Il primo hurrà dell’anno è del Milan, più forte e più bello che pria, rivelatore di una sua grandezza che pareva assopita e di una Roma che a Mourinho non dà punti mentre gli suggerisce solo lamenti al ritorno a San Siro, ormai per certo non più luogo di sogni ma di incubi. Questo è o dovrebb’essere il campionato dell’Asl, il campionato della paura. Ma chi gioca sembra in buona salute e incoraggia, come sempre, gli spettatori vicini e lontani. Il male del covid persiste, il calcio continua la sua campagna consolatoria. Ho visto squadre coraggiose e combattive. Parlo, nell’ordine, del Cagliari, prima vittoria di Mazzarri e della sua squadra, un evento; dell’Empoli del Maestro Andreazzoli che dà lezione a Sarri in una partita sconvolta dalla Var dopo aver castigato Allegri e Spalletti; del fatal Verona di Tudor, mina vagante; del Milan – dicevo – sano come un pesce e indiavolato al modo giusto. Come l’eterno Ibra. E del Napoli, ormai titolare (con la Juve medesima) del dubbio pandemico fin dalla funesta esplosione del coronavirus: giocare o non giocare, questo è il problema dell’Asl d’occasione. Ma il dubbio vero è un altro: perchè il Napoli smania per Zielinski e Koulibaly, drammatizza l’addio di Insigne, vive come una tragedia lo stop di Osimhen e utilizza senza entusiasmo Mertens, secondo me il migliore degli azzurri per continuità, professionalità e gol? Ciro M. non è Maradona (però ha segnato 28 gol più di lui) ma nessuno in questo Napoli è come Ciro. Le debolezze della Juve anche iersera le ha rivelate lui, con un gol bellissimo che ha mortificato i bianconeri e tuttavia al tempo stesso li ha risvegliati dal non insolito torpore fino a quando Chiesa non ha pareggiato i conti con rabbiosa potenza. La Juve di Allegri non è guarita e il suo tentennare fra deliqui e recupero dei sensi è il mistero assoluto di questa stagione. Come se la truppa patisse di nikefobia dopo un decennio di trionfi. A onor del vero è un mistero anche Dybala, l’uomo che doveva riempire il vuoto lasciato da Ronaldo che astuti critici dicevano gli facesse ombra. E’ Dybala l’ombra dell’ammirato fuoriclasse, non si sa se vittima del covid, del contratto in rinnovo o degli irrazionali distinguo di Allegri sul suo ruolo fra poesia e prosa, ispiratore o esecutore. C’era una volta il Diez: entra al 66′ quando sui due fronti si sono sprecate tante occasioni da gol. Ma non cambia la partita. Ha un’aria mesta. Il sorriso è spento. La guarigione della Juve è rimandata. La salute del Napoli confermata. Quando ritroverà i legionari d’Africa sarà perfetto.
CAMPIONATO MEDIOCRE, MEGLIO TORNARE A 18 O 16 SQUADRE
Il momento è delicato. E’ il titolo di una raccolta di racconti che potrei fare anche mio, mettendo in fila una ventina di articoli che ho scritto dopo il gioioso Campionato d’Europa. Quando s’è spenta la tendenza al bello e siamo tornati all’ormai abituale autunno del nostro scontento. Calcio mediocre che s’inventa partitissime come Milan-Napoli giusto per dare un titolo alla programmazione televisiva sperando di ferire la concorrenza. Dazn contro tutti. Forse Cagliari-Udinese, sabato sera, non è riuscita a ferire “Ballando sotto le stelle” della Carlucci; non mi sono interessato degli ascolti ma sono convinto che venerdì sera Salernitana-Inter 0-5 non abbia fatto un baffo a “The Voice Senior” di Antonella Clerici, mia antica compagna di “Domenica Sprint”. Voglio dire che nonostante i titoloni sparati per l’Inter “più forte di quella di Conte” solo perchè corre sulle macerie di un nobile torneo e sta in testa al gruppo; e per la Juve che ha strapazzato un Bologna annebbiato ricavando attenzioni da prima della classe, tutto questo non m’aiuta a dire “oh come mi sono divertito” facendo finta di non sapere che sta andando in onda un pessimo campionato onorato da poche squadre. E non guardiamo fuori – continuo a dire – dove c’è anche chi sta peggio: mi hanno insegnato a non tener conto delle miserie altrui. Sempre miserie sono e sempre le ho evidenziate ad uso, soprattutto, di quei giocatori che battono la fiacca strapagati da investitori malaccorti prede di procuratori famelici. O da audaci bollettari che si rivelano peracottari o bancarottieri: la punizione toccata all’Atalanta non è da generalizzare, e il colpo di vita di Mourinho – tornato in vita dopo che Mou, applaudito Re di Roma, era stato definito “bollito” come un cappone natalizio – dovrebbe indurre a farsi pur moderati difensori di un tecnico e della sua squadra una volta riusciti a esprimersi più di un recente mediocre passato inguaiando addirittura la Dea e il suo Mago. Peccato che i programmatori incolti abbiano messo quel confronto fra Atalanta e Roma all’ora della merenda. Se non altro per la presenza di un Mourinho quasi disperato gli si poteva concedere la prima serata. Il crepuscolo degli dei è in atto, il più noioso dei tornei viene insistemente abbandonato dai giovani stanchi dell’inflazione di partite brutte e senza emozioni. E non fanno più effetto le prediche inutili di Mihajlovic come le proteste di Gasperini contro una Var fallita – secondo me – dal momento che media autorevoli la giudicano in opposta maniera. Come un tempo. Quando il giudizio sull’arbitro lo dava il campanile. Che fare? All’opera fondamentale di Lenin affianco la mia modesta proposta: tornare a un campionato a 18 squadre. Magari a 16.
[email protected]
BEL PERSONAGGIO L’AURELIO, CHE SCHERZO A SPALLETTI!
Quando facevo tivù in Rai, il sabato sera, mi avventuravo in siparietti godibili (almeno per me) con Aurelio Andreazzoli perchè mi riportava felicemente alla stagione dei Maghi anni Sessanta/Settanta, mai sostituiti se non da Mourinho che ai “pirlanti” parve una novità rivoluzionaria e invece aveva sicuramente studiato Herrera e Ferguson. Mi ricordava, Aurelio – un nome assegnato da Rodrigo Taddei a una finezza tecnica – le furbate di don Oronzo, le ciacole sagge del Paròn Rocco, l’eleganza dialettica del dottor Bernardini, un briciolo di cialtronaggine herreriana e, quando non ridacchiava, la semplicità vittoriosa del Trap. Gusti personali, naturalmente, presto condannati da chissà quanti miei seguaci telecartacei appena veniva sollevato dall’incarico. Perchè non solo non lo capivano ma non conoscevano – se non di nome – gli antenati che gli avevo assegnato. E se ne liberavano appena possibile. Senza ritegno. C’era in lui, come oggi, una naturale ironia che esprime soprattutto lontano da casa, quando si sente libero libero libero, più di quanto non gli consenta il 4-2-3-1 felicemente provato anche con Totti, forse il suo allievo più illustre.
Fuori, ha fatto danni alla Juve, al Cagliari, alla Salernitana, al Sassuolo…e ora al Napoli, dove ha sfacciatamente esibito la sua ridente insensibilità – o libertà – ai danni dell’uomo della sua vita, Luciano Spalletti, momentaneamente afflitto da squalifica. E son sicuro che gliel’avrebbe tirata, la botta, anche se l’avesse avuto nella panchina accanto. Il 9 luglio 2003 era stato scelto per un posto a Udine al seguito di Luciano mentre “studiavano” insieme a Coverciano. Il 21 giugno 2005 lo seguiva alla Roma, sempre come collaboratore tecnico. Fino al 2009, quando lascia il giallorosso seguendo Spalletti. Poi torna a Trigoria e se la fa con Montella, Luis Enrique e Zeman, ci prova da solo ma gliene frega così poco di giocare non per divertirsi ma solo per vincere che dopo aver dato una mano a Rudi Garcia, il 15 gennaio 2016 si ricongiunge al tecnico della sua vita sulla panca della Roma tornando nello staff della Magica. Sono sicuro che durante l’anno sabbatico procuratosi da Spalletti all’Inter si siano visti spesso e che l’Aurelio gliel’abbia raccomandato, il Napoli, al Luciano: “Vai, solo tu puoi portargli lo scudetto”. Rimorsi per la vittoria che ieri sera ha annichilito i maradoneti? No, vai tranquillo, Luciano, ce la farai. Bel personaggio, l’Aurelio.
(ITALPRESS).
MERTENS NON BASTA AL NAPOLI, MILANO SI E’ SVEGLIATA
Il Napoli, felice rappresentante del Sud, bello e primo fino a sabato sera e detronizzato dalla solita Atalanta che da anni lo perseguita (ma già allarmato dal Sassuolo) ha diritto di denunciare assenze che hanno snaturato la squadra: fuori Osimhen, Koulibaly, Anguissa, Insigne, Fabian e Manolas non è corretto attribuirgli lo stato di crisi. Una buona campagna acquisti e uno Spalletti in gran forma dopo l’anno sabbatico garantiscono un ritorno al vertice appena recuperati i campioni e la serenità. Senza appendici di gennaio. Per fortuna, nell’attesa non si è scaricato Mertens, il misirizzi pieno di energia e allegria che invece di credersi un maradoneta per aver segnato più di Diego (141 gol contro 115) ha preferito diventare Ciro, uno del popolo. Il problema vero del Napoli è un altro: dopo avere stressato la Juve in un annoso confronto diretto senza batterla, ora che la Signora Plusvalente è nei guai non riesce ad approfittarne: s’è svegliata prepotentemente Milano, non per magia o superomismo ma per essersi affidata a due tecnici che credono nel lavoro, due persone normali, operosi antipersonaggi che hanno silenziosamente costruito due macchine da guerra. Pioli ha creato un gruppo solidale illuminato da Ibrahimovic e avanza senza proclami verso il tricolore mentre Simone Inzaghi ha tradotto l’energia nevrotica di Conte in una razionale strapotenza, realizzando una perfetta supersquadra italiana nella quale agiscono giocatori multiruolo che garantiscono un forte equilibrio fra difesa, centrocampo e attacco con Perisic, Barella, Lautaro e Dzeko. L’esame di laurea Simone l’ha dato all’Olimpico con il rinomato prof Mourinho infliggendogli una dura lezione in 45 minuti e – quel ch’è peggio – risparmiandogli una cocente umiliazione alla Bodo Glimt. Con questo non voglio partecipare alla demolizione già in atto del mito che indirettamente ha dato ulteriori certezze alla Beneamatissima del suo indimenticabile Triplete: la Roma attuale non è squadra all’altezza di Milan, Inter e Napoli, i numerosi infortuni non spostano decisamente la forza del gruppo; se un errore ha commesso, Mourinho, è stato quello di accettare una Roma mediocre illudendo gli americani di una futura grandezza legata solo alla sua (declinante) fama. Siccome amo il calcio e i suoi uomini più rappresentativi non detronizzo lo Specialone che a Roma, per ora, ha assunto le vesti di un personaggio inedito, il San Sebastiano trafitto da mille frecce e flagellato. Gli faccia una visita, fuori le mura.
LA NOTIZIACCIA DELLE PLUSVALENZE FARA’ DANNI ENORMI
L’Inter che vola come un condor a Venezia, il Milan che fa la figura del pollo con il Sassuolo, il Bologna che tira felicemente a sinistra (nella tabella della classifica), la Roma che risponde alla malignità di Juric in difesa di Mourinho: come dice qualcuno, tanta roba. E da Napoli-Lazio il ricordo di Maradona e altre indiscutibili note di passione. Ma a me tutte queste belle storie non fanno un baffo. Come disse sabato un opinionista variabile “la notizia del giorno è la vittoria dell’Atalanta a Torino” ma io mi allargherei: intanto direi che la notizia del giorno “è la Juve sconfitta in casa dall’Atalanta”, ma aggiungerei subito “e la notizia dell’anno è la Juve indagata per falso in bilancio”. Sfido chiunque a darmi torto; ammetto che la Notizia Più Bella ce l’ha data questa estate la Nazionale Europea di Mancini, ma la Notiziaccia delle plusvalenze farà danni enormi, ci accompagnerà per lungo tempo e non sarà un cruccio solo della Scandalosa Signora: leggo che è un “vizio italiano”, che così fan tutte, e già circolano nomi di altri club e di numerosi pedatori coinvolti negli imbrogliacci che forse sono reato – forse – ma certamente per il codice sportivo sono scorrettezze. Badate bene, non sto facendo il moralista, da troppo tempo dico che il Denaro (manco più dio) ha stravolto la natura già non commendevole del calcio, un gioco bellissimo, fascinoso, amatissimo dal popolo e dagli dei minimi e massimi, nato tuttavia con la passione dell’inghippo se non dell’imbroglio; protesto, piuttosto, perchè il Denaro sta cancellando il residuo di sportività dello spettacolone calcistico, portando – insieme a centinaia di pedatori esotici – un clamoroso disagio tecnico.
Rivedetevi la Juventus dei nove-scudetti-nove, splendente vincitrice incurante delle critiche degli estetisti tuttavia poi piegata alla ragion di fuffa che portò alla cacciata di Allegri, alla chiamata di Sarri, all’espulsione del medesimo e del successore povero Pirlo; non so in quale punto di quale intercettazione si sente dire che la Signora – perdonatemi – è nella merda ma all’esperto archivista di tanti campionati, tanti gol, tanti campioni, tanti bidoni, tante gioie, tanti dolori, tanti trionfi e tante vergogne risulta evidente il danno procurato a una squadra di calciatori da una squadra di pressapochisti travestiti da dilettanti allo sbaraglio, quando in realtà hanno solo dimenticato di essere professionisti gestori dell’onorabilità di un club famoso nel mondo e della passione di milioni di italiani. E non solo.
In questo frangente ognuno ha mostrato i suoi limiti ma mi limito a nominare il presidente Agnelli e il tecnico Allegri. Il primo si è circondato di collaboratori che lo hanno inguaiato, poi cacciando Ronaldo che aveva procurato il boom borsistico e un centinaio di gol, s’è trovato disarmato finanziariamente e senza reti. Il secondo è semplicemente andato oltre le sue possibilità di panchinaro avendo rinunciato al Cristiano soccorritore senza sapere che fare. E’ ormai chiara a tutti la disfatta di un club che con i nove-scudetti-nove aveva scritto una leggenda.
L’INTER DI INZAGHI PER UN ‘PIENO DI EMOZIONI’…E ATTENTI ALLA JUVE
21/11/21, voilà il Palindromo che qualcuno nei tempi ha ribattezzato Presagio, lasciando tuttavia la scelta di definirlo anticipatore di fortuna o di iella. Mi piacerebbe indagare Inter-Napoli minuto per minuto e cogliere i dettagli che oggi saranno minuziosamente indagati dai napoletani prima esaltati da Zielinski poi annichiliti da Lautaro, ma vado sul pratico e concludo che la novità assoluta e consacrata di questo confronto è Simone Inzaghi. Bravino, bravo – dicevano a Milano con sufficienza – e gli facevano il torto di aver ricevuto paro paro in consegna l’Inter-scudetto di Conte senza avere la carica esplosiva del desso oggi al Tottenham dove peraltro ha vinto punendo il Leeds. Conte? Ma non mancava solo lui, le assenze di Lukaku e Hakimi sembravano il vero handicap: quel contropiede, quei gol e il muro marocchino, irripetibili…Macchè. Simone ha fatto la sua Inter e il Napoli – anche con sfortuna, penso in particolare all’Osimhen ferito – c’è andato a sbattere per mancanza – stavolta – di una coralità che invece l’Inter di Barella, di Perisic, di Lautaro e di un Calhanoglu incattivito (rispetto ai giorni rossoneri) ha trovato con umiltà, senza far suonare violìni e fanfare.
Peccato per il Napoli, temo sia stato ingannato dalla partenza a mille quando Insigne e Zielinski hanno creato quel gol irresistibile. (Essendo un mio pallino aggiungo che Mertens avrebbe meritato una chiamata anticipata, è in forma-gol, anche quando – sento dire – manca il gol decisivo).
L’Inter ha fatto un importante passo avanti mentre le avversarie dirette (Atalanta a parte) cadevano, ma il Napoli saprà trarre vantaggio dall’interruzione dell’imbattibilità che l’aveva reso fin troppo sicuro di sè mentre immagino che sarà più dura per il Milan mantenere la calma olimpica (tutta di Pioli) che si realizzava con una manovra semplice e elegante e con i gol miracolosi di Ibrahimovic.
Dico a me stesso che l’avvicinamento dell’Inter al Milan e al Napoli consentirà un pieno di emozioni ch’erano state spente dal disastro azzurro (Belfast è un incubo che mi porto appresso dal 1958). Aggiungo che con questo passo prima o poi si dovranno fare i conti anche con la Juve. E non solo per onor di firma: dimenticati gli orrori esibiti con le provinciali la Signora riprende quota. Anche con fortuna.
Tutte insieme, le grandi, compresa la bella Fiorentina di Vlahovic (e Italiano) stanno macinando gol ch’è una bellezza, compresi quei due rigori realizzati da Bonucci che hanno colpito anche Gravina che ho incontrato domenica a Palermo. In chiave azzurra aggiungo che le goleade quasi tutte straniere devono far riflettere sul futuro del nostro calcio, turbato non tanto dai finti Nueve ma dai senza Nueve.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
IL DERBY DI MILANO NON MERITAVA UN ALTRO SPETTACOLO?
Un derby, due partite. La prima con il risultato accidentale, 1 a 1, un rigore e un’autorete, e scarsa goduria, più alto l’apporto del pubblico in un San Siro finalmente vivo, affamato di vedere esibirsi gli squadroni della Madunina. La seconda partita, suggerita dai cambi pandemici (che l’Ifab confermerà dopo il Covid) che vedranno Kalulu per Ballo-Tourè, Saelemaekers per Diaz, Rebic per Leao e Bakayoko per Krunic da una parte; Vidal per Barella, Correa per Dzeko, Dumfries per Damian, Sanchez per Lautaro, Bastoni per Dimarco dall’altra. Non vi sembra che tanto movimento (in spregio ai poveracci che stentano con panchine corte) avrebbe meritato ben altro spettacolo? Il Milan resta primo grazie al Verona di Tudor che dopo aver battuto la Juventus è riuscito a fermare anche il Napoli scatenato. Segnamocelo a futura memoria, questo risultato del “Maradona”. Verrà giorno che dovremo riparlarne. Tornando al derby, pompato dai media oltre ogni misura, esaltato in realtà soprattutto dal tifo, io diffido dei regali presentati con sontuoso e invitante packaging, spesso più prezioso del contenuto. Ricordo quell’amico di Acqualagna che mi consegnò frettolosamente un oggetto involtato in carta gialla: quando l’aprii, a casa, scoprii un olezzante tartufo bianco. Da svenire. A San Siro, dopo 90 minuti di derby presentato come la finale di un Mondiale, non sono svenuto. Esagero? Fingo di essere seduto nel mio antico posto, a San Siro, fra Brera e Annibale Frossi, il Dottor Sottile che mentre il Gioànn smoccola mi suggerisce: “Gol? Solo errori”.
Peccato per il Napoli che non ha approfittato di una partita sicuramente meno impegnativa per trovarsi solo in vetta. Mentre sta tornando in pista la sua primaria guastafeste, la Juve del golletto della salute, un’idea nuova dell’Allegri che doveva essere un reinventato ammodernatore del calcio all’italiana ma in verità sta esagerando. Anche per i catenacciari come me. Buon per Milan e Napoli, tuttavia, che il disturbo si limiti a un’Inter superdotata ma inconcludente. Anche il Mourinho annunciato come l’angelo vendicatore dei drammi giallorossi non fa miracoli. Ce l’ha con gli arbitri, giustamente. Ma non ha capito che a forza di blablabla sono gli arbitri che ce l’hanno con lui.
L’ENTUSIASMO E I ‘CORBELLI’ DI SPALLETTI PER UN NAPOLI DA SCUDETTO
Spero non vi siate stupiti dei festeggiamenti di Spalletti alla fine di Salernitana-Napoli. Esagerati? Puro esibizionismo? No. Io mi sono segnato la partita e la data a futura memoria: perchè ho visto finalmente il Napoli da scudetto in un confronto battagliato come una finale di Coppa. Ho visto il Napoli, mai sconfitto e supervittorioso (10 su 11), non pretenzioso come quello di Benitez, incompiuto purtuttavia incensato come quello di Sarri, disanimato come quello di Ancelotti, complessato come quello di Gattuso. Ho visto un Napoli fiero di una valente fisicità richiamata in assenza “voluta” per prudenza di Insigne e Osimhen – vale a dire classe e potenza ad alto livello – senza fare una piega, anzi suscitando nei presenti la voglia di compensare la mancanza degli assi con prestazioni eccellenti, generose, solidali; riconoscendo, nel contempo, il valore degli avversari. Che infatti hanno reso dura la vita agli azzurri sfiorando addirittura la vittoria.
Ho registrato un altro dettaglio significativo: l’evidente, esplosiva partecipazione di Spalletti allo spettacolo dell'”Arechi” – pubblico strepitoso e strepitante compreso – più di quanto l’accalori la intiepidita e striminzita tifoseria del “Maradona”; più di quanto lo coinvolgano le tavolate più o meno rotonde o rettangolari dove a Napoli si discutono dettagli polemici o complotti che a Spalletti fanno l’effetto di fastidiose seppur impotenti zanzare. E’ bastato sentirlo in tv, nel dopopartita di Salerno, e tradurre pensiero e parole (queste edulcorate in rispetto della fascinosa e brava Giorgia Rossi) in uno slogan antico e efficace: “Non rompetemi i corbelli” (termine in uso dalle mie parti, a Rimini: vi ricorda qualcosa?). Questo è il miglior Spalletti possibile, sereno e battagliero insieme, allegro e astuto (e spero che abbiate capito che sentirsi chiamare Spallettone dal Mou non gli ha fatto un baffo, mentre tutti pensavano che se lo fosse goduto). In vena di onesta generosità aggiungo le ultime parole di Spalletti che mi hanno conquistato: “A inizio stagione ho detto che lamentarsi è da sfigati ed è così anche per le decisioni degli arbitri che possono sembrarci sfavorevoli”.
Non solo: anche per assenze potenzialmente esiziali superate disinvoltamente. Il che rafforza i panchinari chiamati a sostituire i presunti Indispensabili. Tutti santi, gli azzurri.
E per finire: si goda finalmente, il Napoli, il crollo della Juve. Per milioni di odiatori della Signora è festa, per gli azzurri la liberazione da un incubo decennale. La Juve una persecuzione. Il Milan di Pioli e Ibra che incalza è solo un avversario. Da battere.
(ITALPRESS). ([email protected])





