La Barba al Palo di Italo Cucci

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L’ARIA STRANA, LE REGOLE E LO ‘SPECIALISSIMO’ MILAN DI PIOLI

Tirava un’aria strana. Mentre il Ragazzo Prodigio chiedeva correttamente scusa all’arbitro molti sussurravano o gridavano: “Ha ragione Insigne, l’arbitro ha esagerato”. Siccome ormai si insultano e offendono liberamente anche in radio e in tivù – maestre di vita – si può passar sopra alle regole decise e precise. Non solo del calcio, anche dell’educazione. Manca solo che si aggiorni il comune senso del pudore. E’ già successo tante volte. E il mondo del calcio (come il resto) si sta riempiendo di spudorati. Tirava un’aria strana: Gomez ha mancato gravemente nei confronti di Gasperini (aspetto i dettagli dall’Atalanta) l’hanno messo fuori rosa, ed ecco i salvagente: “Un tecnico accorto non caccia un giocatore così anche se colto in fallo ma cerca di recuperarlo”. Si pensava, in sostanza, che la Dea senza il Papu avesse finito i miracoli. Pronti ad azzannare Gasperini. Poi Zapata, Gosens, Muriel e Ilicic hanno rovesciato Dzeko, la Roma. E il Papu. Hanno rivinto le regole.
Il tutto serva da lezione alla Juve che col Dentone perugino s’è giocata mezza reputazione. Per fortuna l’altra metà è in mano a Ronaldo e a Pirlo, pian piano entrato nella parte del tecnico pratico e avveduto nonostante subisca ancora l’esito del confronto contrattuale di Dybala – suo pupillo – con Paratici. Poi, c’è Ronaldo. E siccome a me più delle statistiche piacciono le imprese, non metterò a confronto Ronaldo con Pelè per i gol fatti (in epoche diverse e…palloni diversi) ma per quel salto nel cielo che fece nascere il Pelè angelicato a Messico 70, quando nella finalissima dell’Azteca segnò all’Italia un gol divino volando oltre Burgnich, fino al cielo, restando appeso a una nuvola per qualche secondo. Fate un favore al vostro vecchio cronista, misurate a quale altezza è volato Ronaldo segnando il suo gol al Parma; a occhio c’è un mezzo metro in più per CR7. E cantiamolo, allora, Cristiano, come a Napoli Maradona: “Cierresette è meglio ‘e Pelè”.
Tirava un’aria strana anche per Stefano Pioli. Il suo Milan, imbattuto da mesi (23/24 partite) era atteso al naufragio: pareggio col Parma, pareggio col Genoa, dai, la fuga è finita, vedrete che nel derby della Milano rinata l’Inter farà il sorpasso. Sto dicendo da mesi, fino alla noia, che la critica non accetta il (provvisorio?) primato del Milan: Pioli è troppo…normale e la squadra, senza Ibra, è normalissima. E invece è specialissima. Contro tutto, contro tutti (Berlusconi diceva anche contro l’invidia e le ingiustizie) e senza Ibra il Milan vendica se stesso (e Allegri) in casa del Sassuolo e mantiene il primato. Rispettando non solo le regole ma anche logica e fortuna. Che ispirarono Gazidis quando decise di far fuori Giampaolo e Boban, il suo sostenitore. Visto il Torino?
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

MI PIACE COME PIRLO HA RECUPERATO DYBALA

Vi annoio se vi parlo di Pirlo e Dybala? Perdonatemi, ho dei conti aperti con entrambi ma anche fretta di chiuderli. Se possibile. L’Europa ha fatto bene al Maestro, il Barça l’ha rinvigorito – o meglio: rassicurato – fino a fargli trovare la personalità che ha rivelato da calciatore e lo spirito indipendente che il “controllo” di Paratici e Nedved minacciava. Parlo perchè ha piegato il Genoa? No, non è stata una grande impresa e penso che la difesa bianconera vada rivista. Ha esplicitato qualità da scudetto della sua Juve che ha già allarmato i suoi tifosi più esigenti? No, temo che dovrà lavorare assai se vorrà respingere anche il Milan e il Napoli. Voglio dire piuttosto che mi è piaciuto come ha recuperato Dybala, cancellando una vigilia inquietata da voci d’addio del miglior giocatore d’Italia, isole comprese. Chissà perchè, la critica non ama Paulo come meriterebbe. Io mi sono limitato a contestargli le baruffe contrattuali, quelle che da sempre – da Boniperti – la Juve non tollera. Ma all’improvviso ci ha pensato il Maestro, rimettendolo al fianco di Ronaldo (e c’è di sicuro il suo zampino di…allenatore in campo) ricambiato da un gol che è andato a cercarsi mentre i compagni – escluso McKennie – lo snobbavano. Il Maestro s’è rallegrato con Paulo, anzi lo ha abbracciato, Joya completa. Poi ha fatto entrare anche Morata, realizzando un Trio meraviglioso. Futuribile, naturalmente, come ci si aspetta da un pedator gentile come Pirlo trasformato in condottiero certo per garantire la qualità pretesa da Agnelli.
Curiosamente, l’altra faccia del campionato è del tutto diversa, è la faccia di Gattuso ch’è diventato padrone di un Napoli la cui qualità è tale da celare i ruvidi rudimenti del Mister. Da Ringhio t’aspetti più Forza che Eleganza, il Napoli le mostra entrambe e promette battaglia alle solite favorite, fra le quali recupera un posto con rabbia anche l’Inter. Conte fa il Mourinho, evoca il rumore dei nemici e fa fuori il Cagliari perchè la differenza fra le due squadre è abissale. E i nemici della Beneamata mi sembrano in realtà i nemici – veri o immaginari – del suo allenatore.

ADDIO A PAOLINO ROSSI, EROE DEL MUNDIAL 1982

La prima condanna – quella che gli stolti chiamano male incurabile – l’aveva schivata; la seconda, praticamente un infortunio, è stata decisiva. Così se n’è andato Paolino in una intimità tragica raccontata da Federica, la moglie con la quale aveva vissuto una festa estiva alle Maldive prima di piombare in un incubo. Conosco lei – giornalista che ha lavorato a lungo con me – conoscevo bene lui, eroe della mia storia più bella, il Mundial del 1982. Ecco, so che “eroe” non gli sarebbe piaciuto. Non scomodiamo Achille e compagni. Quando gli fui alleato nel momento più difficile della sua vita – quell’infame chiamata di correo nel calcioscommesse – eppoi vincemmo alla faccia di tutti i critici detrattori, mi raccomandò di non eccedere, di godere il successo come faceva lui, recuperando un bel sorriso e il cuore generoso. Non accolsi il suo invito perchè eravamo sodali ma su fronti diversi. Lui aveva sofferto e era guarito, tornava, invitato, sui suoi passi e sui suoi gol con lo spirito del vincitore che non sa farsi gradasso, disse che era “carino” anche il critico che l’aveva coinvolto nella pochade con Cabrini, finita in Italia con una risata grassoccia, in Spagna e Brasile come un motivo in più per ridicolizzare la Nazionale di Bearzot sgradita – si fa per dire – ai criticonzi nostrani. Quando fece fuori il Brasile di Zico e Falcao il popolo oroverde soffrì quasi come per il maracanazo del Cinquanta. Com’era stato possibile che quegli italianuzzi fossero diventati così grandi, forti, superiori? Zico rifiutò energicamente la superiorità azzurra, ci accusò di essere i soliti catenacciari. E quei sei gol assassini del Paolino diventato Pablito a furor di popolo donde venivano? Forse lo capirono quando vincendo quella finale e il Mundial con la potente Germania risuonò l’urlo prodigioso di Tardelli, degno accompagnamento anche del gol del ragazzo di Prato, del talento di Vicenza, del prodigio di Perugia e del professionista juventino valutato più di due miliardi, maturato giocoliere nel vero senso della parola: rivedete i suoi sorrisi che riempiono i teleschermi e ve ne farete una ragione. Si divertiva perchè il calcio era il suo gioco come gliel’aveva proposto e insegnato Gibì Fabbri al Lanerossi, cercando di sfruttare al meglio il suo spirito rapinoso, le sue leve che assecondavano il dondolio del bacino scaricando il peso di un’apparente leggerezza sulle ginocchia che infatti soffrirono sempre fino ad abbreviargli la carriera.
Paolino poteva continuare a vivere sereno dopo tanto successo impedendo a Pablito di sentirsi superiore perchè il mondo intero l’aveva osannato. Non l’ho mai visto irato, e voi? Non l’ho mai sentito aggressivo, e voi? Qualcuno lo riteneva un opinionista leggero, troppo buono, lui sapeva cosa voleva dire essere ferito dalla critica – quante bastonate aveva preso – e non aveva alcuna intenzione di farsi picchiatore. Neanche a parole. Come quando se n’è andato Maradona sento dire che il calcio ha perso tantissimo. Nel mio piccolo so che abbiamo perso un uomo in gamba legato alla famiglia, un atleta esemplare legato alla squadra e a tanti ricordi di gioco e di vita. L’ho sempre raccontato umile ma forse lo era perchè alle spalle aveva una storia da re. Il mio re Paolino cui dedicherò una sommessa preghiera.

MILAN PRIMO CON MERITO, PIOLI FILOSOFO DELLA NORMALITA’

Milan primo. Primissimo. Col fiatone ma con merito. Otto vittorie e due pareggi su dieci partite. Più cinque sull’Inter, più sei su Juve e Napoli. Una realtà. Scomoda. Stefano Pioli va dicendo quel che sostengo da tempo: c’è un diversivo critico importante in questo campionato destinato – si dice – a vedere una squadra, una sola, capace di cancellare la noia dei trionfi juventini, ovvero l’Inter; il diversivo si chiama Milan e il fenomeno che lo riguarda è insolito: gli si nega la possibilità di vincere lo scudetto. Perchè non è stato previsto da nessuno che una squadra capace di eliminare la genialità di Giampaolo e le magie di Rangnick potesse esibire una capacità tecnico-tattica degna del primato in classifica. Pioli non ne tien conto, ammette solo che “siamo diventati l’obiettivo di tutti”. Non solo fastidiosi, i rossoneri: addirittura abusivi. Degni, al massimo, del quarto posto – come risulta da un’intervista a Pioli – giusto perchè uno sgabello in Champions, di questi tempi, non si nega a nessuno: visto l’Atalanta? Parola d’ordine, dunque: odiare (calcisticamente) il Milan. Come ai tempi di Berlusconi che nel 2003, dopo il primo scudetto, disse di averlo vinto “perchè più forti dell’invidia, dell’ingiustizia e della sfortuna”. Olè.

“Milan in Hauge”, si è scritto l’altro giorno, riferendosi al ventunenne norvegese protagonista del match di coppa con il Celtic: che però contro la Samp del maestro Ranieri è entrato dopo il vantaggio acquisito dai compagni, ovvero nella fase più delicata (e incerto nello sviluppo del gioco). C’erano Hernandez (23), Gabbia (21), Saelemaekers (21), Tonali (20), Diaz (21), Kessie (23) che porta in vantaggio il Milan su rigore. E Donnarumma (21, è già…invecchiato). Tutti i “nipotini” di Ibra. Ma lui non c’era. Posso dire che dalle rovine di un progetto velleitario (Giampaolo raccomandato da Sacchi, Sarri e Guardiola) è nata la squadra di Simplicio Pioli, il filosofo della normalità? E semplice – a ben vedere – è il suo gioco: palla manovrata con destrezza e velocità, mai sprecata, niente sterile possesso palla, fraseggio corto con rari errori, reparti coordinati, non avventurosi, azioni offensive controllate, difesa energica, all’antica. E quel cambio fra Saelemaekers e Castillejo che finisce in gol (0-2) e in un abbraccio fra il tecnico e i “ragazzi”? Felicissimo. Tutto con grande rispetto di una bella Sampdoria, coraggiosa ma sfortunata, che nel finale ha evidenziato più salute agonistica degli avversari.
(ITALPRESS).

PIRLO, LA “MALAJUVE” E IL PREZZO DELLA SUPERBIA

Sarà un caso, nel week end abbiamo visto all’opera cinque allenatori ex giocatori della Juve. Anzi sei: a Conte, Pioli, Prandelli, Pippo Inzaghi e Pirlo aggiungo Zidane. Ognuno con la sua storia. Zizou è travolto dal Deportivo Alavès e dall’Ingratitudine. Prandelli è andato a prendersi una viola…con le spine (fenomeno soprannaturale). Conte s’è svegliato dopo l’incubo madridista e ha reintrodotto nell’Inter quello che alla Juve era Intensità e a Milano si chiama Furore. Pioli naviga sicuro con un bel Milan così felicemente costruito che può anche fare a meno di Ibra. Mentre la Juve – e arrivo al dunque – non può fare a meno di Ronaldo. L’allenatore in campo. Il vigoroso fornitore di sicurezza. Senza CR7 (spero che non gli abbiano detto “fai un riposino, al Benevento ci pensiamo noi…”) Pirlo, pur dotato di Morata e Dybala, perde il confronto con Pippo Inzaghi, quello – dice di sè – che s’è fatto un mazzo così. Vengono giochi di parole: Malajuve a Benevento (con Letizia). Malajuve è il titolo di un libro dedicato a tutte le numerose finali di Coppa dei Campioni (che io chiamo così, ancora, perchè ci arrivò sette volte sempre da Campione d’Italia anche quando diventò sbracata Champions); e a questo punto mi viene in mente – perdonate il paradosso – che Agnelli abbia scelto Pirlo per vincere la Coppona rinunciando allo scudetto.
Intanto deve arrivarci. Come, vista l’aria che tira? Forse con un colpo di magìa, come con il Ferencvaros di ritorno. Ronaldo e Morata in Europa si ritrovano bene, al naturale, senza le alchimie di Pirlo. Non mi piace far le pulci a uno dei più grandi calciatori italiani, ma non è colpa mia se la sua pareggite acuta rivela, non solo un grosso problema tecnico, ma anche un gesto di superbia, visto com’è arrivata la designazione a successore di Conte, Allegri (e Sarri), tre vincitori cui la Juve e certi tifosi juventini hanno rinunciato perchè badavano solo a vincere. Pirlo è arrivato lì come allenatore di fiducia – anzi di famiglia – perchè il club è stanco d’ingaggiare…estranei. Perchè abbondano preparatori, tattici e vicetecnici. Perchè c’è Ronaldo e ci pensa lui. Ma la superbia ha un prezzo: Ronaldo può riposare – sembra dire Pirlo – qui ci sono io. E la Juve fa l’ennesima figuraccia. Detto questo, grazie, caro Pirlo. Così stando le cose il campionato e più divertente. La Juve s’è presa l’handicap. Applausi.
(ITALPRESS).

CIAO DIEGO AMICO RITROVATO, MI HAI PRESO IN CONTROPIEDE

Ciao Diego. Se dovessi parlare del calciatore dovrei dire che mi hai preso in contropiede. Non è da te. Ero lì che mi rallegravo per l’operazione alla testa andata bene, dicevo fra me e me finalmente un pò di fortuna per Diego. E invece no. Sei fuggito. Ho raccontato i tuoi gol piu’ belli, il superbello a Città del Messico, il 22 giugno dell’86, quando hai fregato gli inglesi delle Falkland non con la mano de Diós ma con quell’incontenibile slalom-gol – fors’anche in contropiede – che ancora vien cantato come un inno da Victor Hugo Morales E tu alla fine, raggiante, cantavi (ero con te, io potevo, a scrivere insieme il pezzo del giorno che ti pagavo alla grande) “Las Malvinas son Argentinas”.
Ciao Diego. Se dovessi parlare del calciatore vitaiolo mi farei una bella risata – e tu la tua – dicendoti che Pelè stavolta ti ha fregato. Lui ha fatto gli ottanta l’altro giorno, un pò decadente, come me, Diego, che ho i suoi anni: ma è lì, impavido, e all’anagrafe di Très Coraçoès cantano “Pelè è meglio ‘e Maradona”. Tu sessanta, subito rovinati dal cervello ferito, dal ricovero, dalla paura che quest’anno di m…ti portasse via. Hai avuto un rinvio.
Con te, Diego, ho avuto una fortuna che adesso pago il doppio, perchè in realtà del calcio chissenefrega, di Pelè tantomeno, perdio ho perso un amico; peggio, un amico ritrovato. Perchè dopo quella storia della droga avevamo rotto: tu mi davi dell’ipocrita perchè avrei dovuto rimproverare anche quel mitico industriale del Nord che tirava di coca e io no, io ti dicevo che quello non era un ambasciatore dell’Unicef come te. Dopo due giorni sparivano i cartelli pubblicitari della nobile società benefica. E sparivi anche tu. In Argentina, dove ci odiavano perchè – dicevano – noi Italiani ti avevamo rovinato. Mica Gentile, mordendoti i garretti al Sarrià, no: noi italiani che ti avevamo consentito tutto. Anche di distruggerti. Chiudemmo ogni rapporto, negli Usa, nel ’94, quando quell’infermiera ti portò fuori dal campo e tu sparavi al mondo due occhiacci da far paura. E io ti dissi ch’eri Pinocchio imbrogliato dal Gatto e la Volpe. Mi tirasti una scarpa, feci la fine del grillo parlante. Tacqui per 12 anni. Poi una sera, a Monaco di Baviera, alla vigilia di Italia-Germania, un collega della Rai mi dice che sei al “Calabrone”, il ristorante del mio albergo. “Vieni a dargli un saluto…Poi una bella intervista…”. “Non ci parliamo da anni…”. “Uno deve cedere…provaci tu…”. Era passata la mezzanotte. Entrai, ti vidi a capotavola, c’era anche Batigol. Mi fermai sulla porta, pronto a ritirarmi, poi sentii la tua voce, una cantatina sfottente e amica insieme:”Forsa Bolonia”, proprio come il Petisso, ricordi? Ti sei alzato, mi sei venuto incontro con un bel sorriso, ci siamo abbracciati e ci siam messi a piangere come due ubriachi. Ti abbraccio anche oggi, e piango, Diego mio. Ma poi sorrido. Sarai vivo per sempre.

Nella foto: Italo Cucci con Maradona a Reggiolo il 15 agosto1984 nella prima intervista italiana di Diego al Guerin Sportivo per il quale scrisse nel 1986.

ROBERTO DE ZERBI L’UOMO DELLA DOMENICA

Tel chi, Prandelli – dicono dalle sue parti. Tel chi, Prandelli – si dice anche a Firenze, dove l’ironia non manca finchè gli argini dell’Arno la contengono. Perdere ci sta, ma col Benevento… Un commento da bischeri – direi per restare in zona – perchè ricordo un’altra storia importante cominciata male e finita bene (con calma, con pazienza): l’esordio di Gattuso allenatore in Serie A il 3 dicembre 2017, nella partita pareggiata (2-2) dal Milan sul campo del Benevento. E tuttavia vedo la Fiorentina dell’ex Ct e mi sembra peggio di quella di Iachini, quasi svogliata, incerta; d’altra parte se continua a vendere i migliori…
Prandelli aggiunge pepe al piatto forte del momento, “allenatori alla brace”. Mi chiedo cosa stia pensando Urbano Cairo – nelle sue molteplici vesti – di Giampaolo, il genio raccomandato da Sacchi, Sarri e Guardiola, la Trimurti del Calciospettacolo. Il Toro sta due a zero sull’Inter, anche convincente, poi crolla a 4-2 perchè – come ho visto succedere – ha imparato solo la prima parte del copione. Ma Giampaolo ha il Covid. Mi dispiace. Il suo maggior problema è il calcio. Lo sottolinea Conte che, invece di esultare per la clamorosa rimonta decisa dai suoi fidi – Lukaku e Lautaro – s’imbizzarrisce di brutto per la partita (primo tempo da educande) e per quelli che l’annunciano “da scudetto”. Soffre pesantemente anche Liverani a Parma. Mi chiedo cosa sia successo con l’ex, Roberto D’Aversa. Sembra una storia d’amore andata male. A Ferragosto. Può succedere.
Pioli e Gattuso intanto risolvono a modo loro la “grande sfida” (non c’era di meglio, in cartello, se non un sabato sera con le stelle di Milly Carlucci in tivù o Superstar Ronaldo a Cagliari) ma il protagonista, l’Uomo della Domenica è comunque lui, Roberto De Zerbi che sbanca Verona, vive una bella giornata addirittura primo in classifica, si fa dare del “ragazzo” da Mihajlovic; e da me che da quattr’anni lo tiro su come un figlio. Scherzo. Ma ricordo anche quanto sia facile applaudire un allenatore quando gli arride il successo mentre a me piace- e non è facile – scoprirli prima. Mi piaceva già come giocatore, al Napoli, poi gli ho dato un’occhiata quando già faceva l’allenatore sul serio in C; mentre capisco Zamparini che lo porta a Palermo, non lo capisco quando lo esonera senza avergli dato tempo per respirare. Poi Benevento: non lo salva ma onora il ruolo suo e la squadra. Poi se ne va, visto che fa solo contratti annuali e cerca chi gli dia sicurezza. Ecco il Sassuolo, dove s’annuncia battendo l’Inter. Normale, direte, come quando Allegri ci lasciò le penne con il Milan. Un collaboratore di De Zerbi ha detto di lui: “La sua idea di calcio è fortissima, entra nelle vene e circola velocissima nel sangue. E’ meglio di Guardiola”. Condivido. Forse l’ha detto anche Mourinho. I suoi ragazzi azzurri – Berardi, Caputo, Locatelli, Sensi – confermano di non appartenere a un miracolo di provincia. Calcio verticale per hombre vertical. Se non si monta strada facendo avremo anche un futuro Ct. Con calma, naturalmente.

LAZIO E ATALANTA, STORIE DA LIBRO CUORE

Con l’aria che tira c’è tanta voglia di Libro Cuore. Ma non mi offrono atmosfere deamicisiane Pirlo – nonostante sia attivo in Torino, tutto preso dalla cura dei dettagli ignorati dai suoi “ragazzi” distratti – nè tantomeno Conte che invoca, giustamente, lo Spirito Killer del tutto mancante ai “ragazzi” suoi (“sò ragazzi!” – sembrano dire i due mister – come piaceva a Gigi Proietti). Juve e Inter si sfidano per ora a pareggi, ma se per loro l’1 a 1 dice di due punti perduti, per Lazio e Atalanta vale due vittorie. Non solo morali e spesso inutili. Vittorie che produrranno vittorie.
Il gol di Caicedo al 94′ non ha rivelato soltanto la perdurante inconsistenza della retroguardia bianconera – problema che Pirlo ha promesso di risolvere – ma la potenza del gruppo laziale, e dico di solidarietà, passione, voglia di battersi contro i nemici moltiplicatisi come i tamponi di Lotito; se ha sbagliato la società, tecnico e giocatori non c’entrano e l’hanno dimostrato battendosi fino alla fine con coraggio – sollecitati dalla voglia di farsi giustizia – contro una squadra superiore per mezzi tecnici, la squadra dell’implacabile CR7, mentre a loro mancava Ciro Immobile, il bomber rivale trascinato incolpevole in uno scandalo demenziale. L’abbraccio esaltato di Simone Inzaghi a Caicedo – manifestazione da vittoria in una finale di Champions – è stato bellissimo, un’occasione per dimostrare almeno ai detrattori del gioco più bello del mondo quanta forza morale c’è nel calcio, quale capacità di reagire a scandali e cattiverie. Così abbiamo vinto due Mondiali, nell’82 e nel 2006.
L’altro teatro per una pièce deamicisiana, Bergamo, la città della Dea che ci ha abituato a forti passioni per amore e dolore. L’Atalanta non ha solo confermato le difficoltà caratteriali dell’Inter di Conte ma ha offerto due storie che spiegano la forza di questo club di provincia diventato protagonista nazionale e confermano le qualità di Gasperini, un tecnico da “panchina d’oro” permanente. Il gol del bellissimo pareggio l’ha realizzato Aleksej Andreevic Miranchuk, venticinquenne russo di Slavjansk-na-Kubani, esordiente in serie A e destinato sicuramente ad arricchire il club quando a Percassi giungeranno le solite ricche offerte delle “grandi”. Come se non bastasse aver trovato l’esordiente goleador, l’Atalanta ha offerto ai suoi tifosi e al calcio italiano (anche azzurro, immagino) un ragazzone dì diciott’anni, Matteo Ruggeri, che ha giocato con sicurezza tutta la partita e alla fine (certo da lettore del Libro Cuore) ha sciorinato in tivù una felice storia d’amore per il pallone e per la Dea. Che dire? Grazie.