Il pallone racconta di Franco Zuccalà

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LA SERIE A RIPARTE CON UN PARI E UN RIGORE SBAGLIATO

Il campionato è ripreso con Torino-Parma (1-1), ma il bello deve ancora venire. Finora è stata appagata la curiosità per i particolari del protocollo: si è parlato infatti di pubblico virtuale, tifo virtuale, speriamo di non vedere solo calcio virtuale. In realtà allo stadio Grande Torino le tribune sono apparse vuote, senza trucchi nè inganni elettronici. I granata hanno esultato con abbracci in occasione del gol di Nkoulou. Dopo un centinaio di giorni senza pallonate -ma anche senza cinema e teatri- i nostri eroi hanno cominciato dandosi da fare: qualcuno si è arrabbiato per la sostituzione, lanciando la maglia (Berenguer): è tornato il calcio di sempre, anche se con qualche carenza qualitativa. La Coppa Italia, col trionfo del Napoli di Gattuso e la dèbacle della Juve di Sarri, sia pure ai rigori, avevano già infiammato i cuori e qualcuno aveva già visto la Lazio con lo scudetto al petto. Ma delucidazioni maggiori, sullo stato di forma dei biancocelesti, le avremo mercoledì in occasione di Atalanta-Lazio. E nella prima domenica del dopo virus ne sapremo di più dell’Inter che aveva ricominciato in… bruttezza facendosi eliminare dalla Coppa Italia, un trofeo in cui Conte sperava. Contro la Samp verrà ricordato Mariolino Corso, protagonista dell’Inter di Herrera che dominò il mondo. Per ora siamo al contorno di un campionato cominciato in un modo e destinato a terminare diversamente. Sulla strada dello scudetto del Coronavirus sapremo di più sulla tenuta del business del pallone, sulle intenzioni delle televisioni a pagamento e sull’organizzazione pallonara in generale. Gradualmente gli appetiti dei presidenti sono intanto cresciuti: c’è stato chi ha chiesto il pubblico negli stadi al più presto (Giulini del Cagliari, che spera nella rimonta col nuovo tecnico Zenga); chi si è lamentato a destra e chi a sinistra. Insomma il calcio è tornato in gran forma, con le sue eterne polemiche su tutto: il gioco, i risultati, gli arbitraggi. Irrati a Torino ci è sembrato in forma. Nelle prime prove, i cinque cambi non sono state sfruttate a pieno (quattro il Parma) dagli allenatori, ma col passar del tempo, chissà…Vedremo ben 124 partite in 45 giorni, una dose per elefanti. Se ci divertiremo ce lo dirà il campo, che era stanco di “riposare”. L’emozione dei primi calci le avevamo vissute in occasione di Juve-Milan di Coppa Italia, ma in tre partite giocate era sembrata una prova generale. Il campionato sarà una competizione più a lungo termine che potrebbe palesare qualche difficoltà. Quindi è più credibile. Torino e Parma hanno mostrato il giusto impegno, con qualche inevitabile sbavatura, ma anche con due gol. Se pensiamo che nelle tre partite di Coppa Italia, giocate dopo la sosta, nei tempi regolamentari sono stati segnate solo due reti, si può essere soddisfatti, anche se Belotti si è fatto parare un rigore da Sepe. Il Torino, dopo le sei sconfitte di prima della sosta, non è riuscito a vincere per i troppi errori in fase conclusiva e teme sempre più per la propria classifica. Il Parma spera sempre nell’Europa League: ha intanto agganciato il Milan. Adesso, spazio agli altri: vedremo se la sbornia della Juve sarà passata, se continuerà il buon momento del Napoli di Gattuso, se l’Atalanta continuerà da dove aveva finito, cioè a suon di gol, e se il Milan agguanterà l’Europa. I piccoli e grandi drammi pallonari sono dietro l’angolo. Speriamo che l’ingranaggio non si rifermi improvvisamente: è quello che tutti temiano.

SEMIFINALI DIVERSE E PROBLEMI DI FORMA MA IL CALCIO E’ RIPARTITO

La ripartenza ci ha restituito i vecchi vizi, le abitudini e le emozioni quasi dimenticate: la nostra impressione è che l’italico pallone abbia fatto meglio di quello tedesco. Il fatto che ci fosse un traguardo immediato da raggiungere (la finale di Coppa) ha inciso: il campionato ha tempi più lunghi. Ormai in questo calcio si punta più a un buon finale che a una prestazione uniforme: ride bene chi ride ultimo, diceva un vecchio proverbio. Nella speranza che nessuno abbia contratto il virus (i partenopei hanno esultato senza riguardo per le distanze), le due semifinali di Coppa sono state diverse, pur denunciando i problemi di forma delle squadre. E tuttavia anche se i gol sono stati pochi (due, tutti al San Paolo) il ritmo di Juve e Inter è stato superiore a quello di Milan e Napoli, ma i risultati dell’andata sono stati decisivi per la qualificazione e la finale Juve-Napoli mercoledì a Roma sarà un “deja vu”. Gli azzurri hanno dato spesso filo da torcere ai bianconeri. La Juventus avrà un giorno in più di riposo, ma qualcuno ha posto l’accento sul fatto che Cristiano Ronaldo abbia sbagliato parecchio (oltre al rigore mandato sul palo) e che forse non gradisce il ruolo di centravanti, dovuto anche alla presenza di Dybala a sua volta non decisivo come altre volte.

Dato che nel calcio non c’è la controprova, vedremo cosa farà Sarri in finale. Certo, il particolare che i bianconeri sono rimasti all’asciutto (fatto raro) contro un Milan non celebre per la propria saldezza difensiva (34 gol subiti in campionato), ha un significato e Sarri è tornato sulla graticola. L’assenza di Lazio, Atalanta e Roma nella fase finale dei Coppa Italia non permette giudizi sullo stato dell’arte per le squadre maggiormente in evidenza in campionato. Ma mentre la Juve si è qualificata per quel rigore in extremis segnato da CR7 a San Siro, la squadra di Conte non ha saputo approfittare della buona partenza e il gol di “Ciro” Mertens (ma si può lasciar via uno che segna 122 reti?) ha portato la squadra di Gattuso in finale. E’ stato messo in rilievo come il portiere partenopeo Ospina (che salterà la finale per squalifica) forse non è stato eccezionale sul gol dell’Inter, ma poi, col suo lungo lancio per Insigne, ha offerto un assist fondamentale per il gol del pareggio napoletano, che ha portato alla finale. Ora il fatto che Cristiano Ronaldo voglia mettere in bacheca il suo trentesimo trofeo personale non può essere considerato un elemento influente per la vittoria della Juventus: è solo il desiderio di un campione che deve tuttavia dimostrare sul campo di essere decisivo, al contrario di quanto ha fatto contro il Milan.

Scarsa consolazione, quella dei rossoneri, di aver lasciato l’Allianz Arena senza subire gol: l’espulsione di Rebic ha certamente influito sull’andamento della partita, ma non ci sembra che la squadra di Pioli (peraltro priva di Ibrahimovic, Hernandez e Castillejo) abbia impressionato particolarmente. Capiamo che ognuno si attacca come può a quel di positivo che ha fatto e che le circostanze e la lunga sosta abbiano pesato sul rendimento di tutti, ma non sappiamo se il Milan conquisterà l’Europa League in campionato. Delle due semifinali, più divertente è stata quella del San Paolo. Gattuso ha saputo fronteggiare l’ondata iniziale dell’Inter, piazzando al momento opportuno il colpo della qualificazione e ora spera di far lo stesso contro la Juventus nella finale di Roma. La squadra azzurra ha già chiuso la prima fetta di campionato in crescendo e adesso potrebbe portare a casa la Coppa Italia, grazie alla vivacità dei suoi folletti d’attacco. Ma deve essere più attenta in difesa. L’Inter non ha potuto contare in pratica sul contributo di Lukaku e del partente Lautaro. Conte ha visto crescere Eriksen, ma non gli altri del reparto offensivo, sicchè il predominio mostrato nelle prime fasi della partita non ha dato risultati.

E’ vero lo 0-1 di San Siro ha pesato sulla qualificazione, ma che dobbiamo pensare del fatto che nelle ultime partite giocate -prima della sosta -i nerazzurri le avessero prese, a vario titolo, da Lazio, Juve e Napoli e che adesso non siano riusciti a qualificarsi? Le sei vittorie iniziali in campionato avevano fatto già sognare lo scudetto, poi le buone premesse hanno lasciato il posto alle incertezze e non sono giovati i rinforzi invocati da Conte (Eriksen, Young, Moses), per cambiare il corso degli eventi. Gli arbitri si sono dimostrati meno ondivaghi del passato: Orsato è andato al Var per dare il rigore alla Juve dopo aver sorvolato; poi ha giustamente cacciato Rebic; per Rocchi solo una manina non vista, al San Paolo. Poca roba. Si sa che nessuno resta mai contento, specie se perde. E’ stata confermata l’inadeguatezza di un calcio senza pubblico: ma dato che si doveva salvare la stagione (e soprattutto la cassa), non si può sottilizzare. La Rai ha fatto il pieno di ascolti: la gente era stufa di minestre riscaldate. La diretta del calcio è un’altra cosa: pur senza enfasi e commenti facinorosi offre pathos ed emozioni. Più delle stucchevoli fiction. Specie se gratis.

ITALIA’90, 30 ANNI FA “NOTTI MAGICHE” RIMASTE NEL CUORE ITALIANI

Quello del 1990, del quale in questi giorni rievochiamo il trentennale, sembrava un Mondiale su misura per il calcio azzurro: la squadra era competitiva e l’ambiente favorevole ai ragazzi di Azeglio Vicini. Invece l’Italia arrivò terza dietro la Germania e l’Argentina. Personalmente, fu uno dei dieci Mondiali seguiti e per la prima (e ultima) volta da telecronista. Con un ristretto manipolo di colleghi fumo distaccati infatti alla cosiddetta Alta Definizione che sarebbe l’attuale sistema di trasmissione su grande schermo, allora in fase sperimentale. Il mancato successo finale degli azzurri, che vinsero tutte le partite meno quella con l’Argentina a Napoli (persa ai rigori contro la squadra di Maradona che giocò…in casa) venne considerata una sconfitta. Alla squadra ereditata, da Bearzot, Vicini aggiunse all’ultimo momento, Totò Schillaci che aveva fatto mirabilie con la Juventus e segnò ben sei gol ai Mondiali. Gli stessi che aveva fatto Paolo Rossi, passato alla storia: ma Pablito aveva vinto il Mondiale, Schillaci no. Sull’Italia nel 1990 infatti si abbattè la maledizione dei rigori che avrebbe pesato pure sul Mondiale del 1994 negli USA. Il clima era favorevole agli azzurri anche perchè il Brasile non era irresistibile, l’Olanda campione d’Europa fu messa k.o. dalla Germania e l’Inghilterra era dalla portata degli azzurri che conquistarono il terzo posto proprio con i “bianchi leoni”; l’Argentina, con Maradona, era la squadra più difficile e infatti a Napoli battè gli azzurri, sia pure ai rigori. La squadra di Vicini esordì contro l’Austria e dominò la partita, vincendo nonostante un infortunio di Ancelotti che aveva colpito un palo. Sullo 0-0, a un quarto d’ora dalla fine, entrò Schillaci al posto di Carnevale e segnò subito, al primo tiro, su assist di Vialli. Sembrò un segno del destino. Contro gli USA, successivamente, la vittoria venne grazie a un gol di Giannini. Il terzo incontro mise davanti agli azzurri la Cecoslovacchia: Vialli e Carnevale furono esclusi e a segno andarono Schillaci e Baggio. Si capì in quel momento che gli azzurri avrebbero potuto andare lontano. Infatti negli ottavi contro l’Uruguay, un avversario molto difficile, fu Schillaci a sbloccare la partita dopo 65′ e Serena segnò il secondo gol. Il siciliano era diventato titolare insieme con Baggio e Vialli si adontò molto per l’accantonamento. Quando Schillaci risolse la partita con l’Irlanda, si capì che Totò era l’uomo del mondiale e divenne un intoccabile. Il punto forte della squadra azzurra era comunque la difesa, che non aveva subito nemmeno un gol in cinque partite. Vicini a questo punto tolse Baggio (che entrò nel corso della gara) e fece giocare dall’inizio Vialli, in coppia con Schillaci. Contro l’Argentina in semifinale, l’Italia giocò male, ma tuttavia andò in vantaggio con il solito Schillaci. Napoli tifò Maradona e quindi Argentina. E Zenga, abbagliato dai riflettori si disse, su un centro di Olarticoechea, uscì male e Caniggia (un altro “italiano”) pareggiò. Il primo gol subito dalla difesa azzurra fu fatale. Nonostante l’espulsione dell’argentino Giusti, l’Italia non riuscì a vincere nei supplementari e ai rigori ebbe la peggio. I tiri di Donadoni e Serena furono parati da Goycoechea e l’Argentina andò in finale. Fioccarono le polemiche per la prova di Vialli, l’errore di Zenga e il tifo napoletano per i nostri avversari.
L’altra finalista fu la Germania, che aveva battuto l’Inghilterra, anch’essa ai rigori. L’Italia finì a Bari per la finalina, vinta per 2-1 sull’Inghilterra (gol di Baggio, Platt e Schillaci su rigore). La partita per il titolo, a Roma, fra Germania e Argentina, non fu bella: anzi, lasciò una lunga scia di polemiche. I sudamericani avevano vinto la finale in Messico nel 1986 e i tedeschi si presero la rivincita all’Olimpico. A decidere, un rigore molto dubbio di Brehme a 6′ dalla fine. Maradona pianse di rabbia anche perchè il pubblico lo riempì di insulti per quello che era successo a Napoli contro l’Italia. Ovviamente nel dopo Mondiale se ne dissero tante: si parlò di presenze femminili nel ritiro azzurro, si polemizzò per le scelte di Vicini e l’errore di Zenga. Chi ne uscì vincitore fu Totò Schillaci, entrato nella storia azzurra per i suoi sei gol. La Germania, nonostante il discusso rigore in finale, meritò di vincere: aveva battuto di seguito la Jugoslavia, la Colombia, l’Olanda, la Cecoslovacchia, l’Inghilterra e l’Argentina. La squadra di Franz Beckenbauer poteva contare, fra gli altri, su Illgner, Brehme, Kohler, Littbarski, Voeller, Matthaeus e Klinsmann. Molte facce erano note nel nostro campionato, come quella di Maradona che non raccolse molte simpatie fra i tifosi italiani. Purtroppo anche l’Italia aveva perso una grande occasione. Ma quel Mondiale e le sue “notti magiche” inseguendo un gol, cantate da Gianna Nannini e Edoardo Bennato ci sono rimaste nel cuore.

SARA’ LO “STESSO” CAMPIONATO ?

Il torneo della canicola, che si profila all’orizzonte, non sarà a nostro avviso una prosecuzione di quello che è stato sospeso alla 26ma giornata: sarà un’altra cosa, un altro campionato per diversi motivi e altre regole. Giovedì prossimo -a quanto pare- verrà presa una decisione sul da farsi e sulla formula da adottare, visto che per ragioni economiche occorre riprendere a giocare da dove si è sospeso e condividiamo l’opinione secondo cui non è giusto cambiare formula in corsa. Già è tutto cambiato, per certi versi, perchè difficilmente le condizioni di forma e gli stati d’animo saranno quelli di prima: dopo quattro mesi le squadre saranno “diverse”, i giocatori saranno “diversi”, il campionato quindi sarà “diverso”. Il fatto che si giocherà a porte chiuse, in un clima torrido, con la paura di essere contagiati e con qualche particolare nuovo (cinque sostituzioni e arbitri a distanza, come ha auspicato Rizzoli) ci induce a definire questo spezzone di stagione decisamente una soluzione d’emergenza, che ben poco ha da spartire con quello che era lo stato dell’opera al momento della sospensione. Ma c’è stato il Coronavirus e non possiamo stare a guardare il pelo nell’uovo, anche se i peli e le uova sono molti.
Solo 300 persone allo stadio, test sierologici frequenti, trasferte con due pullman, entrata in campo in tempi diversi, cronometri igienizzati, conferenze stampa via whatsapp sono le misure che dovrebbero essere adottate. Ora vogliamo anche vedere se le condizioni economiche generali (incasso dell’ultima rata dai broadcaster, quotazione degli stipendi dei calciatori per i mesi di inattività, ecc.) verranno accettate, come la stessa limitazione dell’autonomia delle società. Nei giorni scorsi c’è stata una levata di scudi dei presidenti perchè pare che il governo voglia ficcare il naso nei fatti dei club. Questo non sta bene ai presidenti, il che ha fatto pensare ai politici -uomini di mondo, abituati a certe cose- che ci siano dei cadaveri negli armadi delle società. Ammesso che tutti i rospi vengano ingoiati in fretta (e senza conati di vomito) e si parta (13 o 20 giugno) in tempo per concludere la stagione (20 agosto più o meno), correndo a perdifiato (ci sono squadre ancora in corsa per Champions, Europa League e Coppa Italia), pensiamo che in ogni caso ci sarà chi eleverà alti lai verso il cielo. Ah, ci hanno fregato, campionato falsato, ecc. Che la stagione sia anomala, non ci sono dubbi: per questo riteniamo una illusione pensare che la coda del campionato possa essere considerata una continuazione di quello che era successo prima. Sarà come quando tagliano la coda a una lucertola e l’appendice continua a ballare da sola, ma non fa più parte del corpo principale dell’animale. Facciamocene una ragione, comunque: se bisogna andare avanti a ogni costo, occorrerà far finta di niente. In ogni caso, ci sono stati esperti della pratica e soprattutto della filosofia del pallone che hanno fatto notare come in Germania – dove son passati all’azione, giocando senza paura- oltre i tifosi e gli obiettori di coscienza (calcistica) siano spariti i dribbling: i giocatori avrebbero paura a rischiare. Senza pubblico non oserebbero più come una volta. Da noi, per la paura del contagio si eviteranno gli scontri fisici, si giocherà un calcio da signorine ? E basteranno poche settimane di allenamento, senza amichevoli, per portare i giocatori in condizione, evitando infortuni ? Saranno decisive le forze fresche: chi avrà più “munizioni” per le cinque sostituzioni si troverà meglio. Ci sono molti punti interrogativi. C’è inoltre chi ha fatto i calcoli e ha stabilito che giocando a porte chiuse ci sarà chi ci perderà (la Juve schiacciasassi allo Stadium) e chi ci guadagnerà. Si può dire di tutto. Ad occhio e croce, a parte la lotta per lo scudetto (Juve, Lazio e Inter), ci sarà da vedere se l’Atalanta confermerà il suo posto in Champions; se sarà il Milan a conquistare l’Europa League dove Roma e Napoli sembrano “sicure”: Parma e Verona sono in agguato; bisognerà inoltre stabilire chi eviterà la B, oltre a Spal e Brescia. Occorrerà vedere chi sarà favorito dal calendario. Tenendo in considerazione quello delle prime tre (Juventus p. 63, Lazio 62, Inter 54), la capolista ha superato lo scoglio Inter prima della chiusura. Adesso dovrà affrontare il derby in casa, il Milan a San Siro, poi l’Atalanta, la Lazio e la Roma allo Stadium. La squadra di Inzaghi, andrà a Bergamo, a Torino contro la Juve, come detto, e affronterà Verona e Napoli fuori. L’Inter, che recupererà la partita casalinga con la Samp, andrà a Verona e all’Olimpico contro i giallorossi, poi affronterà il Napoli in casa e l’Atalanta fuori. Forse abbiamo corso molto perchè occorrerà vedere in quali condizioni di forma si presenteranno non solo i goleador (Ronaldo, Immobile, Lukaku per fare tre nomi), ma le squadre in generale: siamo sicuri che la Juve sarà quella di prima e che la Lazio e l’Atalanta torneranno brillanti ? E l’Inter ? Ma soprattutto la domandona è questa: verrà portato a termine il campionato ?

LA BUNDESLIGA HA INDICATO LA VIA, COSA FARANNO GLI ALTRI?

Dopo la ripartenza dei tedeschi, come reagirà il Mondo, l’Europa, l’Italia del calcio ? La Bundesliga ha fornito un primo esempio di quello che potrebbe essere il campionato ai tempi del coronavirus. Il transfuga Klopp, dall’Inghilterra, se ne è detto entusiasta. Certo, bisognerà vedere cosa succederà negli esami medici dei prossimi giorni per dire con sicurezza se si può ricominciare ovunque, anche da noi. In ogni caso, abbiamo capito come saranno le partite dell’immediato futuro: senza pubblico, con i giocatori che non si rotoleranno per terra in occasione dei gol, uno sull’altro, ma si daranno solo di gomito con grazia e a distanza. Inoltre, pallone sanificato, riserve in tribuna dietro le panchine, fair play per evitare perniciose scazzottature. Qualcuno ha già detto che senza i tifosi non ci può essere spettacolo, ma si sa che da tempo il nostro sport non è più calcio per mille motivi: le regole che cambiano ad ogni piè sospinto, i contratti che vengono ignorati o stracciati, le risse di cortile sui canali televisivi e altro ancora. Insomma, è un’altra cosa, che può piacere o no, specie agli antichi suiveurs.

Nemmeno la vita di tutti i giorni del resto, è quella di prima, con le mascherine che ci impediscono, per la strada, di riconoscere i nostri parenti più vicini, le distanze da osservare, la salute da preservare dagli assalti del virus che non si riesce a sapere dove sia: in cielo, in terra e in ogni luogo. Ma siccome ci tocca ingoiare l’amara pillola finchè quest’emergenza non finirà, è già qualcosa – in assenza di cinema, teatri e spettacoli d’arte varia – che si possa assistere a qualche partita, anche se molti pensiamo (e alcuni lo hanno fatto) che sia il caso di lasciar perdere e ricominciare in autunno con il prossimo campionato. Epperò, ci sono i soldi dei club di mezzo e uno straccio di tentativo di ricominciare bisogna farlo. Le idee sono talvolta confuse, ma la buona volontà è tanta. In ogni caso, la Germania è passata dalle chiacchiere alla pratica, mentre altri (fra cui noi) fanno filosofia e non decidono nè di fermarsi, nè di ricominciare. I politici bisogna capirli: hanno delle responsabilità e devono evitare di commettere errori (ci sono di mezzo credibilità ed…elezioni) e quindi vogliono scaricare la decisione su altri.

Così da noi il premier Conte, assediato dai critici che non gli perdonano nulla, dato che il potere logora chi non ce l’ha (Andreotti), ha dato un colpo di freno agli entusiasmi dei calcianti, dicendo che per far partire il campionato occorrono garanzie che ali momento non ci sono. Ma il campionato italiano è fra quelli che non hanno certezze. Siamo andati a scartabellare e sono parecchie le nazioni che hanno fissato delle date di inizio, ma prevalentemente domina l’incertezza. In Spagna, per esempio, contano di recuperare il terreno perduto a tappe forzate (in campo ogni 72 ore) facendo giocare le partite in orari che terranno conto del “calor” locale, dato che nella penisola iberica l’estate non è uno scherzo: alcune gare potranno cominciare alle 23, finendo all’una di notte. Un campionato per nottambuli. Dall’Inghilterra (dove sarà un lunedì di incontri fra i capitani che vogliono rassicurazioni sulla salute) è giunta notizia dai tabloid che un ignoto giocatore dal nome importante e dal portafogli ben fornito, ha affittato un jet, un locale e un appartamento di Parigi per una serata a luci rosse, poi è tornato a Londra per allenarsi, ma mantenendo le dovute distanze…

Intanto, leggendo i bollettini della Protezione Civile, si vede che i numeri dei contagiati e dei morti (in calo, ma sempre di persone si tratta, non di cifre) sono più rassicuranti, ma si teme che l’apertura indiscriminata a tutte le attività, ai viaggi, possa provocare un ritorno del “caro” virus. Poi, si sa, noi siamo più realisti del re e, non fidandoci gli uni degli altri, sono in corso ispezioni presso le società al lavoro, inchieste e quant’altro per tenere occupate le persone. E c’è chi si chiede chi abbia sbagliato il protocollo. Già, il protocollo. Bisogna ritoccarlo. Al momento comunque, ci sono alcune società con un passato importante (il Catania) che rischiano di fallire, gli arbitri che chiedono rispetto e tante variazioni sul tema. Rizzoli, il designatore, ha detto che in ogni gara un fischietto prende circa 200 decisioni e quella più difficile riguarda sempre la volontarietà del “mani”, specie in area, nonostante la presenza del Var. Insomma nel salotto buono del pallone si disquisisce e si chiacchiera amabilmente del più e soprattutto del meno, in attesa che la palla torni a rimbalzare. Le ultime dicerie ci fanno sapere che, mentre il Coronavirus si è fermato a Parma, contagiando qualche giocatore (due in isolamento dopo un primo tampone positivo e un secondo negativo), i presidenti per metterci su i soldi della ripresa, vogliono avere la certezza di giocare il 13 giugno.

Altrimenti niente. E, per cambiare, pullulano i dubbi: completare la stagione giocando tutte le 12 partite non disputate, i recuperi e la Coppa Italia, oppure finire l’annata con i playoff? Vedremo. Ma chi ci potrà assicurare che qualcosa si farà? Per adesso l’unico sport praticato è quello dello scaricabarile.

IN GERMANIA CALCIO BATTE COVID IN ATTESA DEI TEST

Si può fare. Per ora, Calcio batte Coronavirus: vedremo che succederà dopo i test. E’ ripartita così la Bundesliga e noi tutti appassionati di calcio in astinenza da oltre due mesi non potevamo glissare. Il “sì” di Angela Merkel è stato da esempio per gli altri, pavidi attendisti di tutto il mondo. Così tutti noi calciofili dalle Alpi alle Piramidi, ci siamo messi davanti al televisori: abbiamo spasimato per Borussia Dortmund-Schalke 04 e tutte le altre partite della Bundesliga. Del resto, con i cinema e teatri chiusi, è stato il primo spettacolo fruibile. Il primo, senza canovaccio. Un pò di ruggine degli attaccanti, all’inizio, un pizzico d’invidia (e di preoccupazione) per il calcio tedesco, nel sentimento comune. E abbiamo appreso, oltre alle pallonate, che i club più importanti del calcio teutonico hanno stanziato 20 milioni di euro per aiutare i club in difficoltà economiche e rimettere in piedi il baraccone. La cooperativa del pallone ha bisogno di stampare soldi anche in Germania. Erano in programma sei partite e, seguendo la tv, è sembrato di assistere, col passare dei minuti, alla resurrezione del calcio. Intendiamoci: avevamo assistito a parecchie partite senza pubblico e ci rendiamo conto che qualcuno doveva pur cominciare in qualche modo. Troppi interessi in ballo. Ma che le prime partite della ripresa (sei) si siano giocate a tribune vuote (ammesse solo 322 persone a partita, compresi gli operatori della tv) e, da qualche parte, con i cartonati dei tifosi (pochi: 20 euro l’uno versati per beneficenza) hanno fatto sembrare le gare delle pièces teatrali, dove tutti recitavano una parte, come gli attori o forse le marionette. Si fa strada l’idea di giocare sempre senza tifosi maleducati. Lo spettacolo comunque non ha deluso in generale. Il Dusseldorf ha preso solo pali, il Lipsia l’ha scampata bella. La Bundesliga perderà teoricamente 750 milioni di euro, ha detto la federazione, ma per i vantaggi d’immagine e l’orgoglio di aver dato i primi calci al pallone, è valsa la pena, considerato che le tv detentrici dei diritti hanno scucito senza batter ciglio i 300 milioni di euro dell’ultima rata annuale. Sono stati appesi gli striscioni, da parte degli addetti e ci è stato risparmiato lo strazio del tifo “finto”, diffuso nello stadio dagli altoparlanti, come capita in Giappone. Il primo gol dopo la sosta è stato di Haaland del Borussia Dortmund (che ha strapazzato lo Schalke), un bel gol. Poi ci ha messo lo zampino pure l’italiano Vincenzo Grifo il cui angolo è stato deviato da Gulde: i gol sono in seguito fioccati. I giocatori sono disciplinatamente andati a fare a doccia, a fine gara, a casa o in albergo. Il pallone doveva essere sanificato di tanto in tanto, ma noi non ce ne siamo accorti. Ai margini del campo, quattro raccattapalle (minimo 16 anni) con mascherina, riserve sulle tribune, a distanza, dietro le panchine. Non abbiamo visto molti allenatori col bavaglio. A proposito di tecnici: quello dell’Augsburg, Heiko Herrlich, che era stato assunto appena il 10 marzo scorso e avrebbe dovuto esordire in panchina contro il Wolfsburg, è stato beccato con le mani nella marmellata. Così non ha potuto guidare la squadra bavarese (1-2 contro il Wolfsburg) che si è ripromesso di salvare dalla retrocessione: era andato a comprare un dentifricio e una crema per le mani, lo sciagurato, lasciando l’albergo del ritiro e infrangendo una delle drastiche regole “inflitte” dalla Bundesliga a tutte le squadre. Denti e mani pulite, ma fedina “sporca”: si farà la sua bella quarantena, due tamponi e poi si vedrà. Si è giocato con la possibilità di cinque sostituzioni. Nessuno ha esagerato. Quanto ai test: le società pagheranno di tasca loro i 20.000 tamponi (due la settimana per ciascun componente del club) previsti sino a fine stagione. Altro che servizio sanitario nazionale ! Ma quello che ha impressionato gli osservatori (televisivi, come noi) la disciplina di questo calcio tedesco da Coronavirus: niente abbracci, niente strette di mano, i gol sono stati festeggiati con un colpo di gomito. Distanziamento fisico per quanto possibile, salvo che nelle azioni di gioco. Per fortuna neppure sputi, portatori di virus. I giocatori tedeschi ci sono apparsi educatissimi. E’ mancato quindi il “sangue”, per ragioni sanitarie, e chissà se ci saranno gli insulti nelle trasmissioni, come da noi. Un tecnico tv è stato stordito da una pallonata, ma non vale perchè non giocava. Arbitri dai cento occhi hanno usato il VAR e sorvegliato sul rispetto delle regole. Ora aspettiamo gli esiti dei controlli sanitari. In caso di positività dei giocatori, i malati saranno sostituiti dai giovani del vivaio e si potrà arrivare, in caso di diffusione grave della malattia, alla sospensione del campionato. In gran forma i telecronisti, rianimati dai primi gol del rinascimento pallonaro.

LA NAZIONALE COMPIE 110 ANNI, IL SICILIANO CALI’ PRIMO CAPITANO

Sono passati 110 anni da quando la Nazionale gioco’ la prima partita. Era il 15 maggio 1910 e l’Italia batte’ a Milano la Francia per 6-2. Lana segno’ tre gol per gli azzurri e le altre reti furono messe a segno da Fossati, Rizzi e Debernardi. Le cronache dell’epoca raccontano che allo stadio civico dell’Arena c’erano 4.000 spettatori. L’arbitro era l’inglese Goodley (tesserato per la Juventus) e l’Italia varata da Umberto Meazza (da non confondere con Giuseppe Meazza, il “Balilla”, che 24 anni dopo si sarebbe laureato campione del mondo a Roma con la squadra di Vittorio Pozzo), capo di una commissione formata da Camperio, Crivelli, Gama e Recalcati, si schiero’ cosi’: De Simoni (Milanese); Varisco (Milanese), Cali’ (Doria); Trere’ (Ausonia), Fossati (Inter), Capello (Torino); Debernardi (Torino), Rizzi (Ausonia), Cevenini I (Milan), Lana (Milan), Baiocchi (Milanese). Il varo della squadra azzurra fu difficile. La “palla al calcio” aveva poco spazio sui giornali dell’epoca. Erano atletica (si parlava per mesi della “Cento chilometri”) e ciclismo (anche se non c’era ancora il Giro d’Italia) a farla da padroni. Fu Emilio Colombo della “Gazzetta” a dare impulso al football.
Un mese prima della partita d’esordio non si sapeva quale criterio usare per scegliere la formazione, ne’ si conosceva l’avversario: Francia, Svizzera o Ungheria ? Si penso’ di mandare in campo una delle squadre del campionato: la Pro Vercelli “tutta italiana”. Ma per lo scudetto si doveva giocare una finale, il 24 aprile, fra i vercellesi (che avevano molti militari impegnati) e l’Inter. Una serie di polemiche sulla data fece si’ che i piemontesi mandassero in campo una squadra di quattordicenni e l’Inter vinse 11-3. La Pro Vercelli venne punita e cosi’ per la prima partita azzurra ben sette vercellesi erano squalificati. Per varare la formazione vennero fatte delle prove fra i “probabili” e i “possibili”. Parecchi giornali ignorarono la partita di Milano: il Corriere della Sera ne parlo’ dopo la vittoria sula Francia, reduce da tre sconfitte e 20 reti subite. Nel 2010 siamo stati invitati in una piccola cittadina siciliana, Riposto, dove era nato il primo capitano della Nazionale, Franz Cali’ e dove in seguito e’ nato Franco Battiato, celebre cantante ed ex calciatore, alla celebrazione dei cent’anni azzurri e in particolare della partita di “capitan” Franz Cali’. Cosi’ abbiamo appreso una storia d’altri tempi, che abbiamo approfondito con la lettura di un libretto molto particolareggiato (“Il primo capitano”), scritto dai colleghi Giuseppe Bagnati e Gaetano Sconzo. Dal porto di Riposto partivano i velieri che portavano i vini siciliani in giro per il mondo e la famiglia Cali’ ne possedeva alcuni. Ai tempi dello sbarco dei Mille ne aveva prestato uno a Garibaldi per portare i soldati in Calabria. Successivamente la ditta ebbe problemi a causa dei pirati che avevano danneggiato la piccola flotta. Cosicche’ Bruno Cali’, padre di Francesco (Franz), aveva deciso di mollare tutto e di andarsene in Svizzera, a Zurigo. I suoi figli erano piccolissimi, crebbero e studiarono in terra elvetica e si appassionarono al gioco del pallone. In eta’ giovanissima cominciarono a giocare nel F.C. Zurich -era il 1895- e mentre Salvatore era portiere, Franz faceva il jolly di centrocampo. Poi papa’ Bruno Cali’ alla fine del secolo trasferi’ la sua attivita’ a Genova e i figli, dopo un provino, furono ingaggiati dal “Grifone”: come si sa, il Genoa vinse sei dei primi sette scudetti della storia calcistica italiana. La sua egemonia venne interrotta dal Milan nel 1901. Franz Cali’ gioco’ in tutti i ruoli, prima terzino, poi centrattacco nello partita-scudetto col Milan persa per 3-0. Per farla breve, dato che nel Genoa imperversavano gli inglesi che non vedevano di buon occhio “lo svizzero” (cosi’ lo chiamavano perche’ veniva dallo Zurigo), quando si formo’ l’Andrea Doria lui passo’ sull’altra sponda del calcio genovese. Erano i tempi eroici del calcio e si narra che lui, per allenarsi e poi andare al lavoro, si alzava alle cinque del mattino per correre nel rione Castelletto. Dopo la doccia, andava a lavorare alle otto. Allora i calciatori tesserati facevano pure da arbitri, perche’ non c’era ancora una “associazione” appposita. E cosi’ diresse la partita al campo di Ponte Carrega che assegno’ il quarto scudetto al Genoa in una partita contro la Mediolanum (1-0). Nel 1910 venne organizzata la prima partita della Nazionale, a Milano contro la Francia, come detto. Franz Cali’ fu convocato, gli pagarono il biglietto del treno e l’allenatore Umberto Meazza lo nomino’ capitano perche’ era il piu’ anziano (28 anni). Venne il gran giorno a all”Arena, contro la Francia (6-2), la Nazionale “azzurra” indossava una maglia… bianca con il colletto e i polsini inamidati. Fu scelto il bianco perche’ le magliette colorate costavano…sette centesimi in piu’. Il resto della divisa era…a piacere. Ognuno si porto’ da casa il materiale di cui disponeva. Perche’ sulla divisa ci fosse qualcosa d’italiano, signore della buona societa’ portarono dei nastrini tricolori e li appuntarono sulle maglie dei giocatori. Nella prima foto della Nazionale si vedono i giocatori vestiti con pantaloni corti, lunghi, lunghissimi, sorretti da cinture strette in vita, calzettoni in genere scuri, ma dalle tonalita’ diverse. Anche le scarpe erano di foggia variegata. Il guardalinee italiano signor Bosio portava tanto di bombetta in testa. Abbiamo letto che, in premio per la vittoria, ai giocatori vennero dai dei pacchetti di sigarette. La Gazzetta elogio’ Cali’, che diede a Rizzi la palla del quarto gol azzurro, elogi pure per il triplettista Lana, Capello e Fossati. Franz Cali’ partecipo’ poi alla trasferta fantozziana di Budapest, in cui Trere’ porto’ panini al prosciutto che andarono a male e il viaggio fu caratterizzato da coincidenze perse e da altri contrattempi che causarono un ritardo abissale all’arrivo e una sconfitta pesantissima per 6-1 contro l’Ungheria. La maglia azzurra venne indossata dalla Nazionale, in onore ai colori di Casa Savoia, alla terza partita contro l’Ungheria (0-1) a Milano in cui giocarono quelli della Pro Vercelli. Franz Cali’ non c’era piu’ e si puo’ dire paradossalmente che il capitano…non indosso’ mai la maglia azzurra. Storie di 110 anni fa.

SERIE A “NUOVA” FRA VIRUS, POLITICA, E CINQUE CAMBI

Il calcio naviga a vista, ma il via libera “condizionato” dal 18 maggio (campionato a meta’ giugno ?) agli allenamenti collettivi ha acceso una speranza. Ma occorrera’ aspettare (probabilmente lunedi’) per il via libera. Sull’onda della politica, il nostro calcio procede in varie direzioni: chi riparte, chi si ferma, chi non sa cosa fare. I 233 milioni dei diritti tv che ballano sono il motore di tutto. I broadcaster e i “licenziatari” si accorderanno in presenza della fatture emesse dai club ? Le societa’ faranno gli sconti richiesti dalle tv che li trasferiranno agli utenti ? O comincera’ una guerra legale che non si sa dove portera’ ? Per la serie A i soldi delle tv sono ossigeno e quindi c’e’ la giusta causa per riprendere e incassare. Nelle prossime ore si capira’ di piu’: le riunioni fra politica e calcio si susseguono. Ma chi ha riacceso (o sta riaccendendo) i motori deve fare i conti sempre con il Coronavirus: abbiamo letto dei (parecchi) giocatori o membri degli staff trovati positivi. Qualcuno si e’ ripreso, altri no. Il calcio rischia di diventare un lazzaretto, come quello della vita di tutti i giorni. C’e’ sempre qualche contagiato in piu’ e qualche guarigione. E se la pandemia si estendesse ? Il nuovo protocollo sulle misure della ripresa verra’ accolto da tute le parti ? Ancora c’e’ chi si chiede cosa fare in un momento cosi’ brutto e complicato. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino. In tutta Europa, atteggiamenti variegati: la Dinamo Dresda ha avuto un intoppo come l’inglese Brighton, chissa’ che succedera’ altrove. Da noi, la scoperta del secolo e’ che le mafie influiscono su certe frange di tifosi e vogliono metterci becco: se si gioca, se non si gioca, e se si riprende a porte chiuse. Gli “strani” (strani ? Diremmo scontati) interessi di chi comanda dietro le quinte e vuole dettar legge, stanno lentamente emergendo. Nel settore “angeli”, ci si chiede se si puo’ esultare per un gol mentre c’e’ chi muore; nella tribuna “satanassi” c’e’ chi pone un quesito utilitaristico: come si puo’ giocare senza tifosi ? Che calcio e’ ? E’ sottinteso che ci sono delle organizzazioni cui fa comodo movimentare tutto per trarne utili che in questi momenti di magra non possono ottenere. Pensate solo a cosa “muove” la presenza dei tifosi sulle tribune. Stando ad alcune inchieste del passato, si e’ scoperto che il bagarinaggio e tutto cio’ che ruota attorno a una partita (si e’ parlato di viaggi, generi alimentari, hotel ecc.) ha dei fruitori piu’ o meno occulti. C’e’ chi sta finalmente “scoprendo” un mondo sommerso che va in parallelo con quello che si vede in superficie. E il giro delle scommesse ? Pensate a quanti danari si muovono se si gioca e quanti se ne perdono se il campionato e’ fermo. Il calcio e’ anche questo. A noi premono i destini del mondo del pallone in senso stretto, ma ci rendiamo conto che attorno al campo di gioco ci sono una flora e una fauna variegate di cui tener conto. E a proposito di fatti tecnici, si stanno soppesando le nuove regole sui cambi: cinque o sei in occasione di prolungamenti. Le intenzioni sono buone, intendiamoci. Si pensa infatti a una (possibile ?) prosecuzione del campionato in estate e ai probabili incidenti che ne scaturiranno. Ma siccome i tecnici sono pronti a sfruttare tutte le pieghe del calcio per trarne vantaggio, stanno gia’ pensando non solo alle salute dei calciatori, ma anche a vincere sfruttando i cambi. Quante volte abbiamo sentito la frase: il tecnico tale ha vinto azzeccando le sostituzioni ? Erano tre, ora saranno cinque. Cioe’ la meta’ dei giocatori di movimento campo. Chi ha tanti elementi di qualita’, potra’ cambiare la fisionomia della propria squadra e chi non li ha ciccia. Ci saranno tre slot, cioe’ i periodi in cui poter fare le sostituzioni, ma sara’ un gioco da ragazzi per i tecnici piu’ arguti aggirare gli ostacoli. In realta’ il campionato “a due formule” (prima a tre e poi con cinque cambi) gia’ presenta aspetti discutibili. Su questo argomento i filosofi del pallone formuleranno le loro pungenti teorie: quelli cui le novita’ non piacciono, parleranno di campionato falsato, c’e’ da scommetterci, mentre altri esulteranno. E’ nostra convinzione che il nostro gioco preferito stia gradualmente e definitivamente cambiando pelle. Un altro argomentino di stagione e’ quello degli stadi. Abbiamo detto tante volte che i nostri sono ormai obsoleti e inadeguati. Cosi’ alcuni imprenditori illuminati sono venuti da lontano per prendere in mano societa’ in difficolta’ e poi passare alla “fase 2”, quella cioe’ della costruzione di stadi nuovi, per farci un po’ di soldi. Ma sbattono contro la nostra granitica burocrazia e con la politica che qualcosa vuol lucrare: consenso, popolarita’. Certe cose sono nei fatti: nessuno viene a fare beneficenza in Italia, scoprendosi tifoso sfegatato di questa o quella squadra. Poi i “benefattori” scoprono che “Cca’ nisciuno e’ fesso” e tentano di andarsene alla chetichella, senza danni, ma non vi riescono.