La Barba al Palo di Italo Cucci

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LA JUVE SI E’ SVEGLIATA, MA LA ‘GRANDE NEMICA’ NON FA PAURA AL NAPOLI

E così la Juve, castigata la Lazio di Sarri, immobile di fatto, è terza, a due punti dal Milan e a dieci dal Napoli (41-31). Andavo dicendolo da tempo – dalla prima delle sei vittorie consecutive che hanno raddrizzato miracolosamente la Signora dei “gobbi” ingobbita dalle incertezze aziendali e dalle topiche di Allegri – che sarebbe stata lei, l’eterna nemica, a tener desto il bellissimo Napoli mai sconfitto, undici successi consecutivi, 41 punti in 15 giornate. Stella d’Italia e del mondo. Dicono bene, i tifosissimi di Partenope: non abbiamo paura della Juve. Lo dicono in buona fede, senza iattanza. Ma io non parlo di paura ma di orgoglio: battere la Nemica con la quale si è confrontata per dieci anni – con Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso, dimentico qualcuno? – assegnerebbe a Spalletti la vittoria più bella di sempre con le prestazioni più importanti di sempre. Vuoi mettere cosa sarebbe affermarsi contro la padrona perduta e ritrovata? E vogliamo mettere – a questo punto – la sostanziosa qualità degli azzurri? Il Napoli, così bello non è mai stato – dicono gli osservatori attendibili, compresi i protagonisti dei primi scudetti. Non c’è Maradona, stavolta, ma c’è un Napoli maradoniano.
E la Juve risvegliata dai suoi ragazzi – Miretti, Fagioli, Kean con una doppietta del cuore – dal risorto Chiesa e da Milik in gol – s’attenta a sfidarlo perchè il calcio non anticipa mai sentenze. Oggi men che meno, mentre il torneo va in letargo per l’obbrobrio qatariota.
Milano intanto non trema. E spera. L’Inter demolisce l’Atalanta con una doppietta di Edin Dzeko, il bomber ricevuto in regalo dalla Roma che non ne ha ancora trovato il sostituto, il Milan capovolge una Fiorentina che con un sacrosanto rigore negato dal Var l’avrebbe battuto. C’è ancora tanto da lavorare. E da divertirsi – speriamo – dopo l’infame sosta che non sappiamo che campionato ci restituirà.
Sollecitato dal tribuno Mourinho, felice di aver recuperato il fedele Dybala, ho invano cercato dappertutto traditori, ho trovato solo un messaggio di Karsdorp, l’olandese della Roma che partendo da Fiumicino per tornare a casa con la famiglia, ha lasciato un messaggio alla città e alla Magica: un cuore rosso, un cuore infranto, un emoji piangente. Se questo è un traditore…Mourinho ha creato un mostro, una nuova categoria che speriamo non s’arricchisca di altre vittime.
Il calcio ha avuto fenomeni, campioni, gregari, brocchi, non ricordo traditori. Non in campo. Piuttosto fuori. E infatti, mentre cala la tela sul campionato più combattuto del mondo – forse non il più bello, quello c’era una volta, prima che lo distruggessero improvvidi gestori – ricordo il fattaccio D’Onofrio, il Rambo del mondo arbitrale, il giudice dei giudici arrestato con l’accusa di essere un super trafficante di droga, promosso e premiato mentre era agli arresti domiciliari, simbolo della inequivocabile superficialità di un ambiente che si richiama alla giustizia e alla trasparenza, affidato a custodi inerti e ciechi. Torneremo a gennaio, speriamo con gente nuova e affidabile. Forse questo nostro calcio afflitto dal business spericolato non meritava moralmente di andare al Mondiale.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

ARBITRI, CASO D’ONOFRIO IL PIU’ GRAVE DI SEMPRE

Di Italo Cucci
Il caso D’Onofrio è il più grave scandalo arbitrale di sempre. Preceduto – come risonanza, non come sostanza – dalla decisione assunta dalla Federcalcio fra il 1955 e il 1959 di far arbitrare le partite del campionato da fischietti stranieri: 13 austriaci, 5 francesi, 3 jugoslavi, un greco e un turco. Ricordo che fu una solenne buffonata con alcuni fischietti esotici che arbitravano in base alla schedina del Totocalcio che avevano giocato. Fu una follia ma nonostante tutto in buonafede. Mentre oggi ci troviamo davanti a una vicenda che squalifica il mondo arbitrale nel momento in cui ci si sorprende degli errori della Var. Ci si chiede come sia stato possibile arruolare come procuratore arbitrale – giudice dei giudici – una persona già implicata in una problematica vicenda durante la sua appartenenza all’Esercito Italiano come ufficiale medico, qualifica smentita. Poi è stato arruolato dall’Aia mentre scontava una condanna per traffico di droga, fino a ricevere attestati di fiducia e il premio Lo Bello mentre era agli arresti domiciliari con licenza di movimenti proprio nella sua veste di procuratore.
Nessuno sapeva, nessuno era responsabile della sua nomina – si dice oggi -. Secondo l’antica norma “chi controllerà i controllori?” oggi sappiamo la risposta: la Guardia di Finanza che ha scoperto e arrestato il trafficante di droga. Fortuna vuole che sia stata scoperta anche l’inesistente funzione del settore arbitrale che dovrebbe garantire la trasparenza e la pulizia morale del calcio italiano. Niente arresti, in questo caso, ma opere di bene.
(ITALPRESS).

LA JUVE STA TORNANDO, STA DIVENTANDO GRANDE

La Juve sta tornando, sta diventando grande. Il popolo bianconero canta, il bistrattato Rabiot e il cocco dei tifosi Fagioli sono i solisti della speranza. A giugno stavano per essere sfrattati, son diventati i costruttori del riscatto. Premiati nel ritornato Derby d’Italia da un’Inter ridimensionata. E superata. Questa è la notizia della domenica dei derby (a parte la lezione di Sarri a Mourinho all’Olimpico) tuttavia la settimana straricca ha ribadito che ormai c’è un solo protagonista trionfante: il Napoli continua a dare spettacolo solitario, più europeo che italiano. Stavolta ha piegato anche la minacciosa Dea. Se ben conosco Spalletti, d’ora in avanti avrà paura solo della Juve, l’eterna nemica. Eppure, le meraviglie di Osimhen e compagni mano a mano che passa il tempo e s’avvicina la saracinesca del Qatar mi rallegrano sempre di meno. Mi perdonino gli amici napoletani che nel cuor mi stanno e ai quali auguro davvero il tricolore ma è sempre più motivo di rimpianti vedere il Napoli multietnico avanzare in grande spolvero anche in Europa – accompagnato da Milan e Inter – fornendo la prova evidente che il bel vivere in campionato e in Coppa delle antiche fornitrici azzurre coincide perfettamente con il declino della Nazionale che nei ruoli chiave non ha più un italiano.
Un campionato “straniero” ha portato alla sparizione dell’Italia che con l’ultimo respiro ha vinto gli Europei eppoi è stata archiviata. E non sussulto speranzoso quando ogni giorno, per le vergogne dell’Iran e le accuse di brogli, il Qatar è minacciato oppure l’Italia s’illude di un impossibile recupero: se domani Infantino, abilissimo e discusso manovratore della Fifa, ci dicesse “si è liberato un posto” dovremmo declinare l’invito. Non abbiamo uomini per onorare un Mondiale, noi che ne abbiamo vinti quattro e noblesse oblige. Ragion per cui mi preparo a dar risposte sciocche o inutili a tutti quelli che mi chiedono: cosa faremo fino a gennaio? Io seguirò la Serie B, nobile ed emozionante, vero purgatorio per 17 squadre di A su 20, escluse Cittadella, Cosenza e Sudtirol.
In settant’anni m’è successo due volte: nel 1958 mi sono consolato godendomi Pelè al punto che – male abituati da Sivori, Maschio, Schiaffino, Montuori, Da Costa e Angelillo – eravamo pronti a trovargli un bisnonno italiano confermando di non essere razzisti e soprattutto perchè Angelo Moratti era pronto a comprarlo.
L’ultima volta, nel ’18, abbiamo dato la colpa a Ventura e a Tavecchio ma in realtà quest’ultimo, poco accorto linguisticamente e ignorando il politicamente corretto, con la famosa gaffe voleva far capire che i pedatori stranieri qui crescono anche sugli alberi e quelli italiani sono in via d’estinzione. E la profezia s’è avverata nonostante il trionfo europeo. Che l’Italia sia stata condannata dalla Macedonia del Nord è la prova che siamo stati vittime del destino che ci siamo costruiti. Faber est suae quisque fortunae. Beccatevi anche questa.

IL CORAGGIO NEL NAPOLI DEI PRODIGI E NEI GIOVANI DELLA SIGNORA D’ANTAN

Quando Jurgen Klopp dice che “il Napoli è la squadra più in forma del mondo” assegna una medaglia – lui può – non solo al Napoli, ma al calcio italiano che da mesi si piange addosso con gli accenti severi dei cosiddetti leader d’opinione e le prese in giro degli scherzevoli opinionisti che hanno risvegliato la tivù pirata del Benigni, quando dalla stalla di Capalle mandava in onda Televacca. Spalletti ha realizzato qualcosa di nuovo, forse il suo annoso sogno trascorso da Roma, San Pietroburgo, Milano, riRoma fino a Napoli dove si era da poco concluso il rito sacrificale dedicato a Carlo Ancelotti, “il più grande”. E non c’è nulla di magico, in questo Napoli, c’è solo un gioco che ha aperto gli occhi anche ai sonnambuli senza fargli correre rischi, anzi, rallegrandoli. Ma non ho sentito dire una cosa che riguarda il flop della nostra Nazionale: Mancini solo in ritardo ha compreso quel che Spalletti – incalzato da De Laurentiis – ha capito subito: cambiare, rinnovare, provando e riprovando come vuole – ispirata da Dante – l’Accademia del Cimento che il tecnico di Certaldo – ambizioso come pochi – immagino conosca meglio della Crusca.
Diciassette partite, fra Italia e Europa, senza sconfitte e con due soli pareggi, hanno stanato anche i più (s)qualificati disfattisti che adesso godicchiano soloneggiando e spiegando al popolo quello che non sapevano – come disse Longanesi parlando dei giornalisti -, ovvero le virtù di Kvaratskhelia, di Kim, di Osimhen, Lozano, Raspadori, Simeone, anche di quel guerriero italianuzzo che si chiama Giovanni Di Lorenzo, per non dire dei cosiddetti rincalzi che entrano a bellezza mostrare.
Sia chiaro che mi permetto certi accenti perchè nel Grande Rinnovamento ho subito creduto: mi piacque la formula antigattopardiana del “tutto cambia per cambiare davvero” ispirata dal pragmatismo aureliano. Direte che ci sono – eccome – anche l’Inter, il Milan, la Lazio, l’Atalanta che tuttavia – seguendo l’indicazione speciale di Klopp – per ora giocano un altro campionato. Terque quaterque…
Poi c’è la Juve. Che ha preso coraggio e ha innovato non come il Napoli dei prodigi, ma come la Signora d’antan che chiamandosi Gioventù s’affidava ai giovani. Da mesi andavo scrivendo di Gatti e Fagioli rendendomi conto di sfiorare le storie di Bertoldo, ma lo facevo ispirato da certi tifosi che, più esperti di Allegri e del suo staff, conoscevano da tempo la bravura dei ragazzi ignorati o male utilizzati o esiliati. Una volta i cronisti – quorum ego – conoscevano anche i giocatori della De Martino e della Primavera, spesso talenti salvifici. Certo, ai Mondiali qatarini non ci saremo e dovremo anche subire la lunga pausa di riflessione. Ma godiamoci questo Napoli rinunciando per una volta alla faziosità. Riflettete, gente, riflettete.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

RINATO IL MITICO GRUPPO DELLE SETTE SORELLE

La notte di Verstappen e di Osimhen. Tagliano il traguardo insieme. Champagne in Texas, sorrisi e lacrime di gioia a Roma. Un gol d’arte di Victor – uno schiaffo affettuoso al pallone che all’80’ vola in rete da destra a sinistra rigirando come telecomandato – rilancia il Napoli al vertice in perfetta solitudine. Undici vittorie consecutive, capolavoro europeo. Applausi. Con merito, visto che s’è trovato davanti una Roma audace, vigorosa, fastidiosa come l’intemperante Mourinho che ha cercato disperatamente di offrire al suo popolo un capolavoro (e un commosso ricordo a Francesco, il ragazzo col cuore giallorosso perduto per sempre: la Magica ha giocato anche per lui ). Un Napoli forte, troppo forte visto che il Mago Spallettone riesce a rinunciare a Raspadori, come compiaciuto di poter restituire a Osimhen lo scettro del Principe azzurro. Difficile – viaggiando nella memoria – trovare un atleta così ben costruito, fisico da atleta veloce, movimento da talentuoso studioso del football, rapidità di tiro da cecchino. Un gran bel vedere. E tuttavia anche un’occasione per applaudire gli avversari, in testa a tutti il gladiator Zaniolo. Solo sfortunato. Come Spinazzola che al 45′ ha fallito il gol della Roma. Questa settimana abbiamo vissuto una delle più belle giornate del campionato italico, forse la più ricca e combattuta, degna di riconoscimento europeo, alla faccia dei critici depressi e deprimenti che – secondo disfattismo italico – dipingono il nostro torneo come manifestazione provinciale. La Juve che si regala un poker di gol con l’Empoli non ha certo trovato la migliore opposizione nei ragazzi di Zanetti, ma basta ricordare la tremarella con la Salernitana per immaginarne una prossima guarigione. Neanche il Milan aveva difronte un avversario pericoloso, ma Pioli ha festeggiato alla grande con il Monza berlusconiano ripensando alle sofferenze provocategli dallo Spezia. E l’Inter Superpazza ha dato grande spettacolo confermandosi protagonista. Per non scontentare nessuno segnalo anche l’importantissima vittoria della Lazio sull’Atalanta e quella del Toro sull’Udinese e comunque la rinascita del mitico gruppo delle Sette Sorelle. Se non otto. Tempi belli erano e speriamo che tornino, superando l’impasse del masochistico Mondiale del Qatar che già ora – con tanti stranieri preoccupati di non perdere l’occasione di un posto nelle loro nazionali – minaccia la regolarità del torneo.

LA POTENZA DEL NAPOLI ‘EUROPEO’ E LA DEA SPAVALDA LE BELLEZZE DI ‘A’

Il Napoli gioca un altro campionato. Anzi, gioca all’estero. In Champions. Con gli uomini, l’atteggiamento, la determinazione, la forza esibita in coppa contro l’Ajax e il Liverpool. E i Rangers. Precisazione necessaria perchè il Bologna sceso al Maradona aveva in partenza la modesta consistenza degli scozzesi, poi è diventato un avversario potenzialmente pericoloso grazie al colpaccio di Joshua Zirkzee, l’olandesino ventenne presentatosi con un gol prodigioso. Ed ecco, nella reazione serena, da squadrone, la potenza del Napoli Europeo, superiore e diversa da quella degli altri pretendenti allo scudetto. Gli interisti risalenti la china si entusiasmano per l’impresa della Beneamata con la ridimensionata Salernitana, il Milan si è curato le ferite di Champions (soffrendo e stentando ma vincendo a Verona), l’Atalanta macina calcio con la disinvoltura di una prima della classe che non soffre l’ansia di vincere, la Lazio dà voce ai tormenti di Sarri che adesso c’è l’ha con il campo malridotto come prima c’è l’aveva con gli orari delle partite, con gli arbitri, il vento contrario, il destino crudele. E gli danno ascolto perchè i suoi sono lamenti di un nobile condottiero, mica come quel piangina di Mazzarri.
Il senatore Lotito promuoverà una iniziativa statale per rifare il terreno dell’Olimpico, nel frattempo Sarri dovrebbe solo prender nota – come tutti, ormai – che un pareggio con la star Udinese è un punto guadagnato.
E la Juve, la grande Juve che viene esaltata perchè ha spezzato le reni a un Torino modesto tirato a forza in una specie di derby da grandi firme e da grandi illusioni? Il compiacimento di Allegri per la vittoria è un omaggio al principio bonipertiano della Vittoria Unica Cosa Che Conta. Mai così vero.
Visto il panorama, ribadisco il concetto, da intenditore, se me lo consentite: questo è un Napoli europeo, anzi semplifico, spagnolo e inglese, somma di qualità e potenza assunte e esibite grazie alle scelte del tecnico e alle qualità di giocatori straordinari. Ora che Spalletti e i suoi fenomeni (felicissimo il ritorno di Osimhen, apparentemente senza dolore per Raspadori) hanno allontanato il fantasma provinciale per eccellenza, il Bologna, in realtà ridimensionato a fornitore di punti negli ultimi quattro confronti, la corsa allo scudetto non è illusoria o presuntuosa.
Meglio di questo Napoli “europeo” non c’è nessuno, Spalletti ha ritrovato lo spirito dei tempi migliori, l’avversario più pericoloso – almeno dal mio punto di vista – è l’italianissimo Gasperini che con la sua spavalda Atalanta ha adottato il modulo 10 su 10 – direi anche il 9-1 caro a Capello – marcando splendidamente a uomo. E azzittendo gli estetisti fulminati. Quando verrà il faccia a faccia ci sarà da divertirsi.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

CHE NAPOLI, MA UDINESE-ATALANTA LA VERA PARTITA ITALIANA

Stavolta diciamolo alla lombarda, “Urca che Napoli!”. Ma già che ha imboccato felicemente la via dello scudetto dopo trentadue anni di fervida attesa mi sembra importante dargli qualche consiglio. Non perchè Spalletti non sappia il suo, ma c’è una permanente “tendenza Napoli allo sciupìo” che va corretta in tempo. Perchè se il 4-1 alla Cremonese fa rumore non somiglia per niente agli schiaffoni rifilati in Champions – 4 al Liverpool, 3 ai Rangers, 6 all’Ajax – dopo avere dominato senza tremori gli incontri. Perchè in verità se la Cremonese avesse avuto non dico dei campioni ma qualche pedatore di qualità il Napoli avrebbe sofferto oltre il gol realizzato da Dessers. E fatemi subito dire che in certe costruzioni felici dei cremonesi – e malcondotte a termine, ahi loro – s’è colta la mano dell’ennesimo tecnico toscano, Max Alvini da Fucecchio, vicino…di casa di Spalletti, gente – come il vecchio maestro Indiani – che sa di calcio davvero. Come è possibile – allora – che dopo avere fatto fuori i titolati avversari di Champions ci siano voluti cinquanta minuti – dal rigore di Politano al gol di Simeone – per battere i modesti grigiorossi?
Ecco il punto: alle squadre di secondo piano il Napoli ha sempre concesso libertà d’azione. Per generosità, solidarietà o leggerezza? Ma è possibile che panchinari come Benitez, Sarri, Gattuso e Ancelotti siano tutti rimasti vittime dell’astuzia provinciale? E Spalletti? Siamo sicuri che sia indenne da rischi? Sa che il pericolo esiste, si premunisca.
Se il Napoli ha un problema – come anche Milan e Inter – è quello delle squadre ricche di bei giocatori esotici ai quali mancano le basi del calcio italiano, scuola di fisicità accurata e di tatticismo naturale, istintivo. Vengono buttati in campo appena arrivati e fanno anche prestazioni notevoli, danno pure spettacolo, ma da un momento all’altro rischi di perderli per non avere avuto la nostra scuola, soprattutto quella Toscana allegramente cinica. Per questo voglio dire a tutti – rischiando lo sdegno degli opinionisti incompetenti che assediano il video – che Udinese-Atalanta è stata partita vera, evento raro, esibizione calcistica classica, quasi perfetta. Per strategie accurate, tattiche non contorte, intensità, piglio atletico, energia. Ed emozioni. La Vera Partita Italiana. Fategliela vedere, ai ragazzi di belmondo, avremo sul campo meno stranieri e calciatori più italiani. Una consolazione, visto che ci hanno rubato il campionato.

LA JUVE IN RIPRESA MA SERVONO ALTRE PROVE

Quando Allegri ha detto – seriamente, non sogghignando – “Con il Bologna inizia un nuovo campionato…”, ho pensato a un vecchio detto bolognese – impubblicabile – riferito al maramaldeggiare sull’avversario indifeso. La…voglia Motta (battuta rubata) dei bolognesi dopo averle prese in casa dall’Empoli poteva difficilmente essere soddisfatta a casa Juve, dov’è bastato un gol di Kostic per mettere in ginocchio il Bologna; poi Vlahovic, Milik. Il Bologna con la Juve non è uno sfidante ma un contribuente; dunque se fossi nel Conte Max ci andrei piano a parlare di rinascita, lo attendiamo ad altre prove augurandogli di non disperarsi mentre vede volare il Napoli, l’Atalanta, il Milan e la Roma. La Vecchia Signora ha cinicamente mostrato più di una volta la capacità di recuperare il tempo perduto. Se è vero che ha ricominciato ieri la (troppo facile) rimonta, bentornata. In fondo, un campionato senza Juve è come un uovo senza sale.
Mentre se ne parla con rimpianto anche sul fronte juventino, legando il suo nome ai tempi migliori, Beppe Marotta affronta il suo più difficile momento critico: ha risollevato l’Inter con Conte, ha retto le ripetute cadute di fiducia dell’ambiente davanti alle difficoltà economiche, è diventato il secondo padre del giovane Zhang: ma ha toppato la scelta di Simone Inzaghi. Questo è il rimprovero degli interisti, più logico delle ingrate proteste contro il colosso cinese che si è inguaiato anche con il calcio. Quattro sconfitte hanno determinato la sfiducia totale nel tecnico che onestamente ha confessato d’essere in bilico. E’ vero che la voglia di novità, di titoli da prima pagina e i confronti con il passato mourignano fanno applaudire oltre misura l’impresa della Roma ma l’indubbia superiorità tecnica dei nerazzurri non sfugge a chi parla di calcio e non di favole. Cadere così davanti a Mou è un dramma. E tornano in scena le scelte sbagliate di Marotta anche davanti a quel magnifico maledetto gol di Dybala, il fuoriclasse che l’Inter ha rifiutato quando la sciagurata Juve gliel’ha offerto come per togliersi un peso. E se la verità fosse un’altra? Se fosse stato Paulo a dir di no per diventare la Joya di chi l’ha davvero voluto, cioè Mourinho? Certi giocatori rivelano ai cinici una personalità nascosta e una sensibilità che solo i grandi panchinari come Rocco e Bernardini e Liedholm e Maestrelli coglievano nelle loro valutazioni. Penso che del tentativo di…ronaldizzare Dybala parleremo a lungo. Da antico viaggiatore nel mondo del pallone non posso far altro che aggiungere il nome del campione argentino a quello dei tanti fuoriclasse respinti da allenatori presuntuosi e critici incolti che misero all’indice personaggi come Pablito (oggi osannato in forma divina) e i Robibaggio incompresi e messi in croce.
Guarda caso, oggi si giudica il trionfale cammino del Napoli come un ritorno al grande calcio del passato. Perchè il Napoli s’è dato un volto nuovo, giovane, bello, sfrontato e gioca come giocavano un tempo i vincitori, per cogliere vittorie rispettando “il bello del calcio”. Che per molti è un mantra, per il vostro cronista un viaggio in mille sfide vissute e raccontato.