E finalmente il Napoli festeggia al Maradona il suo terzo scudetto con una vittoria. Mancava all’azzurro popolo cantante (da “O’sole mio” a “Un giorno all’improvviso” e così fino a mezzanotte) dal 15 marzo, 3-0 all’Eintracht nella Champions perduta. La superfesta la pretendeva e l’ha firmata Osimhen, il goleador notaio che ha convalidato con un rigore il pareggio-scudetto ottenuto a Udine. Non ha avuto dubbi, Spalletti: Osi si era fatto parare il primo, gli ha lasciato la firma segnalando ai napoletani che nello stadio dedicato all’indimenticabile Pibe de Oro è nata una stella degna di Diego, 23 gol di abilità e potenza. Con almeno due alternative: Kvaratskhelia, per i puristi che s’inebriano ai movimenti di danza, ai dribbling puliti, agli scatti brucianti, per i curiosi una forte somiglianza con Bruno Mora (ma lo so solo io) e Edinson Cavani, campione assoluto di stile nel Napoli Aureliano; e Di Lorenzo, un italiano vero, un capitano di giostra e di fatica con quel tanto di eleganza che aggiorna l’immagine del difensore nostrano duro e impietoso.
Bene, è andata. Adesso ci giochiamo il mini campionato di Champions e il Giallo della Salvezza raramente così tecnicamente valido, povera Samp a parte.
Pensavo alla Champions mentre l’elegante e squisita Fiorentina – poi bella e audace in campo – faceva ala all’ingresso dei Campioni d’Italia. Un recupero di antiche buone maniere che sarebbe stato perfetto se – come usava un tempo – avessimo visto il presidente Commisso seduto accanto a De Laurentiis. Bello il gesto della Viola ma son sicuro che la classifica del giorno ha offerto al Napoli la soddisfazione più grande: avere alle spalle la Juventus, l’Odiamata avversaria che ha stuzzicato, eccitato, scatenato gli azzurri per almeno un decennio da inesausti sfidanti. Esser davanti alla Juve vale per i tifosi napoletani più di dieci vittorie sull’Inter e il Milan. E la scombinata quanto infaticabile Signora di Max Allegri farà di tutto per restare lì, offerta all’amore dei suoi milioni di fedeli e curiosa di sapere quale pena potrà infliggerle la strana giustizia di questo calcio minacciato da un potere balbettante e infelice. Per carità, gli errori si pagano, ma se riuscirà a finire secondo, Allegri avrà il diritto di applaudire la sua squadra sopravvissuta all’afflittiva punizione. I dirigenti sbagliano, i calciatori giocano. Fabio Capello, firmando la prefazione al mio libro dedicato ai cent’anni della Juve/Agnelli, ha scritto:”Con i miei, gli scudetti bianconeri sono 38″.
OSIMHEN FIRMA LA SUPERFESTA DEL NAPOLI
NAPOLI CAMPIONE D’ITALIA
Oddio, gol di Lovric! Benvenuto a Udine, signor Napoli. E subito la scaramanzia tradita è il doloroso pensiero del popolo azzurro, mentre l’Udinese diventa lo strumento del destino più crudele che non fa regali e pretende invece il massimo impegno per evitare il massimo della pena. E finalmente Osimhen gol-lampo e la notte napoletana è squarciata da un urlo che spegne la paura. Scudetto! Sì, Napoli Campione d’Italia. D’Italia! Non solo del territorio che in questo momento è un mare in burrasca di umanità e richiama nel taccuino dei cronisti vie, piazze, quartieri, luoghi sacri del tifo maradoniano dove i murales scrivono una grande storia popolare e promettono di restare eterni come i graffiti e i dipinti di Pompei, murales ante litteram. Napoli Italia non è un geografico dato banale, nè un paesaggio digitale: ci son troppi stupidi napoletaneggianti sul web, ‘cca nisciuno è fessò è scritto un pò dappertutto, nel Bel Paese: nelle case, negli uffici pubblici e privati, nei ristoranti, nei bar, ovviamente nelle pizzerie. Ma son soprattutto le voci, quel parlar cantante fra lacrime e sorrisi che i napoletani non travestono mai, cosa che talvolta fa la gente del Sud per meglio introdursi socialmente altrove. A Brooklyn, a Sydney, a Stoccolma, a Mosca, anche a Pechino dove in tempi olimpici si facevano chilometri per una verace pizza napoletana accompagnata dalla sua lingua natìa, non dallo slang del Minnesota. E l’incancellabile identità è favorita dal Napoli, un collante di sofferenza e entusiasmo, una compagnia teatrale – direi il carro di Tespi – che si muove da decenni nei teatri\stadio d’Italia. E ormai d’Europa.
Ecco dunque i Campioni d’Italia – città e squadra – alla faccia di quei tifosi lamentosi che s’atteggiano a vittime e invece son padroni. Come ai tempi di Ferlaino che con Totonno Juliano s’era inventato Maradona, sembrava ‘nu babà, diventò un re, Maradona è meglio ‘e Pelè. Così De Laurentiis che a sua volta ha smentito le leggende metropolitane, i miracoli di San Gennaro, i mandolini di Marechiaro, le contorsioni degli intellettuali che cercano di appropriarsi del successo parlando e scrivendo in italiano forbito. Mario Merola – l’equivalente di Totò e di Carosone nella sceneggiata – mi abbracciava e diceva commosso “Ti ho sentito cantare ‘O surdato ‘nnamorato, Italo, sei come noi!”. Mi faceva cantare – in tv, mica a Capri – il mitico Guido Lembo dell'”Anema e core”. Perdonate se vi risparmio statistiche, non amo i numeri, amo gli eroi e li racconto. Alla faccia di chi non ne vede, a Napoli, neanche arretrando, nel tempo. A volte – fisico e cervello a parte – mi trovo a Napoli come Giacomo Leopardi centonovant’anni fa: innamorato della città, infastidito dagli intellettuali ridondanti, gli stessi che chiamavano lui “ranavuottolo”, ovvero ranocchio, ignorando una sua operina scritta proprio a Napoli prima di morire e riecheggiante una risposta ai detrattori, visto il titolo che raccolgo in una sola parola, “Batracomiomachia” ovvero “Battaglia dei topi con le rane”. Uomini e topi. E rane. Così la pensa Spalletti che poche ore fa ha detto a certi critici “L’anno scorso sono arrivato terzo e mi avete attaccato, ricordo gli striscioni in cui mi dicevate di andar via. E le critiche ci sono ancora oggi…”. Confronti? Rammento giusto che il Napoli – scusate l’anticipo – ha chiuso il campionato cinque giornate prima come il Grande Torino di Valentino Mazzola nel ’48, la Fiorentina di Bernardini nel ’56, l’Inter di Mancini nel 2007, la Juventus di Allegri nel 2019; cito il dettaglio perchè siamo nell’aristocrazia del pallone; quella Fiorentina fu la prima finalista italiana in Coppa dei Campioni e mi vien da dire apposta che l’unico difetto della squadra di Spalletti è stato uscire da una Champions dove gli azzurri avevano forse esibito il miglior calcio. Pur con canti in gloria dell’indimenticabile Pibe de Oro questo è anche lo scudetto che potrà far cantare altre glorie: Meret, Olivera, Kim, Rramhani, Di Lorenzo, Zielinski, Lobotka, Anguissa, Kvaratskhelia, Osimhen, Lozano. E a titolo personale Giacomino Raspadori. Con un pensiero a Hamsik, Lavezzi e Cavani. I miei Tre Tenori.
IL NAPOLI PROLUNGA L’ATTESA, DALLA CORSA CHAMPIONS UN NUOVO CAMPIONATO
Quando l’emozione si gonfiava come una vela al vento veniva fuori Alfred Hitchcock, il regista più sprecato dal football. Bastava una partita incerta in un crescendo – altra citazione – rossiniano e veniva citato il Mago. Erano i Sessanta, grande era il calcio che si offriva a milioni di spettatori stipati negli stadi d’Italia ogni domenica, ma raramente si verificavano finali tipo Roma-Milan. O Napoli-Salernitana, la partita delle partite sulla quale s’erano rovesciate attese senza precedenti. Dal Maestro del giallo ho preso altri spunti drammatici, dall’iniziale svantaggio dell’Inter con la Lazio bravamente rimontata – il primo vero passo del Napoli verso lo scudetto – fino al Maradona tremante d’amore e Piazza Plebiscito gonfia d’emozionante attesa che non prevedeva speranze ma certezze, esultanza senza paura. Le telecamere che passavano da un luogo all’altro provocavano inconsciamente l’Effetto Vertigo firmato Hitchcock, una carrellata in avanti, uno zoom all’indietro, l’esplosivo gol di Oliveira, il disperante pareggio di Dia. Una vertigine a momenti insopportabile, un compulsare sfrenato di tabelle, come e quando si vince lo scudetto? Giovedì sera a Udine. O prima – magari in albergo dove lo perse Sarri – se, se o se… Cambia regia, cambia titolo. Domani è un altro giorno. Nel frattempo, osservazione dell’antico cronista: il calcio è il più bello spettacolo del mondo.
Di una partita non vinta come Napoli-Salernitana si potrebbe scrivere un romanzo, non ho sotto mano autori, cito me stesso, pagine scritte nella certezza dello scudetto, buttate nella monnezza del cestino digitale. E un pensiero pungente: avete – abbiamo – sfidato la scaramanzia, ora sapete – sappiamo – che non è burletta. Che non si scherza col fuoco. Così tanti, così ansiosi e sicuri insieme, così incuranti del nemico, sfrontatamente certi del successo, avete – abbiamo – sfidato la forza del destino. E la scaramanzia, “una sottocategoria della superstizione: la superstizione è la teoria, la scaramanzia è l’azione”. Raccomandazione: tornate al gesto scaramantico, terque quaterque…Io l’ho già fatto.
L’ha fatto anche Allegri, la sera, a Bologna, quando Milik saltellando come un pirla s’è fatto parare il rigore dell’1-1 da Skorupski. Ma fai come Orsolini! Rigore classico, palla a destra, portiere a sinistra, così si gioca…(battuta sfumata). Ma il fatto – storico – è un altro: il rigore al Bologna l’ha dato il Var, non l’arbitro Sozza, perchè lui non l’aveva visto e il monitor di riscontro non funzionava. Segnatevi la data: l’arbitro è ufficialmente uscito di scena. Ma la partita è bella, Motta orgoglioso della sua macchina nuova.
Già, la Juve che ormai non sa più che cercare, e che volere, distratta – addirittura sconvolta, dice Allegri – dal processo più stupido di tutti i tempi, un intralcio al campionato che solo il Napoli, se si affretta, può risolvere. Milik corregge il proprio errore, gol al 60′, uno a uno. I ragazzini di Allegri – Gatti, Fagioli, Miretti, Soulè, Iling jr – cercano un posto al sole mentre Chiesa è depresso e Vlahovic perplesso.
Adesso la Zona Champions, con Lazio, Juve, Inter, Milan, Roma e l’Atalanta appostata: per sei partite è il nuovo campionato.
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VIVA L’ITALIA, RASPADORI-GOL E TRICOLORE NAPOLI SEMPRE PIU’ VICINO
Raspadori ha segnato il gol della vittoria. Viva il Napoli. Viva l’Italia. Di Maria e Vlahovic, partiti dalla panchina, avevano appena provato a omaggiare la loro Signora. Inutilmente. Anzi, i loro gol sbagliati hanno risvegliato un Napoli flemmatico. E Giacomino arriva giusto nel gran finale a mettere la sua attesissima firma su una vittoria che avvicina lo scudetto. La partitissima non è bellissima, è di cartello soprattutto per tradizione. Ma la Snai – che ha già pagato le scommesse pro Napoli – ha annunciato che la grande sfida del ’23-’24 sarà la stessa, Napoli vs Juve.
Finalmente una buona notizia per il Napoli che ha ritrovato fiducia in se stesso. Non di più. Restano visibili le ferite inferte soprattutto all’orgoglio dal Milan, senza le quali avremmo visto negli azzurri più rabbia, più determinazione. Ma in fondo avevano davanti la Juve che di rabbia vive da quando le hanno tolto 15 punti e non ha ancora – giustamente – realizzato di averli riavuti indietro. E averla sconfitta con i nervi distesi è una bella soddisfazione.
Viva Raspadori – dicevo – viva l’Italia. C’è un motivo speciale. Una volta guadagnate le semifinali, Inter e Milan si sono messe a correre battendo Empoli e Lecce. Juve, Roma e Fiorentina hanno fatto il resto. E Mou un figurone: si muove bene su due piazze. Così è ufficiale: quando entra in ballo l’Europa l’Italia non conta. Quasi come in politica. Bello, giusto, andiamo orgogliosi di questo successo europeo. Basta non pensare alla pochezza della Nazionale costretta a giocare solo con gli italianuzzi rimasti a disposizione di Mancini più un argentino sollecitamente nazionalizzato. Se vale il discorso del campionato ridimensionato, ridimensioniamo per sempre anche la Nazionale. O andiamo a cercare altri oriundi. L’Argentina n’è piena. Fosse stato furbo, Dybala – cittadino italiano per via di nonna napoletana – avrebbe fatto bene a scegliere il Bel Paese. Che avremmo ribattezzato “il Bel Paese della Joya”. Una novità. Bastava che Paulo ricordasse l’italiano Icardi che sbagliò a scegliere l’Argentina. Non per colpa di Wanda, immagino.
I posti in Coppa sono stranieri, agguantati con formazioni che “ospitano” tre/quattro italiani al massimo. Non ne faccio una questione di etnia – come va di moda dibattere – ma di intelligenza. Un esempio? Thiago Motta rivolta il Bologna come un calzino, riabilita Orsolini, vince e convince, pareggia col Milan, va a Verona…e presenta un inedito squadrone di undici stranieri. Fa una figuraccia, recupera troppo tardi tre italiani e l’unico quasi gol che poteva valere il pareggio è dell’Orso. Lo chiamavano SanThiago. Voglio vederlo con la Juve.
La mia presunta vena esterofobica – ho venerato i grandi campioni stranieri che qui giocavano trent’anni fa – segnala l’impresa di Leao che ha preso gusto a far gol bellissimi così come Pioli a esibire il contropiede. Almeno il gioco più bello resta “all’italiana”.
(ITALPRESS).
L’EUROPA STA DEMOLENDO IL CALCIO ITALIANO
L’Europa sta demolendo il calcio italiano. Non basta che la legge Bosman abbia provocato l’approdo di centinaia di “stranieri” – con tante bufale – ai club privando la Nazionale di rinforzi di qualità, adesso è la Champions a dare il colpo decisivo al Campionato che un tempo si diceva “il più bello del mondo”. I
bravissimi tecnici di Milan, Inter e Napoli si portano felicemente ai quarti di Coppa esibendo qualche italianuzzo fra i mejo exotic players eppoi snobbando il torneo patrio come se fosse un intralcio per l’Europa. Per quelli che non lo sapessero – o l’avessero volontariamente dimenticato – voglio ricordare che una quarantina d’anni fa – quando l’ingresso agli stranieri era limitato a due per squadra – sui nostri campi scendevano orgogliosi e adorati ragazzi come Zico, Boniek, Briegel, Souness, Cerezo, Junior, Hateley, Barbadillo, Bertoni, Wilkins, Corneliusson, Platini, Socrates, Elkjaer, Passarella, Rummenigge, Maradona, Stromberg… E la Juve e il Milan vincevano la Coppa dei Campioni…
Alla fine, pur commettendo un errore con il Verona (nemico tradizionale aiutato dal turnover) il Napoli è l’unica delle grandi che ha giocato per vincere lo scudetto e mentre qualcuno cerca di svalutarlo mi piace sottolineare che questo trofeo ne vale due per l’onestà dell’impegno profuso in un campionato ferito dal Mondiale ma soprattutto per la esibita qualità del gioco. Spalletti non ha Maradona, non ha Careca, ma una squadra grandissima che ha trasformato lo Stadio Maradona nel miglior teatro del Mondo. Come il San Carlo. L’altra grande, virtualmente tagliata fuori anche da un posto in Conference League, è la Juventus che, nonostante l’afflizione cinicamente provocata dai 15 punti di penalizzazione, non si era mai arresa continuando a cercare un posto in Champions finchè non ha trovato il Sassuolo prodigio. La Signora era come rinata con le imprese di Gatti e Fagioli, adesso gli adoratori degli stranieri diranno che la ricetta casalinga non serve. Li invito ad ammirare le imprese di Di Maria e Pogba quando sono stati chiamati ad alleviare le pene del Vlahovic perduto. Non giudico Chiesa perchè conosco la sua difficile condizione, una crisi più psicologica che fisica. Per realizzare il sogno Champions a questo punto potrebbero arrivare a giorni quei quindici punti di sutura alle ferite “che nel bel corpo suo sì spesse veggio” (petrarchismo d’occasione). Archiviate le virtù del Sarrismo celebrate con enfasi a Napoli, il Comandante sta dando con la Lazio una lezione d’umiltà a tutti: se ne frega degli orpelli guardioleschi, onora il campionato e bada a vincere concedendo tuttavia a qualche piacevolezza. Encomiabile la rinuncia al Possesso Palla, l’irritante finezza che spesso cerca di nascondere una infelice condizione atletica. Da domani sera cercheremo di dimenticare con una sbornia di gol nostrani le note amare tifando semplicemente Italia.
L’OMBRA DELL’EUROPA SUL CAMPIONATO MA LA LAZIO SE LA GODE
La Settimana Santa ha prodotto miracoli nelle periferie della classifica esaltando il coraggio della Salernitana e dell’Empoli, ostacoli insuperati dall’Inter e dal Milan; e così la resistenza dello Spezia imbattuto a Firenze, la resurrezione del Bologna splendido vincitore a Bergamo, l’exploit del derelitto Verona capace di piegare il Sassuolo rivelazione (permanente). Cos’è successo? A turbare l’ordine del Campionato c’è l’Europa. Non quella che fa piangere Mancini ma quella che fa sperare Spalletti e Pioli in un insolito derby continentale e Inzaghi in un salvataggio della panca.
Vabbè, martedì e mercoledì saremo in totale Zona Champions. Il Napoli la fa e la farà come usava un tempo, quando si chiamava Coppa dei Campioni. Roma e Lazio cercano di vincere il loro campionato minore, un posto (ben pagato) in Europa nel prossimo massimo torneo. Le milanesi hanno accettato il cosiddetto “rischio Sarri”, ma capovolto: tirarsi indietro in campionato con balordi turnover per garantirsi la Coppa; Sarri – a Napoli – rinunciò a una Coppa per vincere uno scudetto. E perse tutto. A onor del vero, il Comandante esaltato dal tramontato Sarrismo sembra aver ritrovato a Roma la miglior misura tecnico tattica insieme a una filosofia del ponentino che da Comandante lo ha trasformato in Professore. E la Lazio se la gode menando a destra e a manca, povera Juve compresa, ormai incapace di reggere il peso di una penalizzazione che la inquieta e dell’inconsistenza del suo unico vero bomber, Federico Chiesa.
Continuo a sentire inesperti opinionisti e anche giornalisti titolati elogiare il cosiddetto Calcio Moderno e progressista alla faccia del Calcio Antico e reazionario. Non sanno cosa si sono persi. Non hanno idea nè ricordo di quel Milan che passava dall’ostensione degli scudetti alle trionfali esibizioni delle Coppe dalle Grandi Orecchie. Come l’Inter del Mago, pazza e potente, che conquistava tricolori e trofei continentali e intercontinentali nel tempo degli undici che mandavi a memoria perchè al massimo c’era un tredicesimo a turbare l’ordine interno. A proposito di Benfica-Inter, ho appena rispolverato la leggenda della Malediciòn di Bela Guttmann che scattò proprio a San Siro, nella finale di Coppa dei Campioni del ’65 con i portoghesi, sconfitti da un pallone di Jair passato diabolicamente fra le gambe del portiere Costa Pereira. Bela Gutmann, famoso allenatore che aveva fatto vincere due Coppe dei Campioni al Benfica, maltrattato da un dirigente del club lusitano, aveva profetizzato: per cent’anni non vincerete più Coppe. E così fu, i portoghesi persero otto finali. Martedì sera ci saranno ancora le streghe, a Milano?
Era anche il tempo del vincere per vincere non come oggi che si cerca un posto in Zona Champions per arraffare un pugno di euro. Oh, come mi sono divertito, io. Solo il Napoli, di recente, ha onorato il gioco più bello del mondo, insieme alla Juve dei nove scudetti che tuttavia ha depresso il suo spettacolare record avvilendosi in Champions nonostante i grandi investimenti, lo sciupìo di campioni veri o presunti e l’acquisto sprecato di Ronaldo.
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NAPOLI UMILIATO E OFFESO DA QUATTRO SCHIAFFI DEL MILAN
Napoli umiliato e offeso da quattro insostenibili schiaffi di un grande Milan. Sembrano tornate antiche velenose sfide e cattivi pensieri d’epoca maradoniana e invece è solo una penosa notte degli errori. Uno che capisce di calcio (come me, ah ah) coglie al volo la malaparata e sa che dopo i passaggetti balordi fra Lobotka, Meret, Kim, Lorenzo, Meret in un crescendo di irritante stupidità, il gol dell’avversario ci sta. E infatti mentre il Napoli prova a ripartire dopo la penosa esibizione di gioco dal basso – insulto tecnico – al 17′ Diaz recupera la palla, l’indirizza a Leao che ha già il gol nel piede e con una carezza beffa il povero Meret. Avrei capito la tentennante cerimonia difensiva se prima il Milan avesse spaventato gli azzurri e invece, dopo il salutare intervento di Meret su Diaz al 3′, avevano dato spettacolo Simeone, Kvaratskhelia, Politano. Come sia nato quell’infelice e imbelle tikitaka nell’area del Napoli non si spiega – non oso incolpare Spalletti, però… – sta di fatto che Politano capisce l’aria che tira, arretra per recuperare la palla e spostare il gioco avanti, ma come sanno quelli che capiscono di calcio (!!!) il vantaggio ha dato al Milan una forza nuova, un’intesa miracolosa, un orgoglio quasi inedito e l’improvviso coro dei Lombardi ha suggerito al 25′ a Diaz – il migliore in campo – il secondo gol: lo ha servito Bennacer, un tiro mancino dello spagnolo umilia Meret.
Domandone: e se fosse già Champions? Allora è vero che ‘sto Milan viene dall’aristocrazia d’Europa a dar lezione. Mannò, ragazzi, questo non è il vero Napoli, è un’edizione infelicemente straordinaria della gioiosa macchina da guerra di Spalletti che può incepparsi solo per superficiale presupponenza o imperdonabile leggerezza. Amici napoletani vi ho consolato? Macchè. Non siete gonzi. Dicano quel che vogliono, i mandolinisti: questo Napoli-Milan è nato come test del doppio confronto di Champions con il Maradona nutrito di bellezza e d’amore che dopo un tempo appartengono soltanto alla sorridente Mamma Diletta. E’ una partita, questa, che vale scomodi pensieri in attesa di Osimhen. Che non sia un alibi. E diventa disfatta quando, dopo tentativi azzurri frustrati dall’eroico Maignan, l’operoso Tonali imbecca il magico Leao per il terzo bellissimo gol. Umiliazione, infine, al solitario quattro a zero di Saelemaekers che si è mangiato tutta la difesa e ha beffato Meret. Grande Milan. Napoli, dove sei? Buonanotte tristezza.
Per fortuna ho conservato un pò di sorrisi in una festosa domenica delle Palme anticipata dall’imperturbabile Juventus: prima un Bologna stravincente, poi una Lazio sarrianamente evoluta e una Roma convincente ci hanno rallegrato a suon di gol; dico di Posh, Moro e Musa Barrow come di Wijnaldum, Dybala ed El Shaarawy, ma soprattutto del fantastico popolo del Dall’Ara e dell’Olimpico: è quella gente che espone i bimbi al cielo, canta e balla sugli spalti, s’associa a Dalla e a Venditti, il popolo del pallone che ci garantisce la sopravvivenza del nostro amatissimo gioco nonostante l’imperversare dei signori del calciobusiness.
COME DIRE AD ALLEGRI DI NON DEFINIRSI SECONDO IN CLASSIFICA ?
E chi glielo dice, adesso, a Allegri, che non deve permettersi di definirsi secondo in classifica? Lui, almeno lui e i suoi ragazzi possono vantare 56 punti raccolti alla grande sul campo e menarne vanto, il successo vien giocando non con le plusvalenze. Se ne riparlerà dopo il 19 aprile. Per ora si gioca raccogliendo quel non molto che resta dopo il passaggio del meraviglioso Napoli interprete a Torino di una vera e propria esibizione della Osimhen Orchestra. In fondo, almeno di facciata è meglio aver seconda una bella Juve piuttosto che la Lazio vincitrice di un derby poverello finito in rissa fra Mou e Lotito. Quando si dice “brutto campionato”, è utile esibire le prove. Pensavo, ad esempio, che bisognerebbe far vedere un filmato della prima parte di Inter-Juve: una ventina di passaggi sbagliati, roba da esordienti spaventati. Appare sempre più in crisi la fase cruciale della partita, la manovra di centrocampo, mentre gli attaccanti tentano imprese solitarie e le difese mal protette si affidano ai portieri. Eccellenti, Szczesny quanto Onana, finchè questi è tradito da Dumfries e Darmian e incassa un gol da principiante. E’ il 23′. Segna Kostic, imbeccato dall’impeccabile Rabiot. Ma ci vogliono 4 minuti di indecente Var per confermare la validità del gol. Ed è scandaloso che dalle stesse fonti “governative” si pretenda di instaurare il tempo effettivo, avviando l’iter per partite di almeno 100 minuti. L’unica certezza di puntualità era il calcio, come i treni del Ventennio. Ora non c’è più nulla che corrisponda alla tradizione, e questa sollecita nostalgie fra gli appassionati competenti che non conteggiano il possesso palla guardiolesco, vera pena di una partita di calcio. Guardate cosa fa, il Pep, da quando ha un Haaland capace di realizzare nove gol alla settimana.
Un gol e finalmente il Derby d’Italia è diventato una onesta partita, come un suggerimento ricevuto dal derby capitolino che con un gol di Zaccagni non ha solo castigato Mourinho ma ha dato un finale dignitoso alla sfida. E speranze europee a Sarri che ha snobbato la Reference per darsi la partecipazione alla prossima Champions. A proposito, tutti a dire non è vero che siam brutti se abbiamo portato sei squadre ai quarti di Coppe. Io penso che brutti sono gli avversari. Non ho visto battaglie accanite ma soprattutto difese organizzate per salvare il salvabile. Compreso l’autobus di Mourinho. Cosa volete che vi dica? Non sono più imbarazzato dalla modesta fama di catenacciaro che mi porto dietro da una vita. Dirò di più: ai tempi del malcalcio all’italiana almeno in Coppa s’andava da virtuosi combattenti e si risparmiavano energie per i campionati stralungati da venti squadre. Oggi l’energia affascinante del Napoli rivela lo scandaloso traccheggiare dei suoi avversari. E’ così bella, la squadra di De Laurentiis, Giuntoli e Spalletti, che televisivamente parlando dovrebbe esser mostrata sempre in prima serata, altro che nel dolente pomeriggio di un sabato che meriterebbe piuttosto una bella pennica.





