il cambiamento digitale nelle attività dei servizi pubblici e privati, senza radicali cambiamenti fiscali, della giustizia civile ed amministrativa, della pubblica amministrazione e delle normative del mercato del lavoro, toccherà ancora una volta operare con il freno a mano tirato. Impegnarsi con coerenza su questi obiettivi, favorirà anche il necessario clima positivo di fattività e cooperazione in politica e tra i cittadini, dando finalmente loro delle mete coerenti di cambiamento. Il clima dovrà essere di grande coesione e rigore in quanto i primi indispensabili risultati del Recovery Plan, non potranno che manifestarsi almeno nel medio periodo. Ed invece i mesi prossimi saranno impegnativi per la gestione delle opere e per la crescita di disoccupati e poveri che richiederanno prospettive concrete ed immediate. Situazioni che mal si conciliano con l’inseguimento di scelte divisive che renderà ancora più rovente il clima politico boicottando la cooperazione governativa, distraendo la opinione pubblica dalle strade prioritarie da percorrere per l’occasione del rilancio economico che per essere efficace nel superare le difficoltà, richiede una intesa forte di coesione tra italiani e classe dirigente.

Raffaele Bonanni