La Barba al Palo di Italo Cucci

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Gasperini l’eroe del momento

Le grandi corrono – anche l’Inter con le paturnie veneziane – verso la Champions, la Fiorentina più bella degli ultimi dieci anni – bisogna risalire alla Viola di Montella – s’intrufola nel vertice della classifica premiando la scelta di Palladino. Ma l’eroe del momento è un altro. Il tecnico che non piacque agli interisti fino al punto di ribattezzarlo Gasp, suono onomatopeico che nei fumetti indica paura e affanno. Quante panchine ha fatto Gian Piero Gasperini con l’Atalanta? Era stato premiato dal presidente Antonio Percassi mercoledì scorso proprio per aver raggiunto 400 presenze alla guida dei nerazzurri con il 6-1 contro il Verona e ieri a Napoli – con la 401 – dopo otto eccezionali anni di fedeltà, si è inevitabilmente candidato allo scudetto. Ne ha facoltà. Di test positivi a Napoli negli ultimi tempi ne ha già passati tre, creando guai agli azzurri proprio mentre stavano tentando di realizzare il sogno tricolore. Ma stavolta il candido piemontese non ha alibi: a Grugliasco già sognano una bella festa paesana, a Bergamo già preparano altari alla Dea bella e potente.
Qualcuno ha ricordato con malizia – e con foto – quando il 5 marzo 1989 in un Pescara-Napoli 0-0 il calciatore Gasperini mollò un accidentale schiaffo a Maradona (quattro punti al labbro, caro Diego) e ieri il ceffone se lo son preso insieme il Napoli, Conte e il Maradona intero, annichilito davanti alla netta supremazia dei nerazzurri trionfanti con la doppietta di Lookman e il magico destro al volo di Retegui dedicato a Spalletti per la miglior sorte dell’Azzurra.
Ho già sentito commenti che vorrebbero giustificare la batosta. Stanchezza? Eppure fino a ieri c’era chi dava il Napoli avvantaggiato dal non giocare in Champions, a differenza di Juve, Milan, Inter e della stessa Atalanta (non nomino il Bologna per amore).
La verità l’ha detta Antonio Conte, e gli dò atto delle parole oneste che non suonano a scusa ma a sportivissimo realismo:”L’ostacolo era molto alto e ci siamo sbattuti contro. L’Atalanta è molto più avanti rispetto a noi, è ormai una presenza quasi fissa in Champions, l’anno scorso ha vinto l’Europa League ed è la dimostrazione che con pazienza e voglia di lavorare, si può creare qualcosa che oggi è una realtà”.
Una medaglia per Gasperini ma anche una pesante condanna a vincere. Non perdono invece a Conte una battuta della vigilia. Dopo aver fatto – preoccupato – l’elogio del vecchio maestro juventino ha detto “Non giocare le coppe può aiutare”. Perseguo il diffuso e sciocco pensiero da quando – una vita fa – ho formulato un mantra incontestabile: “Vincere aiuta a vincere”. Esser fuori dalle sfide europee è non solo psicologicamente ma anche fisicamente un danno, i migliori si cimentano recitando la loro parte nel gran teatro della Champions che alleva e forma i campioni, mai educandoli al risparmio ma spingendoli al successo. I migliori anni della nostra vita calcistica li abbiamo vissuti quando il Milan, l’Inter e finalmente la Juve conquistavano la Coppa dalle Grandi Orecchie. E da domani sia festa.

Inter-Juve 4-4, un sogno

Inter-Juve 4 a 4, minuto dopo minuto, gol dopo gol, un sogno. Ammirato ma malizioso ho pensato a una forte operazione di marketing organizzata da una Lega languente con presidente vacillante per un torneo poco eccitante. Il Derby d’Italia ispirato da una storica rivalità – son tornati alla ribalta antichi veleni fra papà Moratti e l’Avvocato – si trasforma in una sfida per…antiquari. Come me. E infatti, mentre si moltiplicano gol tanto belli quanti ingenui, ricordo Annibale Frossi e la sua lezione: la partita ideale finisce zero a zero, i gol sono quasi sempre errori. E invece per una volta quasi svanisce il tatticismo, le due signore si affrontano a viso aperto. Golgolgol. Anche il linguaggio dei cronisti s’aggiorna d’antico: visto che contropiede? Ma non l’aveva ucciso Arrigo Sacchi – fautore di un calcio offensivo e pieno di schemi complicati – all’alba radiosa di un Milan potente, ribattezzando ripartenza l’antico e italico chiavistello apri porte? La cronaca racconta cinque reti solo nel primo tempo: al 15′ sblocca Zielinski su rigore, ma Vlahovic e Weah ribaltano la partita in sei minuti, poi in dieci minuti un altro ribaltone: Mkhitaryan fa 2-2 e Zielinski segna ancora su rigore. A inizio ripresa Dumfries fa il quarto, ma Yildiz entra dalla panchina, segna due volte e chiude il match sul clamoroso 4-4. Non si discutono i rigori, anche se l’arbitro Guida era sospetto per un recente erroraccio in Atletico Madrid-Lille di Champions. Ma quando si gioca così, producendo liberi pensieri in libero gioco, anche gli…arbitracci (dico arbitracci) spariscono. Eppure, a parte Frossi, l’errore c’è. Entra Yildiz sul 4-2, al ’62 e segna le due spettacolose reti che producono al 71′ e all’81’ lo stupefacente pareggio bianconero che annulla il vantaggio nerazzurro. Dov’è l’errore? Trattare a parole il giovane turco come fosse un Del Piero e lasciarlo in panchina. Spiegazione di Motta quando decide di non utilizzarlo subito: “Oggi Tim Weah sta bene e Kenan sta giocando molto. Nel primo tempo con Weah avremo qualcosa in più. Yildiz ci darà alternative nel secondo tempo e il suo sarà di sicuro un apporto determinante per aiutare la squadra a chiudere la partita bene”. Lo sciocco ci prende, dopo un’ora di paura. Ma è imperdonabile. Come la scelta di Danilo che indebolisce una difesa già di ferro. Applausi sì, a Motta – dopo la paura – per quei ragazzi messi in campo: Conceiçao 21 anni, come Savona, Mbangula 20 e 23 Kephren Thuram, protagonista di un prepartita serenissimo nell’abbraccio con suo fratello Marcus. Resta la lezione di Yildiz il salvatore. Anche all’imprudente Inzaghi. L’Inter era più forte. Ha speso troppo e alla fine nessuno era in grado di impedire la marcia turca.

La normalità speciale dell’Inter e il dominante prestigio di Conte

Una normalità speciale sottolinea l’ennesima impresa dell’Inter che chiude con un normalissimo successo – un gol di Lautaro, guarda un pò – la pratica Roma e fra poche ore affronterà in Champions lo Young Boys. Con forza atletica e praticità illuminata, sempre doti della Beneamata. Mentre la Roma e Juric si disperano. E intanto la chiacchiera mediatica coinvolge Conte, Inzaghi, Motta, Fonseca: la classifica li dice protagonisti del torneo ma il Napoli, primo in classifica dopo le fatiche d’Empoli, rivendica il dominante prestigio del suo tecnico marciando imbattibile dopo l’infortunio al debutto veronese. La chiamata dell’ex juventino – il Nemico per eccellenza – è sicuramente costata all’orgoglioso De Laurentiis (e non parlo di soldi) e così a una tifoseria fortemente anti-juventina, ma per l’occasione l’ottimo Aurelio ha dimostrato la solita lungimiranza: stavano rovinandogli la splendida impresa tricolore e non poteva far giocare i sentimenti per salvaguardarla, Conte era il migliore, Conte è arrivato sulla panchina azzurra riportando onori, feste e spettacolo al tempio di Maradona.
A otto partite dall’inizio non si possono fare previsioni concrete ma prendere atto della felice rinascita di una squadra che aveva subito anche la crisi di Kvaratskhelia e le bizze di Osimhen. Chi avrebbe accettato – se non addirittura chiesto – la cessione del campione africano fin troppo…mascherato? Questo è Conte, agitatore di uomini che sottopone a allenamenti duri ma lungamente sperimentati.
Anche Thiago Motta – protagonista per investitura mediatica – sottopone i suoi a attività fisica importante e tuttavia c’è qualcosa che non torna nella preparazione se è vero che la lista degli indisponibili si allunga – Milik, Nico Gonzalez, Bremer, Koopmeiners, McKennie – impedendogli di costruire una squadra titolare e un gioco di qualità. La Juve è diventata – forse come mai – una noia. E doveva essere una gioia.
Non discuto Simone Inzaghi che tiene il ritmo scudetto senza esaltare e tuttavia mantenendo in corsa – almeno per me – un’Inter degna del tricolore più d’altre concorrenti. Difendo infine Fonseca che ha un solo difetto: vuol fare l’allenatore, non il mago, e non piace alla critica meneghina che non ha avuto soddisfazioni neanche da Pioli, il quale osò sostituire il mitico Giampaolo (raccomandato da Sacchi) e respingere il favorito dei vip, Ralf Rangnick, vincendo uno scudetto.
Gente da prima pagina, dicevo, ma nel mio personalissimo giornale il titolone è dedicato a Davide Nicola, allenatore che stimo dai tempi della favola del Crotone e oggi maestro di concretezza sublimata dalla vittoria del suo Cagliari sul Torino. Non ho bisogno di elencare virtù, mi basta ricordare che ieri ha fatto indossare la maglia di Gigi Riva a nove calciatori italiani. Applausi.
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(ITALPRESS).

Così Spalletti ha recuperato il tempo perduto

Avanti tutta in Nations League, finalmente, con un’Italia brillantemente recuperata dopo la triste esperienza degli Europei. Spalletti ha sbagliato molto, allora – lo ha confessato – ma bisogna dargli atto (con un bell’applauso) di avere recuperato in fretta il tempo perduto restituendoci un’Italia manciniana – quella campione – se non altro perchè si fa onore a suon di gol Retegui, l’oriundo scoperto da Roberto Mancini. Il resto, tutto del nuovo ct, compresi i magici esordi dei giovani futuribili campioni come Daniel Maldini e Lorenzo Lucca, che ho scoperto ventenne e già azzurrabile a Palermo, in Serie C, nel 2020. Meglio tardi che mai.
C’è voluto tuttavia un rigore al 40′ per un fallo d’area su Tonali per consentire all’ultima Italia spallettiana di andare in vantaggio contro Israele con Retegui, applaudito dai commentatori come se avesse segnato un gol d’alta qualità. In verità il penalty – indiscutibile – ha comunque riassunto lodevolmente le tante occasioni da gol degli azzurri, alcune annullate dall’ottimo portiere Glazer della Stella Rossa, altre da una castigabile fretta nella tentata realizzazione. E infatti il 2-0 che ci manda avanti (anche se per la matematica manca ancora un punticino) è stato segnato di testa da Di Lorenzo (capitano con Donnarumma a riposo) su suggerimento di Raspadori con un calcio di punizione al 54′. Vincitori, dunque, anche se il 2-1 di Abu Fani al 66′ – direttamente da calcio d’angolo, “alla Palanca” – segnala quella affiorante disattenzione che ho già denunciato in Italia-Belgio. Per definire la superiorità azzurra è arrivato al 72′ anche il gol di Frattesi – il più amato di Spalletti – suggerito da Dimarco il gladiatore biondo. Il 3-1 ha consentito al ct di far entrare in campo in un grande evento Maldini III, Daniele figlio di Paolo figlio di Cesare. E la partita diventa favola con il 4-1 di Di Lorenzo che celebra l’evento da Sacerdos Maximus.
Come lo Shakthar Donetsk ucraino ramingo per l’Eurochampions, Israele partecipa alla Nations League lontano dalla sua terra: i suoi giocatori li abbiamo battuti a Budapest, li abbiamo accolti a Udine con manifestazioni antisemite, trasformandoli da calciatori in soldati. Temo che in Uefa e in Figc nessuno ricordasse quel che era successo nell’estate del 1989, quando l’Udinese aveva acquistato dallo Standard Liegi l’attaccante israeliano Ronny Rosenthal senza poterlo utilizzare. Gli ultras locali Hooligans Teddy Boys lo respinsero gridando “all’ebreo”. La scelta di Udine doveva essere evitata non solo per offrire ai calciatori d’Israele un’accoglienza civile ma anche per impedire che la civilissima città di Udine fosse offesa dalla furia di un’altra generazione di imbecilli.
Italo Cucci ([email protected])

Italia bella per 40′, poi follia Pellegrini e 2-2 col Belgio

Riecco l’Italia sul ponte dei sospiri. Eppure salva e in odor di rinascita. Degna dell’Europa Nations League. Battute Francia e Israele, ripresa fiducia, contro il Belgio per almeno un’ora è una bella Italia, questa di Spalletti. Senza complessi, senza paura. Ma anche senza memoria. Scurdammoce o passato. Peccato. Capisco il gol bellissimo al primo minuto che rovescia passati dolori ma servono anche gli amarcord di sofferenza, non perchè debbano ispirare prudenza ma sollecitare attenzione. E infatti l’impopolare (a Roma) Lorenzo Pellegrini – proprio mentre l’Azzurra vola nel cielo e nei cuori con due bei gol di Cambiaso e del rinato Retegui – per un fallaccio inutile si becca dall’arbitro norvegese un giallo che la Var trasforma in rosso. Al 40′ l’Italia è in dieci, al 42′ becca il 2-1 da De Cuyper. Critico l’episodio, non ancora la squadra. Bella, ripeto. Come non si vedeva dagli Europei manciniani. Giuste le scelte di Spalletti, bocciata da molti in anticipo quella di Pellegrini. Destino. Senza quella follia il Belgio di Domenico Tedesco (senza Lukaku e De Bruyne) non pareva in grado di infastidire un’Italia aggressiva come Dimarco, bandiera della rinascita.
Per un tempo positivi tutti, gli azzurri – dicevo – magistrale Samuele Ricci, un ragazzo che sembra un veterano. L’intelligenza non ha età. Gode il Toro, gode l’Azzurra. Ma questa per poco. I danni di Pellegrini si propagano e fanno nascere una bella partita: al 61° il Belgio trova anche il pareggio con Trossard e il bell’impianto di Spalletti salta, la luce ritrovata si spegne. E per fortuna la Var sa essere anche generosa, negando ai Diavoli Rossi (adesso si può dire) un rigore provocato da un fallo di Bastoni su Openda che all’improvviso diventa protagonista (con la maglia del Lipsia la difesa juventina l’aveva fermato in Champions). Più per allontanare l’irrazionale paura Spalletti si gioca Fagioli, Raspadori, il baby Pisilli (voglia di gioventù saltami addosso…) e Bellanova ed è di nuovo un’Italia combattiva quella che sogna addirittura di farsi assegnare un rigore decisivo, ma l’inatteso incubo rosso si riaccende. Ma finalmente è finita. E restiamo primi nel girone. E adesso tocca a Israele, maltrattato dalla Francia. Si gioca lunedì a Udine sperando di non incappare in qualche provocatoria manifestazione antisemita come sta succedendo in mezza Italia.
Al proposito, una singolare coincidenza: nell’estate del 1989 l’Udinese aveva acquistato dallo Standard Liegi l’attaccante di valore Ronny Rosenthal, che però non potè mai scendere in campo con la maglia bianconera perchè israeliano. Ovvero ebreo per gli ultras Hooligans Teddy Boys che lo insultarono minacciando anche il club che fu costretto a rompere il contratto. Rosenthal ricominciò da Liverpool con successo. Alla faccia dei razzisti imbecilli. Dio ne scampi.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

Motta ha ancora molto da lavorare

Sembrava aver imboccato la via del successo, Thiago Motta, ma forse a Lipsia era andata in onda un’impresa di Champions, non una partita qualunque, pur bella. Lo spettacolo offerto in Germania ha smosso anche John Elkann famiglia, ieri apparso sorridente allo Stadium dopo le ben note amarezze imprenditoriali. Sì, fin troppo bella, quella Juve, per essere quella giusta, in continuità, degna di far paura all’Inter. Perchè siamo daccapo con la sfida ormai secolare l’Odiamata di Torino e la Beneamata di Milano. Doverosamente registrando che Inzaghi può andar fiero di una settimana santa con tre vittorie e 10 gol, un’ottobrata solare. Ma intanto spieghiamo Lipsia, frutto di motivazioni straordinarie accumulate dopo languidi pareggi e un solo vanto, non aver mai preso gol. Non è una novità. L’impegno europeo – soprattutto se si creano le situazioni di Lipsia, dominate da emozioni – produce miracoli psicologici e fisici per l’occasione esaltati clamorosamente da Vlahovic e Conceiçao. Tutti abbiamo cantato lodi alla Signora, ed ecco che il Cagliari c’è l’ha restituita nella sua banale realtà di campionato, alla ricerca del meglio e con la perduta verginità – il gol preso su rigore firmato da Ravan Marin – Vlahovic riazzerato, Conceiçao espulso per frustrazione. Ho passato una vita a contestare piagnoni e soccorritori impegnati a dire che non aver da giocare Coppe è un vantaggio, ho anzi sempre sostenuto che impegni di qualità raddoppiano le energie e fanno nascere squadre di qualità. E invece, dopo l’avvento di questa Superchampions/Superlega mi sento di dire beato il Napoli che sta ritrovando la sua verve, la sua sicurezza e i suoi gol con Conte che ha un solo pensiero, il campionato. Al punto che conoscendone le virtù quand’è sereno si può scommettere che vuole uno scudetto anche a Napoli, come a Milano, per diventare il più grande. Morale della favola, Motta ha ancora molto da lavorare seppur abbia già esibito una rispettabilissima Juventus. Se fosse ancora a Bologna questo ritmo sarebbe gradito da una città canterina. A Torino ti chiedono di più. Ad esempio prepararti a dovere per il 27 ottobre, quando dovrai andare a Milano per incontrare l’Inter.
In formato minore – e con cura sentimentale – mi vien da rappresentare la situazione del Bologna fatalmente richiamata da Motta. Coraggioso in casa con lo Shaktar, addirittura audace a Liverpool nonostante la sconfitta, è ritornato a Bologna produttore di nulla, e se c’è stata partita lo si deve al Parma. Pecchia mi è sembrato più avanti di Italiano. Provi a mostrare al Dall’Ara il cuore esibito a Anfield.

Canta il Napoli di Conte, non solo Inter e Juve per lo scudetto

Tre gol l’Inter, tre la Juve, ci risiamo col Derby d’Italia. Calma, c’è Conte, quello che ha vinto con entrambe, e oggi canta Napoli, il Napoli dell’Antonio furioso che si traveste da comunicatore dolciastro, sorridente, mentre ha il Vesuvio dentro e già si vede. Ma niente fretta.
E’ difficile trovare negli Anni d’Oro articoli magistrali scritti nelle prime giornate del campionato e già contenenti valutazioni decisive. L’insegnamento dei maestri era preciso: non farsi influenzare dai risultati del primo tempo (goleade escluse), sbilanciarsi (ma non troppo) solo al novanta, evitare anzitempo gaudio o depressione, fare pronostici qualificati non prima di tre/quattro mesi. Non a caso all’allenatore si dava come prima scadenza il panettone: da Natale in poi tutto era recuperabile. Queste regole intendevano anche e soprattutto preservare l’interesse del campionato, le vendite dei giornali, la vivacità dei media. Ma non è più così.
Oggi comanda lo Spoiler – dicesi di anticipazione dei punti salienti della trama di un libro o di un film – particolarmente stupido se diffuso a tanta distanza. Eppure Conte era già in crisi dopo la sconfitta del Napoli a Verona, Motta da scudetto dopo il primo tre a zero, De Rossi in dubbio fin dalla sconfitta con l’Empoli, indi esonerato. Clamoroso il Caso Fonseca al quale – confesso – ho contribuito anch’io, con la parola di moda, Vergogna, mai seguita da scuse. Il Milan comincia con un 2-2 col Toro, perde 2-1 a Parma e Fonseca è già del gatto. Sarri o Allegri per la panchina rossonera? Poi 2-2 a Roma con la Lazio, 4-0 al Venezia (ma è il Venezia…) e arriva il derby, l’Inter di Inzaghi – già scudettabile – è sconfitta 2-1. Oddio, e adesso? Milan-Lecce 3-0. Ho tirato in ballo il Milan, serenamente terzo in classifica, perchè è il più clamoroso esempio di vittima di giudizi frettolosi se non faziosi. Ma vedrete, cambierà poco: dopo il pur sofferto 3-2 dell’Inter a Udine con doppietta del dormiente Lautaro e il 3-0 della Juve a Genova con identica impresa dell’evanescente Vlahovic, voilà, sentirete dire che lo scudetto se lo giocheranno le Due Nemiche. Il solito – anche noioso – Derby d’Italia. C’è anche il Toro, lassù? Sì, ma ha già perso in casa con la Lazio, dimenticatelo…
E così, al 22° del match con il Monza – gol di Politano – il Napoli è già primo in classifica. E gioca, gioca bene, felice, coordinato, veloce, generoso come Lukaku che vedi dappertutto a dar manforte. E al 33° Kvaratskhelia, il gol è una canzone. Canta Napoli, il Napoli di Antonio Conte (Che canta davvero, bello sentirlo quando faceva i Pooh…Giorni spensierati, Juve inarrestabile…). Ma ripeto: non c’è fretta, ho già detto ch’è cattiva consigliera. Dico solo che per ora la sua è la squadra che gioca meglio. Può servire, no?
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Non disturbate il Toro che sogna, Gabbia-gol ‘liberà Fonseca

Se dico “è un bel campionato”, lo dico per il Toro primo in classifica, il Toro primo amore al quale non voglio arrecare disturbo mentre sogna. Mi auguro di aver tempo per valutarne la solidità. Poi devo onorare anche il combattuto Derby milanese che ha ravvivato il torneo prima con una nobile voglia di sfida fra tenori – Lautaro, Thuram, Leao, Morata – senza acuti da Scala offrendo tuttavia il meglio del meglio, la sorpresissima, l’assolo spettacolare e vincente del Milan con Matteo Gabbia. Sì, fate pure il titolo “Inter in gabbia” ma è più importante quest’altro: “Fonseca è libero”.
Stavamo accontentandoci dei gol bellissimi realizzati da Pulisic – l’americano che vivacizza lo spento attacco del Milan e salva il povero Fonseca – e da Dimarco, per l’Inter un motore da Formula 1 che mi rammenta un altro interista storico per concretezza, mai divo, Gianfranco Bedin.
Non è comunque un bel campionato. Sul piano tecnico e spettacolare ha fatto più effetto il primo turno di Champions.
Come se non fossimo legittimi discendenti di un torneo che anni fa era definito “il più bello del mondo”, come ha dimostrato il corale ricordo di Schillaci negli stadi d’Europa, particolarmente intenso e commovente quello del Bernabeu che il Real ha affidato a un’immagine struggente di Totò e alla musica di Ennio Morricone. C’era una volta.
La spaccatura della Champions, con cinque squadre privilegiate, fa notare una coda particolarmente infelice, con un pugno di squadre già in crisi. Ma quello che disturba non è tanto la qualità del gioco, largamente preceduta dal dramma dell’Italia in Europa: è la povertà di gol. Protagonista del dramma, la Juventus, ch’è poi è stata l’unica protagonista felice del primo turno di Champions, tripletta al PSV con quel capolavoro di Yildiz. Motta sta lavorando bene ma quando con il Napoli sostituisce nella ripresa Vlahovic con Weah non fa un’asinata, si limita a sostituire…l’asinello, lo stesso che irritava Allegri, notoriamente appassionato di cavalli. La Juve in sostanza non sta benissimo e Conte non ha approfittato della situazione, soprattutto dopo avere notato nei primi minuti che la Signora ostentava una sola sicurezza, Di Gregorio. E quando il portiere è il migliore in campo non tira aria buona. Ma non stupisca, la mancata ferocia di Conte: si è accontentato perchè un pareggio strappato al club che ha la miglior difesa vale un successo.
Roma è in prima pagina finalmente con una vittoria della Magica, ma la notizia che pesa è lo sdegno del tifo, l’addio della madonna greca, la mal’accoglienza a Juric come se fosse un abusivo mentre i giocatori in campo si son fatti in quattro per lui, dimostrando che di De Rossi – esonerato probabilmente già…a giugno, confermato di malavoglia per accontentare il popolo – non gliene fregava niente. La storia – non dimentichiamolo – la scrivono loro. E in verità la peggior storia di Roma è la Lazio. Letteralmente anonima da quando ha perduto Sarri, uno che non poteva fare il guardaspalle di Lotito, ieri presidente pallonaro abilissimo e gajardo, oggi senatore là dove prima o poi potrebbe apparire il cavallo di Caligola.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).