Oggi siamo messi così: se non partecipi alla diffusa euforia per l’esordio (e il percorso naturalmente vincente) della Nazionale all’Europeo sei un disfattista o un bastian contrario. Non è bello quel ch’è bello, ma che bello, che bello, che bello – diceva frate Antonino di Scasazza (alias Frassica), e fin qui ci sto. Alla sola idea di onorare un evento storico in questo clima forzatamente ottimistico sul fronte Covid, convinti di esser sul punto di venirne fuori, vien proprio voglia di darsi alla pazza gioia. Per il calcio? Sì, per il benedetto calcio che più di un anno fa – in piena tragedia – abbiamo voluto che continuasse a vivere, non solo per la passione di tanti, ma per il sollievo di tutti. Abbiamo voluto – ho scritto – e aggiungo: in pochi. E ce l’abbiamo fatta. Quelli che oggi trovano stranezza o errore in quel titolo, EUROPEI 20, quando in realtà si gioca nel 21, devono già sapere che la Storia si ricorderà anche di questo. Un atto di fede e di coraggio, perchè la fede è coraggiosa.
Si va a cominciare, dunque, come se ci addentrassimo in una festa continua. Eppur si gioca e subito contro i turchi che già a chiamarli con il loro nome fanno paura. E si gioca per vincere, carichi di fiducia che viene dalla lunga splendida marcia azzurra che Mao-Mancini ha realizzato, portandoci a sognare il bis del Sessantotto. Avrete letto che illustri critici sottolineano come questa Nazionale non sia proprio ricca di campioni ma dotata di un Campionissimo: il suo tecnico. Nel 1968, quando vincemmo, in azzurro c’era gente come Zoff, Burgnich, Facchetti, Rosato, Rivera, Mazzola, Bulgarelli, Riva – Cesare Maldini la definì l’Italia più bella di sempre – e il tecnico non era Vip, era Ferruccio Valcareggi – Zio Uccio per gli amici – miracolosamente scampato alla Nord Corea di Middlesbrough 1966 che aveva visto a Pyongyang e definito “squadra di ridolini”, dopo che la Guida Suprema, Edmondo Fabbri, aveva esibito con gli azzurri un premondiale fantastico. La differenza con oggi, a parte l’imbattibilità di 27 partite e le tante vittorie, significativa quella sull’Olanda – buone, buonine, normali le altre – sta nel lavoro che ha fatto Mancini.
Da selezionatore prima, da allenatore poi, quando ha trovato la squadra non di undici ma di venti. La prima virtù di questa Italia è la solidarietà del gruppo, mai funestata da polemiche speciose, da proteste, da abbandoni. Mancio come un padre severo? Direi come un fratello maggiore che ti spiega la vita e poi, davanti al primo ostacolo, ti dice “proviamoci”. C’è la Turchia che fa paura, riusciremo a batterla? Proviamoci.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
COMINCIA UNO STORICO EURO2020, AZZURRI E ‘FRATELLO MANCIO’ “PROVIAMOCI”
JUVE, VERONA E FARAONI: PER IL NAPOLI UN’ALTRA BEFFA ATROCE
La beffa per il Napoli è atroce. Passi non farcela a entrare in Champions ma che l’abbia espulso la Juventus suona come una persecuzione: ci sono sempre i bianconeri sulla strada dei napoletani a negare conquiste spesso meritate, anche se c’è sempre un ultimo passo falso che, come nel caso di ieri sera, impedisce che si realizzi l’ingresso nell’Europa che conta. In realtà, il dramma napoletano di nomi ne ha due, Verona e Faraoni. Si potrà parlare, tanto per far colore dell’ennesima Fatal Verona, di Giulietta è ‘na zoccola, di Juric che è stato già scoperto da tempo, di quel che vi pare, ma l’uomo del destino è il braccianese Davide Faraoni, trentenne di belle speranze vissute tutte nelle giovanili azzurre, una biografia che per quantità di storie (e geografia) supera quella di Ronaldo. E un gol che ammazza la squadra fino ad oggi favoritissima. E tuttavia il Napoli non può piangere sfortuna. Se ricordate, quando venne fuori la bufala della Superlega, il signore del Real, Perez, disse che avrebbe presto invitato De Laurentiis a partecipare; avesse visto quest’ultimo Napoli, non avrebbe aperto bocca: bella squadra, bei giocatori, ma dov’era il cuore rabbioso di chi deve stabilire, in 90 minuti, che differenza c’era fra Napoli e Verona? C’è la differenza o no? O esaminati i calciatori uno per uno la differenza la fa Faraoni? C’è una complicità…veniale nel dramma del Napoli: il pentimento di Andrea Pirlo o dei mandanti che gli chiesero stentate guardiolate eppoi l’hanno lasciato libero di giocare per vincere. Secondo tradizione juventina. E’ tuttavia da sottolineare con fastidio (per me tristezza) la prova del Bologna, mai così arrendevole, debole e menefreghista anche se da anni cerca soltanto il decimo posto, forse un godimento per un siculocanadese, non per chi conosce la tradizione rossoblù. Mihajlovic ha strigliato i giocatori, io preciso “i suoi giocatori”, e lo vorrei vedere faccia a faccia con Gattuso. Per carità, la Juve è cambiata anche grazie alla Coppa Italia, una sorta di doping psicologico, e s’è fatta apertamente minacciosa, e alla fine ha salvato la stagione. Il Napoli l’occasione l’ha buttata. Giulietta sarà ‘na zoccola, ma il Verona ha tante nuove amanti dalle quali trarre giusto godimento. Un solo ultimo pensiero: il più meritevole di plauso, Stefano Pioli. Con il suo Milan. Non ho molto da dire: li ho scoperti un anno fa.
Italo Cucci ([email protected])
VAR, RISSE E ‘L’AVEVO DETTO’, IL BRAVO IACHINI E GLI STRATEGHI DEL NULLA
Mancandomi la passione per le residue sfide della cosiddetta Zona Champions (pallida imitazione della Coppa dei Campioni) e per il suo “scudettino” disponibile per tre concorrenti sconfitte dall’Inter; vissuto malamente l’ultimo Derby d’Italia, fiera delle vanità arbitrali, vorrei anticipare l’ora dell'”avevo detto”, quella cerimonia tradizionale di fine campionato in occasione della quale si passano in rassegna e si esibiscono i tanti meriti acquisiti. Mai i demeriti. Sempre contando – conosco chi lo ha fatto e lo fa – sull’indifferenza o smemoratezza di tanti lettori. Certezza che non m’appartiene, anzi: io li ritengo padroni e testimoni. E allora dirò che ho azzeccato il pronostico scudetto, ma vale poco: lo firmavo da anni, dicendo Inter perchè consideravo la Juventus una Illustre Visitatrice e in effetti ci ho preso, perchè ancora sabato la Signora ha mostrato di aver fatto di tutto, prima, per perdere. Avesse pensato a tempo debito alla difesa e al Contropiede – non al possesso palla e alle gite orizzontali – Pirlo avrebbe fatto Dieci.
Ho anche e sicuramente il merito di avere anticipato l’inutilità e il danno della Var da quando è nata. Allora Tavecchio, Nicchi, Rizzoli e altri padroncini del vaporetto giurarono che lo strumento avrebbe dato assoluta credibilità al campionato, restituendogli anche la serenità spesso minacciata da risse e complottismi. Potrei esibire un dossier, ma mi limito a registrare anche per il futuro (viva la memoria, ma con le prove è meglio) l’ultimo confronto fra Juventus e Inter, dramma arbitrale da analizzare come materia di studio a Coverciano (e dintorni). La rissa mediatica in corso tende a definire scandaloso il rigore decisivo concesso alla Juve mentre ignora l’espulsione di Bentancur. E tutto il resto. Per fortuna il Napoli stavolta ha pensato a far tutto da sè vincendo a Firenze. Gattuso non è Sarri. E già che ci sono vorrei vantarmi di avere creduto in Gattuso dopo avergli rivolto sane critiche e di averlo difeso nelle ore difficili, come farò fino a missione conclusa. E così mi prendo merito di avere creduto in Pioli mentre i giampaolisti ridicolizzati invocavano Herr Rangnick: non ero stato tenero con lui in passato, lo ritenevo troppo debole per le piazze difficili, mi ha smentito e convertito con l’intelligente gestione del lockdown e…di Ibra. Grazie anche all’assenza dell’impietoso pubblico di San Siro.
Ma tutto quello che ho scritto è davvero nulla e possiamo cancellarlo per riconoscermi un solo merito: avere difeso Iachini dai Giocosi e Estetisti – fiorentini e no – che hanno mal consigliato Commisso per valorizzare il Giuoco, balla raccontata da opinionisti incerti e adanisti super sicuri. Iachini è un tecnico di valore che ha un solo difetto: non sa vendersi agli strateghi del nulla. Non è neanche figo. A partire da quel cappelluccio che indossa come se passasse di lì per caso, mentre dovrebbe esibire quel tanto di esprit de finesse che lo spettacolo pretende. In fondo, si rivolge a una minoranza di competenti e a una maggioranza di grilli estetizzanti. Spero di ritrovarlo in A. O dove vorrà.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
PER PIOLI SOLO APPLAUSI, PER PIRLO CONDANNA SENZA ATTENUANTI
Lo hanno chiamato “spareggio Champions”, il confronto fra Juve e Milan, senza che gli interessati, blasonatissimi, si siano sentiti declassati. La presenza di John Elkann, allo Juve Stadium, accanto a Andrea Agnelli, vuol dire solidarietà e insieme – con taglio tutto…sabaudo – “non è successo niente”. Che in fondo è la verità. La Juventus ha fatto l’ennesima figuraccia di stampo tutto calcistico (non c’è di mezzo Superlega nè politica) ma per la Famiglia non è successo niente. L’unico che forse proverà vergogna, Ronaldo, mediterà seriamente sul futuro proprio mentre gli arrivano offerte dal mondo arabo, dai satrapi che gli avevano opposto Neymar, strapagato solo per dar spettacolo. Non è successo niente, dicevo: fra mezzo secolo, quando sarà storia, si dirà che la Juventus vinse scudetti per nove anni consecutivi. E al decimo – Divina – riposò. Anzi, come direbbe Boniperti, che l’ha sempre amata, c’è ancora disponibile una Coppa Italia da aggiungere alle tredici già vinte (finale con l’Atalanta il 19 a Reggio Emilia Città del Tricolore).
Comunque, una gara fra nobili solo occasionalmente “un pò” decadute per un quarto posto non me l’ero mai iscritta fra i possibili eventi di un campionato, eppure è successo nell’indifferenza dei più, ormai conquistati dall’ideologia del Calcio Business: quel che vale non è solo nel comandamento bonipertiano che dunque va aggiornato “vincere è importante ma solo se porta denaro”.
Se è per questo, penso che i giochi non siano già fatti, tre partite e nove punti possono ancora divertire, anzi esaltare, gli appassionati di questo Campionatino per l’Europa che assegna tre scudettini. Restano invece, aldilà del risultato, due verità inoppugnabili: il Milan non ha solo vinto la sfida di cartello, è riuscito a fare molto più di quanto era programmato e preteso dalla Società, pagando solo nel rush finale – tuttavia con il riscatto torinese di iersera- lo scotto di un impegno duro e costante occasionalmente frustrato dal Covid e da assenze pesanti come quelle di Ibra, tanto per dire. Per Pioli solo applausi. Per Pirlo, invece, condanna senza attenuanti non solo per aver perduto scudetto e Coppa, Italia e Europa, ma per avere esibito davvero la squadra più brutta del decennio (almeno) non nella variante estetica (vincente in bruttezza come quella di Allegri) detestata da opinionisti/estetisti in libertà ai quali ha offerto il disastro completo – bruttezza accompagnata dalla sconfitta – consolandoli con un briciolo di guardiolismo: il record di possesso palla. Il massimo del minimo come dire: il minimo le dimissioni.
PRIMO SCUDETTO “STRANIERO”, CONTE SULLE ORME DEL TRAP
Il diciannovesimo scudetto dell’Inter è straordinario: è il primo scudetto straniero. Dettaglio storico che impreziosisce il lavoro di Antonio Conte. Ed esalta l’investimento cinese. Il tecnico ha presentato alla proprietà il titolo/titulo per continuare il rapporto dal punto di vista economico, sportivo e anche politico. Suning ne trae prestigio a casa, Zhang si propone a Xi Jinping come un conquistatore vero nel Paese di Marco Polo. Conte vorrebbe convincere la proprietà che un ciclo vittorioso non è impossibile e lo fa non con vanterie ma con il peso di un’impresa: ha sconfitto l’impero bianconero dopo dieci anni, fermando la Juve – sua madre – al nono scudetto. E ripetendo l’impresa più bella (Triplete a parte): lo scudetto record di Trapattoni, trentunanni fa. Vinto come quello con quattro giornate d’anticipo. Vinto anche quello con il contributo…della Juventus.
Guardiamo i fatti e scopriamo che le Due (presunte) Nemiche hanno un rapporto stretto sul piano tecnico. A parte gli intensissimi scambi di mercato (decine e importanti, cominciando da Anastasi-Boninsegna) è significativo il ricorso interista a tecnici juventini doc come appunto Trap e Conte vincitori di scudetti sulle due panche (un altro, puro veleno, la Federazione l’ha tolto alla Signora per darlo alla Beneamata ai tempi di Calciopoli).
Eppoi, il crollo juventino ha lasciato il campo all’unica sfidante animata da un’intensità aggressiva tipica del carattere di Conte quando è passato da una gestione confusa a una programmazione sempre generosa ma equilibrata. Solo Gasperini, con un pizzico di spavalderia, avrebbe potuto far meglio.
Ma il particolare che illumina il vostro cronista che mastica calcio da una vita è il dettaglio tecnico: mentre infuria il carosello degli estetisti/guardiolisti che è all’origine dei guai juventini, Conte ha riportato l’Inter nel gioco italiano per eccellenza, difesa solidissima e contropiede. Come ha detto Conte, Skriniar, De Vrij e Bastoni possono valere Barzagli, Chiellini, Bonucci. E Lukaku non solo avvicina i mostri contropiedisti della Grande Inter ma racchiude in sè la velocità di Jair e la potenza di Ronaldo, appena superato nella classifica dei gol (Romelu non è tuttavia paragonabile al Fenomeno per l’eccellenza tecnica). Conte è arrivato al modulo vincente quando ha capito che all’Inter serviva più l’intelligenza di Eriksen dei muscoli di Vidal, il difensore moderno Hakimi più dell’ex funambolo Sanchez. Non solo: il calciatore/bandiera dell’Inter è Nicolò Barella, centrocampista leader sul campo e nel gruppo. Il sosia di Conte.
Ora, appena esauriti i festeggiamenti attesi da undici anni, il progetto che Conte e Zhang avevano tenuto a battesimo in Oriente deve per forza allargarsi all’Europa: la Champions è il primo obiettivo, non un semplice passaggio com’è stato fino ad oggi. Conte è pronto a restare, resteranno con lui i vincitori del primo scudetto…cinese? Li aspetta la seconda stella…
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I POSTUMI DELLA SUPERLEGA E LE EMOZIONI DELLA ZONA CHAMPIONS
Vediamo il Milan stasera, ma già immagino molti commenti da Bar Sport dopo Fiorentina-Juventus e Inter-Verona: “Ci vuole una bella fantasia a pensare che nerazzurri e bianconeri possano far parte di una Superlega dei migliori d’Europa…E il Milan l’abbiamo visto col Sassuolo”. Dettaglio: basta rivedersi le immagini del Ronaldo Furioso a Firenze per capire come sta giocando la Juve; basta controllare com’è stato annullato il gol del pareggio veronese con l’Inter per poter malignare sulle sue virtù tricolori. Questi possono essere definiti anche i commenti della rabbia dopo il tentato golpe delle Tre Grandi. E passi. Ma poi comincia la tiritera degli “opiliolisti” – alias opinionisti moralisti – che vogliono addirittura l’espulsione delle Tre Arroganti dal campionato e dalla Champions, sicuramente influenzati dagli stadi vuoti per pandemia, stadi che resterebbero vuoti dappertutto anche dopo il ritorno della normalità perchè gli incassi buoni si fanno solo quando arrivano in provincia – e anche a Roma e Napoli – l’Odiamata, la Beneamata e il Diavolo. In un momento tanto difficile si risvegliano anche gli antichi qualunquisti che sdilinquiscono per il 2-4 di Benevento-Udinese e il 3-4 di Parma-Crotone: “Il calcio vero è questo – sento dire – povero ma bello. Partitissime, gollissimi…”. Sento arrivare anche quelli che “abbiamo perso a testa alta” e mi chiedo che effetto fa eventualmente retrocedere “a testa alta”. In verità stiamo coltivando emozioni per un gran finale da Zona Champions, quella dello Scudettino, quella dei soldi. Le Tre Grandi italiane scivolate nel ridicolo in fondo volevano solo soldi e – attenti – la sicurezza di non retrocedere lautamente pagata come se fossero vincitrici. Vien voglia di dargli ragione: quali saranno le tre prescelte oltre l’Inter giustamente scudettabile, la Champions le perderà per strada anche nella prossima edizione. In caso contrario – magari! – Edizione Straordinaria. Oppure, l’espressione filosofica più diffusa fra i buonisti semi-estetisti e giustificazionisti: “Come gioca bene l’Atalanta”. Finchè dura.
CON LA SUPERLEGA CI HANNO PRESO IN GIRO, CI HANNO PROVATO
Ci hanno preso in giro. Non sono miliardari da barzelletta. Con il progetto Superlega ci hanno provato sapendo quando e come sarebbe finito. La Banca JP Morgan garantiva per loro sulla carta, come si dice. L’operazione – per chi non dorme – sapeva di Lehman Brothers. Proprio pochi giorni dopo la morte di Bernard Madoff, il grande imbroglione. E’ difficile pensare che la Sporca Dozzina, ricca e potente, riuscisse a esibire tanta improntitudine. Ho letto che stavano preparandosi da anni: possibile che non avessero fatto dei sondaggi fra il popolo dei fans o annusato l’aria che tirava nei Palazzi, da Boris Johnson a Macron? (Angela Merkel ha altri pensieri, il Bayern non l’ha disturbata, è l’unico club di natura governativa che quando un suo presidente ruba va in galera, anche se si chiama Uli Hoeness ed è popolarissimo). Forse l’unico che ha capito – non lo dico per aderire al diffuso lecchinismo – è Mario Draghi che non ha cavalcato la tigre demagogica ma ha parlato di necessaria mediazione.
Ci hanno provato e la provocazione – fatta nelle ore in cui a Montreux si riunivano le istituzioni euromondiali per promuovere l’ammucchiata di Champions, 36 squadre, gloria per pochi, soldi per tutte – viste le reazioni smodate di Ceferin & C, è perfettamente riuscita. Evelina Christillin, la dirigente italiana emergente e dotata di qualità diplomatiche eccellenti, ha parlato di una Svizzera (Montreux) in guerra. Insolita da quelle parti. E da collaboratrice e sodale di Ceferin e Infantino, ma al tempo stesso tifosissima della Juventus dell’amico e sodale Andrea Agnelli, ha anticipato trattative di pace. Subito dopo, mentre le inglesi e l’Inter di Zhang si coprivano il capo di cenere e desistevano dalla lotta, Ceferin messaggiava: “Ammirevole ammettere l’errore, ora ricostruiamo l’unità”. Trallallà. Commento alla Flaiano: “La situazione è grave ma non seria”. Un testimone del tempo che ho appena sentito, Franco Carraro, è stato come sempre…franco: “Caro amico, la bomba Superlega credo sia servita per aprire un dialogo, come successe nel 1996 quando in Italia Marco Bogarelli ipotizzò per primo la nascita di una superlega per indurre l’UEFA a cambiare la formula della Champions per distribuire con maggiore equità le royalties ai club”.
Carraro non è rimasto sorpreso dalla repentina marcia indietro che il solo Andrea Agnelli ha ufficializzato confermando tuttavia – come fosse Maurizio Landini – che la lotta continua. Almeno fino a quando le istituzioni che fanno miliardi con Coppe e Mondiali incassando quattrini a iosa anche dal Qatar non risponderanno alle sollecitazioni delle associazioni per i diritti dell’uomo, “agendo ora per assicurare che la Coppa del Mondo del 2022 – scrive Amnesty International – sia un torneo di cui essere orgogliosi, e non macchiato da abusi sui lavoratori migranti, come è stato documentato”. Alla fine, Agnelli e Perez – bastano i loro nomi a dire Superlega – vogliono soldi soldi soldi. Come i loro governanti eredi di Blatter e del ridicolo Fair Play finanziario di Michel Platini.
BENEAMATA E ODIAMATA IPOTECANO IL TITOLO DI GIORNATA
Una, la Beneamata, l’altra, la Odiamata: Inter e Juve insieme hanno ipotecato il titolo di una animatissima giornata di campionato (alla faccia degli scontenti che buttano tutto in Covid, anche il pallone). L’Inter non ha fatto dodici ma il pari strappato a un Napoli autorevole vale il successo (vogliamo parlare di Gattuso separato in casa? Il seguito al prossimo numero…). Forse Conte si mostrerà meno afflitto e perseguitato ma il gol che ha salvato la sua mirabile sequenza fornisce tuttavia ai suoi critici motivo di punzecchiarlo: io lo dico da tempo, tutti avranno capito che la potenza di Lukaku è stata felicemente accompagnata dalla tecnica di Eriksen: la prestazione del danese dopo il vistoso pentimento di Conte smentisce gli estetisti improvvisati e offre spazio a analisi calcistiche di alto livello.
Altro capitolo, quando la sconfitta fa notizia più della vittoria. Se poi c’è di mezzo la Juve, il gioco è fatto. Non perchè le sia vietato perdere, anzi: per molti è una goduria, come sempre quando viene atterrato Golìa, anche se a colpire non è stata la quasi divinità di Davide ma la sgarbata potenza della Dea bergamasca coadiuvata da un colpo di terga di Alex Sandro. Come si diceva, è il modo di perdere che ancora offende gli juventini, molti dei quali avevano implorato San Gasp perchè vincesse e favorisse l’allontanamento di Pirlo dalla Continassa. Persecuzione? Ricordate i toni rabbiosi della rottura con Conte, juventino nato, vincitore di tre scudetti eppure ripudiato con infastidita gioia? E l’addio accompagnato da offensivo silenzio del pentascudettato Allegri? E lo…scarico sbrigativo, quasi atto di pentimento, dell’onesto Sarri? Cosa vogliono raccontarci, che Pirlo è incolpevole perchè ce l’hanno messo loro convinti di poterlo istruire in corsa? Non pretendo certo che giustizia sia fatta, di Pirlo e della Juve poco m’interessa personalmente (e resta intatto il rispetto per il calciatore magistrale): ma i tifosi e il calcio vanno sempre rispettati e lo spreco juventino dovrebbe essere punito per legge.
Senza l’extra offerto ai numerosi e famelici nemici dalla Juve (che per questo negli anni Settanta chiamai appunto Odiamata) sarebbe stata la domenica del Milan, tanto coerente e regolare che non fa quasi più notizia, neanche quando è giovane da far paura e continua ad essere sfottuto da quegli opinionisti che sprecano virtuosismi dialettici per CR7, per Lukaku, per Osimhen ma a Pioli offrono Scamacca che, commosso per le attenzioni, serve al Milan l’autogol della vittoria che automaticamente – ringraziamenti a parte – lo rende inaffidabile. E l’accosta a Alex Sandro, se non altro… di spalle.
Incredibile ma vero, la Serie A tutta presa dalle promozioni europee (una sorta di BCE) rischia di perdere le tradizionali emozioni fornite dalla zona salvezza. Eppure, Crotone a parte, Torino, Fiorentina, Benevento, Cagliari e Parma hanno ancora speranze e paura. Come disse Sinisa Mihajlovic la paura è anche una forza…





