Olè! E’ cominciata la festa dei gol, così esplosiva da crear piacevole sorpresa dopo i tanti lamenti precampionato dedicati alla crisi dei bomber. Alla prima uscita il pessimismo è stato sconfitto dalla preziosa doppietta di Osimhen e Lautaro (chissà a quali livelli è cresciuta la loro quotazione al calcio-borsa arabo) e dal bombardamento della rinnovata Fiorentina voluta dal coraggio di Commisso. E subito in gol – alla seconda uscita – con la maglia dell’Atalanta il presunto oggetto misterioso De Ketelaere che avrebbe spinto il Milan a privarsi di chi l’aveva portato a Milano, Paolo Maldini. E Chiesa? Quanti dubbi su di lui – detto depresso a forza d’infortuni – ed eccolo al secondo minuto di Udinese-Juventus realizzare un gol dei suoi, con classe e potenza. Subito imitato da Vlahovic, il ripudiato-senza-fine più illustre dell’estate che potrebbe aver chiuso il tormentone Lukaku. Nella partita della passione – tifosi contro Allegri – vince la Juve del popolo, Max è virtualmente sconfitto. Almeno per ora. L’Udinese straniera – ma “Furlana” – ha lanciato il mio poulain Lucca. Auguri.
Oddio, è andato a segno anche Immobile, imitato da Di Francesco jr, prodigio del Lecce: è la notte dei sogni azzurri, chissà se Roberto Mancini prova qualche rimpianto mentre vede rinascere i suoi stanchi eroi. Sicuramente se la gode Spalletti che già pensa di schierare i divi risorti contro la Macedonia…
Ecco, pensando alla Nazionale del futuro è ricominciato il mio campionato “sentimentale”: al 9′ di Roma – Salernitana, quando Belotti ha segnato e una lunga seduta al Var lo ha annullato. Che rabbia. Già mi sentivo Mourinho, accerchiato, castigato, perseguitato, imbufalito. Ma al 17′ – quando il Gallo ha cantato per la seconda volta, e che bel gol di testa – l’ho addirittura ingraziato, l’infernale marchingegno: mi aveva appena confermato – dopo un’attesa di 466 giorni – la rinascita del CuoreToro di Calcinate che, arrivato a Roma di nuovo in coppia con Dybala, aveva segnato un gol in 32 partite. E come negare un fragoroso applauso al vecchio Candreva, leader della Salernitana, doppiettista senza tempo? Invochiamo ogni giorno giovani talenti per salvare il calcio italico – ed è giusto – ma ecco che all’improvviso mi tornano in mente – quindici anni dopo – certi giudizi entusiasti che dedicai a Pechino a un ragazzo della Nazionale Olimpica 2008 riapparsa in Cina. Sì, era lui, Antonio Candreva, classe 1987, in forza al Livorno. Un professionista serio e geniale. Rieccolo.
Manca all’appello il Milan, in campo stasera, ma conta poco per l’Azzurro: se va bene si presenterà in rossonero soltanto un italiano, Davide Calabria. Un abbraccio.
CON VLAHOVIC HA STRAVINTO LA JUVENTUS DEL POPOLO
LUCIANO SPALLETTI NUOVO COMMISSARIO TECNICO
E fu Spalletti, come l’esito felice di una pièce teatrale, il deus ex machina che risolve ogni cosa. Risolve? Hanno detto che Mancini aveva paura della Macedonia – indigesta – e dell’Ucraina – bellicosa, vedrete che Spalletti un passo avanti in Europa lo fa. Nonostante il fatto che l’unica Bella Nazionale, di questi tempi, sia la Giovani Italia di Alberto Bollini (che mi ha fatto ricordare il Vicini che sostituì felicemente Bearzot).
Vedremo. Il passo richiesto è ahimè più lungo: porta obbligatoriamente al Mondiale 2026; e allora portiamo in Nazionale l’uomo che Gianni Agnelli avrebbe ribattezzato Santa Rita (disse di Allodi), la Santa dei miracoli, visto che a Napoli Spalletti è riuscito a sostituire San Gennaro.
Si nota, davanti alla decisa scelta della Federcalcio, una certa fretta che il nome di Spallettone dovrebbe sottrarre al sospetto di mettere una pezza al Caso del Mancini Fuggitivo che per una settimana ha conteso momenti di gossip alla piemontese storia delle corna.
Gravina – sempre prudente – ha avuto mano felice nella decisione: chi può discutere uno come Spalletti? Solo – dico io – chi l’ha veduto sollecitamente rinvigorito dopo neanche un mese dell’anno di riposo (cosa vuol dire sabbatico a Certaldo?) appena si è liberata la panchina dei suoi sogni. Non ho memoria di una soluzione così sollecita, come se il bravo Gravina dovesse andare in ferie, chiudere l’ufficio e lasciare in via Allegri solo fattorini e guardie. E un avvocato che segua con attenzione le mosse di Aurelio De Laurentiis, deciso a far valere la clausola contrattuale che prevede i tre milioni d’indennizzo in caso di rientro in attività. In fondo, anche questa è una questione di soldi nell’ormai affermato Calciobusiness appena ieri accusato da Gianni Rivera, quello che l’Azzurro l’ha nobilitato in altri tempi, quando ci si scandalizzava dell’annosa Staffetta con Mazzola. Quella fra Mancini e Spalletti è la staffetta più veloce di tutti i tempi. Forza Italia…
ALL’IMPROVVISO L’ADDIO DI MANCINI, BOLLINI COME VICINI?
Mancini se ne va, lascia l’Italia azzurra all’improvviso e – vista l’aria di corna che tira – c’è chi parla di tradimento. Ma chi ha tradito? C’è chi dice la Federcalcio, che l’ha cinto d’assedio juventinizzando il suo staff… sampdoriano con Barzagli, Buffon – e addirittura si dice Bonucci – insieme al recente vincitore dell’Europeo Under 19 Alberto Bollini; aggiungendo la proposta beffarda di fare il supervisore di tutte le Nazionali, tutte in spolvero tranne la sua (e la Femminile). C’è chi dice che il traditore sia Mancini che – improvvisamente afflitto dalla sindrome di accerchiamento – avrebbe accettato di sbarcare in Arabia per un consistente malloppo (dai 20 milioni in su) e una rispettosa libertà di manovra che gli venivano offerti da tempo. “E’ stata una mia scelta personale, ringrazio il presidente Gravina, la Figc, giocatori e tifosi. E’ stato un onore”, i ‘saluti e bacì sui social di Mancini.
La Federcalcio non fa una piega: “Si conclude, quindi, una significativa pagina di storia degli Azzurri, iniziata nel maggio 2018 e conclusa con le Finali di Nations League 2023; in mezzo, la vittoria a Euro 2020, un trionfo conquistato da un gruppo nel quale tutti i singoli hanno saputo diventare squadra. Tenuto conto degli importanti e ravvicinati impegni per le qualificazioni a Euro 2024 (9 e 12 settembre con Nord Macedonia e Ucraina), la Figc comunicherà nei prossimi giorni il nome del nuovo CT della Nazionale”. M’è piaciuto quel “quindi”, parola magica che restringe il campo al gossip e mi permette di ridurre a “fregatura” quella che molti – da me ascoltati ai massimi livelli tecnici e istituzionali – chiamano “scorrettezza”. O peggio. Conoscendo Roberto da una vita – lo accolsi ragazzo a Bologna e lo presentai a Marino Perani nel 1977, 46 anni fa, che carriera! – mi aspettai le sue dimissioni dopo la sconfitta subita il 15 giugno dalla Spagna (2-1) nelle semifinali del torneo Nations League, con un dettaglio significativo: un misero gol su rigore firmato Immobile, l’ultimo dei Mohicani attaccanti azzurri, e Bonucci capitano, ruolo che gli è costato – per i risultati ottenuti – il posto in Juve.
Da più di un anno, la corazzata azzurra era diventata un manipolo di speranzosi e il bilancio di Mancini disastroso: solo sei vittorie (di cui una in amichevole con l’Albania), due pareggi e 4 sconfitte su un totale di 12 partite. Sì, mi aspettavo le dimissioni perchè ce le aveva scritte in faccia. Ma non le diede – immagino – per non perdere un bel gruzzolo e un buon lavoro. E per non abbandonare gli uomini del suo staff, Oriali, Evani, Lombardo, Nuciari, Battara, Salsano, tanta Sampdoria – Lele escluso – che era completata – nei giorni del successo europeo – da Gianluca Vialli.
L’annuncio di una crisi, se non di un crollo, era arrivato ai primi d’agosto con l’addio alla Nazionale del “secondo” di Mancio, Evani, dopo uno scontro con il Ct amico di sempre.
E adesso? En attendant Mancio d’Arabia si parla ovviamente di due supermister a riposo, Conte e Spalletti. Conte perchè ha già fatto bene in Nazionale ed è atteso da uno staff juventino, Spalletti perchè è il più fresco vincente.
Con tutto il rispetto per loro dico Bollini. Mi ricorda Azeglio Vicini che veniva dai successi con l’Under 21 e nell’86 aveva sostituito Bearzot dopo il lungo sonno messicano, esibendo nel 1990 una Nazionale bellissima sconfitta solo da…Maradona, a Napoli. Mi sta bene Bollini perchè si ritrova una Nazionale da ricostruire con i giovani prima dell’Europeo ’24 ma soprattutto per un ritorno dell’Italia al Mondiale ’26 dopo due tristi uscite. Peccato per Mancini che qualcuno, come me, ricorderà per la vittoria europea, mentre moltissimi – vista la…fregatura agostana – sottolineeranno la sua assenza dal Qatar. Se lo spiffero è buono, nei Paesi arabi ci arriva adesso…
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
ADDIO A BERLUSCONI, IL PRESIDENTE DELLE VITTORIE
L’addio di Silvio Berlusconi vale, per l’imprenditoria sportiva, quello di Gianni Agnelli e Enzo Ferrari. Il Signore di Torino aveva due aziende – la Fiat e la Juventus – e un solo soprannome, l’Avvocato; Ferrari – sempre in ambito automobilistico – era l’Ingegnere, il Commendatore, il Drake, il Vecchio; Berlusconi era tutto: il palazzinaro, il Cavaliere (il Cav), il Presidente, il Leader, al vertice della popolarità sportiva, politica e imprenditoriale diventò semplicemente Silvio. Quando l’ho conosciuto era l’audace innovatore della televisione che dalle sperimentazioni locali era balzato a livello nazionale: Lui contro la Rai. E fu proprio l’avventura calcistica a metterlo in particolare evidenza quando nel 1981 lanciò con Canale 5 la Coppa Super Clubs o Coppa Supermondiale Clubs che chiamammo Mundialito, un torneo calcistico a inviti che si svolse in tre edizioni – fino al 1987 – vinto una volta ciascuno da Inter, Juventus e Milan. A quei tempi gli chiedemmo se pensava di scendere in campo, e con quale squadra: ci disse di aver trattato inutilmente con Fraizzoli l’acquisto dell’Inter. “Per papà” – si giustificò anni dopo quando diventò padrone del Milan. E dedicò al padre nel ’91 un Trofeo precampionato che ebbe successo dal 1995 al 2012, quando l’avversaria del Milan era quasi sempre la Juventus; la sfida tra rossoneri e bianconeri andò in scena a San Siro in diciannove delle ventiquattro edizioni complessive, solo due volte l’Inter (1992 e 2015), in tre casi squadre non italiane: Real Madrid (1993), Bayern Monaco (1994) e gli argentini del San Lorenzo (2014). La vicenda pallonara rappresentava il secondo passo importante per il Berlusconi signore dell’edilizia e della tivù, deciso il 10 febbraio del 1986 quando – accompagnato dal fratello Paolo, da Fedele Confalonieri e Adriano Galliani – acquistò il Milan da Giussy Farina e Gianni Nardi, diventandone presidente il 24 marzo. Nel pacco c’erano anche Gianni Rivera e Nils Liedholm, ai quali presto rinunciò. Prima di inaugurare la stagione rivoluzionaria di Arrigo Sacchi, nel 1987, la squadra fu affidata a Fabio Capello che tornò nel ’91 cogliendo risultati eclatanti – 4 scudetti, 3 Supercoppe Italiane, 1 Champions League e 1 Supercoppa Europea – esaltando la popolarità del Cav. Che decise di fare un altro passo…storico. Che mi fu anticipato quando, incontrandolo a Milano, gli chiesi come aveva preso la sconfitta nella Coppa Intercontinentale giocata a Tokyo senza il suo pupillo Dejan Savicevic. Era il 13 dicembre del ’93 e Berlusconi mi disse: “Mi consenta, lasciamo perdere il calcio, ho appena parlato con Bossi e mi ha detto che se scendo in politica la Lega mi segue”. Feci uno scoop. La famosa discesa in campo avvenne in forma ufficiale il 26 gennaio 1994 e fu resa nota con un messaggio televisivo di 9 minuti dedicato dal Cav agli italiani che da quel giorno seguirono numerose le sue imprese – più politiche che calcistiche – fino a portarlo ai vertici del Governo con il partito che aveva fondato unendo sentimenti patriottici di natura sociale, sportiva e politica: Forza Italia. Afflitto da numerose vicende giudiziarie un giorno mi richiamò allo slogan del suo combattuto secondo scudetto vinto “contro gli avversari, contro la sfortuna, contro l’invidia”. E aggiunse: “Tema soprattutto l’invidia, porta iella”.
FESTA NAPOLI CON UN PO’ DI MALINCONIA, SPALLETTI EROE SOLITARIO
Voilà! Napoli, Lazio, Inter e Milan in Champions. Atalanta e Roma in Europa League. Juve benvenuta in Conference. Spareggio Spezia-Verona per sapere chi andrà in B con Samp e Cremonese. Il gioco è quasi fatto. A dire la verità – che non sempre è gradita – l’inestinguibile e sontuosa festa popolare del Napoli cominciata un mese fa ha fatto ancor più notare la melanconia del resto. E nonostante il rumore degli amici, sparso dal Maradona al resto del mondo, anche Napoli porta con sè un finale un pò triste e un eroe solitario, quello Spalletti che se ne va portandosi un trofeo in uno spazio senza futuro. Immaginarlo nel ruolo di papà ritardatario alle prese con funzioni da pur straricco pensionato toglie alla sacralità del calcio gli eroici furori per sostituirli con sommessi languori. E chi potrà mai sostituirlo visti i candidati di cui si parla? Vi sembra che Italiano, Motta, Luis Enrique, Conceicao e Gasperini siano da scudetto a Napoli quando, passata la festa, riemergeranno i malumori presenti anche in quest’anno meraviglioso? Io direi De Zerbi ma è troppo intelligente per bruciarsi.
Di solito, uno guarda il calcio per vedere i gol, i vincitori e i vinti e invece – escluse l’Inter e la Lazio che si son prese la Champions futura in anticipo – son rimaste sul campo speranzielle e delusioni, il saldo degli scampoli. Sento solo io, nel Jurassic Park, quest’atmosfera deprimente? Ma è colpa mia se il disfatto cerimoniale dell’evento più amato dagli italiani ha negato il finale totale, tutte le partite alla stessa ora, nello stesso giorno che si chiama domenica? Per chi e cosa devo eccitarmi? Per il Milan che è in Champions nonostante le cadute o per Leao che dà spettacolo e Ibrahimovic che sogna Monza come se fosse una Ferrari in declino? E della Roma cos’è rimasto se non il rabbioso ricordo di Budapest, la ridimensionata magìa di Mourinho, il pianto bambino di Dybala?
Confesso – senza fraintendimenti, per favore – che il pessimismo della ragione ha sconfitto l’ottimismo della volontà per colpa di quella velenosa vicenda juventina che ha depresso un campionato meritevole di accompagnare dignitosamente le stratosferiche imprese del Napoli. Sconquassata dalla in-giustizia italiana, la Juve aspetta la vendetta di Ceferin e ormai tutti hanno capito la necessità di una decorosa riforma. Quel che meno m’angoscia è lo stipendio di Allegri. Sai quanti anni sabbatici ci stanno…
Non sarà un caso che mentre il pallone ruzzola a Udine, a Lecce, a San Siro e all’Olimpico al Maradona la festa continua come fosse un campionato a parte. Nè mi rincuora il fatto che nei prossimi giorni andremo a vederci la Viola e la Beneamata finaliste di Conference e Champions. Nel frattempo, so dove buttarmi: seguirò l’appassionante finale di stagione della B, con Bari e Cagliari che fra giovedì e domenica si giocheranno un posto al sole della A: Mignani ha sconfitto il miracoloso Bisoli, Ranieri ha fatto piangere Buffon. Spettacolo garantito.
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E ADESSO GODIAMOCI LE TRE FINALI EUROPEE
Mi rifiuto di scrivere della Juventus. Della squadra che ormai è costretta a fingere di partecipare al campionato. E’ una burla. Anzi, uno scandalo. E voglio ripeterlo perchè l’affliggente indecisionismo della cosiddetta giustizia (sportiva?) è ormai scandalosamente evidente. Sere fa ho partecipato a un mondanissimo summit del pallone – la presentazione in pompa magna della finalissima di Coppa Italia poi ben vinta dall’Inter – e incontrando numerose figure “importanti” ho appreso che tanti la pensano come me. Io lo dico e lo scrivo, aspettando che la indiscutibile Signora del calcio italiano sia restituita al suo ruolo precipuo: il gioco. Dopo che avrà esaurito la pena giusta che si è guadagnata come società. Fino ad oggi è stata umiliata solo la squadra, sono stati “afflitti” solo i calciatori, come ha ben rivelato il crollo di Empoli. A proposito dì lealtà sportiva, è stato un gesto leale presentare la sottrazione di dieci punti dieci minuti prima della partita? Quella dozzina di uomini – oltre che pedatori – l’han pagato caro.
Per fortuna possiamo parlare d’altro. Dal 31 maggio al 10 giugno seguiremo gli onorevolissimi impegni di Inter, Roma e Fiorentina nelle finali di Coppe europee, inattesa rivelazione di forza di un campionato dai più definito di scarsa qualità e riabilitato – per capacità, non per fortuna – da un Napoli che avrebbe meritato a sua volta una finale continentale. A proposito, m’è sorto il dubbio che la scelta divorzista di De Laurentiis possa essere spiegata anche con la bruciante sconfitta del Napoli di Coppa con il Milan, forse l’unico grave errore stagionale di Spalletti. Non sarà facile per il Napoli trovare in futuro una squadra altrettanto bella e potente, l’occasione europea era questa, è stata buttata. E per un’altra futura finale (rifletto) non raccomanderei Luis Enrique.
Tornando alle finali, l’Inter di Inzaghi si presenterà a Istànbul per una prestazione che si presume degna del City di Guardiola. Basta che ci creda, basta che Lautaro, finalmente Toro, sappia di avere alle spalle una squadra vera, quella che Barella ha mostrato per tutti. Simone riabilitato? Non ne aveva bisogno, lo perseguitavano solo quegli intellettuali nerazzurri che dal Triplete in poi son vissuti nelle nuvole.
Triplete? Voilà Mourinho. Fiorentina-Roma è stata come un anticipo di due finali e la Viola è stata all’altezza delle speranze; il West Ham è una bella squadra ma non deve spaventarla. Mou cercherà di presentare a Budapest il suo gioiello Dybala – diciamo due, con Abraham, per far contenta Cornelia, la madre dei Gracchi, ma andando per metafore mi aspetto un’impresa da Ragazzi della Via Pal – affidando pubblicamente il sogno di vittoria più ai giocatori che a se stesso. Generoso. Merita di vincere.
INZAGHI, DE LAURENTIIS E SPALLETTI E LA RIVINCITA SUI CRITICI
Gli ingegneri del lunedì (copyright Enzo Ferrari) sono in fermento. Quelli che hanno per mesi stroncato Inzaghi – vincente nonostante quest’ultima battuta negativa che l’ha visto vittima sacrificale per il trionfo del Napoli al Maradona – invece di discolparsi son pronti ad attaccare. Non mi stupisco: in genere sono gli stessi che si battono per il Bel Giuoco, materia che prima o poi sarà accolta fra i comportamenti comandati dal politicamente corretto. Alla faccia del ben noto proverbio che ahimè ho adottato da mezzo secolo: un bel gioco dura poco.
Gli ingegneri del lunedì devono farsi perdonare i reiterati inviti a Simone Inzaghi a darsi all’ippica e ad Aurelio De Laurentiis perchè torni a Hollywood, anzi a Cinecittà, reparto panettoni. Di Inzaghi – autore di una già felice stagione dell’Inter in attesa della finalissima Champions – hanno detto e scritto di tutto e di più, non demonizzandolo, come si usa con i nemici di cartello, ma ridicolizzandolo. Ebbene, hanno già cominciato a usare il “metodo Biscardi”, un classico del paraculismo (ma il suo era d’Autore). Aldo, dopo avere toppato una campagna demolitrice, sorrideva pacioso alle sue vittime – in prima fila, rammento, Bearzot e la Nazionale – e diceva: “I miei attacchi vi hanno spronato, vi hanno fatto tirar fuori le migliori energie fisiche e morali, e avete vinto. Anzi: abbiamo vinto insieme”.
Ragiono mentre Napoli e Inter si affrontano cercando di nobilitare – e ci riescono – una partita già nobile perchè nobilissimi sono i contendenti, ma soprattutto gli spettatori, tantissimi e inneggianti al concerto del Maradona anche se la musica è finita. Non solo: la partita è stata presentata anche come una passerella di mercato e per fortuna allo sfrontato cinismo dei media ha risposto con un gol – insieme a due bravi gregari – anche Di Lorenzo, l’Italico capitano che per l’occasione ha fatto tanto Libro Cuore e ha firmato una vittoria platonica ma giusta per le ultime battute del film azzurro.
A proposito, come dicevo, quei critici napoletani, ribattezzati Sapientoni, che hanno drammatizzato per tutto il campionato i malumori di Dela e Spallettone possono finalmente gridare “avevamo ragione”. Come se lo scudetto l’avessero vinto un altro allenatore e un altro presidente (suggerisco Giuntoli). Ma la realtà è un altra, i due contendenti meritano un applauso perchè hanno gestito un campionato meraviglioso e l’hanno vinto, pur detestandosi. E all’ora della verità hanno forse pensato – ma del doman non v’è certezza – che fosse inutile mettere a rischio la prossima stagione per creare quei fantasiosi cicli che raramente hanno dato ricchi frutti. Non avendo figli in comune, meglio separarsi. Anzi, non escludo che Spalletti sospetti che qualcuno dei “suoi ragazzi” – tipo Osimhen e Kvaratskhelia – possa esser ceduto per fare cassa. Perchè il Dela – piaccia o non piaccia – prima pensa al bilancio, poi ai trofei, visto che quelli fin qui vinti sono innanzitutto frutti di una sana gestione. Spalletti, colta la gioia del suo primo scudetto, credo abbia deciso la strategia di una botta e via. Nel calcio – come spesso nella vita – è quasi garanzia di vita serena.
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TRA PALLONI GONFIATI E BUFALE ESOTICHE, FAGIOLI E IL BELLO DEL CALCIO
La Juve ha onorato con generosità e pena – senza pensare al Siviglia – una giornata di campionato influenzata dalle Coppe. Rifiutando l’immagine della Signora Nove Scudetti, ha imparato a battersi con rabbia provinciale, senza raffinatezze, e anche se ha perduto forse definitivamente Pogba non si è abbattuta, ha ritrovato il miracoloso Fagioli e la vittoria firmata anche da Bremer. Mentre il Milan fa la solita figuraccia con lo Spezia, visto che Pioli non si è ancora accorto di non aver forze per un audace turnover. L’Inter di Simone Inzaghi – bistrattato dai vip e dagli opinionisti allo sbaraglio – ha ormai trovato la superiorità che le compete e non fa più (dolorose) differenze fra i due tornei. La Fiorentina si è ritrovata con l’Udinese e medita un colpaccio a Basilea. La Roma ha onorato l’impegno bolognese risparmiando Dybala ma non Abraham e ha rischiato di vincere. Assente dal “secondo campionato” dedicato alla Champions, il Napoli ha sofferto pene arbitrali e due gol del Monza. Ma la sua è davvero un’altra storia.
La Juve – dicevo – ha giocato con una carica di cuore che aiuta anche i muscoli e ce l’ha messa tutta con la Cremonese come se fosse il Siviglia. I colpacci dell’antirossonero Spezia, della rinata Salernitana, del coraggioso Lecce hanno invitato Allegri alla prudenza, non alla rinuncia del gioco offensivo. Non solo. Ormai da tempo i bianconeri si battono come se volessero far cento punti, ovvero conquistare la sicurezza di potersi difendere dalla prossima pena (afflittiva) e restare in corsa Champions. Non sarebbe così audace se pensasse solo al Siviglia. E Allegri non avrebbe giocato Pogba fin dal primo minuto se non avesse pensato al suo pubblico che spesso lo ha fischiato ma nel cuore del dramma lo ha difeso dai suoi detrattori. Adani ne sa qualcosa. E tuttavia la mossa generosa di…riabilitare Pogba è costata cara al giocatore che al 23′ se n’è uscito in lacrime per l’ennesimo problema muscolare. Riscattando con il dolore – siamo in Zona De Amicis – i lunghi mesi di sua mal sopportata assenza.
Il primo tempo è stato praticamente sprecato da una Juve che ha realizzato solo un velleitario quanto inutile possesso palla (75% a 25), il morbo contemporaneo che di solito è patito dai perdenti – vedi ad esempio il Milan a La Spezia (65% a 35) – un’assurda formula rinunciataria se ti manca un Messi. E non funziona con i Chiesa e i Vlahovic di ‘sti tempi. Ma coi Fagioli sì!!! La sua bomba-gol è solo una conferma: la scelta dei giovani paga. Ed è la salvezza del calcio che amiamo, non quello dei milioni dilapidati per palloni gonfiati e bufale esotiche.
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