La Barba al Palo di Italo Cucci

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LO STILE JUVE, L’IDEA PIRLO E IL PRECEDENTE FERRARA

La storia della Juventus è un libro aperto da oltre cent’anni, come dice Andrea Agnelli. Basta conoscerla. E visto il dominio esercitato in oltre un secolo – con 36 o 38 scudetti vinti – direi che è opportuno conoscerla. Si scoprono cose divertenti. Ad esempio, il brusco licenziamento di Sarri risente di un notevole cambiamento di stile che una volta si chiamava Stile Juventus. Venerdì sera il giovane Agnelli, in tivù, dopo aver digerito l’agrodolce, ha prima confermato Nedved, Paratici e tal Cherubini e del tecnico ha solo detto “vedremo”. Poche ore dopo ha visto: lo ha cacciato; e si è addirittura saputo che aveva deciso di cacciarlo già prima del Lione. La storia juventina racconta che un fatto così era già successo, in coda a un episodio sgradevole, l’eliminazione di Zoff allenatore, quando nel ’91 Luca di Montezemolo, vicepresidente esecutivo, da tifoso del Bologna s’era invaghito (nel senso buono) di Gigi Maifredi reduce da un vistoso successo rossoblù e l’aveva portato a Torino. Gigi arrivò settimo, finì escluso dall’Europa, e l’Avvocato – dopo averlo garbatamente definito “emozionante” – non gli fece rinnovare il contratto ma con lui lasciò libero tutto lo staff che lo aveva voluto, richiamando Boniperti. Stile Juventus, dicevo. Onestamente, dar tutte le colpe a Sarri dopo averlo costretto a inginocchiarsi davanti al Re del Portogallo è pura ingratitudine. Per fortuna l’ex Che Guevara se ne va pieno di euro milioni e curerà dolcemente la delusione. Poi, qualche estetamaniaco lo troverà. Nonostante i miei gratuiti avvertimenti il Sarrismo in Italia ha fatto danni, solo danni. In Inghilterra no, li ha presi di sorpresa…
Altra storia, Pirlo. A parte che l’idea non è malvagia, visto che la Triade Agnelli-Nedved-Paratici decide su tutto e avere in panca un neofita è utile, vorrei tanto, per il rispetto che Pirlo merita, che l’artista della “Maledetta” avesse successo e riuscisse a imporre il suo stile che sembra discendere dalle lezioni dell’Abbè Dinouart, autore del prezioso volumetto (Sellerio) “L’arte di tacere”. Saputo che il suo nome è stato suggerito se non praticamente imposto dai senatori e dallo spogliatoio, ricordo – suggerendo scongiuri – la breve stagione di Ranieri e la congiura di palazzo che lo eliminò brutalmente (primo licenziamento juventino del dopoguerra, Carniglia fu trattato da dimissionario per ragioni di salute). Era il 18 maggio 2009, entrò in scena Ciro Ferrara, invocato dagli ex compagni. Ciro era in Nazionale con Lippi, lo lasciò, finì decorosamente il campionato juventino in corso con l’aiuto determinante dei giocatori. Nella stagione successiva, ingiustamente abbandonato a se stesso, fu presto esonerato e sostituito da Zaccheroni. La cronaca dice che fu uno dei peggiori periodi della storia juventina. C’era una volta…
(ITALPRESS).

L’IRA DI CONTE: ORA C’E’ DA ASPETTARE LA RISPOSTA DI ZHANG

Il campionato lo ha vinto la Juventus l’8 marzo, prima del lockdown, battendo la sua rivale preferita, l’Inter, nell’ultimo Derby d’Italia. Dopo, ci siamo battuti – io sicuro – per la ripresa del gioco soprattutto per avere la certificazione dell’avvenuto, senza la quale il torneo 19/20 – non essendo noi francesi – sarebbe finito nel nulla. Magari con l’assegnazione di uno scudetto di cartone che almeno in Casa Agnelli non amano. In realtà, la Juve di Sarri, direi una squadra sperimentale, ha dato spazio a realistiche speranze della Beneamata, l’unica concreta alternativa tecnica, viste le risorse di campo, ovvero i giocatori. Diventa utile, al proposito, rileggersi il tabellino di quella sera e non solo per ricordare i gol di Ramsey e di Dybala (una meraviglia) ma per controllare le forze in campo. Juventus: Szczesny, Cuadrado, De Ligt, Alex Sandro (sostituito), Bonucci, Bentancur, Matuidi, Ramsey (gol), Higuain (sostituito), Ronaldo (ammonito), Douglas Costa (sostituito). A disposizione: Pinsoglio, Buffon, Rugani, Chiellini, De Sciglio (subentrato), Danilo, Khedira, Pjanic, Rabiot, Bernardeschi (subentrato), Dybala (gol, subentrato).
Inter: Handanovic, De Vrij, Bastoni, Skriniar (ammonito), Brozovic (ammonito), Candreva (sostituito), Barella (sostituito), Vecino (ammonito), Young, Martinez, Lukaku (sostituito). A disposizione: Berni, Padelli (espulso), Biraghi, D’Ambrosio, Ranocchia, Godin, Gagliardini (subentrato), Eriksen (subentrato), Borja Valero, Asamoah, Sanchez (subentrato), Esposito.
Non mi sì venga a parlare di un’Inter non all’altezza della Signora; fa solo effetto notare che Dybala, subentrato, ha firmato il 2-0, mentre l’altro “subentrante”, Eriksen – l’ultimo costoso acquisto di Marotta per Conte – salutato come fenomeno, sia stato in realtà trattato come un pivellino destinato a plurimi e impegnativi esami, fino alla solenne desolante bocciatura ricevuta nell’ultima partita contro l’Atalanta, quando Conte l’ha mandato in campo al ’90. Come se fosse Valcareggi che manda avanti Rivera alla fine di Italia-Brasile. L’occasionale confronto con Valcareggi ne innesca un altro, ancor più scomodo, con Bearzot. Quando Conte ha parlato di un assalto al carro interista si richiamava – forse – alle legione di furbastri che saltarono sul carro di Bearzot nell’82, perchè aveva vinto; se davvero qualcuno ha voluto onorare i vicecampioni d’Italia (m’è toccato di sentire anche questa) gli va dato merito, se non altro, del gesto compassionevole, solidale e sportivissimo.
Con le ultime e ineleganti sortite contro l’Inter Conte ha reagito al peggior risultato che gli poteva capitare: arrivare secondo dietro la Juve. Di un punto. Dettaglio massacrante per tutti: club, dirigenti, giocatori, tecnico e tifosi. Che poi il piazzamento dia accesso alla Champions, dal punto di vista sportivo vuol dir poco: vuol dire che l’antica e onorevole Coppa dei Campioni ha dovuto far posto alla Coppa Business dove vincono anche i perdenti. A far da contrappunto al -1 dell’Inter che ha scatenato l’ira del tecnico contro le debolezze della società resta il dettaglio desolante della partita che ha permesso al modesto Bologna – subito dopo schiantato dal Milan con una “manita” – di negare all’Inter un altro scudetto. E chissà come c’è rimasto male Massimo Moratti.
Il campionato “straordinario” 2019-2020 va in archivio agganciandosi subito al prossimo, già virtualmente varato, con un quesito non banale: potrà l’Inter servirsi di un tecnico che l’ha costantemente invitata a diventare Juventus per vincere? Immagino la risposta di Moratti. Attendo, curioso, quella di Zhang.

CAMPIONATO FINITO? DITELO A CONTE

Campionato finito? Ma fatemi il piacere! Ditelo a Conte. Non al premier che presto aprirà gli stadi e saremo tutti felici e contenti. Dico Conte il padrone dell’Inter che ha praticamente licenziato in diretta tv, l’altra sera, l’ad Marotta in attesa che torni Steven Zhang, scappato in Cina mentre la Cina – come dice Trump – arrivava da noi. L’Inter lo ha abbandonato – dice Conte. Da sempre. Una talpa in servizio permanente effettivo l’ha tradito. Come aveva tradito Spalletti. Con Conte il campionato non finisce mai. Gli siamo grati i giornalisti sportivi che hanno già digerito – da anni – l’ennesimo scudetto della Juve. Il bello è arrivato adesso. Cosa succederà? Calciomercato? Già c’era da divertirsi con la balla..cinese di Messi, adesso non si sa: 1) se Conte resta; 2) se Conte se ne va sua sponte; 3) se lo cacciano; 4) se trovano l’accordo per quel pacco di milioni che gli toccherebbero di liquidazione; 5) se ha ragione quell’avvocato che parla di licenziamento per giusta causa.
Conte se l’è presa anche con quelli – suoi nemici – che sono saltati sul carro dell’Inter vicecampione d’Italia (fummo o no, nel ’94, vicecampioni del mondo?). “Non mi piace quando la gente sale sul carro e qui succede” ha detto dopo la vittoria in casa dell’Atalanta.
Se fossi interista questo secondo posto a un punto dalla Juve mi brucerebbe più di una salvezza colta all’ultimo minuto, testimonianza di un fallimento. Come dire che i nerazzurri lo scudetto l’hanno perso per colpa del Bologna, come 56 anni fa. Quell’1-2 di San Siro inaspettato, dopo il vantaggio e un rigore sbagliato, quando tutto lasciava intravedere una facile vittoria casalinga. Il resto è già in archivio. Siamo già in Europa. La Champions incombe (anche l’Europa League): la Juve pensa al lasciapassare Lione, il Napoli al Barcellona, l’Atalanta è già pronta per il PSG. Tutto va ben, madama la marchesa. Tranne Conte, che ha finalmente trovato immensi spazi per il suo adeguato Ego. E quegli opinionisti che, in mancanza agostana dei titolari, stanno dicendo che un campionato così non l’avevano mai visto. Una tragedia. E non confessano che negli altri campionati non c’erano. E se c’erano dormivano. Vorrei dirgli – come Dudù il Gagà di Montesano – “oh come mi sono divertito”. Ma loro, un sorriso nella tragedia non lo capirebbero. Per loro va sospeso anche il prossimo campionato. Tanto, che gliene frega?

I MERITI DI SARRI E I BRAVI GIOCATORI

Finalmente ce l’ha fatta, con due turni d’anticipo perchè a lei si chiedono solo imprese speciali. E ci ha messo la firma lo speciale assoluto, Cristiano Ronaldo. Ecco, la Juventus ha conquistato così il suo nono scudetto consecutivo. Scusatela se vi ha annoiato, come sostengono opinionisti di vaglia (e di assegno). Perchè se il Bayern arriva all’ottavo è un capolavoro sportivo, sociale, anche culturale, forse perchè tedesco. Mentre tante vittorie alla faccia di squadroni (?) che non vincono uno scudetto ormai da un decennio è considerato un abuso. Alla fine, un Conte finalmente sincero l’ha precisato: “L’Inter deve guardare la Juve”; e un Gazidis ravveduto ha deciso: “Pioli vince, mi tengo Pioli”. Finalmente dotato di un Titulo tricolore che conta, Maurizio Sarri dovrebbe ringraziare quelli che ce l’hanno con lui (li ha definiti in altro modo, ma ci capiamo). Poco esperto di grande calcio – a Napoli ha vissuto un’esperienza estemporanea e irripetibile, come in Inghilterra – dovrebbe sapere che l’aiuto più importante e decisivo arriva sempre dai contestatori, dai critici più pungenti, non dai turibolanti che incensano per assecondare la moda e gli sfizi passeggeri come il Tikitaka o il quattrottrettrè felicemente irresponsabile (quando sai, cioè, che se perdi non è una tragedia).
Lo hanno incensato e abbandonato non appena l’hanno visto in difficoltà nella realizzazione del “modulo napoletano”. In realtà, come succede in questo mondo (ma anche in altri) il successo lo decretano gli uomini, quelli che spesso chiamiamo campioni: a Napoli se li è inventati (vedi Mertens) con straordinaria bravura; a Torino li ha trovati già pronti, soprattutto un Cristiano Ronaldo che è più, molto più di un allenatore aggiunto (quello è Chiellini, il solitario vincitore di tutti e nove gli scudetti, peccato non aver avuto a disposizione anche Barzagli) mentre gli va dato atto di avere difeso fino in fondo Dybala quando Paratici e Nedved tentavano di liberarsene. Come Sivori – tanto citato a proposito di Paulo – un secolo fa. Pochi hanno pensato – in realtà non ne ho sentito dire – che Andrea Agnelli si è trovato in Juve, grazie a Sarri, un fuoriclasse degno di Papà e dello Zio: Ronaldo hanno dovuto sottrarlo a caro prezzo al Real, Dybala l’hanno preso a Palermo da quello Zamparini che molti ricorderanno per il fallimento rosanero mentre a me rammenta Cavani e i suoi fratelli. Sono nomi, quelli di Cristiano e Paulo, che finiranno nella storia della Signora accanto a quelli di Bettega, Causio, Anastasi, Platini, Baggio e Del Piero e di tanti altri artisti del pallone.
Una volta di più un bravo allenatore vede i suoi meriti rivelati da bravi giocatori. Come Rocco con il Milan di Rivera, Helenio con l’Inter di Mazzola, Sacchi con il Milan di…Berlusconi…scherzavo…di Gullit e Van Basten.
Alcuni dei…traditori di Sarri (chiamarsi “Che” non porta bene) adesso diranno che lo scudetto vale poco se non s’accompagna alla Champions fallita da Conte e da Allegri. Io non lo condanno a vincerla, gli auguro di portarla a casa per vivere una festa continua. Solo se la Juve si distrae gli altri potranno vincere lo scudetto.
P.S. Dedico questo scudetto a puro titolo di amicizia al mio antico sodale Giampiero Boniperti – 92 anni appena compiuti – che ha scritto la storia del calcio anche con quel mantra schifato dagli incompetenti: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Esiste anche in cinese: “…Yìng shì wèiy? zhòngyào de shìqìng”.

Sarri mette le mani sullo scudetto, la vittoria dei “risultatisti”

Adesso che la Juventus ha praticamente vinto lo scudetto – annunciando prima del match clou con la Lazio la conferma di Sarri, se permettete gesto da gran Signora – arrivano a frotte in suo soccorso i mitici opinionisti (e anche qualche giornalista) ad assicurare che sì, nove scudetti ci sono, ma nel prossimo campionato sarà un’altra squadra: convinceranno il Comandante a perseguire il gioco, anzi il Giuoco. Che barba che noia vincere così. Come Allegri. Aggiungo: come Trapattoni, come Lippi, come Capello, come Conte… Sì, che barba che noia…
Non si sono accorti, gli “estetisti”, che abbiamo vinto noi, i “risultatisti” (e non fateli sparire, please, gli Adani, sennò con chi ci divertiamo?). E non hanno letto, i tikitakisti, guardiolisti, forse pronti a diventare rangnickisti, cos’ha scritto l’altro giorno Sacchi? L’Arrigo sta intelligentemente al vento e ha riconosciuto – lui che aveva caldeggiato l’ingaggio dell’intellettuale Giampaolo – la “modernità” di Pioli che ha cambiato il Milan da così a così. Pioli il Moderno, lo chiameremo (ma fatemi notare che il termine era molto in uso – grazie a Charlot – più d’ottant’anni fa…). E dunque, nel cielo della Juve, portato dagli angeli, è ricomparso per la trentaseiesima volta il mitico Verbo Bonipertiano: “Vincere è l’unica cosa che conta”.
Come ho avuto il piacere di notare giorni fa, ho colto al volo il cambiamento di Sarri – lui pure rinsavito – quando ha finalmente capito di non essere a Napoli, dove gli è stato consentito di creare una squadra bellissima, purtroppo non vincente, scoprendo e inventando valori ignoti (vedi per tutti Mertens) ma a Torino, dove accanto all’astro nascente Paulo Dybala hanno pensato bene di mettere la Superstar del secolo Cristiano Ronaldo. Eppoi, perchè e da quando la Vittoria è una noia? Mi ha scritto un amico: “Perchè molti critici italiani hanno esaltato l’ottavo scudetto consecutivo del Bayern, motore del calcio europeo, mentre li infastidisce il nono scudetto consecutivo della Juve?”. Lascio la risposta – troppo pepata – al comune pensiero. E a tutti quelli che stanno già imponendo ai bianconeri la conquista della Champions quasi per legittimare l’ennesimo scudetto che a Torino da centoventitre anni è considerato il massimo trofeo.
Dedico piuttosto ai miei amici una lettura elementare ma istruttiva dei perduranti successi juventini, dovuti sì a personaggi come Carcano e ai suoi già citati eredi ma soprattutto ai campioni. A parte l’apporto decisivo – come sempre – di Dybala, l’eroe del lunedì non è stato Carneade ma Cristiano Ronaldo, autore dei due gol che hanno abbattuto la Lazio e l’hanno portato a 30, come il miracoloso italianuzzo Ciro Immobile, il primo giocatore nella storia a segnare almeno 50 gol in Serie A, Liga (311) e Premier League (84), i campionati più importanti e difficili del mondo. (I francesi spaventati hanno abolito il Pallone d’Oro per non doverglielo dare…).
Per semplificare il racconto della storia juventina che ho vissuto invito a leggerla sugli Album Panini delle Figurine che guarda caso hanno scelto come marchio/immagine la favolosa rovesciata del difensore juventino Carlo Parola. E’ una storia di campionissimi che ho conosciuto e ammirato, a partire proprio da Parola che dopo una mia critica quand’era allenatore della Juve provò a zittirmi dicendo “guardi che io sono alla Juve dal ’39, quando lei è nato”. Mi dava dello sbarbatello, insomma.
Ma eccovi – in ordine alfabetico – alcuni juventini che mi hanno fatto scrivere migliaia di pagine…divertenti in tutti i giornali che ho frequentato. Non da “estetista” illuso ma da “risultatista” estasiato: Anastasi, Baggio, Bettega, Boninsegna, Boniperti, Buffon, Cabrini, Capello, Castano, Charles, Chiellini, Conte, Del Piero, Del Sol, Furino, Gentile, Haller, Ibrahimovic, Nedved, Parola, Platini, Rossi, Scirea, Sivori, Tardelli, Trezeguet, Vialli, Zidane, Zoff. Figurine? Figuroni!

PIOLI E IL SUO MILAN DA STANDING OVATION, MA IL CLUB HA SCELTO RANGNICK

Quelli che il calcio non lo guardano, non lo amano, non lo capiscono ne parlano però costantemente. Perchè – parliamoci chiaro, senza infingimenti – il calcio è una delle poche materie vive in grado di offrire spunti anche maliziosi alle conversazioni afflitte dai bollettini della protezione civile. E’ sopravvissuto al coronavirus, al ministro dello sport, ai neghittosi che volevano fare una lunga vacanza come se fossero impiegati delle istituzioni. Ha beffato i tremendisti che s’immaginavano caduti sui campi verdi e i furbastri che temevano di retrocedere non avendo lavorato anche col pensiero prima e durante il lockdown. Li guidava – poi si è ritirato – l’energico Cellino quando ha capito che il Brescia era già retrocesso a Natale. Adesso gli incompetenti allarmisti paventano contagi a Barcellona (sarà semmai il Napoli a studiare il modo di evitare una ripetizione di Valencia-Atalanta con coda tragica) o si lamentano dell’andamento barbanoioso delle partite, o ancora si ergono a difensori dei diritti dei tifosi calpestati dalle porte chiuse.
E da questo dettaglio prendo lo spunto per dire cosa ho pensato l’altra sera quando a San Siro il Milan prendeva a calci il Bologna mentre sugli spalti fiammeggiavano i colori sociali a imitazione del popolo rossonero. Quel popolo – mi sono detto – che se fosse stato presente in carne e ossa avrebbe dedicato a Stefano Pioli una standing ovation. Al Pioli ridicolizzato dalla società (finanziaria) che ha già ingaggiato tale Rangnick, vincitore di qualche coppetta dopo aver occupato quattordici panchine tedesche, neanche fosse Sarri che non in Italia, ma almeno in Inghilterra, s’è illustrato a dovere. E infatti vien da pensare che la Finanziaria Rossonera lo sogni vincitore costì, dove notoriamente il calcio è una passeggiata. Per la Juventus. Standing ovation per Pioli non per Ibrahimovic, come vorrebbe certa critica imbarazzata: Zlatan di suo ci ha messo nome, cognome, diminuitivo e prestanza storica. Il resto lo hanno fatto quei ragazzi che – con Çalhanoglu e Rebic – hanno confermato a suon di gol il trionfo del Milan post lockdown. Un Milan di cui più nessuno parlava se non per compatirlo.
E allora quel gruppetto di ventenni capeggiati da Donnarumma – dico di Hernandez, Calabria, Bennacer, Saelemaerks, Colombo, Leao (il ventunenne audacemente mandato a sostituire Ibra) – sogna di continuare a lavorare con Pioli che non li ha messi a nanna dopo il tampone.
Questa è la novità del campionato che non piace alla gente che non piace: c’è chi, in attesa della Liberazione, ha lavorato seriamente e ci sta offrendo i risultati della serietà, non delle chiacchiere care agli opinionisti allo sbaraglio. Ho detto di Pioli, aggiungo Gasperini con quell’Atalanta gagliarda tuttavia fermata solo da quello Juric che ha galvanizzato il Verona; e De Zerbi (lo seguo curioso dai tempi del Benevento) che studiando calcio ha creato il Sassuolo macchina da guerra.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

I RIGORI “REGOLAMENTARI” SONO UN INSULTO AL CALCIO

Ci si teneva su com’era possibile, durante il lockdown. Anche con le bugie pietose. Tipo: domani saremo tutti più buoni. E più bravi. Tutto al contrario. Non sto a dirvi quello che già sapete. Mi limito al mio campo. Nonostante gli arbitri, siamo tornati a giocare alla grande, alla faccia degli scontenti e di tre club – Brescia, Torino e Inter – che fino all’ultimo hanno invocato la sentenza Macron, tutti a casa e niente calcio, per nascondere i guai e i ritardi e la confusione. Sabato sera, ad esempio, è andata in scena la partita più bella dell’anno, grazie alla superba Atalanta che ha trovato nella Juventus lo sparring partner adeguato almeno grazie a Dybala e Ronaldo, gli unici che Sarri non può distruggere e tentano sempre di vincere. Ma una partita così non meritava di finire con un risultato non…legalmente ma sostanzialmente falso, la verità contraffatta da un regolamento ridicolmente rimaneggiato come certe donne appena uscite dalle mani del chirurgo plastico che gli ha stravolto i connotati come se fossero Diabolik in fuga. Quei rigori “regolamentari” sono un insulto al calcio, anche per la Juve che…se ne intende: in Champions, con il Real, dovette subire un discusso rigore comandato allegramente dall’arbitro Oliver che Buffon giudicò con parole alate: “Non so se lo ha fatto per un suo vezzo e per mancanza di personalità’, ma un essere umano non può decretare così l’uscita di una squadra. Uno così al posto del cuore ha un bidone d’immondizia”.
Già: i rigori c’erano, almeno secondo il regolamento contraffatto dai nuovi manovratori; la vergogna è dovuta alla plateale inconsistenza del primo e alla leggerezza del secondo. Ho rammentato, per l’occasione, quel che successe al Mondiale di Francia nel ’98. Eravamo a Bordeaux, 11 giugno, per Italia-Cile: cominciammo bene, vantaggio con Bobo Vieri, ma Marcelo Salas (colui che impedì allora alla Juve di comprarsi Ronaldo) ci bollò due volte; ci salvò Robi Baggio con un’intuizione disperata: all’85’, sull’1-2, rubò palla al difensore Fuentes e, restando in area, gliela sparò sulla mano, fallo evidentemente involontario che tuttavia l’arbitro nigeriano Bouchardeau allegramente accordò. Robi realizzò il rigore e andammo avanti senza vergogna. Non sapevamo che quella gherminella sarebbe diventata regola, allora convinti che se era possibile l’errore, sempre – arbiter humanus est – era impossibile convertirlo in norma. Gli arbitri sono allo sbando, la VAR li ha depotenziati, ormai affrontano il match secondo norme che spesso – come quest’ultima sui falli di mano – non condividono. E sento dire che il signor Giacomelli, colui che ha concesso i rigori, è inconsapevole vittima della norma “aggiornata”. M’aspettavo da lui una prova di coraggio, un istintivo…aggiornamento: no, questo rigore non lo do. Sarebbe stato bello. Credo che avrebbe fatto un figurone anche la Vecchia Signora afflitta dai… rigori di stagione.

ALLA RICERCA DELL’INTENSITA’

Fra il Tikitaka e l’Intensità, ultime tendenze del calcio europeo, ho preferito la sublimazione del Sergente di Ferro a Manipolatore di Spiriti, voluta da Conte alla Juve, agli automatismi di Guardiola al Barca non solo noiosissimi ma strettamente legati ai protagonisti. Shakespeare è Shakespeare – come il calcio è il calcio – ma l’Amleto di Gassman è ben diverso dall’Amleto di Albertazzi (che ho preferito per intensità di sentimento più che di mente, di cuore più che di voce). Le formule da enciclopedia s’azzerano senza Messi o Iniesta, la sostanza tecnica può essere elaborata da una intelligenza. Per dire, l’ultimo grande tecnico straniero approdato in Italia, Josè Mourinho, è stato osannato per aver esaltato il contropiede grazie a un gruppo di campioni, come mezzo secolo prima Helenio Herrera, e non ha preteso di avere reinventato il calcio, ha solo vinto, alla faccia di chi canta “bisogna saper perdere” per giustificare proprie carenze.
Immagino che qualche opinionista alfabeta – voglio dire lettore – possa contestare l’assenza da questa nota del Sarrismo ma sono sicuro che di questa passioncella resterà traccia solo nella Treccani visto che l’ex Comandante è diventato a pieno titolo l’Allenatore della Juve solo da poco, da quando ha accettato l’esistenza di Ronaldo, di Dybala, di Douglas Costa, di Cuadrado e esaltato le qualità di Bentancur che non era certo nato per diventare il cuore della Signora; per aver fatto il suo dovere, risultando il creatore dell’Amalgama che si chiama squadra, a Sarri dopo le sviolinate gli han dato dell’inutile. Ma si sa, a volte certe critiche sono attestati di stima.
Dicevo dell’Intensità: a Milano non s’è vista, forse è stata una libera scelta per non juventinizzare vieppiù un’Inter già costretta a consegnare la guida tecnica e aziendale a due “nemici”; forse per liberarsi dell’ironia di quei critici che si sono ridotti a celebrare Conte solo per i successi conseguiti a Torino e a Londra chiedendogli una terza via che l’Inter non frequenta, abituata agli altari o alla polvere. L’Intensità – intesa come laboratorio dove si riaccendono le vocazioni spente – avrebbe certo giovato a Gagliardini, oggi infamato dai suoi supporters instupiditi dal virus, ma soprattutto ai due Scandalosi, l’Eriksen mai acceso e il Lautaro Innamorato. Non dell’Inter.
C’è anche un’altra spiegazione più intima alla sparizione dell’Intensità: forse l’inventore si è sentito cresciuto al punto di non aver bisogno di gherminelle, “io sò io” eccetera: seppoffà. Ma il così radicale ripudio mi ha fatto ricordare una storia antica: il Fulvio Bernardini che giocando sui ruoli di Magnini, Chiappella, Segato e soprattutto di Prini, reinventato ala tornante, fece vincere lo scudetto alla Fiorentina e entusiasmò Brera che lo chiamò Dottor Pedata e gli propose di schematizzare quell’escamotage fiorentino restando poi deluso dal “no” dell’interessato al quale non garbava essere istruito da chicchessia, neanche dal Gioànn; tant’è che ott’anni dopo s’inventò il terzino Capra ala sinistra nello spareggio con l’Inter e beffò il Mago monostile. Me ne parlava sempre, fino a pochi mesi fa, Mariolino Corso, vittima di quel trucco, per infierire su Herrera che ogni anno ne chiedeva la cessione. Voglio dire che con un tocco di modestia e ironia l’attuale leader tecnico dell’Inter potrebbe ripristinare il regime dell’Intensità in una squadra che spesso si perde – fateci caso – dopo l’intervallo, al contrario di quanto succedeva alla Juventus.
C’è chi di questo spirito che aiuta psicologicamente il recupero delle energie fisiche sta facendo mostra: è Gasperini, non più attratto dalle formule numeriche che spiacquero all’Inter ma dal cocktail di tecnica e sentimento che suggerisce battute sull’Intervallo Bergamasco, laboratorio di volontà e generosità per calciatori che esprimono in particolare il talento della modestia e dell’ubbidienza. Non è imitazione dell’intensità, questa, è qualcosa di più: è Atalanta. L’attendo, curioso, alla prova Champions. Chissà…