Il mondo del calcio è caritatevole. La rassegna dei media me lo conferma. Non ho mai visto tanta gente preoccupata della salute (della panchina) di Max Allegri. L’altra sera, dopo il 5 a 1, ho pensato al doloroso digiuno del livornese cresciuto a “5 a 5” – classico bocconcino labronico, 5 lire di pane con 5 lire di torta di ceci – dopo lunghe stagioni torinesi di ostriche e champagne. L’ho scrutato anch’io, il volto di Max, da sempre armato dell’aforisma di Metastasio: “Se a ciascun l’interno affanno/si leggesse in fronte scritto/ quanti mai che invidia fanno/ ci farebbero pietà”. Sembrava scritto per lui, invidiatissimo recordman degli scudetti, condotto a pietà da Osimhen e Kvaratskhelia. E invece ho visto il solito cinico produttore di calcio utilitaristico per nulla addolorato se non dall’involontario omaggio offerto al rivale Spallettone tradendo l’ideologia sparagnina con un tentativo di fare bel calcio al “Maradona”. Tanto nomini… E’ lì che si è rovinata la Juve, col peccato d’orgoglio del suo leader che l’uomo di Certaldo ha sfruculiato alla vigilia fino a indurlo in errore. La Juve degli otto successi consecutivi (di cui cinque 1-0) senza prender gol c’era, a Napoli, ma Allegri ha voluto lui pure esibire grande bellezza. Non possedendola, nonostante i bei nomi di illustri pedatori. Sono sicuro che cancellerà certi attacchi velleitari fin dal prossimo incontro con l’Atalanta, la vera rivale cui riproporsi con la solita ricerca del massimo risultato con il minimo gioco. A ben vedere, Pioli sta peggio di Allegri che con la Juve peggiore del decennio è sempre lì a battersi per entrare in Champions, il giusto traguardo. Il Milan “tricolore” mira per forza solo allo scudetto e pur senza far troppo rumore lascia a Lecce – a un onorevolissimo avversario – due punti preziosi. Se Allegri ha trovato un esercito di fustigatori – e se ne frega – Pioli è stato soccorso da medici pietosi che al prossimo giro sbagliato potrebbero scaricarlo con la stessa enfasi con cui è stato esaltato. Spero che il gran lavoro benfatto in questi anni a Milano abbia rinforzato il moderato Stefano e gli suggerisca d’ora in avanti passi calcolati con cinica destrezza. In fretta. La stessa fretta con la quale Simone Inzaghi ha capito che la vittoria della sua Inter sugli azzurri era soltanto un test per Mister Fantasy Spalletti. Il quale con il Napoli ha raggiunto la perfezione: vincere dando spettacolo. E non c’entrano il Giochista o il Risultatista: c’entra il manovratore di uomini che da realizzare la squadra. Mi viene da pensare – con tanti complimenti – al 3 a 0 inflitto al Liverpool dal Brighton del mio pupillo Roberto De Zerbi. Il grande Klopp gli ha dato una medaglia al valore. Io l’aspetto di ritorno in Italia con il suo calcio tradizionale e rivoluzionario insieme. Quello – mi pare di capire – che il Mondo Juve sta cercando da anni.
RAZZISTI, ULTRAS ED ERRORI MENTRE LA A PIANGE VIALLI E MIHAJLOVIC
di Italo Cucci
Non bastasse la coltre di dolore scesa sul campionato per gli addii di Vialli e Mihajlovic, tornano indecenti scandali, rabbia e polemiche. E’ scandaloso che a Lecce si ripetano antiche cerimonie dei clan di cialtroni razzisti che inutilmente denunciamo da decenni. Sono schedati – non solo quelli laziali – ben noti, perseguibili, ma come? Questo governo deve togliere al calcio la responsabilità di fare pulizia. Se non altro perchè l’unica possibilità di riuscirci parte da severe sanzioni ai club – non le curve proibite – che fin da decenni se li tengono in corpo, sorta di squadre speciali. Come quelle di romanisti e napoletani che si sono scontrate alla stazione di servizio di Badia al Pino, allenate per una guerriglia che in passato ha fatto morti. Un oltraggio – fra l’altro – alla memoria di Gabriele Sandri che lì perse la vita l’11 novembre 2007. Ricordo la rabbia e le lacrime di quel giorni – ci misi anche le mie – e quel ch’è successo conferma l’immobilismo delle autorità. Il ministro dello Sport Abodi ha promesso vigorosi rimedi. Lo aspettiamo.
Poi il campo. L’Italia del pallone si trasforma in una valle di lacrime per il doloroso addio di Vialli a breve distanza da quello di Mihajlovic: c’è sincerità – si sente – nel piangere Gianluca e Sinisa, giovani uomini con i quali abbiamo vissuto una parte di vita, non simboli storici, non eroi leggendari come Pelè. Più vicini, più amati. Ma basta poco perchè il campo torni ad essere palestra d’ingiustizia e di rabbia. Cosa ci hanno detto della Var? Che avrebbe finalmente spento le risse da stadio e le polemiche dei media. Vergogna, si stava meglio quando si stava peggio, quando alla fine tutto ricadeva sulle spalle degli arbitri, perseguitati dagli addetti ai lavori e tuttavia orgogliosi di un ruolo essenziale, decisivo. L’Inter avrebbe realizzato il gol del vantaggio con Acerbi, forse la vittoria che alla fine è mancata anche per gli errori di Inzaghi, il tecnico che non possiede la virtù lippiana (e…allegra) degli scambi. E il rigore inesistente assegnato dal Var al Napoli contro la Sampdoria, pur fallito da Politano, ha subito avvelenato una partita che era stata affettuosamente dedicata a Vialli. L’avrebbe comunque vinta il Napoli, più forte, più determinato, anche se non bello e piacevole come l’avevamo lasciato prima del Mondiale ma in visibile crescendo di forma e di idee.
Torino ha fatto il suo dovere dedicando la partita Juventus-Udinese a Vialli con una coreografia dettata dal sentimento, quasi una rivisitazione dei bei giorni lontani traditi dal calcio business. Ci stava anche l’ottava vittoria consecutiva dei bianconeri, anche Gianluca aveva appena rammentato qual è l’obbligo di Casa Juve: vincere. L’inattesa partecipazione alla corsa-scudetto dei ragazzi di Allegri merita un’annotazione psicologica: aggredita da guai aziendali e minacce calcistiche (c’è anche, fra gli odiatori, chi le augura la retrocessione) la Juventus reagisce come le due Nazionali che ha imbottito di suoi uomini nel 1982 e nel 2006. Come disse Mihajlovic, la paura aiuta a vincere. E nel frattempo già si scommette sull’antico duello Napoli-Juve.
Italo Cucci ([email protected])
MONDIALI, MERCATO E LUTTI MA ORA TORNA LA SERIE A
Mancano ormai pochi giorni alla ripartenza del Campionato con una partita di cartello, Inter-Napoli, e l’Italia calciofila, quella dei sessanta milioni di commissari tecnici, sembra non accorgersene. Il bar sport ha esaurito la chiacchiera mondiale, Messi e Mbappè, gli ultimi sfidanti del Qatar, sono già a Parigi, compagni di squadra già ampiamente presentati dall’Equipe, mentre i giornali nostrani raccontano le allegre disavventure di Pogba e altri vacanzieri ritratti in evoluzioni sulle nevi, come dimentichi di appartenere a un torneo interrotto: inutile ribadire il danno provocato dal Mondiale invernale subìto nel peggiore dei modi, senza l’Italia in giostra, e con una ulteriore sospensione che sembrerebbe dedicata solo al riposo dei settanta guerrieri stranieri che lì si sono esibiti non per l’Azzurro ma per le rispettive nazionali. E’ un mondo cambiato radicalmente, una ulteriore esibizione di quanto potrà costarci anche in futuro avere ridotto il campionato a una giostra esotica mentre Roberto Mancini raccoglie le speranze in un distratto stage a Coverciano.
A noi, in questi giorni – a ben pensarci – è restata soprattutto la funzione di piangere gli amici perduti – Sinisa Mihajlovic, Mario Sconcerti e Pelè – che giustamente allontanano vieppiù i tradizionali, naturali furori delle partite, e anche l’allegria pallonara è spenta nell’inverno del nostro scontento. Dirò di più: le uniche voci di ripresa riguardano il penoso mercato d’inverno che, afflitto dai debiti di tanti club, è anticipato soprattutto da possibili fughe di tanti Rabiot verso altri lidi, l’Inghilterra in particolare dove ormai giocano come se il Mondiale – malamente perduto – non avesse mai interrotto la festa.
Non richiesto di pronostici – e anche questa è una novità – mi sento di confermare la perdurante e buona condizione del Napoli, poco disturbato dal Qatar, esemplarmente sottoposto al lavoro da Spalletti mentre altrove – vedi l’Inter – si discuteva del destino di Lukaku o peggio – vedi la Juventus – del destino…totale. Abbiamo saputo che la Signora è ormai nelle mani di Allegri, ma cosa potrà fare, il volonteroso Max, con la squadra, mentre la società è minacciata di severe sanzioni non solo pecuniarie? Far finta di niente? Crepi lo psicologo.
Ecco, meglio fermarsi qui, meglio attendere il fischio dell’arbitro che annuncerà l’inizio di Inter-Napoli, augurandoci che il nostro mondo immobile abbia la forza di riprendere la corsa verso il traguardo di maggio come se nulla fosse successo. E con curiosità accentuata dall’ultima trovata arbitrale sul fuorigioco. Non la conoscete? Eccola: “La novità riguarda la differenza tra “deliberate play”, cioè la cosiddetta “giocata”, e “deviazione”. Una distinzione essenziale, dato che la prima, se effettuata da un difendente, è tale da rimettere in gioco un attaccante che si trova oltre la linea del fuorigioco, mentre la seconda non “sana” la sua posizione. Per avere una giocata, secondo la regola n.11, è necessario che il calciatore che tocca il pallone ne abbia il “controllo”, e pertanto la possibilità di passarlo a un compagno, ottenerne il possesso o respingerlo”. Capito? Buon divertimento. E buon anno.
ADDIO PELE’, IO LO CONOSCEVO BENE
Abbiamo perduto un campionissimo, ho perduto un antico amico che mi ha consentito di essere orgoglioso di averlo visto giocare fin dal 1962, e poi di aver cominciato a raccontarlo, e ancora di averlo incontrato personalmente per poter usare quella frase che fa credibile e invidiato il cronista: io lo conoscevo bene. La prima volta l’ho incontrato “in borghese” a Riccione, per una strana vacanza, nel 1965, l’ultima, quarant’anni dopo, a Milano, e appena mi disse “ciao, come stai?”. In una battuta la storia di un uomo umile con un sorriso dolce non da divo in posa ma da protagonista di una storia per bambini che sono diventati grandi con i suoi mille gol, i suoi mille movimenti di danza, di agonismo artistico al quale mancò – e glielo dissi – un passaggio in Europa per potersi mettere alla prova davanti a pedatori capaci di fermare un treno in corsa. Ebbe solo il tempo di assaggiare in amichevole il milanista Trapattoni e il romagnolo Santarini. Dal 1962 non ho perso una delle due imprese, i tre titoli mondiali, l’eterna vittoria con il Santos, ma questo lo sanno tutti, anche se solo i più fortunati hanno colto quel suo volo d’angelo a Città del Messico, all’Azteca, quando ha superato Burgnich e segnato un gol magico all’Italia nella finale del 1970.
Ma se mi disse “ciao come stai?” non era per il lontanissimo incontro riccionese ma per una successiva tournèe in Canada e New York con Santos e Bologna e un ultimo contatto quando un’agenzia vendeva i suoi commenti ai mondiali. Una cifra. Riuscii a contattarlo. Me li regalò. Con lui – dopo Diego Armando Maradona e Paolo Rossi – vorrei chiudere non solo un anno triste ma anche il mio povero Spoon River.
MESSI HA VINTO UN MONDIALE BELLISSIMO, MBAPPE’ E’ IL SUO EREDE
Argentina e Francia pareva giocassero a vinciperdi e invece n’è venuta fuori una finale strepitosa. In nome delle due nazionali che cercavano la terza stella, in nome di Messi e Mbappè come s’andava dicendo dall’inizio del Mondiale. In nome, soprattutto, del calcio; lo sport più popolare perchè offre lo spettacolo più bello del mondo. Del pianeta: scommetto che non si son persi la partita neppure gli astronauti che invece di cercare galassie misteriose si beavano della visione della Terra. E del Qatar. Diciamolo, dopo il turbolento avviarsi dell’evento che ci aspettava fin dal 2010 e aver scoperto pochi giorni prima dell’avvio la sua natura truffaldina, i suoi peccati mortali e veniali. Le trame di Sarkozy erano ben note, ci siamo ri-scandalizzati poi la festa è partita. Con il primo divertissement promettente, la vittoria dell’Arabia Saudita sull’Argentina. Ohibò, cosa succede a Messi? Non doveva riscuotere l’eredità di Maradona più volte sfuggita? Gli esperti dissero: è giù successo di partir male, non arrendetevi: Messi vincerà. E ha vinto un Mondiale bellissimo, tecnicamente importante, gestendo la finale insieme a una Francia che a sua volta ha partecipato allo spettacolo da comprimaria.
Ha vinto Messi ma non ha perso Mbappè, più stella che mai perchè la sua luce illuminerà il futuro. Perchè è lui – senza scomodare Pelè e Maradona – l’erede diretto di Messi che è arrivato a chiudere la sua monumentale pratica sconfiggendo non la Francia e le altre seminate per strada, non Mbappè ma l’eterno rivale Cristiano Ronaldo. Sì, il conto s’è chiuso, è passata agli atti – e in archivio – una delle grandi storie del calcio.
Due ore di calcio hanno una sostanza antologica, se ne potrà godere il resoconto visivo – e anche scritto – dalle prime mosse vincenti dell’Argentina. Il gol immancabile di Messi, il prodigio di Di Maria. Poi, mentre Deschamps aveva imposto ai suoi una condotta suicida dicendogli di controllare Messi, di fermarlo, di spegnere la finte del gioco, Mbappè riceveva la prima assistenza alla mezzora. Scaloni d’improvviso richiamava in panchina Di Maria, l’Angel rinato ala prodigiosa, e la Francia si svegliava, s’accaniva, ritrovava il suo Mbappè vincente. Così, a suon di gol, fino alla fine, ai supplementari, ai rigori. Che bel film. Se dovessimo attribuirne la regia per l’Oscar del masochismo portato al successo toccherebbe a Scaloni, ma il calcio non ha bisogno di Hitchcock.
Ma per fortuna Messi e compagni e Santa Fortuna han fatto finire il film come doveva, secondo trama già scritta nella fantasia del gioco del pallone stupefacente una volta di più.
Adesso il Qatar – almeno per noi pallonari – sarà meno peccaminoso, e Infantino meno sciagurato, e gli emiri meno intrallazzatori. La palla adesso passa – come diciamo noi – al Parlamento europeo. A Bruxelles. Sarà una lunga e dolorosa partita il cui finale non ci darà l’allegria delle ultime ore qatarini.
Si, mi sono divertito. Mi mancherà – e sarà come perdere il filo di una favola e rinnovare un dolore – il commento di Mario Sconcerti.
DIFESA E CONTROPIEDE E’ IL NUOVO CALCIO
“Difesa e contropiede? E’ il calcio nuovo!”. Così parlò Ancelotti, oggi il tecnico più titolato – in qualità – del mondo e i causidici ne sottolineano l’abituale ironia, controllano il suo sopracciglio che si fa arco e lasciano perdere. La penultima famigliona di scribi ha ascoltato e studiato Sacchi, l’ultima Guardiola. La mia archeopenna ormai scrive in solitudine e per lei le parole di Don Carlo sono pietre. Da sempre. Da quand’era ragazzo – nel ’78 – e dandogli un premio lo consegnai a Liedholm. La laboriosa passione di un contadinello emiliano è diventata sicurezza magistrale fra Roma e Milano, saggezza in Europa finchè a Madrid gli posano una corona d’alloro intorno al capo. E lui sancisce: “Difesa e contropiede è il calcio nuovo”. Senza albagìa preciso: l’ho imparato prima di lui, direttamente da Viani, Rocco e Brera, gli inventori del calcio “all’italiana”. E il Marocco “italico” l’ho fotografato subito (prim’ancora gli arabi vincitori dell’Argentina) mentre i tenori di penna si dedicano più volentieri a cantarne la gloria etnica, politica, sociale e immaginano che il confronto con la Francia interessi soprattutto il re del Marocco Muhammad VI, il suo premier Aziz Akhannouch, il loro popolo sparso in Europa e Emmanuel Macron. Giusto, fra poco si giocano il Mondo del pallone ma a me interessa il calcio, questo sport equivoco – forse è più spettacolo e dottrina sociologica – e oso addirittura pensare che sarà fiera partita, con i blues di Deschamps, non un inchino. (Il pensiero mi porta ai croati che affronteranno l’Argentina e se fossi Blatter organizzerei una finale Croazia-Marocco e non aggiungo altro).
Per me il tecnico plus è Walid Regragui in via di farsi predicatore ma il Marocco mi si presenta con le fattezze di Walid Cheddira, lo svettante e tamugno attaccante del Bari nato 24 anni fa a Loreto, città di Maria delle Ali. Un italiano vero. Sicchè mi è facile, partendo da lui, ricordare il Marocco che ha eliminato il Canada incassando l’unico gol (prima uno 0-0 con la Croazia e ora immagino una finale fra loro ai rigori), l’umiliazione del Belgio con due reti e il glorioso gol di En-Nesyri che ha sconfitto il Portogallo e fatto piangere il Cristiano Ronaldo tradito da Santos. Come se Regragui avesse studiato l’Europeo di Mancini minuto per minuto. Anche la Croazia – che vedremo domani contro la polemica e un pò cialtrona Argentina – ha mostrato capacità difensiva eccezionale: ma è sua virtù; direi, per semplificare, virtù di Modric, forse ancora il migliore da Russia 2018, in attesa dei nuovi colpi di Giroud. Non avevo mai visto – mai – una squadra capace di giocare a “palla prigioniera” fino ai rigori come ha fatto la Croazia di Zlatko Dalic scandalizzando i giochisti. Immagino quale sia il suo motto: ‘Vincere è l’unica cosa che conta”.
AL MONDIALE NON SI E’ SENTITA L’ASSENZA DELL’ITALIA
Il Qatar ha cominciato la sua grande festa con due eventi di segno contrario. Lunedì 21 novembre la partita Inghilterra-Iran 6-2 ha portato sulla scena il tema dominante la vigilia: non i gol degli inglesi ma il loro inginocchiarsi sul campo in segno di solidarietà con le vittime del razzismo; non la flebile resistenza degli iraniani ma il mutismo esibito in difesa dei diritti umani mentre echeggiava l’Inno del loro paese.
Fiumi di parole e d’inchiostro, poi il martedì è entrato in campo il Calcio. E l’Argentina di Messi, piegata dall’Arabia Saudita con due gol di Saleh Al Shehri e Salem Al Dawsari, ha ufficialmente aperto uno dei Mondiali più divertenti e più visti della storia.
In queste ore Gianni Infantino, risorgente dal buio in cui era stato costretto dai media, ha annunciato i due miliardi di telespettatori della prima fase, i cinquantamila spettatori mediamente seduti negli stadi con entusiasmo leggibile sui loro volti e partecipazione nazionalista dipinta sui loro corpi. Qualcuno aveva malignato su scorte di qatarini arruolati dalla Fifa e vestiti con i colori delle varie nazioni fingendoli stranieri veri, in realtà abbiamo potuto vedere con i nostri occhi la partecipazione verace di decine di migliaia di argentini, messicani, senegalesi, brasiliani, croati, gallesi, spagnoli, fino alla clamorosa festa rossoverde dei quarantamila magrebini durante una delle partite più belle e significative, la vittoria del Marocco sulla Spagna, il nuovo che avanza con le antiche armi italiche del Catenaccio & Contropiede, il vecchio che esce di scena avendo troppo creduto nella più noiosa espressione calcistica moderna, il Tikitaka.
Il Mondiale che verrà nelle prossime ore – tanta Europa (Olanda, Croazia, Inghilterra, Francia e Portogallo), poco ma eccellente Sudamerica (Brasile che balla, Argentina che soffre) e il miracoloso Marocco – ha già lasciato alle spalle le polemiche, virtualmente scomparse insieme alla Germania senza volto, e presenta una sorta di minimondiale decisivo: il PSG dell’Emiro del Qatar contro il Resto d’Europa; l’Argentina di Messi, il Brasile di Neymar e la Francia di Mbappè subito affrontate dall’Olanda, dalla Croazia e dall’Inghilterra.
Alle ansie degli argentini e alle danze dei brasiliani preferisco la inattesa perfezione dei francesi che hanno ritrovato un’antica force de frappe, una potenza offensiva – esibita da Mbappè e Giroud favolosi sostituti di Benzema – tale da riportare alla mente l’impresa record di Just Fontaine che nel 1958 segnò 13 reti. Vagando nella storia, vincendo il secondo Mondiale consecutivo per la stessa Nazione Deschamps eguaglierebbe il record di Vittorio Pozzo. Dettaglio importante: il “diverso” di questa fortunata edizione è tutto in Marocco-Portogallo, o i rivoluzionari del Magreb o i centurioni di Re Ronaldo – ingiustamente perseguitato da commentatori annichiliti dalla sua totale ricchezza – chiamati a infastidire i Potenti.
Ultima annotazione: non si è sentita l’assenza dell’Italia. I grandi ascolti televisivi hanno cancellato ogni segno di nazionalprovincialismo. Giochi e vinca il migliore. Anche in futuro. A Mancini è rimasto il motto di Nereo Rocco: “Speremo de no”.
FEBBRE A 90 O INDIFFERENZA, INIZIA LA FAVOLA DEL QATAR
Questo Mondiale mi manca già tantissimo. Ritiro le armi con le quali ho (giustamente) sparato ai signori del Qatar che si sono comprati l’evento da Platini e Sarkozy – petrodollari loro – e cerco di entrare nella favola che da oggi tenteranno di raccontarci i pedatori di tutto il mondo, orfani dell’Italia Mammona che ha perso il volo per Doha e ha affidato a Mancini l’onere della crescita dei Pafundi minorenni. Il Mondiale mi manca davvero: da cronista, da appassionato, da lettore. Arrivato a Doha, non sarei caduto nella trappola del “qui non si beve birra”, che sembra un divieto esotico e invece è vietato anche in Italia (art.5 della legge 287/1991); avrei cercato nella faccia della gente la curiosità o il disinteresse di cui già si parla tanto senza aver visto ancora una partita, ed è certo solo lo stadio che può dirci se c’è la febbre a 90° di Nick Hornby o l’indifferenza di Moravia. A proposito del quale aggiungo che da lettore mi mancheranno molto i racconti che scrivevano i suoi colleghi dai Mondiali. Dico di Giovanni Arpino, Mario Soldati, Oreste Del Buono e di Manlio Cancogni – ho appena letto un suo ricordo stamane, m’è tornata in mente la taverna di Vigo dove sorseggiavamo bianco Alvarinho con Beppe Viola – dei bravi scrittori che trattavano il pallone con umiltà e amore.
Ecco, sono curioso della narrazione di questa grande festa, sessantaquattro partite in tv, fiumi di parole, opinionisti, rimpianti e esclamativi. Spero tanto che non mi raccontino fin d’oggi se il Qatar e l’Ecuador giocano il 4-3-3 sarriano, il 3-5-2 rejano, il 2-3-5 o il 4-4-2 del doppiogiochista Guardiola. Spero che tutti si ricordino che questo Mondiale, giocato dove forse non gliene frega niente a nessuno, diventa un prezioso documentario girato praticamente in uno studio dotato di tutte le attrezzature tecnologiche più avanzate, con le squadre più famose della storia, i campioni più acclamati del momento, così Infantino e quelli della Fifa possono farlo vedere a futuri acquirenti del mondo afroasiaticoindiano per futuri Mondiali esotici. Mi fido degli organizzatori, so che la regia farà la sua parte, penso che si affideranno agli amici del cuore – i francesi, già accolti come vincitori – bravissimi a trasformare una torre di pilastri e travi metallici imbullonati in un’opera d’arte firmata Eiffel, mentre noi gli abbiamo dovuto prestare Leonardo.
Aggiungo maliziosamente che la Francia – già beneficiata col PSG dalla Qatar Investment Authority di Hamas bin Khalifa al-Thani – sarà affettuosamente curata dagli organizzatori di famiglia. In un modo o nell’altro. Non a caso si pronostica comunque una finalissima…parigina Neymar-Mbappè, un Brasile-Francia che ci sta. Io penso piuttosto all’Argentina di Messi e Dybala ma tiferò per il Portogallo di Cristiano Ronaldo, il più grande, scappato da Manchester all’inglese poi esploso in una dura filippica contro l’United che l’ha umiliato e offeso. Sarà la prima volta che Golia si trasforma in Davide.





