Il pareggio della Juve a San Siro su…Var (e rigore di Dybala) resterà – mortificandola – nella storia del Derby d’Italia accompagnato dall’ultimo pensiero rivelato di Massimo Moratti: “Dietro al Var ci sarebbe sempre qualcuno che la pensa così…”. Come la Juve nel ’98, insomma, ricordate? Così si conclude la domenica dei Due Derby con intrecci fra Milano e Roma.
Vedo il gol di Dzeko alla Juve. Lo rivedo. Mi sposto un attimo davanti a uno specchio, mi do dello stupido. Perchè dopo l’ennesima spiegazione ricevuta anche prima di Inter-Juve non ho ancora capito perchè la Roma ha venduto il bosniaco all’Inter. Venduto. Si fa per dire. Un tweet estivo dell’abile Di Marzio (complimenti papà) precisa: “#Dzeko arriva all’#Inter gratis. Alla #Roma un indennizzo da 1,8/1,9 milioni in caso di qualificazione alla Champions League dei nerazzurri”. Notizia che a ben vedere è anche una presa per i fondelli: manco due milioni per il giocatore che hai scaricato a zero e magari vince la Champions!? Viva la Roma. La Roma dello Specialone. La Roma dei bambini che si fanno la bua in Norvegia e poi vengono mandati in tribuna perchè imparino. Imparino cosa? Quant’è furbo, quant’è bravo Mourinho. Se Fonseca avesse mollato definitivamente Dzeko gli avrebbero dato del fesso; se avesse preso sei gnocchi dal Bodo/Glimt lo avrebbero buttato nel Tevere; se avesse dato tutte le colpe ai “ragazzi” (con la finezza di precisare, come Mou, “ma è colpa mia perchè li ho scelti io, gli asini”) gli avrebbero dato del vigliaccone. Poi ha detto che quel 6-1 è storico, certo per lui, per la Roma è cronaca. La storia è la sberla che lo United di Ronaldo ha preso dal Liverpool dell’ex giallorosso Mohamed Salah (allora è un vizio antico!).
Se…se…se…Lo Specialone ha sempre ragione perchè ne subiamo il fascino. Anch’io, ma non conta niente. Conta che n’è affascinato anche lo Spallettone che a fine partita si complimenta con l’avversario per complimentarsi con se stesso. Anche se il suo Napoli è molto più forte di quella Roma che sì gioca la reputazione. Anzi, la reputazione di Mou, che gliela farebbe pagar cara. Così Mou incassa l’inno di Venditti (che inneggia a tutti – giustamente – ma non allo Spalletti post Totti), l’oblio sulla vergogna norvegese e anche gli applausi dei tifosi alla fine del Derby del Sole. Così combattuto e avvincente che i nonni dicevano “uno zeroazero pieno di giuoco”. Parola di nonno.
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DZEKO REGALATO ALL’INTER, ALLA ROMA RESTA IL FURBO MOU
NAPOLI CONTINUO E JUVE UTILITARIA
Osimhen Victor-Vittoria. Benvenuto in Italia. Non solo a Napoli. Benvenuto fra i pochi campioni che contribuiscono a ridare al Campionato il suo antico valore ridimensionato da un continuo, inarrestabile e truffaldino mercato delle bufale. Forse non ha nei piedi tutti i gol di Lukaku ma imparerà e finirà per superare Romelu, già distanziato per qualità di gioco, quando Spalletti o il Destino gli avranno suggerito il contropiede, dopodichè vedrete all’opera un sodale del Club dei Mostri, quello di Pogba, Cavani, Higuaìn, Dybala, Ronaldo, Ibrahimovic, Lukaku. Dimentico qualcuno? Già. Mi manca un Italiano. Immobile e Insigne a crescere, non ne “sento” altri e soffro di non avere idoli nostrani da adorare, se non un Chiesa che sta crescendo vistosamente. Almeno ci fossimo tenuti Jorginho. Quando il Napoli se ne privò protestai. Inutilmente. Ma lasciamo perdere inni e canti ai nostri santi pallonari per rendere omaggio al Napoli-squadra che sta proponendo un calcio finalmente di qualità internazionale, ahimè nella stagione in cui un tentativo di ammutinamento gli ha negato la partecipazione alla Champions. Juric, pur in ritardo, è stato castigato ieri per il fatal verdetto veronese che tagliò le ali agli azzurri. In verità, il torneo nostrano sta salendo verso livelli dimenticati non solo grazie a Aurelio il Magnifico e al suo profeta Spalletti, ma la continuità del Napoli – otto su otto da meraviglia – si distingue perchè presenta le condizioni di classifica ideali, 19 gol fatti, tre subiti. Non solo: è felicemente estraneo al dibattito perditempo fra risultatisti e estetisti perchè è una realtà indiscutibile, non da bar sport. E ancora: non è afflitto – come certi sciagurati vorrebbero – da complottismo o altre forme di sospetti che nel tempo lo hanno frenato, danneggiato, sconfitto. Spalletti non è uno che le manda a dire, è polemico la sua parte, ma a differenza del corregionale Sarri non è tipo da perdere uno scudetto…in albergo. Come fece Il Comandante Disarmato in un albergo fiorentino, spaventato da un arbitraggio ostile. Siamo ancora lontanissimi dai tempi decisivi eppure è già possibile analizzare al volo le signore del gruppo di testa che stanno per essere raggiunte dalla Signora per eccellenza, la Juve che si è offerta all’esame Mourinho nella sua nuova (chissà se provvisoria) veste suggerita da una partenza disastrosa: è una utilitaria, secondo la definizione suggerita per una virtuosa e miracolosa Panda (non quella di Spalletti…) “caratterizzata – dice il listino – da dimensioni e dotazioni essenziali, progettata per assolvere le più correnti funzioni del gioco”, purtuttavia regina del mercato. E’ troppo ricca di campioni e talenti, la Juve, per restare sottotraccia, a dieci punti dal vertice napoletano, dietro la stessa Roma cui ha inflitto una lezione di fantasiosa praticità. Allegri non ha ancora dato alla squadra la fisionomia amorosa del quinquennio tricolore ma intanto ha ridimensionato i sogni giallorossi nati con l’arrivo del Divo Mourinho che finalmente ha sentito il rumore dei nemici: nonostante avversari, commentatori, vip e meschini si affannino a lusingarlo. Gli fanno un torto. L’Allegri ritrovato deve acquisire anche l’equilibrio del Milan di Pioli che insieme al Napoli, ancorchè più timidamente, sta restituendo al campionato l’antica qualità e bellezza di quando si giocava a sedici. Ma questa è un’altra storia.
NAPOLI IN TESTA E JUVE RINATA: PRIMO, NON PRENDERLE
A suon di gol dicono che siamo i migliori d’Europa. Musica per molte orecchie. Direi quasi orecchiette (“I strasc’nat”, alla barese): quelle degli estetisti che tornano ai tempi antichi quando la scuola napoletana di Palumbo e Ghirelli gridava “all’attacco!” mentre dal fronte Frossi-Brera si raccomandava “primo, non prenderle” (Curiosamente lo slogan detestato dai gollomani è tornato sulle labbra di Mihajlovic dopo la batosta – a zero – inflitta dal suo rinato Bologna alla Lazio sarrista). I miei due cari amici sarebbero felici di veder crescere alla grande il loro Napoli, io gli direi – se potessi – che il segreto di quelle sette vittorie consecutive è visibile in classifica alla voce 18 gol fatti e 3 subiti. Tre subiti. L’Inter, l’avversaria più feroce, ha fatto quattro gol in più ma in più ne ha presi cinque. Continuiamo pure a parlare di gol, a esaltare Sampdoria-Udinese 3 a 3. Ma la brillante difesa del Napoli, che da sempre considero prima risorsa dell’attacco, coincide con la rinascita juventina annunciata da una condotta iperprudente salutata come un miracolo, in realtà frutto della cultura italianista che non è stata mai tradita da Allegri, quello dei cinque scudetti consecutivi che gli snobboni juventini pretesero fosse sostituito dall’eclettico Sarri. Perduto Ronaldo e riassumendo a fatica il controllo della squadra, Allegri ha fatto fare un figurone alla Juve con il Chelsea in Coppa e l’ha portata a vincere il derby con il Toro evitando l’antica spocchia ma esibendo una nuova virtuosissima umiltà. Ingannatrice, quando serve. Il Torino ha fatto la partita credendo d’esser Toro, quando ha finito le munizioni (panchina modesta) la Signora ha esibito un Locatelli europeo e una attitudine provincialissima a proteggere il risultato fino in fondo. Bravo Allegri (bravissimo Inzaghi che con quattro cambi ha ripotenziato l’Inter e battuto il Sassuolo) che dopo alcune topiche d’inizio campionato ha incominciato a usar bene la panchina. A ben pensarci, la novità ha costretto i mister a riprendere gli studi. Restano indietro quelli che non hanno studiato e quelli che la panchina è giusto un posto su cui posare le terga.
Piccola osservazione, a proposito, per la panchina granata: Cairo, troppo impegnato, ha lasciato che il bomber della B Lorenzo Lucca andasse prima al Palermo e di lì al Pisa dopo avere esibito (davanti ai miei occhi) grandi qualità d’attaccante. Un anno fa circa l’ho definito “da Serie A”, ora se lo contendono Juve e Inter. E il Torino ha acquistato tre attaccanti stranieri.
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NAPOLI-SPALLETTI MIGLIOR COCKTAIL DELLA STAGIONE
A Josè Mourinho, uomo di buona cultura, raccomando la lettura di un libro di Curzio Malaparte (1898-1957) un toscano di Prato che in vita è stato tutto e il contrario di tutto. Come Montanelli. A differenza di Indro, che considerava suoi padroni i lettori, rivolgendosi loro da Milano, Curzio teneva ad essere piuttosto dominato dalle donne, in particolare quelle che conquistava a Capri. Autore di “Kaputt” e “La pelle” – grandi successi – ci ha messo vent’anni a scrivere il libro che parlava della sua gente – i toscani – e in fondo di se stesso, definendoli di volta in volta lavoratori, pragmatici, onesti, realisti, intelligenti ma anche sboccati, cinici, ironici, dispettosi, antipotere, mangiapreti. E traffichini. E dovendo dare un titolo alla sua amorosa e velenosa storia l’ha intitolata “Maledetti toscani”. E’ bene che lo sappia, Mourinho, perchè il calcio italiano ha conosciuto decine di allenatori toscani, ma i maledetti – per ora – sono tre: Allegri, il più quotato, alla ricerca del tempo perduto con la Juve in risalita; Sarri, che gli ha procurato con la Lazio la prima dolorosa sconfitta nel derby e nell’io gigante; Spalletti, oggi il più titolato a battersi con il Napoli per lo scudetto.
Quando si parlò di Spalletti, molti – quorum ego – dubitarono della possibilità di far vivere il fin troppo sensibile uomo di Certaldo in mezzo agli umori vesuviani; soprattutto con Aurelio De Laurentiis, titolare di un carattere che non è difficile ma semplicemente imperiale. Altro che Marchese Del Grillo: quando vuole Aurelio è impietoso nei gesti e negli accenti finchè, giunto al massimo dell’invettiva, non si propone generoso e accomodante. Aurelio in sè è già vincitore, Spalletti (pragmatico, realista ecc ecc) la vittoria se la sta preparando con cura certosina. E non sottovalutate il successo sul Cagliari di Mazzarri, il maremmano che per primo ha onorato le ambizioni di Aurelio portando il Napoli fra le stelle d’Europa con gli indimenticabili Lavezzi, Cavani e Hamsik che ribattezzai “i Tre Tenori”. Ogni tanto i meno fantasiosi fra i napoletani – che si nutrono di fantasia – tentano la resurrezione dei Tre Tenori, segnalando Insigne, Zielinski e l’ultimo arrivato, Osimhen, a modo suo un fenomeno; ma Spalletti va oltre, cerca la Squadra, non s’attarda con i Totti e gli Icardi che spuntano dappertutto.
E il suo Napoli sfugge alla banalità del dibattito fra Risultatisti e Estetisti: gioca un bel calcio e si fa grande di passione e di logica. Mi sbaglierò ma è il miglior cocktail della stagione. Che è lunga e ricca di difficoltà – come intelligentemente suggerisce Spalletti – ma già s’intuisce che il Napoli, quest’anno terribile in trasferta, è degno di avere come fabbrica nella quale costruire uno scudetto lo stadio dedicato a Diego Armando Maradona. Luciano, benedetto toscano.
LA FATAL VERONA E IL LAZIALE FARAONI PER IL PRIMO KO DELLO SPECIAL ONE
ROMA (ITALPRESS) – Vien voglia di dire – come mezzo secolo fa, nel ’73, eppoi nel ’90 – “lo scudetto passa da Verona”. La Fatal Verona. La leggenda non ha rispetto neanche per Mourinho, al quale bisognava forse ricordare – perchè si riguardasse – che la Città di Romeo e Giulietta è Patria di veleni e avvelenati. Come il bel Romeo, Nereo Rocco il 20 maggio del 1973 e Arrigo Sacchi il 22 aprile del ’90 recitarono virtualmente la battuta messa da Shakespeare sulle labbra del giovane Montecchi, adattandola al lutto: “…e così con un gol io muoio”. (Giulietta Capuleti, molto tempo dopo, ebbe problemi con i tifosi del Napoli che misero in dubbio le sue virtù…). Il Milan lasciò al Bentegodi due scudetti: uno alla Juve, dopo avere incassato cinque gol dal Verona, decisiva (fatale) l’autorete di Turone; uno al Napoli, decisivi i gol di Sotomayor e – guarda caso di un Pellegrini, Davide. Omonimo di Lorenzo che aveva aperto le danze della Roma con uno splendido gol di tacco.
Questa è una di quelle storie imprevedibili, anche magiche, che rendono favoloso il calcio. E la racconto nei dettagli non esagerando, ma in onore di un personaggio come Mourinho che ha trasferito a Roma la sua favola continentale, Triplete nerazzurro compreso.
Era arrivato alla sesta vittoria, preparava un ritorno trionfale a Roma dopo il 2-2 (autorete di Ilic) prezioso, realizzato mentre la Lazio di Sarri – la Nemica – soccombeva davanti al Cagliari di Mazzarri. E invece, pari della Lazio, Roma battuta – non per colpa di Rui Patricio, il migliore in campo – da un bellissimo gol di Davide Faraoni. E qui s’innesta una paginetta da derby romano. Perchè Faraoni, oggi del Verona, è un laziale vero, un laziale nato, un braccianese di trent’anni che varcò la soglia di Formello per la prima volta all’età di 9 anni: un bambino nel paese dei balocchi che si fece tutta la trafila nel settore giovanile, da protagonista, e a 17 anni nel giro della prima squadra con Delio Rossi. Poi un grave incidente, la ripresa, e lo rapì l’Inter.
La storia che vi ho raccontato e che fa parte del cerimoniale del Derby ha un seguito…inevitabile. Mi chiedevo cosa sarebbe successo a Mourinho lo Specialone, già esaltato come decimo Re di Roma (preceduto solo da Falcao e Totti) alla prima sconfitta. Ecco il primo commento (autorevole) dopo la Fatal Verona: “La Roma non ha gioco e ha un potenziale offensivo che deve sviluppare. Costruisce poco calcio e subisce sempre…Questa è una sconfitta meritata”. Ave Mou.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
CI SONO GIA’ DUE CAMPIONATI, JUVE AVVERSARIA DI SE STESSA
Due campionati. Quello normale discute sulle effettive qualità del Napoli e del Milan, già messi alla prova da avversari aspiranti al tricolore, così come dell’Inter e della Roma di Mourinho, quest’ultimo già celebrato per il glorioso passato rappresentato da mille panchine e atteso con illimitata fiducia “in presenza”. Il Milan mostrava già una sua brillante organizzazione di gioco contro la supervalutatissima Lazio quando è arrivato Ibrahimovic a potenziarlo e a renderlo spettacolare. La favola del campionismo è senza fine, Ibra ne è, oggi, il miglior rappresentante. In Italia, favorito dall’addio di Cristiano Ronaldo. La cui straordinaria avventura rivela l’esistenza di un altro campionato: quello della Juventus. Che non ha avversari se non se stessa. Diciottesima. Inerte. Un pareggio e due sconfitte con inevitabili viaggi nel passato alla ricerca di risvegli miracolosi che inducano a immaginarne anche nell’immediato futuro.
Dalla vigilia del torneo mi è stato fin troppo facile immaginare questa crisi mentre tanti critici si trasformavano in medici pietosi. Prima per la mancata sostituzione del portiere decisa nonostante Raiola avesse offerto a Agnelli Donnarumma, ideale sostituto di Buffon; poi per la debolezza del centrocampo, mancante di un regista efficace; e ancora – come dicevo – per la clamorosa rinuncia a CR7, un incidente di percorso storico, senza precedenti, neanche la cacciata di Robi Baggio fu così assurda e suicida; perchè Cristiano ha portato con sè la fabbrica del gol, confezionandone subito due per l’United che l’ha accolto trionfalmente. Nel “delitto Ronaldo” Allegri&C hanno avuto complici gli osservatori che hanno addirittura buttato nel Po il campionissimo dandolo per finito, come una vecchia gloria, ritenendolo incapace anche di riconquistare non solo una squadra di livello ma anche la mitica camiseta col 7. Povero Ronaldo, ha avuto tutto, e di più: la squadra, il 7, i gol, il trionfo e l’amore dell’Old Trafford. Consiglio ai cronisti di affidarsi – ogni tanto – alla storia. Dove Cristiano ha un posto di rilievo. Lo consiglio anche a Allegri e ai suoi soci che un questo momento stanno offrendo della Juventus dei nove scudetti un’immagine da povera provinciale. Senza la forza dell’umiltà che in certe difficili stagioni l’aiutò a riprendersi, a battersi con coraggio, a partorire campioni e a vincere.
Il 9 settembre del 2006, in B, castigata da un bel Rimini, esordì con un pareggio, come quest’anno a Udine, poi nove vittorie consecutive…Un’altra storia. Da rammentare. E adesso – come dice Allegri – la Champions. Con il Malmoe. Chissà perchè mi viene in mente Ibra. L’unico alter ego di CR7 rimasto al campionato italiano.
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ADESSO LA JUVE DEVE CERCARE I 100 GOL DI CR7
Parla Mourinho e si sente profumo d’intelligenza. Ci sottrae al dominio degli opinionisti sparolanti senza idee. Gli chiedono dello scudetto, e lui: “Parlatene con Inzaghi”. Gli chiedono di Ronaldo dopo le ultime avventure: “L’unica cosa che dico è che se la Juventus è felice, se Cristiano è felice e se il Manchester United è felice è il business perfetto”. Non è colpa sua se ha parlato prima che l’Empoli infilasse la Juve portandola al vertice dell’infelicità. C’è chi le rogne se le cerca e la fuga (o ripudio) di Ronaldo ha un solo autore, Allegri. Sull’argomento Nedved, Cherubini e Arrivabene (il nuovo Ceo che s’è svegliato come se fosse ancora in Ferrari e ha il vantaggio di essere abituato alle sofferenze) hanno fatto una figuraccia dicendo per giorni urbi et orbi “Ronaldo resta con noi”, quando ormai tutti sapevano che con un contratto di quattr’anni Allegri ha assunto i pieni poteri e dunque ha deciso lui di farne a meno, facendo la faccia di Guardiola quando gli hanno detto che CR7 arrivava al City. Schifato.
E adesso se li cerchi lui – insieme agli juventini che hanno scaricato il Cristiano come monnezza – i cento gol del portoghese, visto che lo accusavano di essere un narciso solipsista mentre chissà cos’erano, sabato sera, Chiesa, Dybala, Bernardeschi, Morata, McKennie e Kulusevski quando s’accanivano singolarmente – non come squadra – contro l’Empoli gagliardo (e Leonardo Mancuso) senza un baffo di gol. Annoto tuttavia il curioso silenzio di Andrea Agnelli (e di John Elkann): liberandosi di Cristiano Ronaldo hanno rimosso, senza fiatare, un affare da vertice Fiat. O Stellantis. Già: è caduta una stella. E prima o poi dovranno parlarne. Non solo in consiglio d’amministrazione.
Nel frattempo, ancora incurante dei primi passi delle altre quattro sorelle (Milan, Napoli, Roma e Atalanta, dico bene?) colgo innanzitutto il suggerimento di Mourinho e parlo (virtualmente) con Simone Inzaghi. E gli dico di non dar retta alle sirene che prima hanno allarmato il popolo della Beneamata per l’amaro addio di Conte e Lukaku e adesso lo incantano con le storie dolciastre di Dzeko e Correa: badi a lavorare, com’è ben scritto nel suo curriculum laziale.
E a proposito di Lazio, complimenti a Lotito e al Comandante Sarri che si è messo al suo servizio come un giovane generale smanioso di gloria. Ho letto che Sarri sarebbe andato al Milan se non avesse palesato idee rivoluzionarie di sinistra. Lotito, sveglissimo, parlando con gli amici più stretti ha scoperto che il Che Guevara era di destra…
(ITALPRESS).
ALLA JUVE ADESSO MANCANO I 100 GOL DI CR7
Parla Mourinho e si sente profumo d’intelligenza. Ci sottrae al dominio degli opinionisti sparolanti senza idee. Gli chiedono dello scudetto, e lui: “Parlatene con Inzaghi”. Gli chiedono di Ronaldo dopo le ultime avventure: “L’unica cosa che dico è che se la Juventus è felice, se Cristiano è felice e se il Manchester United è felice è il business perfetto”. Non è colpa sua se ha parlato prima che l’Empoli infilasse la Juve portandola al vertice dell’infelicità. C’è chi le rogne se le cerca e la fuga (o ripudio) di Ronaldo ha un solo autore, Allegri. Sull’argomento Nedved, Cherubini e Arrivabene (il nuovo Ceo che s’è svegliato come se fosse ancora in Ferrari e ha il vantaggio di essere abituato alle sofferenze) hanno fatto una figuraccia dicendo per giorni urbi et orbi “Ronaldo resta con noi”, quando ormai tutti sapevano che con un contratto di quattr’anni Allegri ha assunto i pieni poteri e dunque ha deciso lui di farne a meno, facendo la faccia di Guardiola quando gli hanno detto che CR7 arrivava al City. Schifato.
E adesso se li cerchi lui – insieme agli juventini che hanno scaricato il Cristiano come monnezza – i cento gol del portoghese, visto che lo accusavano di essere un narciso solipsista mentre chissà cos’erano, sabato sera, Chiesa, Dybala, Bernardeschi, Morata, McKennie e Kulusevski quando s’accanivano singolarmente – non come squadra – contro l’Empoli gagliardo (e Leonardo Mancuso) senza un baffo di gol. Annoto tuttavia il curioso silenzio di Andrea Agnelli (e di John Elkann): liberandosi di Cristiano Ronaldo hanno rimosso, senza fiatare, un affare da vertice Fiat. O Stellantis. Già: è caduta una stella. E prima o poi dovranno parlarne. Non solo in consiglio d’amministrazione.
Nel frattempo, ancora incurante dei primi passi delle altre quattro sorelle (Milan, Napoli, Roma e Atalanta, dico bene?) colgo innanzitutto il suggerimento di Mourinho e parlo (virtualmente) con Simone Inzaghi. E gli dico di non dar retta alle sirene che prima hanno allarmato il popolo della Beneamata per l’amaro addio di Conte e Lukaku e adesso lo incantano con le storie dolciastre di Dzeko e Correa: badi a lavorare, com’è ben scritto nel suo curriculum laziale.
E a proposito di Lazio, complimenti a Lotito e al Comandante Sarri che si è messo al suo servizio come un giovane generale smanioso di gloria. Ho letto che Sarri sarebbe andato al Milan se non avesse palesato idee rivoluzionarie di sinistra. Lotito, sveglissimo, parlando con gli amici più stretti ha scoperto che il Che Guevara era di destra…





