La Barba al Palo di Italo Cucci

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IL CAMPIONATO PRENDE IL VOLO MA JUVE E INTER IN CRISI

Il campionato ha preso il volo. Con un grande Napoli dominatore del Milan per potenza e gioco tradotti in un indiscutibile calcio di rigore di Politano e un capolavoro di Simeone; con un’Atalanta al suo fianco, allegramente impietosa; con l’Udinese che si conferma protagonista da applausi. Bravo Sottil. E grazie all’impresa – storica – del Monza ammazzaJuve.
Nessuna partita è più importante di quella che sta giocando Allegri, condottiero senza gloria di una Juventus ch’è uscita sconfitta anche dal campo del Monza. I più critici di Max – me compreso – avevano paradossalmente indicato la sfida fra Galliani e il suo vecchio allenatore come prova decisiva, anche se il pronostico non ne teneva minimamente conto. E invece l’ipotetica commedia è diventata – a parte la gioia di Berlusconi e le lacrime di Galliani – un vero dramma: sul campo e in società. Sul campo la crisi della Juve è stata documentata dal fallaccio del nervosissimo Di Maria espulso eppoi pentito come un novizio. In società si medita sul da farsi, sollecitati – si dice – anche da Nedved. Fosse per lui il Conte Max farebbe le valigie. Ma il lungo e costoso contratto – quattro anni a sette milioni l’anno – impone riflessioni aziendali. Da consiglio d’amministrazione con il mega presidente John Elkann che favorì il ritorno di Allegri. Con pieni poteri. E sono questi – visti i risultati – a far immaginare una soluzione definitiva. Con una versione insolita ma giustificata anche per il calciobusiness: le dimissioni.

Non dimentichiamo che Allegri è un orgoglioso livornese capace di rinunciare all’incarico piuttosto che continuare a recitare la parte dello sciagattatto (e storico) affondatore della Juventus. Praticamente compromessa la Champions, e con una situazione di campionato di rara debolezza, Allegri e i suoi generosi datori di lavoro potrebbero trovare una soluzione economica di comune soddisfazione. Per il Conte Max, una vita serenissima. Fantacalcio? Oh, tutto è possibile. Anche – dico io – che a qualcuno venga in mente che nel 2023 a Torino si celebreranno (in qualche maniera) i 100 anni del…matrimonio Agnelli-Juventus. Da Edoardo I ad Andrea. Il quale si era preparato benissimo all’evento, superando in vittorie – nove scudetti – il bisnonno, lo zio e il padre. Oggi il supercontratto di Allegri lo rende colpevole solitario della crisi. E condannato anche da una moltitudine di tifosi.

La caduta della Signora domina la scena ma già si discute anche la posizione dell’Inzaghi supersconfitto in campionato – tre batoste – e deludente anche in Champions nonostante il brodino ceco. La straordinaria Udinese – che ho preso in considerazione come protagonista fin dalla lezione data a Mourinho – ha rivelato non con colpi fortunati ma con qualità tecniche indiscutibili la fragilità dell’Inter. Oggi la Beneamata e la Signora, nemiche di sempre, rimpiangono insieme Antonio Conte. Allegri è riuscito a far dimenticare il suo storico pokerissimo di scudetti.

LA SIGNORA E’ IN RITARDO, NON E’ ALLEGRI IL MAX CHE VINCE

La Salernitana che la fa tremare a Torino, costringendola a un confuso salvataggio finale, conferma le difficoltà in cui si dibatte la Juventus e con lei Max Allegri, già colpito dalla furia di Mbappè e tuttavia “salvato” da opinionisti generosi. A Parigi il PSG miliardario, all’Allianz una provinciale ambiziosa. Tempi durissimi. Proprio mentre il bilancio allarma la società.
Ci voleva John Elkann, il “padrone”, a…rivelare che nel 2023, ovvero in questo campionato, la famiglia Agnelli compirà i 100 anni di presidenza della Juventus. Non è una notizia, naturalmente, è una scadenza ampiamente prevista che tuttavia è apparsa a sorpresa in uno dei rari interventi del taciturno presidentissimo della galassia già Fiat destinato più alla Ferrari (“sposata” da oltre mezzo secolo) invocata vittoriosa a Monza, che alla Juventus: ma non è sbagliato attribuire alle sue parole, insieme a un moto d’affetto, una non vaga pretesa di affrontare e risolvere la crisi della Rossa. Sappiamo come è andata a Monza, vittoria del grande Verstappen – il Max che vince – ai danni di Leclerc, il signore del sabato.
E adesso, con la figuraccia della Juve, l’altro tesoro di famiglia che ha cominciato male – in Italia come in Europa – la marcia d’avvicinamento al Centenario, l’avvertimento di Elkann assume il tono di una minaccia.
E intanto il torneo, in attesa della ritardataria Signora di Torino, ha già curato le ferite dell’Inter in Champions, così come le perplessità del Milan fermato dallo Strasburgo e atteso al varco dalla sorprendente Dinamo di Zagabria che ha fatto perdere la panchina del Chelsea a Tuchel.
Si è salvato dagli agguati solo il Napoli che, dopo avere mortificato il Liverpool, è riuscito a superare faticosamente lo Spezia. Con un gol di Raspadori all’ultimo minuto, evento degno di una genialità alla Hitchcock offerta al De Laurentiis cinematografaro di successo. La grande festa di Giacomino – così lo chiamo dal giorno in cui ha indossato per la prima volta la maglia azzurra sei decenni dopo l’esordio di Giacomino Bulgarelli, suo compaesano, nel Mundial cileno – è proseguita con il trionfo dei tifosi napoletani per ottantanove minuti timorosi d’essere stoppati, secondo abitudine, dalla solita squadra provinciale. Così hanno perduto l’occasione scudetto le forti squadre di Benitez, Sarri, Ancelotti e Gattuso. Spalletti ha confermato che l’impresa con il Liverpool non era casuale e oggi non ha più bisogno di predicare tremante prudenza. Così Raspadori è diventato…napoletano a pieno titolo, alla faccia di chi non osava neppure accostarlo a Osimhen e gli preferiva il Cholito Simeone. Senza quel benedetto gol Giacomino sarebbe stato respinto nell’ombra.
Finalino per l’Udinese. Non ho bisogno di ripetermi dopo averne cantato le virtù esibite contro la Roma. Ha stracciato il Sassuolo, è in Zona Champions. Una realtà firmata Sottil.
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(ITALPRESS).

L’UDINESE SI PRENDE LA SCENA, IL MILAN VERA SQUADRA EUROPEA

Scoop! L’Udinese strapazza la Roma di Mourinho e finisce come eccellenza da prima pagina nel weekend delle prime grandi sfide. Quattro gol bellissimi di Udogie, Samardzic, Pereyra e Lovric mortificano Mou appena arricchito dei sogni di Belotti e fin qui primeggiante – si dirà oggi – solo per aver sconfitto Salernitana, Cremonese e Monza.
Il Campionato non è Campionato se non arriva una provinciale a spaventarlo. E non dico dell’Atalanta, ormai accompagnata non più da velate critiche ma da accenti di delusione perchè ci prova da anni, mostra qualità eccellenti, fa soffrire le grandi ma al momento giusto molla. Ora la Dea è di nuovo al vertice, è ormai una Sorella di Napoli, Milan, Inter e Roma. Dalla sana provincia pallonara è ora balzata sulla scena l’Udinese di Andrea Sottil, che ben conosco da quando, vent’anni fa, lo vidi giocare proprio nell’Udinese. E’ stato favorito non solo dall’eccezionale fisicità dei suoi ma anche dalla fortuna. O meglio – consentite la battutaccia – dal giocatore chiamato Destino. Ha aperto la festa friulana, infatti, Iyenoma Destiny Udogie, nato a Verona vent’anni fa, un calciatore italianissimo, un difensore di qualità pescato da Pierpaolo Marino e prenotato già dal Tottenham.

Destiny – mi allargo un pò, ammirato – di genitori nigeriani è cresciuto nel settore giovanile del Verona e come Cedric Gondo dell’Ascoli e Wilfried Gnonto appena passato al Leeds è una speranza azzurra per Roberto Mancini.
A questo punto sappiamo qualcosa dippiù del Campionato, soprattutto dopo le prime partitissime salutate da risultati illuminanti: il Napoli che abbatte la Lazio dopo averla sofferta mostra una confortante maturità dopo un pareggino con il Lecce che aveva scatenato gli anti-Spalletti, costretto a rispondere con le sue astratte lezioni di filosofia che gli consiglieremo di sostituire con brevi e sostanziali comunicazioni evangeliche tipo sì sì no no. O semplicemente mostrando ai vedovi di Insigne e Mertens come agli estimatori di Osimhen (“è meglio ‘e Ronaldo”) la felice scoperta di Kvaratskhelia, la migliore operazione di mercato azzeccata da De Laurentiis.
Il Milan rivela nel Derby se stesso e tutti i limiti dell’Inter: lo spettacolo offerto da Leao costringe gli avversari a farsi comparse nella maestosa esibizione tecnica e agonistica del portoghese e di Giroud e compagni, amalgamati da Pioli con la perizia che ormai è diventata arte. Almeno da questa prova mi vien da dire che il Milan è oggi l’unica vera squadra europea di un torneo che complessivamente mostra di voler recuperare antica grandezza alla vigilia di un turno di Champions che offrirà davvero l’occasione per fare il punto sulle italiche ambizioni. Non dico che toccherà al Salisburgo illuminarci sul futuro europeo del Milan ma il Liverpool oggi un pò deludente è all’altezza del Napoli, mentre vivremo spettacoli emozionanti con Inter-Bayern e Psg-Juventus: Simone Inzaghi vive già ore difficili mentre solo un contratto principesco impedisce di veder esiliato Allegri come un Pirlo qualunque. La Signora è in effetti la grande sotto processo dopo le incertezze che a Firenze son diventate prove di elementare smarrimento. Con il potenziale bianconero anche un tecnico giovane e ambizioso come De Zerbi (che cito per far giustizia del silenzio…ucraino che lo avvolge) farebbe molto meglio.

SPALLETTI SAPREBBE SERVIRSI BENE DI CR7

Sono sicuro che guardando Fiorentina-Napoli con crescente inquietudine, i tifosi del Napoli – minacciati eppoi frenati da una squadra fortificata da Italiano – avranno spesso pensato “E se ci fosse Ronaldo?”. E non escludo che la stessa domanda se la siano posta quando Osimhen e Raspadori hanno fallito gol facili. Non so se l’idea CR7-Napoli sia una bufala o un sogno realizzabile. So per certo che Spalletti saprebbe servirsene alla grande, in Italia e in Europa. Sfottetelo pure, Cristiano straricco, l’ultimo scudetto juventino l’ha firmato lui. E chi più degno di giocare al “Maradona”? La favola continua. Se questo fosse un diario intimo, dedicherei l’intera nota a Davide Nicola, l’allenatore della Salernitana: stavo per scrivere “del Crotone”, perchè è lì che l’ho “adottato”, cinque anni fa, seguendolo anche – con lo spirito – nella lunga marcia trionfale in bici dalla Calabria a Vigone Torinese, 1300 km in nove giorni. La sua è davvero una favola che si è appena rinnovata con un clamoroso 4 a 0 alla Sampdoria, condannando quel Giampaolo ritenuto dai Sommi Critici – anche questa è una favola, ma per grulli – un incrocio fra Sacchi e Guardiola, come si disse in una notte adriatica dopo una bevuta di strepitoso trebbiano di Valentini, nettare sicuramente apprezzato dall’ospite Galeone. La partita dell’Arechi vale, naturalmente, molto più delle mie fissazioni che peraltro mi hanno permesso di raccontare in mezzo secolo le storie di panchinari illustri e meschini come Corrado Viciani che inventò il guardiolismo (detto allora Gioco Corto) quando Guardiola aveva appena un anno. Tutto questo affido al mio compitino, perchè a parte Pioli (guarda un pò preceduto da Davide nel premio “The Coach Experience”, mentre gli consegnavo il Premio Prisco) i vip della panchina non mi hanno esaltato. Stefano non sarà mai un cacciatore di gloria anche se il Milan – il suo capolavoro – ha realizzato una performance storica frutto non di ricchezze padronali ma di modestissimo, intenso, ininterrotto lavoro: avrei potuto aggiungere “faticoso” ma in realtà Pioli ha riportato nel calcio la leggerezza delle antiche stagioni che il Milan segnava con l’intelligenza di Rocco e “il tocco in più” di Rivera, e non escludo che la Tradizione Maldini sia servita a realizzare l’opera. Gli altri cosiddetti vip mi hanno deluso, a partire da Simone Inzaghi che stava mettendo piede nell’Olimpo e invece Mastro Sarri gli ha inflitto una dura lezione di buon calcio, non di sarrismo, moda presto tramontata. Allegri e Mourinho sembrava potessero far rivivere il classico Juve-Roma onorato da Trapattoni, Liedholm, Lippi, Capello e invece l’Allianz ha proposto solo una scaramuccia indecente (applausi a Mou che, furbo, ha reso ampia confessione). Nell’Olimpo minore dei Mister – che frequento da sempre, malato di provincialismo – ho incontrato, insieme a Italiano, anche Andrea Sottil dell’Udinese. Conto di ritrovarlo, e intanto complimenti per il figlio Riccardo, Viola e azzurro.

ALLA SERIE A DEGLI STRANIERI RISPONDONO NUOTO E ATLETICA

Alla Serie A degli stranieri rispondono nuoto e atletica dei campioni d’oro italiani. Mentre Inter e Napoli procedono vittoriose con sicurezza in attesa della Juve, il Milan, – ovvero la squadra “straniera” Campione d’Italia – ha fortunosamente evitato di perdere contro la multinazionale bergamasca che Gasperini è riuscito ad assemblare con la risaputa abilità. Il mio sta diventando un tormentone, lo ammetto, ma non riesco ad adattarmi all’annichilimento dei valori nazionali dello sport più popolare d’Italia. Così, prima di essere sopraffatto dall’ esterofilia incombente, ho cercato qualcosa di eccitante nel sessantunesimo campionato che vado raccontando e credo di averlo trovato: un dettaglio di natura politica. Il calcio è ANCHE politico da sempre, e non solo perchè il tifoso Sartre lo ha definito da sinistra “metafora della vita” mentre Camus, da destra, lo definiva “fonte privilegiata della morale”; in Italia – in maniera molto più semplice – la partita di pallone è arrivata a rappresentare mozioni patriottiche. La partita più interessante di questa domenica, Napoli-Monza, ha messo a confronto un club globalizzato e un commendevole “fratelli d’Italia”. De Laurentiis ha mandato in campo nove stranieri su undici (solo Meret e Di Lorenzo italiani fra portoghesi, coreani, georgiani, kossovari, polacchi, slovacchi, camerunesi, nigeriani e messicani); Berlusconi dieci italiani su undici (un brasiliano recuperato in Ucraina, Marlon, circondato da lombardi, sardi, umbri, marchigiani, liguri, veneti, toscani, laziali). Gioco facile per gli azzurri, sconfitta durissima per i biancorossi, ai quali la Var ha anche annullato un gol di Petagna, mentre al “Maradona” fioccavano i gol di Kvaratskhelia (2), Osimhen e Min-jae Kim; morale della favola, se vent’anni fa mi ero iscritto al partito “Abbasso il calcio moderno” oggi – duramente sconfitto anch’io – posso aggiungere che questo campionato è a dir poco scandaloso soprattutto per l’effetto che fa sulla Nazionale, ormai da tempo inutilmente sostenuta soprattutto da giocatori del Sassuolo in via di distribuzione ai quattro venti. Niente Qatar – ricordiamolo – anche perchè i ruoli chiave, lo sa bene Mancini, sono tutti occupati dagli stranieri. Per fortuna nello sport mondiale esiste anche un’Italia vera: quella del nuoto e dell’atletica, di Paltrinieri e di Jacobs, -orgoglioso sollievo dei calciofili depressi. Dicono che Berlusconi sogni di realizzare con il Monza – come un tempo con il Milan – una cantera azzurra, temo che dovrà accontentarsi di sognare. E’ comunque certo, mentre ci si avvia alle elezioni, che la sua nuova, giovane e italianissima squadra non potrà dargli il contributo elettorale che i maligni attribuirono alla fortissima squadra di Sacchi.

SI SONO DIVERTITI TUTTI TRANNE RASPADORI

Un bel ferragosto, dicono un pò tutti. Sfilate di vip con sorrisi, adunate di popolo sul bagnasciuga, la prima estate post covid (???): oh, come si sono divertiti. Tutti, tranne uno, un italiano speciale, Giacomo Raspadori. Giacomino – dico così perchè viene da Bentivoglio, pianura bolognese, mezz’ora da Portonovo, il paese di Bulgarelli – è cascato come un tordo nell’ultimo giorno della riapertura della caccia pallonara, cinque pallini del Napoli, tre della Juve, ohi che dolore. Pareva lo volessero a Torino ma la doppietta di Vlahovic ma soprattutto quell’esordio con magico gol di Di Maria escludono botte di mercato. Tanto prima o poi arriva Chiesa. E il Napoli? Non era già fatta? Sassuolesi uniti, vi siete fidati di De Laurentiis e dei suoi rinvii? Aurelio, Giacomino lo vorrebbe – soprattutto perchè un italiano coi fiocchi vale doppio nell’anno del Mondiale farlocco, quando tutti gli stranieri torneranno logorati dal Qatar – ma prima ha voluto ascoltare la musica della sua banda schierata al Bentegodi dove la festa è difficile per tutti: stecca iniziale del trombone, musichetta ripresa con garbo, altra stonatura poi marcia trionfale, cinque gol, Osimhen strabello, trascinatore rallegrato non solo dal gol ma dalla sicurezza di Kvaratskhelia, il georgiano che presto chiameranno Gennaro ( il suo illustre predecessore, Stalin, nato Vissarisnovuc Dzugasvili, finì come amatissimo Peppone). Con Lobokta, Kim, Anguissa e Lozano in palla servirà ancora Raspadori? Il Sassuolo forse ha esagerato con la richiesta e rischia di ritrovarsi un sognatore depresso. D’altra parte, incrociare mercato e campionato è una follìa che prima o poi si pagherà. Le milanesi già inquadrate si sono già presentate con qualche accenno di balbuzie e tuttavia già pronte a cantar vittoria. Le romane pure. Con Fiorentina al seguito. Peccato per la cara provincia italica rimasta a zero: il campionato è spaccato in due, dalla Cremonese in giù dieci storie dolorose. Per loro non è stato un bel ferragosto.

SPAGNA ’82, 40 ANNI FA L’ITALIA CAMPIONE DEL MONDO

Quarant’anni dopo ai moschettieri azzurri non ci avrebbe pensato neanche Dumas. Ci abbiamo pensato noi, italiani – dopo avere ignorato il decennale, il ventennale e il trentennale – per due motivi: il primo, rimpiangere con un alto spirito Paolo Rossi che ci ha lasciato troppo presto, quel Pablito ch’è stato il protagonista del Mundial insieme a Zoff (se Dino non avesse parato quel colpaccio di Oscar saremmo andati tutti a casa); il secondo, far buon uso di una Vittoria messa in banca per gli inevitabili giorni di una depressione che l’Italia non si fa mai mancare. Non a caso il successo del 1982 ebbe un peso politico eccezionale: il pallone, come la pietra filosofale, trasformò il piombo di quegli anni nell’oro di cui avevamo bisogno per tornare a vivere decorosamente. Di lì a poco, infatti, ci fu il boom del Made in Italy: Armani aveva già vestito la Nazionale (“Lo feci per Bearzot” – disse Giorgio), stava esplodendo lo stile Della Valle, Montezemolo azzurrava altri sogni mentre Franco Uncini, spinto dall’aria che tirava, diventava campione del mondo della 500.
Serve, lo sport, eccome. Pertini lo capì a modo suo, non prenotando celebrazioni per molti impossibili ma aprendo la striminzita lista dei fiduciosi seguaci di Bearzot (quorum ego) dicendo francamente, come usava, “Lasciate lavorare in pace Bearzot, sa quel che fa, è onesto e perbene”.
Il perentorio ordine presidenziale accese il popolo, convertì qualche pusillanime spaventato, preoccupò ma non convinse la massa dei critici mediatici capeggiati da un Gianni Brera scettico (ma corretto) seguito da dozzine di scribi obnubilati e insolenti. Il calcio era passato in secondo piano, divorato dalle caste intellettuali e dalla politica, e invece dopo la laboriosa e stremante qualificazione di Vigo, a Barcellona, con l’Argentina, le idee e gli uomini di Bearzot realizzarono il bello del calcio che è sintesi di qualità e rendimento. Era talmente bella – e feroce – quell’Italia che innervosì vieppiù i denigratori mentre il mondo intero dopo il Brasile – lo gridò Mik Jagger vestendo sul palco di Torino la maglia di Paolo Rossi – ci accreditò una possibile Vittoria sulla Germania. I teutoni, razionali, ci fecero da sparring partner al Bernabeu mentre Pertini danzava in tribuna d’onore insieme al (romano) Re di Spagna inducendo al sorriso anche il cancelliere di Germania Helmuth Schmidt.
Si era appena riacceso il sorriso di Pablito, vibrava ancora nell’aria l’urlo di Tardelli e il carro dei vincitori si trasformava in un accogliente lungo treno pieno di pentiti cui lo stesso Pertini – illuminato – sottrasse gli Azzurri invitandoli nel suo aereo personale offrendogli un’altra partita: la sua, a scopone, con Bearzot, Zoff e Causio. Fummo reduci felici da quell’avventurosa spedizione e ritrovammo l’Italia intera con noi.

UN CONCERTO D’AMORE ROSSONERO, SCUDETTO AL MILAN DEL GENTLEMAN PIOLI

Il Milan è musica, un concerto d’amore. Oddio, tanto diverso il meeting musicale di Reggio Emilia dalla notte trentina di Vasco Rossi, ma musica è, celestiale, romantica, questa ch’è andata a scegliersi una canzonetta del nonno per esaltare la gioventù rossonera: proprio come il 5 febbraio dopo la vittoria nel derby di San Siro con due gol di Giroud, il popolo dei casciavit in trasferta a Reggio Emilia ha cantato “Parlami d’amore Girù/tutta la mia vita sei tu”. Il campione francese – salutato con incertezza al suo arrivo a Milano – ha fatto un bis pavarottiano, come fosse alla Scala, e il suo volto di guerriero provato da mille battaglie si è sciolto in un sorriso bambino. La forza magica del gol.
Gli scudetti, soprattutto quelli vinti dopo lunga dolorosa attesa – l’ultimo del Milan 2011, Berlusconi patron, tecnico Allegri – chiedono, anzi pretendono squilli di tromba, marce trionfali, ricorsi eroici (ricordo il tricolore della stella e Rivera che arringava folle turbolente) mentre al Mapei Stadium della Reggio Emilia grintosa – erede del glorioso Mirabello – si è consumata una festa di baci abbracci al via di Pioli.
Il prudente, serenissimo gentleman mai fuori delle righe che non ha atteso il fischio finale per prendersi lo scudetto subito regalato al popolo dei discamisados e via via, uno alla volta, ai suoi splendidi ragazzi che avevano da poco accolto Zio Ibra mentre Girù raggiante andava a cogliere un’ovazione. Niente smargiassate, secondo una tradizione secolare che mi ha fatto vedere centinaia di volte i rossoneri schierati a centrocampo, a fine partita, per un affettuoso saluto ai sostenitori e ai rivali. Era successo una sola volta che Pioli s’era mostrato felice, dopo l’Inter-Milan di quel 5 febbraio: si era messo a correre come un ragazzo al suo primo applauso. “La corsa sul gol? – aveva detto – Era troppa la felicità per la vittoria, in una partita difficile, combattuta. I ragazzi hanno giocato con grande coraggio e generosità, vincere e ribaltare una partita così in un momento non facile mi rende molto orgoglioso. Una squadra che non molla mai…”. Come lui, che ha cominciato la ricostruzione di un Milan ferito dalle chiacchiere dei sostenitori di Giampaolo e di Rangnick proprio alla fine del lockdown, quando gli altri erano incerti se arrendersi o combattere la pandemia. La memoria mi dice che ci volle anche allora un Sassuolo sconfitto con una doppietta di Ibra per cambiare il mondo.
Sorprendendo gli esteti guardioleschi Gazidis disse sì, resta Pioli, alla faccia di quella manita rimediata a Bergamo. E iersera, proprio come allora, fu Saelemaekers il primo ad abbracciare Pioli quando in campo arrivarono poche parole dette in tribuna da Paolo Maldini – l’altro vincitore dello scudetto, rafforzato dall’addio del “riformista” Boban – “Sì, Stefano resta con noi”. Nel mio diario ho mille appunti sul travaglio rossonero giunto all’apice con l’addio di Donnarumma. Doveva essere la fine non di un sogno ma di un’avventata speranziella, è stato il segnale di una rivoluzione aziendale. Adesso che si parla di un passaggio dal fondo Elliott al fondo RedBird, significativo riconoscimento di una operazione finanziaria riuscita, voglio dedicare un appunto a due personaggi che hanno partecipato all’incredibile festa di Reggio: uno dall’alto dei cieli, Giorgio Squinzi, creatore del Sassuolo e milanista storico; uno in presenza, Paolo Scaroni, supermanager dotato non solo delle virtù che lo portarono ai vertici dell’Enel e dell’Eni ma di una grande competenza che gli permise più di trent’anni fa di farsi presidente del Vicenza nella veste, originale per quei tempi, di abile ristrutturatore di club. Cominciò col Vicenza e il Panathinaikos, oggi fa parte del Nuovo Milan, il primo club che ci offrì l’Europa, sessant’anni fa.
(ITALPRESS).