Pazza idea, indegna della mia provata serietà. Me l’ha suggerita Pirlo con quel “tu tieni la palla, io faccio i gol” che magari non l’ha detto ma è la verità: la Roma sostituisca il Fonseca perdente con un Pirlo giallorosso (De Rossi? Totti?). E il Napoli – così inguaiato che gioca una gran partita e si fa infinocchiare dal doppio Pandev e magari pensa di essere uscito a testa alta da Marassi – provveda subito a sollevare Gattuso spedendolo “alla Bari” che perde in casa anche dalla Viterbese, richiamando immediatamente Sarri. Con tante scuse. Non è da me – ripeto – dire certe cose ma da “mediatore” (uomo dei media) traduco lo spirito e le velleità dei lettori che, come diceva Montanelli, sono i miei padroni. Il problema è comunque serio: il Napoli attende inutilmente il gol 100 di Insigne, la Roma ha ridotto in cenere il bomber Dzeko. Grande rispetto per i due tecnici (Fonseca addirittura stimato da Draghi) ma le loro squadre hanno diritto ad avere il meglio, ovvero un posto in Champions. Senza bomber non si va avanti. Come ampiamente dimostrano la Juve di “Ronaldo è meglio ‘e Pelè” (16 gol) e il Milan di Ibra Cinquecentouno (14 in campionato) con le due ultime esibizioni di larga superiorità su Roma e Crotone.
Per non dire di Lukaku (14) che si è appena distratto con la Fiorentina forse perchè pensava ancora a Ibrahimovic, specialista in guerriglia. Non succederà niente, ma la musica sarà sempre questa. E l’orchestra ingaggerà anche Immobile (13), se la Lazio non si concederà troppe distrazioni, mentre perduto il Papu l’Atalanta non vince più ma spera in Muriel (12). Questa forse banale rassegna di gol e goleador premia la mia idea del calcio, oggi tristemente traviato da narratori di schemi, moduli, dettagli formali e spesso noiosi: Chiellini dietro e Ronaldo davanti dicono tutto. Buon divertimento.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
RONALDO, IBRA-501 E LUKAKU, SENZA BOMBER NON SI VA AVANTI
PIOLI E PIRLO, I DUE “DISTURBATORI” DEL CAMPIONATO
Non ho mai visto Pioli mostrare i muscoli. Confesso di averlo addirittura criticato per questo suo esser votato alla misura, al realismo, alla modestia che tutti sanno essere virtù ma anche difetto. Nella fiera del calcio, popolata di spaccamontagne e furbacchioni, alla lunga è solo un difetto. Dir questo a un allenatore è come dare del generoso a un attaccante. Eppure, è proprio Pioli, il parmigiano elegante come spesso i suoi conterranei, il disturbatore del campionato improvvisamente apparso nel silenzio di San Siro, rotto solo da ordini gridati, imprecazioni e insulti. Per molti – quelli che a Napoli ho imparato a chiamare Sapientoni – è solo un errore imprevisto che va consolidandosi ai danni dell’Inter lanciata al tricolore da un pronostico plebiscitario. Compreso il mio. Che tuttavia ho creduto in Pioli dal giorno in cui il Milan si è liberato dello sfasciacarrozze Giampaolo semplicemente perchè l’ho visto lavorare. Fateci caso, in questi giorni infami siamo sempre più infastiditi dai vagabondi e cialtroni che incontriamo anche nelle alte sfere e ammirati di quanto faticoso impegno siano autori i tanti e spesso dimenticati operatori della salute. Lavoratori. Solo una volta mi è capitato di elogiare un tecnico definendolo “Cavaliere del Lavoro”: attribuii la massima onorificenza nazionale a Fabio Capello quando vinse lo scudetto con la Roma ignorando l’intero mondo che gli stava intorno perchè pensava solo a rendere invincibile quel bel gruppo di giocatori che gli era stato affidato. Ecco perchè avrebbe un senso un trionfo di Pioli colto nel silenzio. E tuttavia non posso ignorare che su quel fronte si è presentato un altro disturbatore di poche parole e di rare espressioni, talchè puoi cogliere appena un suo sorriso quando vince soddisfatto, perchè Andrea Pirlo – di lui dico – è capace anche di vincere scontento. Pericoloso. Mi ricorda Giovanni Trapattoni il supervincitore. Per questo mi sento di raccomandare – dopo l’ultimo sfogo che poteva risparmiarsi – un bel silenzio a Gattuso, messo alla gogna per le troppe parole spese a Verona dopo la sconfitta. “Ringhio” era il calciatore, un altro personaggio, un’altra storia. Si è fidato dei complimenti degli amici veri e dei Sapientoni che dicevano “quanta umanità nelle sue parole”, “ah, che sincero uomo del Sud”. Poi gli hanno girato la schiena. Non so se servirà a qualcosa – ora che ha vinto, e bene, sostenuto dai giocatori – tacere in attesa che parli De Laurentiis. Dicono che farà la fine di Ancelotti, abbandonato dai “ragazzi”. Dicono che Aurelio voglia riportare a Napoli Benitez e i Sapientoni sottolineano che fu lui a portare a Napoli Higuain, Albiol, Callejon, Mertens, Koulibaly e chissà chi altro. Vero. E infatti ho sempre detto che Benitez fu un ottimo direttore sportivo a trovare tutto quel bendidio; peccato che l’allenatore Benitez non sia riuscito, con tutti quei campioni, a vincere uno scudetto.
QUESTA JUVE “RISCHIA” DI RIVINCERE LO SCUDETTO
Dice:”Hai visto Juve-Bologna? Per carità, la Signora ha vinto ma se permetti è poca cosa”. Dico:”E’ così poca cosa che rischia di vincere lo scudetto”. Non l’avessi mai detto: l’amico, juventino, ci ha creduto subito. Perchè loro credono nella Signora come nel Signore (“Lord, o Lord Blues”). Scusate l’approccio da Bar Sport ma giuro che non ne posso più dei soloni che predicano virtù tecnicotattiche virtuali in un campionato ch’è bello, emozionante, proprio perchè privo di strutture…intellettuali. E’ il campionato del “Coronavirus Due, la Disfatta”, non dimentichiamo il dettaglio: nulla è più com’era, persone, situazioni, eventi. Il Milan perde da una splendida Atalanta che sembra disinteressata al titolo (non sarebbe la prima volta che uno scudetto…insolito diventa un dramma, vedi ad esempio Verona e Sampdoria) ma è primo e si gode il titolo d’inverno con un rendimento totalmente diverso – in meglio – di quello di un anno fa senza aver fatto follie. Gasperini ha rivelato certe debolezze dell’impianto-Pioli e adesso tutti i propugnatori della gestione Giampaolo – poi spostatisi su Rangnick mentre le pene si trasferivano al Toro – scommettono che il Milan crollerà. L’Inter gode del favore del pronostico soprattutto da quando ha battuto la Juve ma l’Udinese l’ha subito ridimensionata denunciando anche una frenata di Lukaku e Lautaro e un imbarazzante calo di Handanovic. Antonio Conte, poi, ha denunciato, scagliandosi contro l’arbitro Maresca, quella mancanza di serenità mostrata già un anno fa. Lo ricordo Mister Juve pieno di sorrisi che conservava anche quando invocava la bolgia allo Juve Stadium, mentre da mesi non sorride più alla Beneamata, ai giornalisti, alle telecamere e anche alle radio. Non si sa mai. La Roma…è come la Rai, di tutto, di più; piace una sola cosa, all’appassionato di pallone non fazioso: che dopo Bernardini, Amadei, De Sisti, Di Bartolomei, Giannini, Totti e De Rossi sia apparso sulla scena un nuovo “core de Roma”, Lorenzo Pellegrini. Ma non è una “Maggica” da scudetto finchè Fonseca non si ambienta e non si fa scaltro. Come la Lazio proiettata – per storia e baldoria – verso la Champions che pochi conoscono veramente come il sottoscritto che oggi ha nostalgia di una decina di finali viste “in presenza” quando il calcio era un’altra cosa. E il Napoli che ha in Lorenzo Insigne l’alfiere dei sogni mentre Gattuso è tutta concretezza, dove lo mettete? Io non so, non me ne intendo, nel senso che non m’azzardo a bisticciare con gli eredi di Maradona, dico solo che stanno prestandosi al ridicolo invitando a sostituire Ringhio con il loro sempiterno “Cuore ‘e Napule” che sarebbe Rafael Benitez. Meglio Mazzarri o Sarri, eventualmente. E allora: vi sembra fuori luogo candidare al Tricolore la Juventus ch’è tornata a giocare (male?) secondo tradizione “alla Allegri” rinunciando – spero per Pirlo – al Tikitaka della mutua?
SUCCESSO INTER PERFETTO MA ORA CONTE PENSI AL MILAN
Il successo dell’Inter è perfetto. Indiscutibile. San Siro il suo tempio, sull’altare il patrono Contropiede, il più antico e riverito santo dei miracoli. Se è vero che Conte ruggisce, come sempre rabbioso, è verissimo che con rara ma conosciuta abilità ha costruito per la Juve la prima Inter razionale della stagione, ognuno al suo posto, sicchè per la prima volta non è rivelata o salvata da Lukaku ma dal gruppo che esprime – come una volta, e subisco un attacco di nostalgia – due mirabili azioni in contropiede firmate da Vidal e Barella, il primo rinato, il secondo confermato perla preziosa della corona. Quanto tempo abbiamo perso a gonfiare questa partita immaginando che l’ultima prestazione della Juve – e di Chiesa – l’avesse resa degnissima del Derby d’Italia. Illusione. Niente Chiesa, niente Ronaldo, solo una voglia di Tikitaka risolta come se la Signora fosse una provinciale o una annoiata ricercatrice di novità. Vuota davanti, tremante dietro: non bastano da una parte la buona volontà di Morata, dall’altra i nomi – solo i nomi – di Bonucci e Chiellini a fare una difesa come quella che ha fatto grande la Signora. E’ vero, Chiellini ha vietato il gol a Lukaku: una trappola tesa da Conte che i gol li ha commissionati a altri interpreti.
Un consiglio a Conte: non si ecciti troppo per questa vendetta riuscita. Lasci perdere la Juve. Pensi al Milan.
E’ vero che incombeva su tutto Inter-Juve che ormai non è più una partita ma un evento, ma come perdersi la disperazione di Prandelli dopo il 6-0 di Napoli, la soddisfazione di Ballardini dopo il prezioso pareggio di Bergamo e lo smarrimento di Superpippo a Crotone? Se permettete, il campionato che al livello del Derby d’Italia è grandioso quant’è condito di rivalità che diventa veleno, è più vero un gradino più sotto dove le vittorie sono semplici gioie, le sconfitte autentici dolori. Voglio precisare che il pareggio del Genoa suona a vittoria e Ballardini è un raro esempio di allenatore di rincalzo che cambia un percorso accidentato in una spaziosa via della speranza. Dicevo a un amico, dopo Napoli-Fiorentina, di due osservazioni fatte in settimana: la prima riguarda Gattuso, al quale ho attribuito una solidarietà virtuale, quella di Gino Palumbo, il grande giornalista ricordato nel centenario della nascita, appassionato del Napoli fin da ragazzo; la seconda la Fiorentina che farebbe bene a pensare alla costruzione di una squadra competitiva piuttosto che alla demolizione di uno stadio storico. Est modus in rebus, c’è una giusta misura nelle cose. E’ vietato fare confusione.
(ITALPRESS).
IL FELICE VENTO NUOVO DEL MILAN E LA FRENATA MACCHINA DA GUERRA DI CONTE
Quando è finito il campionato, mesi fa, i commenti salutavano la nona vittoria consecutiva della Juventus malcelando la noia. Paventando addirittura il decimo successo che Agnelli aveva subito chiesto a Pirlo. E allora, girato l’anno diciamo subito grazie al Milan che ha portato un vento nuovo, una nuova realtà che ravviva un torneo nutrito di una sola ipotesi rivoluzionaria: il (presunto) dominio dell’Inter. Il pronostico generale – compreso il mio – sollecitava non solo il riscatto di Conte, conquistato (o acquistato) a caro prezzo, ma il sollievo di Mister Zhang, afflitto da problemi monetari: nessuno si nasconde che Suning è venuto a dare un contributo di solidità al campionato italiano bisognoso più di sostanza che di chiacchiere e sarebbe un peccato privarsene. E invece, eccoti Pioli, il buonsenso applicato coraggiosamente al pazzo gioco del pallone: e il Milan primo. Miracolosamente, dicono tanti. A buona ragione, invece, dico io.
Non vi sarà sfuggito il senso di sollievo di molti critici dopo la caduta del Milan davanti alla Juve. Giornali, televisioni, radio, blog non nascondevano la (speranzosa) certezza che la sconfitta ridimensionasse i rossoneri dei “ragazzi del 99” senza Ibra a far 100. E invece, tiè: battuto il Torino, rieccoli i nostri eroi. E con Ibra. Primi. Come la mettiamo con l’Inter?
E’ tale la fame di nerazzurro che un buon pareggio sul campo della Roma viene venduto come mezza sconfitta. Lo stesso Conte sembra abbacchiato, i social lo perseguitano, lui risponde che i cambi erano giusti e che deve accontentarsi perchè la società non ha alcuna intenzione di andare sul mercato. Sembra non fidarsi di se stesso. Sembra non essersi accorto di quale macchina da guerra sia a sua disposizione. Per arrivare al gol del pareggio di Skriniar, a inizio ripresa, l’Inter ha prodotto un assalto potente e entusiasmante con Superman Lukaku e le altre stelle. Non vedevo da tempo uno spettacolo offensivo di tale dimensione. La Roma attonita subiva anche il gol del sorpasso dell’indiavolato Hakimi, poi…Poi la luce si è spenta.
Come capitava a certi allenatori miei contemporanei che una volta in vantaggio tiravano su le barricate. Perchè le avevano. Mentre l’Inter ha una difesa che prende troppi gol e non può permettersi certi ripieghi. Che oltretutto non sono da Conte, predicatore di aggressività. Io non discuto le sostituzioni in quanto tali: Perisic per Lautaro, Gagliardini per Vidal, Kolarov per Hakimi (dopo aver cambiato anche Darmian con Young) per me valgono gli invocati (dai critici) Sanchez e Sensi. In verità, Conte ha semplicemente demolito la squadra vincente, subito sparita. La Roma ne ha approfittato per cogliere un bel pari. Posso dire maledetta la possibilità di fare tante sostituzioni? Con tanti ottimi giocatori a disposizione non c’è bisogno di fare turnover suicidi: per difendere la vittoria basta cambiare atteggiamento, non uomini. Mi direte: e la Juve con il Milan? Pirlo stava perdendo e la ricchissima panchina gli ha permesso di vincere. Est modus in rebus. Amen.
(ITALPRESS).
CADONO INTER E NAPOLI, CAMPIONATO SI CONFERMA IMPREVEDIBILE
Prima di Milan-Juventus (e dopo Napoli-Spezia) ho sentito Paolo Maldini che, senza volere, mi ha suggerito una fantozzata:”Vadi come vadi…stasera saremo primi”. Lui ha detto giusto ma ha evocato – ridendo di gusto – un intervento del miglior Villaggio/Fantozzi su una giornata di campionato che tutti aspettavano ricca non per le prevedibili e banali imprese di Inter e Napoli ma per il match clou strombazzato per giorni e giorni, addirittura a cavallo di due anni, fra il Milan volante e la Juve arrancante. Il Villaggio tifosissimo della Samp avrebbe sicuramente esaltato il sor Claudio de Testaccio che, in realtà impassibile e molto british – come fosse sulla panca del Leicester – in un match dal vago sapore di Premier faceva fuori l’Inter superba per volontà altrui, in realtà piena di guai non solo economici – come rivelano cronache quotidiane da Financial Times – ma essenzialmente calcistici: primo, senza Lukaku, anche con un agitato e volenteroso Lautaro, l’Inter non c’è, si squaglia, mostra di non avere amalgama (e qui ci starebbe una fantozzata su Massimino); e all’improvviso sembrano tutti Eriksen, attori incompiuti che non hanno mai imparato a memoria un copione, trascinati dal mattatore Romelu. Per carità, ci sta ancora un’Inter da scudetto – di ‘sti tempi il traguardo sembra lontanissimo per tutte le naturali pretendenti – ma vien voglia di dare retta a Conte quando dice incavolato che dietro i complimenti e gli auguri di successo c’è una trappola, come dire che la Beneamata è in splendida forma mentre lui ne conosce i problemi, risolvibili solo con un fruttuoso passaggio al mercato che Zhang/Suning però sembra negargli. Questa Inter, liberata dalla tradizionale pazzia, è solamente scomposta e incompiuta come quella sottratta a Spalletti. Amen.
E’ una fantozzata anche la caduta del Napoli nello stadio che chiamerei ancora “San Paolo” per rispetto di Diego Armando Maradona. Il Napoli non è nuovo a cadere davanti ad avversari provinciali, Sarri ci ha lasciato uno scudetto, ma questa caduta mette in discussione, per come è avvenuta, innanzitutto Gattuso, al quale io stesso ho dedicato sinceri applausi. Il Napoli va in vantaggio con Petagna dopo un’ora di assaggi, il subentrato Pobega si procura il rigore del pareggio al 68′, al 77′ lo Spezia rimane in dieci per l’espulsione di Ismajili e all’81’ il ventunenne (milanista) Tommaso Pobega realizza con abilità il gol della vittoria (già Under 21, vedrete che Mancini lo porterà nel suo gruppo azzurro). Il problema del Napoli è evidenziato nei dodici minuti che gli restano per raggiungere e battere l’avversario: non ha il carattere che Gattuso sembrava aver dato alla sua compagine appena rallegrata dalle preziose giocate di Zielinski. Prevale il senso pratico di una squadra che di carattere, di grinta, di solidarietà vive più che di campioni. Difendendosi egregiamente e colpendo in contropiede. Un successo indubbiamente Italiano. Nomen omen. Di nome e di fatto.
NON E’ TEMPO DI VERDETTI MA DI CURIOSITA’
Non è tempo di verdetti ma di curiosità. Gli stupiti d’abitudine chiedono ulteriori lumi sul Milan di Pioli, insomma se sia o no da scudetto. E’ primo, però. Così l’affidano a un esame probante, il faccia a faccia con la Juve, dopodomani. Come se la Juve, ieri sera vittoriosa, fosse in grado di rilasciare patenti a chicchessia. Al massimo può vincere, con il Ronaldo che si ritrova, ma per il Milan sarebbe solo una battuta stonata. Scudetto? Ha ragione Pioli: parliamone a primavera. E intanto divertiamoci. Anche con la Befana. Ancora tutte insieme. Appassionatamente. L’ho chiamata Domenicona, tutta la A ieri insieme nel giorno sacro, goduria per anziani, scoperta per i giovani che all’improvviso sanno cos’è un campionato intero, non uno spezzatino di emozioni e infatti gol chiama gol in diretta (o in lieve differita) come volevano i Padri Fondatori.
L’approccio festoso del campionato al Ventiventuno ha sostituito i mortaretti con i gol, 33. Firmatari dell’evento, tanto per cambiare, Lautaro – pallone a casa – Lukaku, Zapata, Zielinski, Lozano, Insigne, Izzo, Immobile, Dzeko, il rinato Destro (fa notizia) e Zaccagni, il romagnolo del Verona che con una rovesciata da scuola fa i tre punti che valgono le goleade altrui. E Ronaldo, immancabile. E se domani – e sottolineo se – dal mercato si annunceranno ulteriori acquisti di attaccanti sarà bene che si interrompano le sbornie di Capodanno: per vincere lo scudetto servono difensori forti, serve misura agonistica. Serve essere il Milan che tiene la testa della classifica anche in dieci con una sana difesa e un’opera d’arte firmata Leao. L’Inter furiosa torna seconda con l’urlo di Conte allo scellerato Arturo, personaggio manzoniano, e rivela la virtù principe dei rossoneri che – come insegna Caressa – il tè dei nervi distesi non lo prendono solo nell’intervallo. Vivono in serenità fin dal primo Lockdown, ecco il segreto di Pioli.
Resta un mistero la Juventus nonostante Pirlo metta in campo una formazione da scudetto che in mani altrui – mettete chi volete sulla panchina della Signora – il decimo tricolore lo porterebbe a casa. Vince ma non convince. Fa ancora le prove di grandezza. Che fare? Intanto ringraziare la Var che ha cancellato il gol di don Rodrigo De Paul. Dopo, tutto più facile. Forse troppo facile. C’è Dybala reduce da se stesso, c’è Chiesa reduce dal gol segnato a metà dicembre all’Atalanta e segnalato come evento prodigioso. E c’è, ovviamente, Ronaldo che con una doppietta arriva al gol 760 andando a segno per il ventesimo anno solare consecutivo. Ormai “Eterno” come Pelè. Per l’occasione, la Joya tornato al gol invita i fotografi a immortalare i suoi abbracci (con Chiesa) a Cr7, approfittando dell’assenza di Morata, infortunato. E la foto diventa documento con il gol dell’ex viola. L’Udinese si presta alla rinascita, la Juve sembra guarita, o forse è nei guai Gotti che esibisce una squadra morbida e incerta. Il panettone l’ha mangiato, è in arrivo il carbone?
ADDIO 2020, IL PEGGIORE DEGLI ULTIMI 80 ANNI
La notizia del giorno certa e inconfutabile è questa: oggi si conclude l’anno Ventiventi, il peggiore della storia degli ultimi ottant’anni. L’anno bisestile che, già portatore di guai in tutto il mondo con una tradizionale intensità degna di sospetti e di gesti scaramantici, ha visto espandersi il Koronavirus latente già dalla fine del 2019 fra la Cina e la Lombardia, fra Wuhan e Codogno, almeno secondo gli scienziati e aggregati che in questa stagione hanno conquistato la popolarità riservata ai campioni di calcio e dello sport.
Per finire in allegria l’anno e metter piede nel 2021 – già nominato Anno del Vaccino se Dio vorrà – si ricorre abitualmente al colore rosso degli indumenti accessori e intimi, ma l’ultima prorompente notizia non drammatica suggerisce di darsi al rossonero e infatti l’eroe di una virtuale copertina di un “Time” nostrano sarebbe indiscutibilmente Zlatan Ibrahimovic, trascorrente dai fasti del Milan Club a quelli di Sanremo Festival. Lo ha annunciato Amadeus, sorridente e garbato protagonista delle prime serate Rai, giustamente chiamato apoditticamente “Ama” da ammiratori e amici.
Le mie cronache calcistiche hanno ormai da mesi sottolineato la ritrovata condizione ideale (infortuni occasionali a parte) dello svedese vagante che, con la saggia complicità di Stefano Pioli, ha ricostruito nei giorni del primo Lockdown un Milan ridimensionato da incertezze gestionali; ma proprio quei mesi di sofferenza hanno indotto il vostro cronista “sportivo” a
invocare sì la non soppressione del campionato di calcio e altre attività sportive rasserenanti, ma con adeguata riservatezza: porti lo sport un sorriso alla gente che soffre la odiosa e mortale pandemia – dicevo, e ho realizzato apposta un libro che ne richiama i valori morali – ma con discrezione, attenuando per l’occasione l’abituale smodato fracasso; e invece, a partire dalle velenose polemiche politiche, passando attraverso le buffonate alla Suarez, le lotte fra Asl locali e le abbuffate di Neymar e compari, abbiamo visto rinnovarsi le deprecabili campagne contrattuali a suon di milioni, la caccia a pedatori riccastri a piede libero, le ribellioni di protagonisti illustri e meschini, l’hit parade del cattivo gusto organizzata negli Emirati Arabi che contaminano il nostro calcio e incrementano una certa cultura della straricchezza contrastante con la povertà, non più strisciante ma esplosiva di tanti italiani che fanno la fila nelle capitali per un tozzo di pane e un piatto di minestra.
E tutto ha un nome: Dybala e il suo contratto, il Papu e la sua incontinenza verbale, Ronaldo e le sue effimere glorie tecniche rivelate da pagatori incompetenti, Zaniolo e i suoi amori intemperanti, e via così, secondo schemi antichi e deprecabili. Non per facile moralismo ma per una adeguata protezione dei valori sportivi difesi nei giorni della tempesta saremmo felici se l’intelligente Zlatan Ibrahimovic tornasse a esibirsi a San Siro. Non a Sanremo.
La stessa raccomandazione a “giocare” con dignità professionale nei propri campi indirizzo a governanti, parlamentari, professionisti dell’informazione, sportivi, intellettuali e virologi, microbiologi, epidemiologi, pandemiologi, infettivologi e tuttologi. Buon Ventiventuno.
(ITALPRESS).





