La scena è da immortalare: al 26′ di Juve-Samp il povero Bremer – vittima di opinionisti impietosi, anche juventini – raddoppia dopo Rabiot (poi bissante), un altro bianconero da buttare, almeno a inizio stagione, quando mamma era pronta a firmare ma la società nicchiava; breve sosta pubblicitaria e si vede il super critico Adani reclamizzare nonsocosa guardando la tivù e sollecitando lo sfottò degli allegranti: tiè! Ma dopo cinque minuti la Samp pareggia, prima con Augello, poi con Djuricic, e sicuramente l’Adani se la gode dal vivo. E così via, fino alla vittoria di Allegri. Fosse per me, la partita finirebbe qui. Magari con il saluto ancheggiante di una sventola. Un film di Vanzina.
Questo è il Nuovo Calcio nel quale si mescolano vari elementi dissacranti – compreso lo spot – che con l’antico nobile gioco poco hanno a che fare. Dirò di più: con l’aria che tira, avvelenata da giustizialisti vindici, ha ragione Allegri quando dice “Cosa volete da me? La mia Juve con 53 punti colti sul campo è seconda in classifica”. Meno 15 oggi, infatti, ma domani, se la sentenza dovesse cambiare? Intanto, applausi alla resilienza bianconera. E al novizio goleador Soulè. (Resto dell’idea che il processo alla Signora doveva esser fatto fuori campionato).
Poco prima, la rappezzata Roma che tuttavia tenta di conquistare un posto in Champions – il che dà la misura di quanto sia impoverito il torneo nostrano mentre il Napoli, bontà sua, gioca da solo un campionato europeo – è stata abbattuta da un Sassuolo ringhioso e dalle follie di un pedatore esotico, rivelando che non ha la forza nè gli uomini per affrontare due partite in settanta ore, dopo il 2-0 inflitto alla forte Real Sociedad appena giovedì. Non c’era neanche Mourinho, all’Olimpico, magari a protestare per il rigore subito, sentendosi ingiustamente punito dalla squalifica ripensata. Ho sempre ammirato il panchinaro Mourinho, mai ho simpatizzato con l’uomo che dalla propria vistosa antipatia ha ricavato grande fama; oggi, tuttavia, lo vedo con altri occhi, non perchè abbia posato per la classica foto da prigioniero ma per avere accettato – affascinato dalla bellezza di Roma che supera l’ingombrante presenza dei cinghiali a Trinità dei Monti – di guidare una squadra una volta ricca e potente, oggi forse inutilmente ricca perchè gli americani giallorossi hanno il braccio corto.
Più di Lotito già ingiustamente definito Lotirchio. Così sono, le romane, alla vigilia del derby. Ancora senza Mourinho che mi dicono pronto – in caso di sconfitta – a fare i bagagli a fine stagione. Volendo, potrei portare altri cento episodi che dimostrano la drammatica decadenza dello sport più amato dagli italiani che resiste come può, grazie anche ai risultati disastrosi dell’unico gioco da campo potenziale concorrente: il rugby. Ma almeno quella della palla ovale è una favola…
(ITALPRESS).
IL ‘NUOVO CALCIO’, LA RESILIENZA BIANCONERA E IL CAMPIONATO IMPOVERITO
LA POTENZA PSICOLOGICA DI MOU E L’ASTUZIA DEL MAESTRO SARRI
Si aspettava la vendetta di Dybala, è arrivata la frustata di Mancini a una Juve inguardabile, scoraggiata, nervosa, svegliata solo nel finale dall’orgoglio, infine punita dalla frustrazione esibita per tutti da Kean. A guardare Pogba, modesto partecipante, si capisce il dramma di Allegri. A guardar la Roma, tutta, a partire da Rui Patricio, si capisce la potenza psicologica di Mou. Alla faccia di chi lo detesta.
Alla vigilia imperversava il pensiero debole di Califano il nichilista, “Sì, d’accordo l’incontro Roma-Juve è un’emozione che ti scoppia dentro. Ma tutto il resto è noia..”. Il venerdì era caduto senza drammi il Napoli, prima volta in casa dopo un anno, piccolo incidente, neanche un’allarmata sveglia; il sabato s’era addormentato a Firenze il Milan coinvolto da Ibra in uno stanco finale di una favola; e poi il minirisveglio dell’Inter che resta tuttavia a 15 punti dalla squadra dell’ex Spallettone. Sì, la noia prevale dopo una inguardabile partita fra Spezia e Verona che apre una domenica – il giorno sacro un tempo al Campionato più bello del mondo – dominata solo da Roma-Juve, una sfida appena uscita dai tribunali.
A Torino impugnano altre “verità” contro l’iniqua sentenza dei 15 punti in meno, a Roma festeggiano il ripensamento del Giudice Sportivo che ha cancellato l’ingiusta squalifica di due turni inflitta a Mourinho rimandando ogni decisione all’approfondimento del caso che ha coinvolto il Quarto Uomo Serra, colui che – vedi il labiale – mandò con arroganza a quel Paese il mitico Mou. Stupore fra i tanti opinionisti inesperti o puerilmente faziosi ma finalmente eccoli, Mou e Max con Roma e Juve, faccia a faccia.
Nel nome, pensate un pò, di Turone. Se avete fanciulli – figli o nipoti – chiamateli accanto al focolare e raccontategli la favola di quel gol annullato il 10 maggio del 1981 che circola da un quarantennio con il titolo “Er gol de Turone era bono”. Una consolazione, per i romanisti, che da allora hanno vinto due scudetti, mentre i bianconeri – evidentemente galvanizzati da Turone – dopo ne hanno vinti diciassette. Ha ragione Vanzina, questo è un cinepanettone. Trovare altre pagine così spassose è praticamente impossibile.
Emozioni? Il Napoli è caduto? Viva il Napoli. Ha acceso l’inizio della settimana della noia con il Duello per eccellenza, la sfida tutta napoletana fra Spalletti e Sarri.
Al punto che il vincitore spesso non viene citato come allenatore della Lazio ma ex allenatore del Napoli. Il sor Maurizio ha vinto il confronto su tutti i piani, uscendo con gli applausi del Maradona, onore alla nostalgia. Eppure, quello tornato a sconfiggere il Napoli in casa sua per la prima volta da un anno non era il Genio, l’incensato signore del Sarrismo finito sulla Treccani (e immagino sulla Enciclopedia Britannica) come un reinventore del calcio bensì l’astuto Maestro di Figline Valdarno che ha beffato lo Spallettone con giocate classiche per vincere, non per dare spettacolo. Facendomi un regalo: avevo appena inveito – si fa per dire – contro l’ultima bufala degli intellettuali prestati al pallone, il Possesso Palla che fece grande Guardiola con Messi e fallì senza la Pulce, ebbene, il Maestro (ex Comandante) la palla l’ha lasciata all’avversario (65% a 35%) beffandolo con una lineare azione corale conclusa dalla bordata di Vecino. Bè, almeno queste – alla faccia della noia diffusa – se volete chiamiamole emozioni. Grazie Lucio.
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NAPOLI A +18, MA LE CONCORRENTI NON SI VERGOGNANO?
Ho visto un Bologna robusto e elegante – com’era tanti anni fa, direi la sua cifra storica – infliggere una lezione di calcio alla (presunta) grande Inter. Direte: succede. Anzi, al Dall’Ara e ai rossoblù succede spesso di disturbare la Beneamata. Un anno fa le hanno “ciuffato” (dicesi così colà) lo scudetto. Ma se succede dopo che mi sono goduto la implacabile bellezza del Napoli a Empoli è giusto imporsi una riflessione allargata all’intero torneo, non a un paio di partite. Che calcio succede?
E’ da una vita che non si vede in Italia un calcio così bello. Ecco, diciamo all’incirca dalla decadenza nazionale che ci affligge dai primi Duemila, crisi di valori sociali e economici, eppoi crisi del gioco del pallone che in Italia incornicia la nostra vita quotidiana. Mentre le grandi firme della moda – faccio un esempio – traslocavano oltralpe, quelle del calcio, a cominciare dalle Milanesi, si consegnavano all’Asia e dintorni, fino agli inesplicabili fondi che hanno aggiunto al tutto l’ultima drammatica spersonalizzazione.
C’erano una volta i Campioni, i Maghi, i Presidenti a loro volta “figurine” del potere, destinati a inorgoglire – o deprimere – il popolo dei fedeli. Oggi c’è un Napoli napoletano con tanti campioni, un Mago nostrano e un presidente italiano, Aurelio De Laurentiis. Me lo sto godendo dalla Serie C, il Grande Antipatico, un pò perchè per mia scelta culturale una grande squadra resta tale in D, in C, in B, sempre, nel suo quartiere, nel suo territorio e nel mondo, e io ho continuato imperterrito a seguire il suo Napoli con Reja, Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso finchè non è arrivato l’incazzevole genio di Certaldo. Un Napoli trascorso dal fallimento all’Europa, senza un euro di debito, una prova di saggia amministrazione e d’amore. E non gli tolgo nulla della sua splendida qualità, sottolineata dall’ultimo gol di Osimhen, Mister Football, e dai diciotto punti di vantaggio sull’Inter appena sbolognata. Diciotto diciotto – era una barzelletta di Gigi Proietti – motivo di una severa quanto imbarazzata reprimenda alle sue concorrenti: ma non si vergognano? Ho appena ricevuto lacrimevoli quanto imbarazzanti messaggi di tifosi nerazzurri che chiedono la cacciata di Simone Inzaghi che magari continuerà a dirsi soddisfatto del posto in Champions, l’ultima bugia del nostro campionato. Non dico che non se lo meriterebbe – il licenziamento – ma il discorso va allargato alla decadenza dei grandi club e della critica: ai miei tempi era impietosa, a volte feroce, combatteva chiunque non fosse all’altezza del torneo più bello del mondo, oggi pannicelli caldi e inni e incenso per le improvvisate di pochi illusori risvegli, come quello di Lukaku.
Il campionato “à la carte” continua. Restano le presumibili emozioni di Mourinho con la Rometta a sua immagine e somiglianza. E di Allegri che vive ore di presunto eroismo con la sua Juve castigata, forse l’avversaria sconfitta che più manca – con
l’alibi dell’iniqua penalizzazione – alla gloria del Napoli.
JUVENTUS, IL FANTASMA DELL’OPERA
Dopo aver visto il gol di Osimhen al Sassuolo, venerdì – un’idea alla Stan Mortensen, se ne vedono tre in una vita – mi son detto: il campionato è finito. Spero di godermi una cavalcata del Napoli in Champions, adesso, magari fino in fondo, se lo meriterebbe. Terquequaterque? Fate quel che vi pare, toccate e scongiuri, era da tanto tempo che non vedevo un calcio così bello che se fosse per me – lo giuro – vorrei che questa festa non finisse mai. Resta il solito campionatino per il posto in Champions che dalle mie parti sollecita soprattutto nostalgie nel ricordo della Coppa Campioni. (Confesso che per riaverne le emozioni sopporterei anche la nascita della Superlega, e vedrete che ci arriveremo).
In mancanza di confronti speciali ho scelto – dopo aver goduto nel week end le imprese di Orsolini e Immobile e il colpaccio del Lecce a Bergamo – di dedicarmi alla Juve che ho ribattezzato il Fantasma dell’Opera. Fateci caso: anche ieri, a La Spezia, ha giocato una partita forse inutile, inesistente, legata alla sentenza di un processo avventuroso, e i gol di Moise Kean prima e Di Maria dopo (bellissimo) rischiano di essere assorbiti da una penalizzazione provvisoriamente indicata in un gelido -15 che tanti vorrebbero portare a livello artico.
Sarebbe davvero una soddisfazione per i rosicanti che si sono dovuti sorbire nove-scudetti-nove firmati Juventus; ma una soddisfazione meschina visto che al centro di tutto c’è il diffuso malcostume delle plusvalenze, invenzione di ragionieri; non di corruttori. Motivo di un processo che la Federazione avrebbe dovuto portare nel prossimo campionato per non correre il rischio di falsare questo. Magari per infliggere alla Nemica di Tutti una condanna ancor più afflittiva.
Anche per questo, mentre dagli spalti del “Picco” piovono insolenze sui giocatori juventini, mi vien voglia, al contrario, di dedicargli un applauso, mentre mi chiedo con che cuore Allegri riesca a mandarli in campo, visto che non sanno per quale teaguardo stanno giocando. Il top della volgarità è l’aggressione verbale ad Allegri da parte di certi personaggi che si fingono giornalisti e sono invece solo spacciatori di opinioni. Un ricordo di Heinrich Bòll, “Opinioni di un clown”. Ad essi è dedicata la festa organizzata per Angel Di Maria.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
LA TECNOLOGIA, SANREMO E L’ULTIMA INVENZIONE DI BERLUSCONI
Quanti punti ha la Juventus dopo la vittoria sull’arcinemica Fiorentina, incasinata dal Var, sicuramente procuratrice di risse e ultraveleni? Forse 44 – se le restituissero la penalizzazione – o 29 ufficiosamente, o peggio ancora, se la strapunissero al prossimo giro di fantagiustizia? Direte: c’è dell’altro, in campionato, e invece io penso che l’infelice idea di processare la Signora a torneo in corsa sia uno scandalo. A vedere i danni correnti e futuri – confusione o falsificazione di eventi – questo è lo scandalo dell’anno. E per fortuna la marcia trionfale del Napoli lo lascia indenne da rischi. Ma non c’è solo questo processo agli juventini plusvalenti (e ormai anche ai loro giudici chiacchieroni) ad avvelenare il campionato.
Grazie a Sanremo oggi ciascuno di noi narratori del pallone può dire quel che vuole, come vuole, possibilmente anche bugie, se non le sciocchezze che non mancano mai. Perchè da lunedì 6 febbraio – avvento di Sant’Amadeus dei miracoli – le partite non le ha viste quasi nessuno, se non quegli appassionati veri che hanno trovato accoglienza negli stadi preferendole ai gorgheggi sanremesi. Parlo, ovviamente, di spettatori televisivi, coloro che “pesano” sulla critica e ne indirizzano i commenti.
Ho infatti rivelato da decenni che l’avvento di Telepiù (e Sky, e Dazn) ha costretto noi, testimoni della partita, a tener conto di quanto mostra la tivù più di quanto gli mostri il campo. Decisiva una volta la moviola, oggi la Var, per gli atti fondamentali del match, rigori, gol, fuorigioco; e anche i momenti di rara bellezza, gli assist preziosi, i gol prodigiosi, han bisogno dell’aiuto decisivo del replay. L’ultima volta che sono stato in uno stadio – poco tempo fa, per uno spigoloso Inter-Juventus – ho fatto con godimento il mio racconto (come un ritorno a casa) e alcuni lettori mi hanno scritto: “Ma che partita hai visto, sei rinco?”.
Questa lezioncina ha uno scopo: far capire alla Lega che non è giusto nè utile sfidare Sanremo programmando gli orari delle partite mentre imperversano Benigni, Chiara, un paio di appetitose canzoni (e cantatrici) e i Tre Tenori (Morandi ha sicuramente ispirato Bologna-Monza per vedersela la domenica, peccato gli sia andata male, arbitraggio compreso); così com’è stata inutile la controprogrammazione organizzata da Piersilvio Berlusconi.
Tornando nel nostro ormai piccolo e sanremizzato territorio, l’unico controprogrammatore efficace è Silvio, sempre Lui, colui che dopo avere inventato Arrigo Sacchi viene indicato come inventore di Raffaele Palladino: costui, subentrato a Stroppa il 13 settembre del 2022, con la vittoria del suo Monza a Bologna regala al Cavaliere una sequenza positiva che nemmeno godè con il Milan. E sabato si giocherà Monza-Milan, l’Evento del Biscione. Sarà l’inizio dell’ennesima resurrezione di Berlusconi?
Mi costringo (si fa per dire, perchè mi piace) a fare il cantastorie della periferia dell’Impero Napoletano – ormai stracantato come il “Caruso” di Lucio Dalla – contro il quale si batte (inutilmente?) la Lega Lombarda di Amadeus e Abatantuono.
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MOURINHO HA FATTO INNAMORARE ROMA
Colpo di vita. Ho voluto provare in diretta – e in persona – l’Emozione Mourinho. Ed è bastato entrare all’Olimpico festoso con sessantamila in divisa e Venditti nella voce per capire che Mou ha fatto un’altra magia. Non si era ancora spenta la rabbia (social) di un manipolo di pretoriani rosicanti per la sconfitta di Coppitalia ad opera della Cremonese e i romanisti sani s’erano mossi ugualmente a legioni con tutte le armi e gli arnesi del tifo come se la Roma dovesse affrontare l’odiato Liverpool (faccio per dire) non l’Empoli modesto e tuttavia appena visto spavaldo e vincente con l’Inter. E infatti volevo vedere anche Baldanzi, il castigamatti di Inzaghi. (Bello, dinamico, si farà). A domanda rispondo: è quasi una Rometta con infortunati e Zaniolo imperversante, sarà difficile vederla vincere. In pochi minuti due assist di Dybala e due gol firmati Ibanez e Abraham. La storia è finita, la musica continua.
Questo è Mourinho, ha fatto innamorare Roma. Il resto è Cassano, mille Cassano Boys che sparano sentenze come se sapessero di calcio: la loro è una favola pedestre, frequentano uno stadio giusto per farsi vedere, così come Fantantonio ha vissuto la sua avventura intingendo la penna e la voce nel ridicolo. Al confronto Balotelli è un genio. Sta per raggiungerlo in Turchia Zaniolo. Aspetto che un pirla scandalizzato protesti: esportiamo cervelli! Cervelli. E per fortuna importiamo Mourinho. L’alternativa.
Mi sono aggrappato al portoghese perchè il campionato è ormai del Napoli e chi l’insegue fa giusto la mossa. Il derby di San Siro (che Iddio ce lo confermi, San Siro) è cosa loro, fenomeno glocale: non emoziona il mondo, non conta niente, sì, soddisfa l’Inter, ma quanto hai buttato, caro Simone. Resta appena la gioia di Lautaro, dote di un campione del mondo. E il Milan, povero Milan, è ben poca cosa, caro Pioli. Cos’è successo non l’ho ancora capito. Aspetto un intellettuale che dica: “Nikefobia”. Paura di vincere. Me lo devi spiegare tu.
Non parlo più della Juve fino a sentenza definitiva. Qualcuno l’ha sospesa a campionato in corso. Falsandolo. A fine torneo sarebbe andato tutto ok. Così la Sentenza Afflittiva non condanna solo la Juve, ma tutto il calcio italiano. Afflittiva? Non vorrei – in veste di italico complottista – che fosse un modo per salvarla…
OSIMHEN UN ARTISTA MA E’ TUTTO IL NAPOLI CHE FUNZIONA
Lo scudetto è del Napoli. Parola di Mourinho. Che con quella bocca – e quella testa – può dire quel che vuole. Forse – dicono i sospettosi – per parare una prevedibile sconfitta; e io invece gli riconosco onesto coraggio, respinta ogni tentazione di scomodare il rumore del nemico perchè il nemico è palesemente più forte e più bello, ancor di più dopo avere superato la Roma più bella dell’anno nella partita più bella dell’anno. Applausi per tutti, come se fossero istintivamente portati a onorare il padrone di casa, Diego Armando Maradona. E un Napoli così – credetemi – ha momenti di qualità assolutamente superiori. Evidenziati dopo l’eroico pari di El Shaarawy al 75′, tale da stroncare ogni missione vittoriosa fino al gol liberatorio di Simeone, l’improvviso gemello del gol, al minuto 86.
Un attimo di respiro. Magnifica sofferenza. E adesso spiegatemi perchè, a questo punto, dovrei raccontarvi – con la mia esperienza…secolare – a chi somiglia Osimhen: chi dovrebbe ricordarmi fisicamente e artisticamente, perchè a questo livello si parla d’arte. Arte dei piedi che dipingono immagini spettacolari (oso una versione pittorica rispetto a quella letteraria di Pasolini, pennellate invece di podemi) secondo ispirazione e scuola.
E come non azzarderei paragonare un artista affermato a un altro, così giuro che Osimhen è uguale solo a se stesso. Giocatore di fantasia e di potenza, così come l’ho visto in quel suo gol alla Roma realizzato con gesti di prestigiatore del pallone appena ricevuto il suggerimento dell’altro mago, Kvaratskhelia, muovendosi come uno sgusciante ballerino fra tre avversari che avrebbero voluto incatenarlo e invece – immagino – son rimasti sorpresi a spaventati. Potrebbe bastare quel gol a dire non solo le virtù del Divino – posso? – ma della squadra che gli è stata costruita addosso con l’abilità del talent scout e il mandato illuminante del presidente.
Rifulge l’impresa del Napoli ai danni di una bella Roma, confermo la più bella della stagione nel buio della prestazione del Milan e della Juve. E non mi si venga a dire che la splendida corsa del Napoli è favorita dalla debolezza dei contendenti. Non c’è mai stata gara, prima e dopo la cesura mondiale. Per qualità del gioco e generosa superiorità dei calciatori azzurri. Una partita così impone anche rispetto a un campionato maltrattato dalla critica. Come se i nove scudetti juventini siano nati in un clima di tempestose battaglie.
Il Sassuolo ha confermato la fase calante del Milan che non escludo patisca anche una sorta di apatia del suo condottiero: Pioli è smarrito, forse anche tradito dai suoi. Doveva inventarsi qualcosa, una manita così San Siro non la dimentica.
Della Juve posso solo dire che così come si è mostrata al Monza (che le aveva già dato una lezione) potrà trasformare la rabbia della sua gente – dal vertice alla base – in razionale pena. Pena per gli errori commessi. Pena per le ambizioni frustrate. Pena per un gruppo di atleti di qualità stroncati dall’umiliazione mediatica che non hanno umanamente retto. In fondo – se proprio vogliamo frustarli, come tanti fanno in queste ore – gli hanno fornito un bell’alibi. Ha ragione Allegri: adesso vedano di salvarsi. Almeno sul campo.
Italo Cucci ([email protected])
INFERNO O PARADISO? PER LA JUVE E’ INIZIATO UN INCERTO PURGATORIO
Per chi immagina – o desidera, o teme – un campionato in tribunale, Torino ha presentato una bella partita di calcio tutta da vivere e raccontare. E’ stagione, piove sul bagnato. La Juve è inzuppata. Adunata di psicologi, folla di esperti, sembra esser tornati al primo Covid, i ‘sotuttò si sprecano. Molti immaginano finita la Signora (i sogni son desideri). Altri la vedono rafforzata dall’ingiustizia, come se fossero Allegri o Ferrero che a parole ne sono strasicuri. Il Destino interviene, dopo 5 minuti l’Atalanta passa beffando Szczesny, di solito una sicurezza. Il cuore fa quello che può. Imperversa la sfiga. L’iniqua sentenza – dicono i tifosi bianconeri – si ripete sul campo, due presunti rigori fanno esplodere l’Allianz, l’arbitro Marinelli non ha pietà, ma mentre il popolo inveisce ecco che un rigore nasce dalla Var e Di Maria – volto segnato da rabbia e angoscia – lo realizza. E’ il 25′. Il guerriero argentino d’annata è indispensabile, è lui che ha osato agganciare l’arbitro Marinelli pretendendo l’intervento del Var. Ecco, sembra consumata la premessa di un match che discendeva direttamente da una sentenza: Juve colpevole, scorretta, sleale.
Si salvano – come diciassette anni fa – i calciatori e il loro tecnico. Tutto sommato per il calcio è una buona notizia. Per la Signora una magra, provvisoria consolazione.
Poi al 34′ un gran Milik raddoppia. I soliti ben informati lo davano in partenza nel gennaio delle bufale, e invece è prezioso. Gol spettacolo. John Elkann esulta. La Juventus è viva. (Ah, se si fosse svegliato prima, il padroncino, – imprecano i fedeli – quando Paratici e compari s’inventavano quell’esame burla per italianizzare Suarez e proseguivano arroganti inventandosi anche valori senza valore trasformando le intercettazioni in confessioni. Come fai a dire “nun è peccato!”).
Il secondo tempo è atteso per confermare la rincorsa al vertice dal decimo posto, qualcuno osa pensare all’Europa dell’odiato Ceferin, il prossimo giudice pronto a punire i ribelli della Superlega: ma basta un minuto e Maehle pareggia, altri sette e l’indomabile Lookman fa tre a due. La partita diventa battaglia avvincente e mentre il “nemico” sogna la manita napoletana Danilo perfeziona una punizione dal limite e al 65′ pareggia.
Nella domenica delle lacrime di Marassi per Luca Vialli e della gioia del fantastico Dybala che porta ai vertici la Roma – due ex bianconeri – ho voluto solo raccontare una emozionante partita di calcio, non so se indizio di una irreversibile caduta della Juve all’inferno, o premessa di una sua irresistibile ascesa a un piccolo paradiso. Nella stagione di Dante comincia per i ragazzi di Allegri un incerto purgatorio.
(ITALPRESS).





