La Barba al Palo di Italo Cucci

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In attesa della Champions, il Napoli di Conte e Lukaku vola in testa

Scudetto tricolore o Coppa dalle grandi orecchie? Dopo 122 campionati di Serie (92 a girone unico) nasce improvvisamente un confronto inedito. Più o meno gloriosa la sua storia, il fascinoso torneo chiamato a rappresentare nell’epoca moderna l’Italia dei Comuni, non ha mai subìto fastidi, una concorrenza che ne mettesse a rischio l’appassionante longevità. Lamenti speciosi a parte, non l’ha danneggiato la Nazionale che gli ha assicurato anzi gloria planetaria nel’34, nel ’38, nell’82 e nel 2006. Nè l’hanno disturbato le Coppe Europee, finite numerose nelle bacheche di tanti club, vip o modesti. Questa turbinosa Champions che va a cominciare con una formula nuovissima – a 36 squadre, tutte in un unico girone, coinvolgendo Inter, Milan, Juventus, Atalanta e Bologna – secondo i pessimisti (che Boniperti chiamava catastrofisti) potrebbe ferire il nostro antico amore. Non dico sì, non dico no, sono per una volta attendista anche se non posso ignorare il recente bellissimo dato sull’affollamento degli stadi inaugurato – lo dico a ragion veduta – all’Olimpico da Josè Mourinho.
Le prime fasi del torneo “tradizionale” rivelano incertezze e contraddizioni, la supremazia dell’Inter viene messa in dubbio dallo scatenato Monza (rete di Dany Mota) nonostante i “quasi gol” di Thuram, Frattesi e Dimarco finchè Dumfries realizza il salvifico pareggio. Il Milan si carica di dubbi, Fonseca è discusso finchè i quattro gol rifilati al Venezia – l’ultimo dall’incerto Abraham – non scaldano i cuori dei pessimisti rossoneri. La marcia (quasi) trionfale della Juve si ferma a Empoli (applausi ai toscani) e allora – prima di denigrare Motta dandogli…dell’Allegri – val la pena sottolineare l’imbattibilità della difesa, che assumo a provvisoria sentenza visto che dalle mie parti una squadra convincente nasce forte dietro prima di potenziarsi davanti. M’è testimone il Napoli dell’anno scorso naufragato dopo la cessione di Kim: incassati 50 milioni e 48 gol, nono in classifica. Lo stesso Napoli che, manipolato da Conte dopo il disastroso esordio di Verona, è arrivato alla terza vittoria consecutiva e al primo posto in classifica con il poker realizzato nel tumultuoso match di Cagliari, grazie alla miracolosa performance del ringalluzzito Di Lorenzo, al ritorno al gol di Kvaratskhelia e all’esplosione di Lukaku. E qui mi fermo, Big Rom merita una riflessione. Ci sarà un motivo se a Simone Inzaghi spiacque la sua fuga, se Allegri tanto lo desiderò ma inutilmente alla Juve, se Conte per averlo ha pacatamente rinunciato a Osimhen. Per dire la sua situazione, scomodo la piazza giallorossa: fu campione o bidone, a Roma? L’ultima prova dei ragazzi di De Rossi a Genova dà la risposta. E intanto Napoli – che ha ha infinite risorse canore – ne canta la gloria appena spuntata: O Romelu, o Romelu, se proprio tu Romelu!? (E Giulietta nel frattempo – rammentando l’esordio – è sempre ‘na zoccola…).
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

L’Italia di Spalletti scrive romanzi tenebra e luce

L’Italia vittoriosa di Spalletti (2 a 1 a Israele) non gioca solo a pallone, l’Azzurra scrive romanzi. In tenebra e in luce. Meglio: produce fiction pulp/horror come Svizzera-Italia o emozionanti spettacoli come Francia-Italia. L’ho capito da tempo, siamo narcisi, vogliamo giostrare solo con avversari di qualità. Spagna ’82 e Germania 2006 ne danno ampia testimonianza. Con Israele – dominio storico, opposizione platonica, ultima vittoria il 5 settembre 2017 a Reggio Emilia con gol di Ciro Immobile – superati i 13 e 21 secondi di follìa, ecco mezz’ora di sonno, al 31′ ho addirittura sperato che Salomon ci desse la sveglia. Poi al 37′, finalmente, i Fratelli d’Italia (nerazzurri) all’opera: Dimarco istruito da Raspadori e Kean serve pulito col solito mancino Frattesi che insacca con quel sorriso da selfie alla mamma che impreziosisce vieppiù la sua figurina. Ecco una efficace catena di montaggio, arriva anche il gol di Moise al 62′. Applausi. Tanti alla difesa che stava per chiudere finalmente senza prendere gol ma era giusto concedere agli avversari il gol della bandiera, Abu Fanu al 90′. Molti i bravi del rinascimento spallettiano: Tonali ça va sans dire, ma io voto Frattesi e con lui Raspadori che lavora per tutti, sembra un capitano (e non dimentichiamo che dal 4 dicembre del ’21, chiamato in azzurro, ha segnato 7 gol, Er Più).
Fatto il gol, rinasce un pò di gioco anche nella manovra della Nazionale 2 che Spalletti ha portato a Budapest con 5 novità. Significativa, per la manovra meno limpida, l’assenza di Calafiori infortunato, Gatti unico juventino sostituisce sereno – ehm ehm – Di Lorenzo, Kean è per Pellegrini. Retegui entra solo all’86 ma va a vuoto. Donnarumma riposa. Operosi Brescianini e Udogie. Continuo a studiare Ricci, l’hanno raccontato fenomeno, ho bisogno di approfondire. Certo è arrivato a dare man forte a un’Italia che vince. Una piacevole novità.
E’ importante pensare – infine – ai 100 minuti di respiro consentito a un popolo in guerra più che a una battaglia calcistica per conquistare un posto al Mondiale. E’ sport, porta aperta alla Pace. Che Dio la mandi. Gli uomini non bastano.

Azzurri “garibaldini”, sepolto l’incubo di Berlino

Tre gol (a uno) alla Francia. Italia bella, finalmente, Berlino un incubo sepolto. Al Parco dei Principi avete ascoltato il Canto degli Italiani, fate finta di aver sentito l’Inno di Garibaldi, il nizzardo scaldacuori sostenuto da retorica patriottarda, “Corriamo, corriamo, su o giovani schiere / Su al vento per tutte le nostre bandiere / Su tutti col ferro, su tutti col fuoco d’Italia nel cor”. Dunque azzurri “garibaldini” scovati da Spalletti nella zona del cuore, dove quell’affronto di Barcola dopo 14 secondi (ce ne aveva messi 23 l’albanese Bajrami tre mesi fa, agli Europei) non ha spento gli azzurri ma ne ha scatenato l’immediata reazione con una esibizione corale che ha letteralmente capovolto l’ammutinamento davanti alla Svizzera. Vittoria e non solo, qualità di gioco, esercizi di fantasia accompagnati da prestanza fisica. E piedi buoni. Il primo gol, al 30′, una magia di Dimarco, una maradonata mancina; poi l’eccellenza Davide Frattesi, 24 anni, romano. Prima laziale, poi romanista. Scuole superiori ad Ascoli, Empoli, Monza, Sassuolo e infine Università e laurea all’Inter. E tutte le Under azzurre, la specializzazione ideale per meritare la Nazionale. Grazie a lui (e come dicevo a Dimarco, l’Inter è presentissima, c’è anche Bastoni) l’Italia riscatta in mezz’ora la più amara partenza del secolo, quel golazo di Barcola. Quando al 74′ è arrivato il gol di Raspadori godimento totale e un antico pensiero, “Parigi è sempre Parigi”, la fascinosa capitale in cui conquistammo il secondo titolo mondiale, nel 1938, con l’Italia di Meazza, Piola e del mio amico Medeo Biavati. Li guidava Pozzo. Ringrazio Spalletti di avermelo ricordato, di avermi mondato da cattivi pensieri. (L’ultimo, per stavolta, extra azzurri: lasciate perdere Mbappè, se avete tempo e voglia gridate “viva Ronaldo”, 900 gol. E noi, italici piangenti, che l’abbiamo deriso…).

JUVENTUS DA RIVEDERE ANCORA

La Juve 3menda con Como e Verona non mi aveva detto molto e ho letto con stupore il magnificat in ode di Motta rinviando un controllo ulteriore al match con la Roma, considerata almeno dagli anziani una vecchia nemica. In realtà accomodante: per portare a casa un punto s’è adattata al ruolo di sparring partner. Ciònonostante evito di fare quel che volevo, un primo anche se immaturo confronto della Juve con l’Inter. Perchè la Benemerita appena bistellata è lontana un mondo dalla Signora appena abbozzata. Anche se non le mancano giocatori di valore: dopo un tempo che barba che noia è bastato l’ingresso di Koopmeiners e Conceiçào per vedere un calcio più brillante e propositivo. Come passare dal 4-3-2-1 al 4-3-3. E’ una Juve con la voglia di fare ma incerta sul come, troppi passaggi, troppi avantindrè, impalpabili colpi d’audacia. E allora ho pensato a un suggerimento prezioso ricevuto in settimana da un testimone del tempo, il vecchio – mio coetaneo – brillante attaccante della Juve anni Sessanta, Carlo dell’Omodarme, che incrociai brevemente a Torino e conobbi meglio a Ferrara, nella Spal (se ben ricordo) di Massei e Capello. Dice l’antico guerriero che Motta gli ricorda Heriberto Herrera, il paraguagio scrupoloso preparatore, esponente del movimiento, massacratore negli allenamenti, odiatore dei campioni veri o presunti che cacciava (dico Sivori per tutti). Motta non si è esposto con pubbliche torture, quelli che non voleva li ha abilmente eliminati prima (dico Chiesa per tutti). Il 4-4-2 di Accacchino (Helenio era Accaccone, vedi Brera) non è molto diverso dal 4-2-3-1 di Motta. Il quale è entrato in campo in abito scuro, elegante, meditabondo, occhio brillante fisso, sorrisetto stampato, proprio come Heriberto. Il quale uno scudetto con la Juve tuttavia lo vinse. Strappandolo proprio all’Inter, evito di ricordare come, dico solo che se c’è della rabbia, fra le due storiche rivali, sicuramente i fattacci dell’1 giugno 1967 lo spiegano bene (consiglio un passaggio su google).
Che barba che noia, dicevo. Grazie anche a De Rossi che, credendosi un Guardiola di passo, ha rinunciato per un’ora a Dybala. Fossi in Paulo – del quale mi dichiaro ammiratore fin dal Palermo – chiederei agli arabi se è ancora in tempo per scappare da Roma.
Due noterelle finali: visto il Bologna, l’esanime Italiano non riuscirà a bere il Beaujolais Nouveau. L’ho detto fin dalla prima partita. E arriva la Champions. Sentito l’appello di Gravina per il tempo effettivo gli segnalo che a Napoli l’arbitro ha ammonito il portiere del Parma Suzuki al 63′ per perdita di tempo di 20 secondi ma ha allungato la partita di 15 minuti complice il Var.

Il Milan ha bisogno di Babygol Camarda

Non è ancora un vero campionato con ruoli ben identificati ma soprattutto un’esibizione di singoli, campioni o aspiranti, e di gol, giochesse spettacolari o rammendi. Come quello – prodigioso – del Napoli. Fa il suo l’Inter che continua imperturbabile davanti all’onesto Lecce il campionato che le ha dato la seconda stella; l’accompagna un Torino risorto che coglie un successo brillante firmato Ilic e Adams scottando l’Atalanta nonostante un intervento estemporaneo della Var. La bufalona tecnologica prolunga la partita con un rigore (parato alla grande da Milinkovic-Savic) trascinandola fino al ’99 e avvelenandola con scoppi di rissa. La Var Made in Italy tradisce il suo mandato, negando anni di prediche contro le perdite di tempo e a favore del rasserenamento degli spiriti. Mai così bollenti. Mi sento personalmente invitato anche a dare un suggerimento a Ibrahimovic: il suo Milan ha bisogno di un lampo di giovinezza che gli ho segnalato ormai da mesi, il Babygol Camarda. Allora se ne uscì con la solita battuta da sapientone, “non è ancora maturo”, e Fonseca, ubbidiente, lo ha subito pappagallato. Il risultato s’è visto. Milan umiliato dall’audace Parma. C’era grande attesa per Roma-Empoli e Napoli-Bologna e la maggior parte dei critici s’aspettava un trionfo di Dybala e sofferenze di Conte (per i precedenti successi di Italiano a Napoli) ma la potenza di Giove Palla ha preteso un’inversione di ruoli. Nello stesso momento – era il 46′ – Giovanni di Lorenzo (assistito dal mago Kvaratskhelia) garantiva con un bel gol la sua rinascita dopo le disavventure azzurre. Mentre la Roma incassava il gol di Gyasi, il trentenne ganese dell’Empoli esibitosi alla vigilia come influente predicatore. Il rigore realizzato nella ripresa da Colombo ha chiuso con un 1-2 (inutile il gol di Shomodurov) l’addolorata Serata del Cuore Giallorosso.
La Roma aveva annunciato la “Dybala Night” garantendosi un Olimpico strapieno ma Faccia d’Angelo si è garbatamente sottratto ai fescennini dedicandosi soprattutto alla squadra, come a sottolineare che la sua scelta è concreta, non una romantica passeggiata romana suggerita dalle donne di casa, la moglie Oriana e mamma Alicia-Cornelia in testa. Come diceva Virginia Woolf, “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Anche due. Dybala da solo non garantisce una grande squadra. Ci fosse stato Lukaku… A Roma hanno ancora dubbi: un campione o un bidone? L’ardua sentenza a Napoli.
Dove intanto Conte ha cominciato a trasmettere i suoi bollori, intensità e slanci in contropiede. Un-due-tre! La medicina è servita a Raspadori, finalmente positivo in un ruolo offensivo (attendant Osimhen). Nella ripresa il meglio, con il gol esplosivo di Kvara, finalmente in grande spolvero e con lui cresce la squadra. Il Bologna, invece, ha creduto troppo in se stesso, facendosi audace, rispondendo a tono al Napoli, esibendo un platonico possesso palla. Facendo poco per Orsolini. Ma non c’è di meglio. Amen.

Le milanesi sottovoce, alla guida del Napoli non il vero Conte

Le milanesi erano attese all’urlo vittorioso, si sono accontentate di un messaggio sottovoce: l’Inter c’è, il Milan si sta cercando. La Juve – genialmente sottratta al primo convegno delle grandi – la vedremo lunedì sera. Ma cosa vuoi fare se non dedicare il primo racconto del campionato al Fatal Verona che dopo anni di magherìe anti Milan s’è impossessato del cuore napoletano? Visto Conte ch’esce dal Bentegodi? La maschera di un muto. Io Antonio Conte lo conoscevo bene. E ho titolo per dire che quello visto sulla panchina del Napoli non è lui. Nel senso che è radicalmente cambiato. Forse truccato da cuorcontento, mentre vi garantisco che ha accettato l’invito di De Laurentiis non solo per soldi – che non fanno male – ma perchè non poteva stare ancora fuori dei giochi, aveva voglia di completarlo il Giro delle Tre Nemiche. Ma non è certo il Conte vero quello che accetta una squadra senza uomini decisivi, senza un portiere di qualità, senza Osimhen ch’è una bestemmia lasciarlo fuori affidandosi agli Invisibili Politano e Simeone e all’addolorato Kvaratskhelia per non dire del resto della compagnia, perfettamente rappresentata da Di Lorenzo quando Mosquera gli è scappato sotto il naso. E già qualcuno si chiede – a Napoli sicuramente – se Conte farà la fine di Ancelotti. Da vecchio cronista preciso che questo è un dramma, non è una tragedia. Il 3-0 inaugurato da Dailon Livramento, capoverdiano di 23 anni, testimonia il ritardo della campagna di rafforzamento di diverse squadre. Compreso il Bologna che senza Calafiori – Zirkzee e Saelemaekers – è tornato indietro di vent’anni. E pensare che ai bei tempi del “mio” calcio le squadre si pensavano a primavera e si realizzavano a giugno. Per scusarci dell’inizio deludente mettiamo il cartello LAVORI IN CORSO. Oppure SILENZIO!, per consentire il riposo dei guerrieri – così come ha suggerito Ancelotti – prima dell’infernale avvio di un’esagerata Champions.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

Aspettando le rivali, si riparte con l’Inter bistellata davanti a tutti

Vi è mancato molto il pallone? A me no. Per la prima volta i Giochi mi hanno pienamente soddisfatto. Hanno riempito la mia passione – anche abitudinaria, purtroppo – per l’agonismo romanzato, offrendomi pagine e immagini di alto livello. Ho vissuto con intensa partecipazione le gare, ho digerito con disinvoltura i momenti critici, le sconfitte, le polemiche. Fin quando la vittoria delle Ragazze del Volley ha completato il recupero d’orgoglio di un povero calciofilo italiano, appena sortito dall’ultima umiliazione europea che andava ad aggiungersi ai digiuni mondiali. Esperienze indigeste che mi hanno sconsigliato di cercare il calcio olimpico, peraltro senza Azzurri, appena vista l’introduzione fra Argentina e Marocco, naufragata nella violenza e nel ridicolo per un arbitraggio scandaloso e una VAR confusa. Come se fossimo nel nostro campionato. Sottolineo giusto l’oro olimpico conquistato dalla Spagna che già mi annunciava il ritorno…a Casa Calcio con gli spagnoli appena sofferti nell’Europeo: ecco Atalanta-Real, SuperCoppa Uefa. Ed ecco un’altra vittoria ispanica, con la magra consolazione che a conquistarla sia stato Ancelotti – al suo trentesimo trofeo – il più grande tecnico del mondo, spedito in un esilio dorato dal Napoli. Siamo passati dalle Furie Rosse di Spagna ai Blancos di Madrid con una sola pretesa differenza: mentre gli Azzurri di Spalletti sono fuggiti dall’Europeo con ignominia, i neroblù di Gasperini sarebbero invece usciti dalla SuperCoppa A TESTA ALTA. Odio questa definizione, un disgustoso dolcificante per digerire la sconfitta. È vero, l’Atalanta ha giocato con impegno (perché dicono “con coraggio”, il Real era forse un’Invincibile Armata?), Gasperini ha creato problemi ad Ancelotti ma appena il Real ha deciso di vincere non c’è stata più storia. E consiglierei a Mbappè di non menar vanto eccessivo per quel primo gol. Vedete, “a testa alta” mi annuncia un campionato già scritto con pronostici favorevolissimi all’Inter perché la Beneamata bistellata ha vinto con grande sicurezza e si ripresenta – unica – rinforzata, compatta e strasicura con il suo Divo Lautaro. La Juve e il Napoli ostentano con orgoglio i nuovi condottieri Motta e Conte, ma le loro squadre non sono ancora nate, travolte – come altre contendenti – dal calciomercato più sciocco e aberrante di tutti i tempi: a dir le sue virtù basta fare i nomi di Koop e Osimhen, quest’ultimo oltraggiato da una compravendita stile mercato rionale: così come la vicenda di Dybala illustra abbondantemente le certezze della Roma. Per finire, traggo uno spunto da un dibattito…olimpico suscitato da Aldo Cazzullo sul Corsera. Tema: la cattiveria agonistica. “Gli schermidori – ha scritto Cazzullo – come i signori secondo Manzoni, hanno un po’ tutti del matto. Quelli che abbiamo adesso sono un po’ troppo bravi ragazzi: per questo vincono meno di una volta”. Non l’avesse mai detto. Oltraggio al valore. Io ho capito e condiviso solo la insolita gioia della nuotatrice Benedetta Pilato, felice di essere arrivata quarta: conosceva i suoi mezzi. Li ha superati, felice. “La cattiveria non è scorrettezza – ribadisce Cazzullo – ma determinazione assoluta. Senza non si vince”. L’altra sera la “buona” Dea si è presa non solo gol ma anche botte da quei cattivoni del Real. Così si vince. Con un po’ di cattiveria. Buon campionato. Come diceva Enzo Biagi, una bambolina a chi lo vince. Italo Cucci ([email protected])

(ITALPRESS).

L'”Orodidonna” colora i Giochi azzurri e Velasco realizza ‘Vollywood’

Con l’oro del Volley – insieme agli altri 11, 13 argenti e 15 bronzi – la storia siamo noi. E’ vero, la storia dei Giochi di Parigi l’ha scritta anche uno sconfitto, Gimbo Tamberi, che non ha colto medaglie ma l’amore di tutti con le sue lacrime. Ma il titolo vero è “Orodidonna”. Non potevamo sognare un finale diverso, più bello, più emozionante e glorioso di quello che hanno offerto le splendide donne dell’Italvolley ai Giochi di Parigi. Grazie a Ekaterina Antropova, Caterina Bosetti, Carlotta Cambi, Anna Danesi, Monica De Gennaro, Paola Egonu, Sarah Fahr, Gaia Giovannini, Marina Lubian, Loveth Omoruyi, Alessia Orro, Miriam Sylla e Ilaria Spirito siamo diventati Vollywood. Il regista Velasco ha realizzato il film che ci ha reso protagonisti nel pianeta sport con un happy-end strepitoso. Quelle fantastiche ragazze hanno invaso lo spazio con forza, bellezza, gesti di potenza e di grazia, sorrisi che si sono fusi in pianto. Un distratto chiede “com’è andata a Parigi?”. Un innamorato risponde esaltato “Ha vinto l’Italia”, attribuendo all’oro del volley femminile appena conquistato prima che calasse il sipario dei Giochi 24 il valore più prezioso e totalizzante.
Potevo anche scrivere “Ha vinto Velasco” ma non ho dimenticato che lasciò la Nazionale maschile perchè – ha raccontato – un giorno lesse un titolo – “Velasco affronta la Jugoslavia” – troppo personalizzante e impegnativo. Non avrei esitato a scrivere “Velasco ha sconfitto l’America” perchè il suo tuffo nell’abbraccio azzurro gli ha tolto per sempre quell’armatura filosofastra cara ai cantori chic; quando giocammo insieme in tv una partita a chiacchiere a Pechino 2008 lo trovai sofferente, frustrato. E’ un comandante vero – attenti, non dico un generale argentino – che ha meritato la medaglia assegnatagli da Paola Egonu: “Ha costruito quella squadra che non eravamo”.
Le Divine del volley, quelle della commovente e storica impresa, saranno le prime immagini di un film che proporrà via via i racconti di quaranta medaglie felici. Felici – in particolare – quando hanno premiato le Donne d’Italia che le hanno conquistate entrando in scena – le indico senza il valore del metallo – dalle prime battute, come le veliste Marta Maggetti e Caterina Banti, le allegre guerriere Sara Errani e Jasmine Paolini che hanno portato il tennis nella storia, le schermitrici della squadra d’oro, la fascinosa ginnasta Alice D’Amato con Manila Esposito, la judoka al bacio Alice Bellandi, le audaci ragazze della coinvolgente ritmica, le cicliste Chiara Consonni e Vittoria Guazzini, la tiratrice Diana Bacosi, le incantevoli Farfalle con l’eletta Sofia Raffaelli, la nuotatrice Ginevra Taddeucci, l’atleta ardita Nadia Battocletti.
Non è una scelta ruffiana, la mia, questo mondo di vincitrici mi ricorda quando, nell’Ottanta, solo Sara Simeoni conquistò le prime pagine con l’Oro di Mosca e nell’Ottantaquattro dedicai una copertina a Gabriella Dorio per l’Oro di Los Angeles. Vorrei vicino a me, in questo momento, l’antica amica Ondina Valla, primo oro olimpico femminile nel 1936, per dirle “Hai visto quanta strada han fatto le donne?”. Maschi, perdonatemi: per tutti una stretta di mano a Gregorio Paltrinieri e Thomas Ceccon per avere denunciato le tristezze ambientali dei Giochi parigini.
Avendolo scritto prima che si svegliassero le Penne Dorate, ringrazio le venticinque Medaglie di Legno che hanno sottolineato la straordinaria crescita globale dello sport italiano, dichiarata per prima dalla nuotatrice Benedetta Pilato, quarta per un centesimo nella sua gara: “Ci ho provato fino alla fine, mi dispiace. Però piango di gioia. Sono troppo contenta, è stato il giorno più bello della mia vita”. Qualcuno ha detto “E’ un invito a medaglia” e Nadia Battocletti – privata del bronzo nei 5000 – è andata subito a prendersi l’argento nei 10000.
Lascio per ultimo – last but not least, come si dice – il vincitore assoluto dei Giochi Italiani, Giovanni Malagò. Ho conosciuto tutti i presidenti del Coni del dopoguerra, da Giulio Onesti in poi, e nessuno ha raggiunto i risultati di Tokyo 21 e Parigi 24. Dicono che Malagò deve andarsene proprio mentre ha dato inizio all’organizzazione dei Giochi Invernali di Milano-Cortina 2026. Tre mandati e basta. E dire che su TikTok c’è una godibile presentazione di politici – anche governanti – che occupano gli scranni del Parlamento da un quarto di secolo. Gli intoccabili.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).