30 Righe di Raffaele Bonanni

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Democrazia e trasparenza contro le fake news su Covid e vaccini

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Si è detto più volte che nell’attuale mondo, reso un villaggio dalla potenza delle nuove tecnologie digitali e dai sistemi di collegamento in genere, seppur siamo avvantaggiati fortemente da una enorme massa di informazioni possiamo tuttavia essere assoggettati e confusi da notizie dalla dubbia provenienza, ed ancor peggio da una falange di informazioni intenzionate a confondere pericolosamente quel nostro bagaglio personale di buone nozioni e convinzioni che contribuiscono a interpretare ogni fenomeno che si presenta a noi. Ormai da tempo assistiamo a questo fenomeno, fortemente influenzato dalle guerre non dichiarate attraverso piattaforme segrete dei paesi più potenti, dalle pressioni subliminali tendenti a svegliare i turbamenti del nostro inconscio lanciate dai loro “presidi” di gestione dei social ed altre strutture di comunicazione culturale, dagli stessi partiti politici, come accade anche in Italia, nella ricerca spasmodica di screditare gli avversari o di accreditare opinioni più o meno vere. Nel lungo ed estenuante periodo di pandemia, abbiamo potuto ancor più che nel passato renderci conto come le fake news possano essere insidiose per disorientare le persone ed alimentare psicosi, rabbia, convinzioni infondate. Le ultime vicissitudini sulla idoneità dei vaccini in generale sono la dimostrazione di come possano influenzare comportamenti delle persone e addirittura gli orientamenti dei singoli Stati. Il polverone che ha colpito Astrazeneca, indicata responsabile di trombosi così come i sospetti caduti successivamente su Johnson & Johnson per lo stesso motivo, hanno dato un saggio di come si possano gonfiare oltre misura le cautele sulla vaccinazione pur in presenza di un sparutissimo numero di malori avuti tra milioni di vaccinati, che probabilmente potrebbero rientrare più nella statistica dei colpiti correntemente da quella patologia, che provocati dai vaccini. E intanto questa bolla mediatica ha spinto molti a rifiutare la vaccinazione, mentre i programmi tanto necessari per raggiungere finalmente la immunità di gregge si procrastineranno ancora una volta più in là nel tempo, con danni incalcolabili per le vite umane e per i costi economici della la sanità e per la ripresa piena della produzione di beni e servizi. Se poi dovessimo tornare ai primi mesi della pandemia, potremmo facilmente ricordare il fenomeno di depistaggio del negazionismo promosso da certi ambienti con “bufale”, poi non potendo negare la evidenza scientifica e di esperienza si sono subitamente adattate alla incessante richiesta di riaperture di tutte le attività, al di là di ogni oggettiva valutazione di rischi e opportunità. Ebbene, questi fatti ci possono spingere facilmente a richiedere, come accade, norme draconiane come deterrente, ma dobbiamo stare attenti ad allestire soluzioni persino peggiori del male che vogliamo combattere. E certamente importante responsabilizzare con sistemi efficaci e stringenti le big tech, con accordi e normative stringenti, come la stipula diffusa di accordi internazionali tra Stati per la sorveglianza degli abusi e uso distorto della rete. Ma una legislazione nazionale draconiana sulle fake news di natura penale, come taluni chiedono, estesa oltre i reati già previsti, potrebbe così pesantemente agire nella concretezza al punto da trasformarsi in censura. D’altronde si sa, essendoci convinzioni sempre più larghe di cittadini che vivono la “informazione storica” come mezzo al servizio dei poteri forti, è meglio consolidare l’idea che il pluralismo dialettico nella “rete” può sviluppare positivamente il senso critico dei cittadini, quale barriera per filtrare notizie dubbie. Si potrebbe dunque dire che la verità assoluta, non potendola assicurare nessuno, è più saggio affidarla alle complessi ma più sicure vie della Democrazia e alle sue realtà vive da tenere sempre più efficienti e vigili.

Raffaele Bonanni

Crescono i poveri, ma le attenzioni sono altre

Si susseguono dibattiti su dibattiti ed appelli su appelli sulla povertà incalzante in Italia, ed in verità la sua crescita è una triste realtà che si lega indissolubilmente alla regressione senza sosta della nostra economia che dura da più di un ventennio. Infatti tutti i fattori segnalano malessere economico, come la diminuzione della nostra capacità competitiva nei mercati internazionali, con la conseguente perdita di importanti spazi di commesse, che ha costituito la motivazione di fondo insieme all’indebitamento progressivo pubblico, dell’aumento della povertà. Dovrebbe essere banale sottolineare che quando si restringono le possibilità di vendere le produzioni dentro e fuori i confini nazionali, immediatamente si hanno contraccolpi sulla base occupazionale e sul volume degli introiti pubblici che ricadono pesantemente sul sistema di protezione sociale. Non esiste nel mondo un solo paese che peggiorando la sua economia ha potuto fare fronte elle emergenze sociali. Anzi dovunque si sono innescate situazioni critiche senza ritorno e le conseguenze a cascata sono state subite su più ambiti, anche sulla democrazia. Eppure queste considerazioni scontate non sembrano essere in cima ai pensieri della gran parte della classe dirigente, al punto tale da spendere le proprie attenzioni su questioni diametralmente opposte alle nostre necessità. E’ indicativo che dall’aprile del 2019 in Italia si sono spesi ben 13 miliardi di euro per redditi di cittadinanza, pensioni di cittadinanza e reddito di emergenza senza un’analisi appropriata sulla povertà e scavalcandola con misure elettoralistiche e pedagogicamente errate. La platea coinvolta di beneficiati è di ben 4,4 milioni di persone e di circa 2 milioni di nuclei familiari. Con la messa a disposizione di questa montagna di denaro, la povertà reale non è stata neanche scalfita con i 600 mila di poveri in più dall’aprile 2019 ed una risibile riduzione della povertà assoluta di appena l’1,6% nel 2020. Tutto ciò significa che si sono dati aiuti anche a chi poteva comunque procurarsi da vivere lavorando come i giovani, che i poveri veri non hanno beneficiato di nulla, che non si sono fatte politiche attive del lavoro e che la spesa pubblica è stata ancora una volta clamorosamente orientata a politiche pro-cicliche (spesa contro lo sviluppo), e non finalizzate alle urgenze sociali più gravi. Ma la beffa, come si sa dalle cronache, è che molti fruitori di questi redditi non sempre erano in possesso dei requisiti previsti per legge. Stante così la situazione, in occasione delle ultime decisioni governative non si è ritenuto più utile e trasparente rimuovere le decisioni sbagliate di 2 anni fa ed utilizzare le stesse somme per la povertà e le politiche attive del lavoro. La stabilità della maggioranza di governo ha prevalso su ogni altro ragionevole intento. Dunque alla fine del discorso alla più parte della classe dirigente odierna, dei poveri interessa molto marginalmente. Ed ancora una volta i soldi pubblici vengono spesi, anche in situazioni drammatiche, come specchietti per allodole utili alla perenne competizione tra le forze politiche.
(ITALPRESS)

Proporzionale e preferenze per ridare centralità al Parlamento

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In un lasso di tempo brevissimo, il sistema politico è stato rivoltato come un calzino. Cambiati i protagonisti, cambiato linguaggio, propositi, alleanze. L’Italia ha sempre riservato agli osservatori stranieri grandi colpi di scena, ma bisogna ammettere che gli accadimenti ultimi non sono passati inosservati. È cambiato il presidente del Consiglio e la struttura di Governo con componenti partitiche a dir poco in perenne contrapposizione tra loro; il PD e movimento 5 stelle hanno cambiato i vertici senza congressi con una velocità mai registrata in passato. La Lega e M5 stelle si sono dichiarati europeisti, rigoristi in economia, atlantisti.

Qualche commentatore ha avuto modo di sottolineare che questa duttilità delle forze politiche è da attribuire a un sistema politico tutto sommato solido, ma penso che a ben vedere la realtà dimostra proprio il contrario: i rapporti con i cittadini non sono idilliaci, i rapporti con le loro rappresentanze sono labili, il credito del sistema maggioritario che è la loro principale fonte di potere come rendita di posizione ormai in decomposizione. La ragione di questo stato risiede fondamentalmente dal fatto che il maggioritario nella sostanza ha allontanato dalle urne la metà dei cittadini italiani che non hanno potuto esprimere il proprio voto per soggetti compatibili con le loro culture; la impossibilità di scegliere direttamente i propri rappresentanti in Parlamento, che negli ultimi anni hanno dato di loro performance non degne del loro ruolo.

Va ricordato che il sistema elettorale maggioritario e rimozione delle preferenze sono state propagandate nel corso della cosiddetta seconda repubblica per ridurre i partiti, assicurare governabilità, per sottrarre al clientelismo ed alla criminalità organizzata il controllo dei voti. Ma a conti fatti, i partiti sono molti di più che nella prima repubblica, la stabilità dei governi più o meno è rimasta identica se non peggiorata, il controllo dei voti dei criminali in alcune aree è ancora più pesante, talvolta in combutta con i maggiorenti delle formazioni politiche come risulta dalle indagini e condanne giudiziarie.

Ma oltre a questi aspetti negativi, se ne sono aggiunti altri gravi come il fenomeno sconcertante dei transfughi che vagano da un partito all’altro; fenomeno che oramai in questa legislatura ha coinvolto più di un terzo dei parlamentari. L’abbandono del proporzionale e delle preferenze ha stravolto il senso del ruolo costituzionale delle associazioni politiche incapaci ormai di provocare partecipazione nelle attività politiche e partecipazione al voto dei cittadini a causa della loro sbiadita filosofia di appartenenza piegate alla necessità delle liste maggioritarie. La stessa rappresentanza in parlamento, sequestrata dalla ferrea scelta dei candidati dai capi dei partiti, ha annullato la rappresentanza territoriale, ha nettamente abbassato la qualità degli eletti, ha provocato un sistema che sostanzialmente spinge alla deresponsabilizzazione del mandato parlamentare e ha pressoché annullato il rapporto con l’elettore, ha favorito il leaderismo non da consenso ma da baratto nei partiti.

Per queste ragioni, peraltro aggravate dalla riduzione dei parlamentari che restringerà ulteriormente la rappresentanza territoriale, occorre rivedere la legge elettorale in senso proporzionale e con la scelta diretta da parte del cittadino del proprio parlamentare. Si è notata la sottolineatura in una sua dichiarazione del neo segretario Pd Letta a favore del maggioritario, dopo che il suo predecessore aveva acconsentito alla riduzione dei parlamentari proposta dal movimento 5 stelle, alla sola condizione che venisse ripristinato il proporzionale. Se quella decisione venisse annullata, la nostra rappresentanza parlamentare per i territori verrebbe ridotta pesantemente, verrebbero eletti dalla metà dei cittadini, verrebbero espressi dai capi nazionali dei partiti. Un vero colpo al senso costituzionale che affida ai partiti il compito di organizzare la partecipazione alla politica dei cittadini, al Parlamento di essere autentico luogo di rappresentare la volontà popolare.

Raffaele Bonanni

Lavoro e competitività per buona economia

In questi ultimi giorni, il neo ministro del Lavoro Andrea Orlando ha fatto sapere a imprese e lavoratori di voler prorogare il blocco dei licenziamenti previsto il 31 marzo, rimandando la prossima scadenza a fine ottobre per tutti i lavoratori che godono della cassa integrazione in deroga, mentre coloro che a cui si applica la cassa integrazione ordinaria (lavoratori di medie e grandi imprese), la nuova scadenza scivolerà per fine giugno. Certamente le proroghe in una situazione così drammatica provocata dalla pandemia e in vista dei piani di vaccinazioni sono sacrosante. Infatti tutti i lavoratori coperti dalla cig in deroga occupati nelle minute e minutissime aziende del terziario e della piccola industria in genere, sarebbero abbandonati a loro stessi senza alcuna fonte reddito. Intanto gli ultimi dati Istat, descrivono la realtà a tinte fosche ed è facile immaginare che nei prossimi mesi la situazione non potrà che peggiorare qualora non si cambi davvero il modo di provvedere all’economia, alla valorizzazione delle migliori aziende dell’industria e del terziario, all’implementazione a dosi da cavallo delle capacità professionali dei lavoratori, innanzitutto riguardo alle loro abilità compatibili con le tecnologie digitali. In tal senso occorre dire che è preoccupante che nessuno si stia dedicando a come riprepararci alla imminente normalità post pandemica, nell’ottimizzare la nostra capacità competitiva nell’agone del mercato internazionale. I tempi che viviamo sono caratterizzati da un cambiamento velocissimo riguardo le tecnologie impiegate nelle produzioni e conseguentemente dei necessari nuovi profili professionali. In questa lunga congiuntura pandemica, diversi paesi nostri concorrenti non sono fermi e si stanno attrezzando in ogni modo possibile per riassorbire i danni conseguenti al fermo imposto in molti settori dal Covid, ma noi italiani stiamo pensando solo all’assistenza e non da ora, come se non avessimo nè problemi di debito pubblico, nè problemi di tenuta competitiva. Il numero degli assistiti ormai ha raggiunto proporzioni abnormi tra cassintegrati di ogni genere, percettori di reddito di cittadinanza e reddito di emergenza. In questa circostanza drammatica la colpa più grave dei Governi che si sono succeduti, è stata ed è l’assoluta ritrosia ad allestire ambiti idonei in grado favorire la riprofessionalizzazione delle persone e di obbligare gli assistiti a parteciparvi, pena la perdita delle provvidenze. In un paese normale si decide di fare in tale modo, anche per evitare la pedagogia negativa di elargire il godimento di soldi non sudati e di tempi di interruzione del lavoro senza l’impiego del tempo in senso produttivo. Credo che gli aspetti sottolineati sono tra i più importanti da affrontare, se si dovesse cambiare sarebbe il segno più evidente che nel Paese davvero qualcosa cambia: avere attenzione per chi ha bisogno, ma che per sostenere l’assistenza a favore di chi in quel momento ha bisogno è necessario un sistema produttivo efficiente e competitivo per raggiungere standard di buona economia. Dunque Governo e parti sociali devono concertare soluzioni al tema spinoso di non allargare ulteriormente il divario tra noi e gli altri paesi Ocse. Per farlo devono sostenere con criteri efficaci le aziende già capaci di fare competizione di confermare i sistemi di assistenza alla unica condizione che ci si renda disponibili o a formarsi, o ad accettare impieghi proposti.
(ITALPRESS).

La politica tra responsabilità e contegno per ricostruire la fiducia

Che l’Italia fosse il paese degli eccessi e delle contraddizioni lo sapevamo già. Nei secoli, i più attenti commentatori stranieri e non, hanno usato tanto inchiostro per descrivere ora con curioso interesse per le qualità indubbie di genialità individuali degli italici, ora con disapprovazione e stupore per la scarsa attitudine alle virtù collettive, il nostro carattere peculiare storico. Una grande prova di eccessi, nell’ultimo quarto di secolo, l’ha data la politica con tutto quello che gli fa da contorno e gran cassa come il sistema di informazione sia scritta che parlata, fenomeno che peraltro negli ultimi anni si è fortemente acutizzato. Fiumi di parole, di invettive, di promesse vuote quando non dannose, che hanno visto leader politici e rappresentanti delle istituzioni bruciare giornate e giornate senza fine in perenni tour lungo la penisola, e instancabili maratone per dichiarazioni televisive e presenze persistenti nei numerosi talk show. Io stesso mi sono chiesto spesso di come si possa in tale modo distorto impegnarsi nella gestione razionale della cosa pubblica e assolvere all’oneroso incarico di ministro, di presidente di regione e di altri incarichi pubblici che richiedono molto tempo per studiare i dossier e poi affrontarli con gli innumerevoli soggetti interessati. Ma ormai la situazione si è così esasperata negli ultimi tempi che i primi vistosi segni del contrappasso si stanno già manifestando. Infatti, se notiamo con fastidio che tanta classe dirigente ha propensione per la rumorosa e perditempo competizione, abbiamo potuto anche apprezzare ai massimi vertici della Repubblica due persone che per come vanno solitamente da noi le cose, sembrano marziani ma riscuotono molto consenso popolare. Ad esempio Sergio Mattarella che da circa sei anni, sta svolgendo il compito più alto della Repubblica con discrezione e interventi di grande equilibrio, anche nei momenti più tormentati e difficili da governare. Così come Mario Draghi giunto provvidenzialmente alla ribalta in Italia in questo ultimo mese alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che già nei primi giorni del suo impegno ha dato già segni eloquenti di non amare gli interventi mediatici come invece è stato per tutti i governanti della lunga tormentata stagione della cosiddetta Seconda repubblica, e di preferire scelte anche difficili. Penso che queste grandi personalità, nonostante tutto ciò che li circonda, possono dare aiuti sinora insperati al nostro Paese in situazioni molto critiche, come governare con fermezza ed efficacia ogni piano di investimento per la ricostruzione dell’economia, attraverso la transizione energetica e la digitalizzazione delle funzioni produttive, amministrative e civili. Possono però anche dare una decisa spinta per rigenerare le istituzioni e la politica così malandate e precarie attraverso la loro autorità morale, il forte credito nazionale e internazionale. Al punto in cui siamo, basta la loro presenza con la loro marcata diversità per contribuire a sgretolare tutto ciò che ha contribuito a fare dell’Italia la malata d’Europa. Un adagio dell’antica Roma diceva: “è sempre la ruota più malmessa del carro a fare più rumore”. Ma come si sa, per accorgersi del rumore anomalo di una ruota mal funzionante, devono esserci nel contempo altre silenziose ed efficienti. Ecco, la speranza è che gli italiani possano fare la differenza tra statisti così preziosi e politici in perenne campagna elettorale per convincersi che si può fare meglio e di più recuperando alla politica responsabilità e contegno che sono il segno distintivo della buona politica, il presupposto per ricostruire fiducia e coesione sociale.
(ITALPRESS).

Partiti, è l’ora del silenzio laborioso

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Alcuni politici non hanno ancora compreso che la fase della confusione è finita. Continuano ad assecondare la pancia dei cittadini nella speranza di aumentare la loro popolarità e di dare comunque la sensazione di essere protagonisti della giornata mediatica. Si aggrappano al pretesto elementare che la gente è stanca di essere limitata nella propria libertà a causa della pandemia e quindi bisognerà apprestarsi a restituire a tutti più libertà, riaprendo le attività, mitigando le restrizioni, rientrando nella normalità non consci dei forti danni che possono svilupparsi nella psicologia di massa. Non mettono in guardia rispetto ai rischi che si correrebbero, si riferiscono solo al desiderio naturale di normalità come fossero al bar. Mi chiedo come si possa essere catturati da un vortice di astrazione così avvilente ed evidente? I contagi in Italia non scendono di numero, in moltissime regioni gli ospedali fanno fatica ad accogliere gli ammalati a causa di saturazioni impreviste, e intorno a noi altri paesi come Germania e Francia adottano misure più restrittive, e noi dovremmo addirittura indebolire le difese già precarie dovute all’incuria passata prodotta dalle stesse cicale?

Persino capi di governo portati ad esempio all’inizio della pandemia dai negazionisti nostrani ed esteri come Johnson del Regno Unito, si sono convertiti al rigore. Chissà poi perché dovremmo abbandonare la cautela. Certamente le limitazioni per bar, ristoranti palestre, teatri, cinema, e zone sciistiche comportano conseguenze economiche per gli imprenditori interessati e per l’economia nazionale, ma decisioni maldestre ci procurerebbero danni ancora più ingenti. Costerebbe molto meno per la comunità indennizzarli che attizzare altri focolai d’infezione. Con le vaccinazioni siamo giunti alla fase più delicata e conclusiva come tutti possono ben intendere; stringere i denti qualche mese ancora potrà farci finalmente uscire dal tunnel indenni. Ma allora perché con un governo così importante appena varato, i rappresentanti di questa nuova maggioranza annunciata come di salvezza nazionale, non riescono proprio a stare al posto loro?

Con Mario Draghi alla guida della politica italiana il livello della discussione e dei propositi alti è molto cresciuto, e questo ha spiazzato gran parte della dirigenza dei partiti impegnati ormai da troppo tempo a concepire solo una comunicazione di tipo elettoralistica. Il livello delle attività nazionali ed internazionali di Draghi, potenzialmente possono mettere in crisi le dirigenze politiche, abituati come non sono a stare “sul pezzo”, soprattutto in momenti delicati come quelli che stiamo vivendo. Dunque un po’ per abitudine, un po’ perché è diventato ancor più arduo stare nell’agone politico, taluni capi di partito o aspiranti tali fanno la voce grossa per farsi notare o addirittura a intenzionalmente disturbare. Se le cose stanno così, le precauzioni del nuovo Presidente del Consiglio saranno ben presto prese dentro e fuori l’esecutivo. È evidente che in questi mesi gli italiani si giocano l’ultima chance per la propria condizione economica e sociale e per la loro reputazione internazionale.

La posta in gioco è così alta che non può essere sacrificata sull’altare di giochi di palazzo che abbiamo già conosciuto anni fa, quelli messi in atto già con Monti, reo in quell’epoca di agire con politiche economiche di rigore, purtroppo ancora necessarie per curare i mal d’Italia. E allora le forze politiche più avvertite dovranno prendersi le loro responsabilità ed adottare posizioni forti per evitare questa deriva. Ma anche il sistema di informazione dovrà scegliere sentieri più virtuosi, dando risalto alle notizie più adatte alla battaglia in atto, anziché proporre discussioni fuorvianti. Quando si affronta un nemico così dannoso per tutta la comunità come è il COVID, l’esigenza di sterilizzare ogni comportamento egoistico che può contrastare con gli interessi generali non può che essere la regola basica di comportamento per ciascuno. Ce lo hanno insegnato i nostri avi, così come lo pretende il buon senso. Proprio in queste circostanze, le classi dirigenti devono attenersi al silenzio laborioso. Il potere nella società italiana è molto parcellizzato; non esiste una forza politica che non abbia un proprio aderente che non sia sindaco di una città, che non sia presidente di una Regione, e poi assessori, ministri e sottosegretari. Se vogliono fare qualcosa di utile spronassero a una gara per azioni virtuose e non a chi la spara più in alto per compiacere chi in quel momento è esasperato ed ha bisogno di aiuto non con le parole ma con i fatti. È il momento di cambiare, con il silenzio laborioso.

Raffaele Bonanni

(ITALPRESS).

Franco Marini rappresentava il meglio della filosofia Cisl

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Conobbi Franco Franco Marini poco più che ventenne, e la prima impressione che ebbi fu di una persona dinamica, moderna: un trascinatore nato. Nel Sindacato aveva fama di leader incontrastato della vasta area del pubblico impiego, riferimento di lavoratori democristiani e di centristi in generale, in quella stagione caratterizzata dalla presenza di estremismi e velleitarismi in campo sociale e politico. Il suo linguaggio sindacale era inconsueto: era asciutto e pacato, con un profilo molto distante da qualsiasi altro protagonista del mondo del lavoro dell’epoca. Marini mi piacque subito. Per me rappresentava il meglio la filosofia del carattere originario della Cisl: l’attitudine alla concretezza degli interessi dei lavoratori, la visione positiva della dialettica tra capitale e lavoro, la vicinanza alla cultura contadina ed alla comune appartenenza alle tradizioni abruzzesi.

Si è formato nella Cisl spostandosi da un territorio all’altro della penisola, così come impegnandosi in più categorie merceologiche come capitava a molti giovani nell’epoca dell’epopea sindacale italiana. Molto pragmatico e flessibile, era noto per la tenacia nel conseguire risultati voluti. In questo era sindacalista a tutto tondo: ogni iniziativa doveva avere un risultato visibile. Da questa dinamica, era convinto, si sarebbero generati altri risultati influenzati da quelli precedenti, godendo della scia positiva determinatasi dalla esperienza precedente. Ma era anche molto apprezzato per la qualità rarissima di rispettare coloro che lo avversavano. Non amava le rotture senza via d’uscita ed è per questo che la sua conduzione della cisl è stata apprezzata ed ha potuto dare forza al Sindacato. La sua conclusione dell’esperienza sindacale coincise con la tormentata fine della esperienza della prima Repubblica e con essa fine della Democrazia Cristiana che lo vide militante già diciassettenne.

Nel 1991 lascia il Sindacato e viene nominato ministro del lavoro, determinando successivamente la sua militanza in ruoli altissimi nel Partito Popolare, nella Margherita e poi determinando in prima fila l’esperienza del Partito Democratico quale esperimento in cui credeva, per riassumere le culture legate all’umanesimo ed al lavoro per il rinnovamento della politica. Incessante il suo lavoro politico che lo porta all’alta responsabilità di Presidente del Senato, non perdendo mai di vista l’idea forza che lo muoveva: la politica è l’arte dell’accordo e del compromesso, indispensabili per garantire governabilità ed efficacia della azione politica. In questo Marini è stato sempre riconosciuto dagli avversari come leale e costruttivo; uno stile ed un modo di pensare lontanissimo dai clamori, rotture, e scontri della seconda Repubblica.

Pensava che la personalizzazione nella vita pubblica fosse una devianza grave da cui nasceva gran parte dei vizi che in verità hanno così tanto prostrato il nostro paese, così come rifiutava gli eccessi e vacuità del protagonismo mediatico. Ha saputo mantenere il sufficiente distacco e contegno persino quando fu colpito da fuoco amico nella elezione a Presidente della Repubblica. Si spegne proprio al nascere della esperienza Draghi che tanto gli somiglia per carattere e modo di intendere la vita pubblica. Sono sicuro che Franco Marini avrebbe fortemente parteggiato per questa nuova e forse ultima chance per gli italiani, per curare i mali economici, sociali, e del modo di intendere l’impegno in politica.

Raffaele Bonanni

Il ciclone Draghi sulla politica

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Applausi e giubilo degli italiani che accolgono la disponibilità di Mario Draghi a dirigere il governo italiano. Un apprezzamento che si esprime certamente per le sue preziose qualità da tutti riconosciute, ma credo anche per esorcizzare il lungo periodo caratterizzato da confusione, approssimazione, spregiudicatezze, inconcludenze. Insomma la voglia di riportare l’Italia alla normalità da lungo tempo violata. Questa è in definitiva il significato della sua disponibilità a proporsi come nuovo capo del governo tra le mille difficoltà. Sono convinto che l’ex governatore della Bce ne avrebbe fatto volentieri a meno, conoscendo la enormità del pasticcio in cui ci troviamo, ma di cosiddette ‘risorse della Repubblica’, non credo che oltre alla sua persona se ne possano trovare altre.

Avendoci lavorato negli anni 90, ha dimestichezza con i gangli vitali dello Stato, ha conosciuto la finanza americana, e ha ben governato la Banca d’Italia; ha confidenza con le istituzioni europee ed ha diretto magistralmente la Bce. Ovunque si è impegnato nel tempo, ha guadagnato rispetto, stima, autorevolezza, pur dando generalmente al suo impegno un carattere coraggioso ed originale. Insomma una personalità di statura mondiale in grado di muoversi in ogni scacchiere con la sufficiente padronanza come pochi eletti riuscirebbero a fare in questa epoca caratterizzata da una dinamica di potere sempre più a carattere globale. Dunque per noi italiani è una buona notizia che voglia dedicarsi al nostro governo. Si tratterà di vedere in questi giorni come si comporteranno le variopinte e numerose componenti politiche, ma sono sicuro che per ognuno di loro sarà difficile rifiutargli l’appoggio. Qualora ciascuno di essi non avesse pienamente a cuore le sorti del paese e dovesse continuare il loro teatrino, poi dovranno aspettarsi la sanzione della penalizzazione dell’elettorato in generale.

In queste ore le forze politiche cercano di esorcizzare le difficoltà: chi preoccupandosi di giungere al sostegno mantenendo unita la loro compagine di alleanza ultima, chi ripentendo con ossessione che comunque si dovrà andare al voto. Ma la verità è che Draghi, per l’attuale assetto politico di sinistra, di destra, populista e sovranista, avrà l’effetto di un ciclone. Giocoforza basterà la sua presenza per riportare a concretezza ogni progetto e gestione riguardo l’impiego di risorse prestate e garantite a fondo perduto dall’Unione Europea per attrezzarci modernamente; spiegare con naturalezza che è giusto finirla con l’assistenza per aiutare le persone consegnandogli una canna da pesca anziché regalargli il pesce, per indicare le strade del cambiamento con l’occhio attento alla nostra capacità di competere nei mercati internazionali. Cambierà anche il baricentro del potere in Europa: alla sostanziare motrice franco-tedesca, si aggiungerà anche quella italiana, in quanto la nostra credibilità, da tempo, è stata ridotta al lumicino. La compresenza politica di Draghi in Europa darà più forza e velocità al conseguimento dell’obiettivo di arrivare ad una vera Federazione della Unione.

Dunque ci sarà un cambiamento di fase non indifferente e non potrà che venirne finalmente un gran bene. Potrà finire il chiasso inconcludente e generare nuovamente l’idea semplice e vera che l’amministrazione di una comunità non può confondersi con la tifoseria sportiva: quella colorata di linguaggio trasgressivo e violento che ha l’effetto di paralisi ed annichilamento per il paese. Si potrà ristabilire il concetto basico che l’amministrazione pubblica riguarda ogni cittadino. Ciascuno legittimamente ha sue opinioni ed aspettative, ma il servizio politico riguardo l’insieme di ciascuno di essi comporta necessariamente trovare compromessi. Ecco la politica è la ricerca paziente e responsabile di una soluzione di compromesso per mantenere unità una comunità; concetto onorevole e ragionevole. Ma purtroppo nell’ultimo quarto di secolo, l’azione politica è stata concepita per vincere sottomettendo l’avversario. Per questa ragione siamo l’unico paese europeo a regredire su ogni piano, privo di coesione e responsabilità La speranza che questa dannazione finalmente finisca restituendoci tranquillità e prosperità in un mondo molto cambiato in cui l’Italia dovrà comunque riposizionarsi se volesse ancora essere annoverata tra i paesi civili ed economicamente avanzati.

Raffaele Bonanni
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