Il Campionato Covid ha ritrovato i suoi protagonisti e le sue favole insieme alla soluzione dei casi più chiacchierati: Ronaldo e Insigne restano i favolieri di Juve e Napoli mentre accenna a rinascere il mito italiano di Josè Mourinho. Protagonista (anche fastidiosa) la Var guastafeste o consolatoria. Ma mi piace cominciare con un “Bentornato Allegri”. Max il cinico ci farà cinicamente divertire. Causa incertezze Dazn mi son visto Udinese-Juventus in un bar “liberato”. Ma pieno di juventini. Che dall’urlo d’esordio del gol-razzo del joyosissimo Dybala accompagnato dal raddoppio di Cuadrado, son passati a dubitare delle virtù del leader ritrovato. Come una volta. Come ai tempi in cui vinceva cinque-scudetti-cinque e tuttavia non piaceva agli esteti, finendo sotto le grinfie di Adani. Allegri si è esibito in un festival di errori che ho dovuto registrare anch’io, già suo difensore d’ufficio. Per cominciare, ha dato un vistoso contributo al Caso Ronaldo, relegandolo in panchina proprio mentre i famelici mercatisti gli mettevano in mano valigia e green pass per spedirlo chissà dove. E Locatelli? Praticamente assente, anche se tutti l’aspettavano per battezzarlo juventino. E Chiellini? Certo fisicamente provato dall’Europeo. E Chiesa? Boh. Ho pensato che il Conte Max si sia fatto convincere dai media che in questo campionato in mancanza di campioni domineranno i tecnici. Sarà vero – vedremo – ma se c’è uno che i campioni li ha è proprio lui. E infatti, quando la coriacea Udinese minaccia la traballante difesa bianconera (ti raccomando Szczesny) entrano i dimenticati Chiellini, Kulusevski, Ronaldo e ancora Chiesa (Locatelli arriverà, inutile, al 90′). La Juve terremotata non riesce a godere i campioni ritrovati, Deulofeu pareggia. Nel frattempo, i mercatisti svengono: cosa potranno più dire di CR7? Magari è capace di segnare il gol della vittoria… Sì, lo fa. Bellissimo. Li salva la Var, annullandolo. Vien fin troppo facile il confronto con l’umile Simone Inzaghi che ha ereditato da Conte un’Inter impossibile e l’ha fatta bella subito (anche con la complicità del Genoa che peraltro non la batte a San Siro dal 1994). Cosa volevano vedere gli interisti orfani di Lukaku? Calhanoglu e Dzeko. Il turco segna il 2 a 0 su assist di Edin che chiude la partita con la sua rete: non sarà Lukaku ma promette bene. In attesa del silenzioso Milan di Pioli al quale mi permetto di dare fiducia preventiva, sottolineo la brillante ringiovanita del Comandante Sarri che alla Lazio pare divertirsi come quand’era a Napoli; l’azzardosa Roma di un coraggioso Mourinho; l’impennata d’orgoglio di Mihajlovic e del suo Bologna autore di una rimonta strepitosa. E la clamorosa maradonata d’Insigne che fa impazzire Napoli (e Spalletti) con un rigore sbagliato e il rigore azzeccato.. Insigne sì, Insigne no? E così Spalletti gli ha detto davanti al mondo “Resta con noi”. Mentre Lozano assicurava la vittoria.
SI APRONO I GIOCHI DI TOKYO: L’OLIMPIADE E’ DONNA
L’Olimpiade è donna. Questo è il messaggio più importante lanciato dai Giochi di Tokyo appena inaugurati con una cerimonia lunghissima. Come sempre. Gli organizzatori erano stati sollecitati ad abbreviare al massimo il tradizionale debutto degli atleti del pianeta, ma essendo questi appartenenti a 206 Paesi riconosciuti dal Cio meglio non si poteva fare. In fondo questo è il dato politico più significativo che viene esibito ogni quattr’anni – cinque in questo caso – dal movimento olimpico: l’Onu spesso immobile, ovviamente surclassata sul piano dei risultati, di Paesi ne rappresenta solo 193. E quanto sia potente il Cio lo sanno – come dicevo – soprattutto le donne che nella cerimonia di Tokyo hanno dominato non solo per immagini, risultando le più appetite dalle telecamere, ma per la scelta sociopolitica fatta dall’organismo presieduto da Thomas Bach. La parità di genere è stata realizzata ed esaltata dal doppio portabandiera, un uomo e una donna, a partire dal giuramento olimpico, significativamente pronunciato da una coppia di atleti, una coppia di tecnici, una coppia di arbitri. Ed è stata sottolineata anche dalla rappresentanza di portabandiera olimpici, tre uomini e tre donne, fra le quali la nostra splendida Paola Egonu da Cittadella. Fra i momenti salienti sempre femminili – e non mi attarderò come in passato a celebrare la bellezza delle ragazze come Federica Pellegrini, scelta oggi condannata dal politicamente corretto – l’apparizione di Agnes Keleti, la ginnasta ebrea ungherese festeggiata per i suoi cent’anni, vincitrice di dieci medaglie olimpiche (cinque d’oro) a partire dai Giochi Olimpici di Helsinki 1952 (in cuor mio una dedica a Ondina Valla, la prima italiana a vincere l’oro alle Olimpiadi di Berlino 1936: l’ho conosciuta, grande atleta e grande donna). Per finire, il saluto del Giappone portato a fine cerimonia da Seiko Hashimoto, fino a ieri ministra per lo Sport con la delega alla preparazione delle Olimpiadi, nuova presidente del comitato organizzatore di Tokyo 2020 in seguito alle dimissioni dell’ex presidente Yoshiro Mori, 83 anni, già primo ministro dell’Impero costretto a dimettersi per una infelice frase sessista. Seiko Hashimoto per fortuna non ha ricevuto la nomina solo per esser donna: come atleta ha partecipato a sette Olimpiadi, quattro invernali e tre estive. Fatti non chiacchiere.
Ho scelto l’argomento Donna per questi Giochi anche se nelle mie esperienze olimpiche sono sempre state protagoniste, dimostrando come lo sport sia superiore alle estemporanee manifestazioni sociopolitiche organizzate da perditempo. Il Mondo Donna ha goduto di uno spot planetario mentre brillanti commentatori riempivano i media di critiche ai Giochi per le spese eccessive sostenute per organizzarle (dai giapponesi, non da noi), per gli spalti vuoti, per la sfida al Covid. Hanno scoperto, i fini dicitori, che le Olimpiadi sono soprattutto uno spettacolo televisivo che porta rari vantaggi alla carta stampata. Ha detto bene Bach, infine – sfidando i retori dell’antiretorica – mentre lo Stare Insieme diventava il messaggio chiave dei Giochi: “Questa sensazione di unione è la luce in fondo al buio tunnel della pandemia… E la fiamma olimpica farà brillare ancora di più questa luce”.
L’ITALIA PIU’ BELLA INSIEME ALL’ALTRA DEL 1982
Un’orgia di felicità. L’Italia più bella insieme all’altra dell’11
luglio 1982. Una data memorabile. Una partita che non
dimenticheremo mai. Come questo Europeo che ci fa padroni del
Continente e ci avvia verso Qatar 22 con il cuore gonfio di
speranza. Ai rigori di Wembley, dopo quelli che ci avevano
liberato della Spagna, siamo arrivati come in trance, bombardati
dall’urlo degli inglesi che si vedevano strappata la gloria avuta
a portata di mano senza meritarla. Fatta salva questa partita che
diventerà leggenda per tutti, per il mondo intero, visto che nei
120 minuti e nel finale ai rigori ha sciorinato tutto il calcio
possibile, mostrando tanti ritratti del coraggio: i nostri, con
sofferenza, i loro prima con arroganza poi con incredulità.
Capello, Zola avevano aperto le porte di Wembley agli italianuzzi,
stavolta è arrivata l’armata coraggiosa del comandante Mao Mancio.
Ed è stata festa senza precedenti. Degli azzurri non uno che
meriti un rabbuffo. Tutti eroi, tutti bravi, tutti operai, tutti
maestri del calcio italiano che svetta mostrando dapprima una
difesa imbattibile che campioni come Bonucci e Chiellini hanno
trasformato in arma d’assalto, il primo con il gol del pareggio,
il secondo trascinatore senza pause nei momenti in cui pareva
dovessimo soccombere. Bravi bravi bravi. Bravissimo Mancini che
anche stavolta ha cambiato le carte in tavola spegnendo le fasi
d’abbandono, ricaricando le armi fino a spaventare gli avversari
che credevano ormai di averci in pugno con l’appoggio di una folla
che li ha sostenuti con vigore straordinario restituendo al calcio
di tutto il mondo la bellezza della totale partecipazione dei
tifosi. Degli appassionati, dei principi e dei poveri. La gioia
del nostro Presidente Mattarella che, prima di andarsene porterà
al Quirinale la Coppa più bella, consolazione di tante pene, lutti
e dolori degli italiani. E ditemi se non è il calcio che oggi
scalda i nostri cuori, suggerisce coraggio e speranza. Le piazze
d’Italia esplodono di gioia e l’umile, emozionato, stanco cronista
di tanta bellezza le raggiunge in volo gridando, come tutti,
grazie Italia, grazie Italia.
MESSO IN GINOCCHIO IL BELGIO MA IL BELLO ARRIVA ADESSO
Mancio, fammelo dire, con rabbia e paura diventate gioia e iattanza: li abbiamo messi in ginocchio. Il Belgio dichiarato re del pianeta è rimasto lì, con la sua storia che è una clamorosa devastante voglia insoddisfatta di vincere. Il Belgio che ha fatto paura senza aver mai vinto niente. Il Belgio che se ci avesse sconfitto avremmo dovuto dire “pazienza, abbiamo fatto il possibile, quel gaudioso gol di Barella, e quel capolavoro di Insigne, il poeta che annoia i sapientoni e i censori senza autorevolezza, sarà stato bello, consoliamoci”. E invece siamo qui, a zompare come matti perchè abbiamo battuto tutti avversari di valore: vista quella Svizzera punita da un arbitro sciagurato? L’Austria – avevo detto – ci ha insegnato a soffrire, non da vittime, non da pusillanimi spaventati, ma da professionisti aiutati dalla vita dura che fa parte del gioco. La sofferenza che ci ha procurato il Belgio è ricchezza della maturità, della consapevolezza, con Lukaku e De Bruyne non abbiamo dato spettacolo per i raffinati e i qualunquisti, abbiamo tenuto la concentrazione dei forti arricchita dalle parate fenomenali ma non circensi di Donnarumma, dalla brillantezza di Barella, dalla genialità ordinata di Insigne, non solo un gol capolavoro ma una prestazione magistrale che dovrà togliergli per sempre i sospetti degli incompetenti. Il gol a giro, avete visto, è partito non dall’esterno, come sempre, e con tanti sprechi, ma da una posizione più centrale che Lorenzinho dovrà adottare stabilmente. Se lacrime amare abbiamo sparso – a parte quelle di gioia – spero diventino lenitive del dolore di Spinazzola, il ragazzo che ha impersonato più di altri l’animatore di questa Italia giovane e bella. Adesso, per favore, anche se aver sconfitto il gigante Lukaku ci fa orgogliosi, non facciamo i gradassi perchè abbiamo sconfitto il Belgiaccio. Il bello arriva adesso. La prossima volta il fuoco.
ITALIA SALVATA DALLA FORTUNA MA DEGNA DI CONTINUARE
Italia-Austria 2-1. Alla tedesca, emozioni da Italia-Germania 4-3. Mamma mia che fatica, una vittoria così meriterebbe già la Coppa. E che lezione. Mancini l’aveva messa giù troppo facile, io non avrei mai lasciato fuori Locatelli e Belotti l’avrei messo subito, più forza sua che abilità di Ciro. Chiesa no, non l’avevo immaginato. Per questo Mancio è bravo: ci ha pensato lui. E ha vinto. Nonostante un cedimento nervoso degli azzurri che non ho capito. Salvati dalla Var due volte – il gol vero di Arnautovic e un rigorino scampato – li immaginavo caricati a mille. E invece. Una spiegazione? Avversario sottovalutato, l’Austria di Foda. E falso. Per gli allocchi. Ho rivisto il Wunderteam anni Trenta di cartavelina Sindelar. Non c’ero, solo filmati di studio ma soprattutto un incubo. E infatti ho visto l’Austria che temevo. Non quella predicata dagli intenditori che la dicevano figlia di Rangnick, il profeta che gli snobboni volevano al Milan. Non ci ho creduto un attimo, sennò niente incubi, le giochesse sacchiane le conosco a memoria, Mancio pure. E invece, avete visto? Difesissima e contropiede. Adesso potrei concedermi sviolinate, squilli di tromba, rulli di tamburo, perchè Chiesa mi ha salvato, Pessina mi ha esaltato. Ma no. Siamo seri e non caviamocela dicendo che abbiamo scoperto che l’Italia di Mancini sa anche soffrire. Non è vero. A un certo punto era perduta. Stavolta l’ha salvata la fortuna. E la lezione – come dicevo – appresa con encomiabile solerzia. Salvata la ghirba, riecco l’Italia delle Trenta Partite Trenta. Pronta a vincere, non a dare spettacolo. Con un contropiede da favola. Locatelli non lo toccare più, Mancio. Adesso che è cominciato l’Europeo vero – come quando la Champions arriva agli ottavi – sappiamo di essere degni di continuare. Senza perdere tempo in chiacchiere e bagatelle da politicamente corretto. Il caso razzismi e altre storie? Ha detto Mancini: “Io sono per la libertà”. E tanto basti. Anzi, permettetemi di dirlo, a tutti i giocatori per tutti noi: la prossima volta, in tutti gli stadi che verranno, inginocchiatevi per ricordare il milione e passa di morti che l’Europa ha dato al coronavirus.
(ITALPRESS).
FRATELLI D’ITALIA, UNA NAZIONALE CHE VINCE ANCHE COL SORRISO
Fratelli d’Italia. Davvero. Hanno giocato tutti, da Donnarumma a Sirigu. Superturnover? No. Due Italie. Lo facevo poeta ma è il ragionier Mancini che ha colpito, stavolta. Senza darsi a biscotti, semplicemente valutando le possibilità e capacità dell’avversario per arrivare comunque primo. Il Galles, in fondo, è stato poco più di uno sparring partner, giusto due colpi falliti da Ramsey e Bale. Così siamo agli ottavi, primi nel girone di questo che ricorderemo come l’Europeo delle Due Italie. Ci ritroveremo a Wembley, il 26, sabato sera, quasi certamente contro l’Ucraina di Shevcenko.
Niente turnover – dicevo – quando gli azzurri scendono in campo con otto cambi, dell’Italia 1 restano solo Bonucci, perno della difesa, Jorginho, regista principe, e naturalmente Donnarumma che porta a 1054 i minuti d’imbattibilità e regala un gran sorriso a Sirigu quando all’89’ gli lascia il posto. Ho scelto il sorriso del Gigio per sottolineare la rincuorante esibizione di solidarietà – di fratellanza – degli Azzurri. Qualcuno ha parlato di retorica pallonara, in realtà solo dal calcio – in questi tempi inquieti in cui ci si divide anche sui vaccini – poteva venire una dimostrazione storica di compattezza. Storica: 30 partite senza sconfitta, come l’Italia dell’Alpino Vittorio Pozzo, imbattuta fra il novembre del 1935 e il luglio del 1939 (c’ero, ah ah). Ma disse, saggio, il professor Mancini: “Confrontiamoci pure, peccato mi manchino due vittorie mondiali”. Ho conosciuto bene Pozzo, un caratteraccio, sicuramente ha gradito (dall’aldilà) la precisazione. Anche se per noi il dato di questa fase aggiunge un motivo in più per vincere, finalmente, l’Europeo che ci manca dal 1968. Due Mondiali li abbiamo comunque vinti.
Da Pessina gol – dicevo – sono entrati tutti, tutti sorridendo insieme a chi gli lasciava il posto, tutti salutati con una carezza. Mi ha colpito l’esordio di Giacomo Raspadori, ventunanni, il terzo sassolese, attaccante di qualità eppure a rischio enfasi: lo hanno paragonato a Pablito, ad Anastasi, anche a Butragueno. In memoria di un grande amico perduto, Giacomo Bulgarelli, il confronto storico del ragazzo lo faccio con lui, non solo perchè Giacomino era di Portonovo e Giacomo è di Bentivoglio, due paesi vicinissimi dalle parti di Bologna, ma perchè il campione rossoblù esordì il 7 giugno del 1962 ai Mondiali del Cile, a ventunanni, contro la Svizzera. Segnando due gol. Auguri Giacomo.
(ITALPRESS).
L’ITALIA ANCORA MAGICA, 3-0 ANCHE CON LA SVIZZERA
Vi era piaciuta l’Italia trionfatrice sulla Turchia? Avevate già ricordato – come me – le notti magiche? La magìa è tornata a rapirci con una prestazione perfetta degli azzurri contro la Svizzera, antica e fastidiosa sfidante di confine. E quelle poche migliaia di tifosi che hanno ridato vita all’Olimpico sembravano centomila quando, alla fine, hanno decretato la standing ovation a Manuel Locatelli, l’eroe di giornata. Così l’Italia va agli ottavi con un altro 3-0. Un giorno, quando qualcuno chiederà come giocava l’Italia di Mancini, gli faranno vedere un film di pochi esaltanti secondi: il gol di Locatelli alla Svizzera. Non solo un capolavoro ma la formula esatta del gioco e dell’anima degli azzurri. Hanno annullato il gol di Chiellini al 19′, un gol di potenza, eccessiva dicono arbitro e Var. Poi il Chiello si fa male, esce, lo sostituisce Acerbi ex Sassuolo. L’Italia non accusa cedimenti, lo spirito è alto, la spinta inesauribile. Movimento incessante, la palla è di Locatelli, basso a sinistra, dal suo piede parte un lancio per l’estrema sinistra, per Berardi che fotografa in un click la situazione, mette in area per l’azzurro che vede piazzato davanti a Sommer.
L’azzurro è Locatelli che riprende la sua idea e mette dentro in un fiat. C’è voluto più tempo a descriverlo, il gol, che a realizzarlo. A Sassuolo suonano le campane, come succedeva una volta a Maranello Ferrari, a dieci chilometri. Questa è la Nazionale di Mancini, bella e fresca come un fiore appena colto, perfetta nelle due fasi di gioco, difesa e attacco, e la difesa è così chiusa, sicura, che la squadra sembra soltanto un gruppo d’assalto: Insigne, Immobile, Berardi. Musica è. E la Svizzera non è la Turchia, gioca con spunti di qualità, secondo logica favorisce un progresso d’intesa degli azzurri. Giocare con chi sa giocare è più facile. Più bello. Volevate lo spettacolo? Eccolo. Mancini conferma la magìa del selezionatore che ha realizzato una squadra di giocatori tecnici e sa come muoverli sulla scacchiera. Già nel secondo tempo con i turchi aveva “scoperto” Di Lorenzo per ristabilire equilibrio fra destra e sinistra senza alcun impaccio per i movimenti. E così non ha avuto dubbi nell’inserimento di Acerbi, così come la sostituzione di Insigne con Chiesa non ha mutato l’allegria dell’attacco, anzi: anche Immobile che, forse troppo euforico, ci aveva fatto rimpiangere almeno sette palle gol sprecate, è andato in gol.
Tre a zero per la storia e per andare avanti con coraggio. Finalmente. L’urlo dell’Olimpico accompagna l’inesauribile marcia degli azzurri, ventinove risultati utili consecutivi da offrire al comandante Mao Mancini che li ha scelti, provati, accuditi come figli scoprendo la verità di ognuno, a partire dall’assaltatore Barella e dall’ispiratore Spinazzola per finire con Berardi, l’uomo che non riusciva a realizzarsi. E c’è gloria anche per Donnarumma, un paio di parate da campione per consolare se stesso e dimostrare, se ce ne fosse stato bisogno, che la Svizzera era un avversario serio. Ho visto giocare il Galles. Sarà un’altra occasione per ribadire la Grande Bellezza.
UN’ITALIA DA FAVOLA ALL’ESORDIO DEGLI EUROPEI
Un’Italia da favola. Quasi incredibile. Ciro e Lorenzo capaci di realizzare una festa all’Olimpico come fossero notti magiche con i loro gol c’erano solo nei sogni. E invece hanno ampiamente legittimato l’autogol che aveva cambiato la partita. La fortuna aiuta gli audaci. Poca qualità in campo, difesa d’antiquariato dei turchi che imbroccano un contropiede all’ora, Italia sempre avanti più smaniosa che determinata, velleitaria insomma. Tutt’un tempo a rimpiangere una sola occasione perduta, quando il portiere turco al 22′ intercetta con abilità un potente colpo di testa di Chiellini. Poco per quello che gli azzurri promettevano dopo una lunga marcia gestita da Mao Mancio col piglio del generale napoleonico, bravo e fortunato. Ma alla fine l’attivismo frenetico dettato dall’orgoglio realizza un’altra Nazionale “alla Mancini”. Vittoriosa. E’ il ventottesimo passo felice, non ancora passo di danza ma meritevole di applausi e fiducia. La fortuna ha pagato a 7 minuti dalla ripresa, quando ancora masticavamo amaro per un rigore rigorissimo negatoci al 45′, quando Celik ha intercettato un pallone con la mano. La sostituzione di Florenzi con Di Lorenzo ha dato subito un senso di forza in più e un’azione da lui passata in gestione a Berardi (bravo, mai incerto) ha trovato un esito felice: la difesa solida ma messa in ansia dal forcing azzurro s’è suicidata quando Demiral ha intercettato il tiro di Berardi deviandolo nella propria rete. Autogol perfetto. E Italia che ringrazia e s’accende di virtù prima nascoste come se avesse paura di esibirsi troppo bella davanti alla feroce avversaria che ha lasciato nei pensieri Francia e Olanda. Ma la difesa rocciosa della Turchia che avrei applaudito per solidarietà non è riuscita a rovesciarsi, a creare timori, è semplicemente rimasta in balìa di un’Italia che rincuorata dall’urlo dell’Olimpico ha chiamato alla ribalta i suoi eroi: prima Immobile (“Ciro! Ciro!” cantava l’Olimpico) al 65′, poi Insigne al 78′, un tre a zero che com’era cominciata la sfida non te l’aspettavi. Un retropensiero su quei primi 45 apparentemente così vuoti di idee: in realtà, avevo raccomandato di spendere anche il coraggio della paura e il risultato s’è visto: una prudenza che ha pagato illudendo i turchi. Infine, un pensiero devoto rivolto agli inventori della Var: il rigore di Celik negato all’Italia ha presentato all’Europa e al mondo l’inutilità dello strumento in costante aggiornamento. Al prossimo giro spegnetelo.





