La Barba al Palo di Italo Cucci

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SARRI E LA RISATA DA…SCUDETTO. MUSA&MUSA, CHE SPETTACOLO IL BOLOGNA

Una risata di Sarri può valere lo scudetto. Chi l’ha colta,
solare, serena, dopo il successo sul Toro con le firme di Dybala e
Cristiano, non ha dubbi: il matrimonio sempre rinviato con la
Signora si può fare. Perchè l’apprendista stregone che ha girato
mezza Italia per imporsi creativo se non creatore, ha finalmente
capito che il suo mestiere è un altro: il calcio l’hanno già
inventato e anche l’ultimo spacciatore di sublimi novità, il
Guardiola del TikiTaka, ha accettato l’incontrovertibile realtà,
la partita la fanno i calciatori e più forti sono più è godibile
il risultato, per qualità e quantità. C’è qualcuno che gli
contesta una resa a Ronaldo e a Dybala, facendo intendere che il
Sarrismo è finito; la resa è avvenuta, è incontestabile, ma è
semplice dimostrazione d’intelligenza che già era stata rivelata
dalla volontà di Sarri di tenersi il Dybala che Nedved e Paratici
volevano cedere: Paulo, reduce dalle molestie tattiche di Allegri,
gli è stato grato e ha subito partecipato con entusiasmo alla
manovra e non solo, ha tolto il contatore al sinistro e ha
moltiplicato i gol più belli di questa stagione avvilita dalla
pandemia. Ecco cosa voleva dire quella risata del sor Maurizio
dopo aver stracciato il Toro: ecco i miei ragazzi, che fortuna
poterli allenare, grazie Juve.
Un grazie alla Signora possiamo dirlo anche noi, ci ha fatto
divertire, ne avevamo bisogno. E già la domenica ci aveva
riservato un’Inter che ancora non s’è…sposata con l’allenatore.
Non ci fosse Lukaku il Generoso, sembrerebbe una mal riuscita
macedonia di talenti e fusti, tanta tecnica e tanta forza mai
amalgamate anche per il continuo aggiornamento (non dico
rafforzamento) della rosa e della squadra. Vedi cursori
velleitari, muscolari stanchi, non c’è squadra neanche quando
Lukaku apre la strada al successo. Eppoi, il caso Lautaro che si
sposa perfettamente – senza i toni polemici dovuti a Wanda – con
il caso Icardi. Vuole il Barcellona? Dateglielo. Ma con tutti quei
milioni che può procurarvi il Toro non andate subito a cercare un
altro Eriksen improduttivo, cercate qualche giovane talentuoso,
anche se forse questo non piace a chi ha venduto Zaniolo. Sono
sicuro che Zhang e i suoi fratelli sarebbero d’accordo a
continuare investimenti non a fondo perduto.
Il giudizio negativo sulla Beneamata che tiene in sofferenza
milioni di tifosi non toglie un nulla alla bellissima prestazione
del Bologna di Mihajlovic. Sinisa ha dato lezione di calcio
all’Inter con due ragazzi stupendi, Barrow e Juwara – Musa & Musa,
che spettacolo -, nonostante i rossoblù fossero rimasti in
dieci…Il colpo di bravura decisivo è stato nelle felici
sostituzioni che hanno colto con precisione il calo dell’Inter
consentendo a Mihajlovic di giocare un’altra partita. Decisivo.
Magistrale. Stupisce dell’Inter – discorso da approfondire – la
totale assenza del reclamizzato spirito del suo tecnico: dov’è
finita l’Intensità?
(ITALPRESS).

SOSPETTI E ACCUSE PER ATALANTA E LAZIO MA FANNO PARTE DEL GIOCO

Tema all’esame di Immaturità: “Quanto corre l’Atalanta, quanti rigori danno alla Lazio. Perchè?”. Svolgimento.
Circola la classifica delle decine di virologi e affini apparsi in tivù nei cento giorni del nostro scontento. Molti, inconsciamente o sciaguratamente, hanno influito sul decorso del coronavirus. Alla ricerca di untori o avvelenatori, secondo la crescente passione dei socialitalici che invocano capri espiatori evitando di esaminare se stessi. Nel calcio l’avvelenatore esiste da sempre, è colui che semina sospetti per far sapere che esiste. S’è appena confessato a “Un giorno da Pecora” con lo spirito amaro di chi non ha mai vissuto un giorno da leone. Si chiama Zdenek Zeman, Zdengo per i comici, “il Boemo” per chi l’ha ereditato – giovane e rampante – dallo zio Cestmir Vycpalek detto Cesto, un gentiluomo che Boniperti volle alla Juve. La Signora era amata da Zdengo che tuttavia se ne servì per avere notorietà: disse che i bianconeri correvano troppo. Etcetera. E fu scandalo. Era l’agosto del ’98. Ventidue anni dopo, a domanda sulle ultime battute di campionato, lo sventurato rispose: “L’Atalanta sta correndo molto, e stranamente, visto che viene da Bergamo. Stranamente perchè coi problemi che c’erano a Bergamo pensavo che non avessero molto tempo per prepararsi e lavorare”.
Lo stile è l’uomo. Verrebbe voglia di rispondergli picche, non per l’Atalanta che ha provveduto al da farsi, sottolineando il macabro e irrispettoso riferimento ai morti di Bergamo appena onorati da Mattarella, ma per il costante tono diffamatorio del tecnico che in tutta la vita di perdente ha accusato di scorrettezze i vincenti. Ora dice che è stato tutto un malinteso, ma è un’abitudine: anche Zeman, così com’è, fa parte del gioco, prendiamolo con la sua maschera da sfinge, la sua voce da tenebroso, il suo dire da scettico blu, involontario protagonista del Gioco dell’Oca pallonaro che lo rimanda sempre indietro con le sue idee tecniche strampalate, le sue campagne d’odio che nel tempo lo hanno allontanato dall’attività professionale facendolo diventare macchietta del gossip. Se non ci fosse dovremmo inventarlo. Come i raffinati opinionisti che sanno comunicare agli appassionati un perfetto profilo tecnico della Lazio arrembante, unica avversaria possibile della Juve prepotente: “E’ la sublime creatura di Lotito, ci pensa lui, altro che Inzaghi: quindici rigori a favore…”. Al più stolto degli opinionisti basterebbe un colpo d’occhio per cogliere la diversità, meglio: l’originalità del gioco di Lazio e Atalanta, che non approfondiscono, trovando più facile attribuire a Simone la efficacia della scuola di Sven Goran Eriksson detto “Svengo” e a Gasperini il ruolo di allievo di Galeone, che se uno conoscesse Galeone lo direbbe maestro di vita, non di calcio, salvo essersi sbagliato con Giampaolo, ma ci sta.
A coprire i danni della Zemanite (sorta di kriptonite dei poveri) ci ha poi pensato la Var impazzita che qualcuno aveva suggerito di evitare in questo periodo. In verità c’è chi la evita, vale a dire certi arbitri che dall’uso personalissimo dell’ormai più che discusso strumento nato – dicevano – per portar pace non sanno che farsene, spadroneggiando sui campi in maniera tale da evocare l’Eterna Nemica: la Sudditanza Psicologica. Buon divertimento.

NON E’ UN CAMPIONATO MALATO, UN GRAZIE AI GIOCATORI

Non è un campionato malato. Anzi. Il pallone ha allontanato la pandemia, e non solo: gli stadi vuoti in cui si gioca il torneo, ogni squadra sul suo campo, danno anche una quotidiana lezione di saggezza e disciplina al resto del Paese, rispettando le regole imposte dai ministri (che portavano addirittura ad esempio gli ultras contrari alle porte chiuse) e dalle commissioni mediche che non riescono, al contrario, a governare la fine del lockdown in alcune regioni. C’è qualche mini assembramento, sui campi verdi, giusto l’abbraccio del dopo gol. Abbiamo tremato dopo la folle notte napoletana della Coppa, il popolo contro il destino. E forse ha vinto. Come a Liverpool, vittoria e follia trent’anni dopo. Altrove, a Torino, Milano, Lecce, Firenze, Bologna, Bergamo, ovunque s’è giocato s’è notato il pieno rispetto delle regole. Scusate se ci tengo a precisarlo: per qualche sciocco (Gravina parlò di mecenati e cialtroni) sembrava che noi calciofili volessimo incentivare la pandemia, addirittura s’era deciso di bloccare un’intera squadra anche per un solo caso di positività. Ci hanno ripensato, i sapientoni, hanno addirittura scoperto che l’Uomo Tedesco non è più forte dell’omarello Italiano: loro hanno giocato per primi, ci hanno aperto la strada, tutta l’Europa gioca tranne la Francia piegata dalla paura. Napoleone e De Gaulle si girano nella tomba!!!
Battute a parte, non s’è visto niente di nuovo o negativo neppure sul piano tecnico. L’unico pesante assembramento – quello delle 124 partite da giocare in pochi giorni – ha confermato l’indicazione di Fabio Capello che disse “sarà come giocare un Mondiale”. Chi l’ha fatto lo sa. Eppoi, che novità? L’Atalanta bella e terribile che demolisce anche la Lazio? La Juve incerta ma vincente? L’Inter ancora priva d’identità e già scatenata sul mercato nella speranza che spendendo duecento milioni in giocatori si vince? Non ricordate quanto spese Moratti prima di arrivare a quel Triplete che oggi è più un incubo permanente che un sogno di vittoria?
Sono poche le squadre compatte: l’Atalanta bellissima che – dice Gasperini – potrebbe giocare anche senza allenatore; il Napoli dominato dal buon senso di Gattuso che riesce a portare il sereno dov’era tempesta, ottiene gol da Milik che vuole fuggire e da Callejon che deve andarsene, e la sua è una storia strappacore degna del melodramma partenopeo; il Sassuolo e il Verona, protagonisti di una bella sfida, costruita da De Zerbi il guardiolesco e Juric il kloppiano (oso) che hanno firmato una rocambolesca impresa; e la Juve ch’è sempre la più forte e ha solo pagato qualche velleità avventurosa di Sarri: in bianconero la differenza la fanno i campioni, Ronaldo sempre, anche quando lo coinvolgono in scelte cervellotiche, Higuain appena gli si offre il destro, Dybala sempre… col sinistro che Giove Palla gli ha dato non solo per vincere ma per allietare i calciofili veri, indipendentemente dai colori della loro passione.
Vogliamo dirgli grazie, a questi ragazzi che si sono preservati dalla pandemia – anche soffrendola, talvolta – per darci quel sorriso che ci è mancato per cento giorni?

ALLA FINE VINCE LA SQUADRA CHE HA I MIGLIORI

Ho smesso da un pezzo di scrivere “coccodrilli”. Sono amici che se ne vanno, spesso, e li accompagno con una preghiera lasciando insieme a loro un pò di vita. Questo maledetto periodo ha tuttavia una feroce voglia di non finire anche quando il gioco azzarda un sorriso. O una folle notte di festa napoletana che la forza del destino sembra aver consentito e perdonato. Sì, le partite si giocano, come sempre, non ho visto tracce dell’annunciato Nuovo Calcio; si notano, di nuovo, le continue commemorazioni che aggiungono lutto e dolore al silenzio giustamente dedicato agli eroi della sanità o, come a Bergamo, a una città del sacrificio ricordata in lacrime come un tempo – c’era la guerra – si scoprivano solo macerie e morti dopo i bombardamenti.
Se n’era andato Pietruzzo Anastasi, a gennaio, prima della peste, e via via in queste ore abbiamo dovuto salutare Gigi Simoni, Mario Corso, Pierino Prati: Gigi che aveva giocato con Meroni, Mariolino l’artista che divideva la fascia con Giacinto Facchetti, Pierino il bomber felicemente diviso fra due squadre “capitali”, Milan e Roma, fornitore di gol sorridenti. I miei “vecchi ragazzi” insieme ai protagonisti di Italia-Germania 4-3 hanno ampiamente rivalutato i grandi solisti proprio mentre si dibatte sulle virtù o i vizi degli allenatori come se i risultati li facessero loro, anzi, solo le vittorie perchè le sconfitte sono sempre altrui. Loro che s’accompagnano al “tattico” e dissertano – tranne Allegri – di 4-3-3, 4-2-3-1, 3-4-3 e altre fanfaluche. Fabio Capello, che non è un modesto, anzi, suggerisce il 9-1.
Ho sentito che la Juve di Sarri è andata avanti solo grazie ai suoi Divi, Ronaldo e Dybala; la vittoria di Bologna diventa addirittura una sconfitta del tecnico che ha dovuto rinunciare a CR7 centravanti rimettendolo al suo posto per sua scelta – dicono; io dico che ha fatto solo il suo dovere, come sempre i grandi allenatori, esclusi quel Pozzo che rinunciò al Bernardini nel Mondiale del ’38 (che vinse), quel Valcareggi che rinunciò a Rivera nella finale del Mondiale del ’70 (che perse) e al mio vecchio amico Carniglia che dava spettacolo al Real Madrid con Di Stefano, Puskas e Gento: vinse una Coppa dei Campioni tenendo in panchina Puskas nella finale e Santiago Bernabeu lo esonerò. Vale la pena ricordare che Nereo Rocco, anche per evitare polemiche dopo aver scelto, aveva creato una commissione interna nella quale Cudicini e Rivera avevano peso.
Tutto questo rende come minimo banale la risposta di Sarri agli opinionisti (termine detto con un certo disprezzo che condivido quando si riferisce a dilettanti allo sbaraglio invadenti l’etere) quando segnala che nonostante le critiche la Juve è prima in classifica: in genere sono uno di quelli che fa pronostici – anche se spesso sbagliando – dopo aver letto la formazione, e la rosa, perchè come dice il popolo vince la squadra che ha i migliori. E il tecnico che li sa usare. Allegri sapeva, Sarri sta imparando. Mister vincenti come Trapattoni, Ancelotti, Lippi, Capello, lo stesso Allegri, non hanno mai cercato di oscurare i loro grandi giocatori. I campioni. Parola di critico non opinionista..

CAPELLO “RONALDO GIOCHI DOVE PUO’ DARE IL 100%”

Si rigioca, finalmente, ma per il primo valido discorso tecnico ricomincio da…ieri, dalla finale di Coppa Italia e relativo strascico di trionfalismo e depressione che vanno oltre il successo del Napoli sulla Juve. Sembra incredibile (per l’Europa è incredibile) che in Italia si discuta di Ronaldo come fosse un pischello perchè un Sarri allo sbaraglio lo ha “scoperto” centravanti. Chiedo a Fabio Capello un commento sintetico: “Un calciatore come Ronaldo deve giocare dove può dare il cento per cento secondo quello che hanno già detto la sua storia, i suoi gol, le sue vittorie, la sua età”. Amen.
Se non ci fosse di mezzo l’emergenza Juve, la ripresa del campionato potrebbe sembrare in linea con le storie di prima del coronavirus. Torino-Parma ribadisce le difficoltà soprattutto psicologiche dei granata che coinvolgono anche Belotti (un rigore sbagliato), quasi a dar ragione a Cairo, il presidente impaurito che voleva fortissimamente – insieme a Cellino – l’annullamento del campionato per evitare il rischio retrocessione.
E Verona-Cagliari che conferma non solo le difficoltà di Zenga con un gruppo depresso dopo l’addio di Maran ma soprattutto la grande stagione di Juric, ormai definito il miglior allievo di Gasperini per la vivacità del gioco offensivo tuttavia equilibrato da una difesa mobile fra Formula Tre e Quattro. E di Gasperini riparleremo con calma…Non nascondo – ma era più che prevedibile per gli osservatori sereni, meno per i catastrofisti – che questa tormentata ripresa ha ancora conti in sospeso con la pandemia. L’esplosiva finale di Coppa Italia ha recuperato l’atmosfera del Grande Gioco ma non la sostanza fisica – la lunga sosta ai box si sente eccome – mentre l’impresa di Gattuso ha fatto rumore quanto la dèbàcle “napoletana” di Sarri per ragioni soprattutto tecniche. Un conto è partire dal Cuore Azzurro, giustamente celebrato, un conto prender nota delle giuste scelte del “giovane” Gattuso (formazione, difesa super organizzata secondo natura italica, sostituzioni perfette in stile Lippi, rigori senza complessi) davanti agli errori del “vecchio” Sarri che ha giustamente fatto ricordare ai critici la sua lunga milizia sui campi minori – arricchita dei relativi successi – che tuttavia non gli ha fornito, anche dopo Empoli, Napoli e Chelsea, un’esperienza totale.
Come dicevo, chi crede di poter ancora insegnare qualcosa al trentacinquenne Cristiano Ronaldo, 1003 partite in carriera, 727 gol, probabilmente ha tratto un’idea folle dall’emergenza chiedendogli di giocare da centravanti perchè l’unico di ruolo, Higuain, non è ancora pronto…L’invenzione che ha dato lustro alla carriera dell’anonimo Sarri ha sempre a che fare con il ruolo di centravanti, ma ha un altro nome, Mertens diventato “Ciro il Grande” a suon di gol fino a superare Maradona. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

ITALIA-GERMANIA 4-3, IL MIO RICORDO DI QUELLA NOTTE

Cosa dire di Italia-Germania 4-3 dopo cinquant’anni? Emozione immensa, come dopo Italia-Germania 3-1 dell’82. Almeno per me. Ma a Madrid, al Bernabeu, diventammo Campioni del Mondo, e sentii il mio caro Nando Martellini cantare la vittoria come non gli era riuscito all’Azteca di Città del Messico. E tuttavia nello stadio messicano c’è una targa che ricorda in più lingue “La partita del secolo”. Andai a vederla, nell’86, proprio con Nando che purtroppo finì lì il suo canto azzurro non per avere irritato un guardalinee africano, come Nicolò Carosio nel ’70 che se ne andò passandogli il microfono, ma per un malessere banale. E subentrò Pizzul. Dettagli, direte; eppure la storia degli uomini a volte vale più dell’evento. E fu l’umanità, a trionfare, dopo quella clamorosa rete di Gianni Rivera che chiuse “el partido del siglo”, la folle danza del gol cominciata con la rete non voluta di Schnellinger, al 92′: il tedesco del Milan era pronto per uscire sconfitto, colpì il pallone senza convinzione, Albertosi e Rivera fecero casino in porta, pareggiò e portò tutti ai supplementari. Compreso quel Beckenbauer eroe teutonico che giocò con un braccio al collo. Ah questi tedeschi – si disse; ma vincemmo noi, italianuzzi stortignaccoli.
Alla fine – dicevo – grande festa di uomini: l’Italia impazzì, il popolo scese nelle strade come mai prima, almeno cantando vittoria e pace, e comparvero le bandiere che l’Italia ufficiale non amava, tant’è che se ne videro con lo stemma sabaudo, roba da patrioti, da nostalgici, da italiani d’antan. Non aggiungo altro se non una considerazione politica: adesso leggo solo commenti entusiasti, per quella folle sbandierata, firmati anche da odiatori di quel tricolore, ma non stupisco, è il solito soccorso ai vincitori, è cosa da italiani. Brera s’era già inventato un pensiero su misura del Guicciardini, “non fidarti mai delli italiani” e fu proprio lui, quella sera, a non immaginare la reazione del Bel Paese al gol di Rivera, il suo “abatino” messo in squadra a fatica perchè il dirigente Walter Mandelli, industriale metallurgico, aveva imposto a Valcareggi Mazzola.
Dal mio diario – che non è un quaderno ma l’archivio delle storie scritte e pubblicate – la pagina tecnica di quella notte. Finì Italia-Germania e arrivò la chiamata di Gianni Brera dall’Azteca: “Fra poco trasmetto il pezzo, ma non date di matto anche voi. Gridano tutti “che spettacolo!” ma questo non è calcio… Vi do una battuta di Rocco per i titoli: “Danke Schoen”, il tedesco ha sbagliato tutto…”. Sì, grazie anche a Helmut Schoen, ai suoi vistosi errori tattici, l’Italia aveva vinto la sfida che sarebbe passata alla storia; e chi glielo diceva, a Brera, che dalla Redazione del “Guerin” – piazza Duca d’Aosta – si vedeva già una folla festante davanti alla Stazione Centrale di Milano e che la radio dava notizia di feste in tutta Italia, isole comprese? Giuan avrebbe scritto pagine dense d’emozione e d’ironia con dettagli taglienti tipo “il calcio giocato confuso e scadente sotto l’aspetto tecnico-tattico… Sotto l’aspetto agonistico e sentimentale una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare, in quanto di calcio poco ne san masticare…”. Bè, un intero popolo di competenti (siamo o no il Paese di 60 milioni di commissari tecnici?) si esaltò per quel successo che a Brera non piacque – dissero i maliziosi – perchè il gol della vittoria l’aveva segnato Rivera, l’odiamato Abatino. E invece era un momento storico per il dibattito calcioculturale fra difensivisti del partito Brera e i qualunquisti del partito Ghirelli, che continua oggi anche se in toni meno ideologici. Io ero l’unico riveriano nel giornale di Brera ma mi lasciai convincere al pensiero catenacciaro. Con giudizio, però. Tanto che per quel 4-3 tornai qualunquista. Ma lucido. Bastarono poche ore per rovesciare in rissa la festa. All’onorevole – in senso buono – Ferruccio Valcareggi, l’allenatore che aveva vinto il primo (e unico) Europeo, imposero ancora la staffetta Mazzola-Rivera: Gianni non avrebbe giocato la finale con il Brasile. Ogni volta che ho incontrato Pelè, in America e in Italia, siamo finiti lì, su quel dettaglio che ancora mi brucia, e lui, serenissimo: “Sandro e Gianni nel mio Brasile avrebbero sempre giocato insieme”. Comunque in finale fummo battuti, e O Rey segnò dopo Boninsegna quel gol volando nel cielo e restandovi appeso. A Rivera furono concessi gli ultimi quattro (?) minuti, quasi una chiamata di correo. E fu scandalo. In Italia fu polemica feroce. E quando la Nazionale rientrò a Roma fu accolta a pomodorate. Dalla bandiera tricolore di quella notte felice a una sorta di “caprese” con mozzarella, pomodoro e basilico. Sic transit gloria mundi.

SARA’ NAPOLI-JUVE E CI SARA’ DA DIVERTIRSI

E così è Napoli-Juve. La Signora non ha molti amici ma in finale l’aspettavano il nemico storico – l’Inter – e il più recente, il Napoli, il più pericoloso perchè non si nutre di odio…atavico ma di rabbie nuove: uno scudetto impossibile, un Pipita “traditore”, un Sarri revisionista agnelliano. Ci sarà da divertirsi. Calcisticamente parlando. Gattuso contro Sarri, l’operaio contro il geometra aspirante architetto. Ringhio alza una bandiera nuova di zecca, il perfezionamento del suo pensiero: il gol che ha demolito l’Inter, un contropiede micidiale quanto elegante, Insigne in passerella nella versione più bella – io gioco con voi, per voi, slogan dei grandi – Mertens a firmare la storia con un gol secondo i canoni di Liam Brady – posso andarmene ma non vi tradisco.
Bè, dopo il Coronavirus non m’aspettavo tanto: vigore fisico e morale insieme, sublimazione di un calcio che i disfattisti non volevano restituirci. Non posso ignorare – elogiato Mertens che gioca e segna senza contratto – l’altra faccia della medaglia, quella sbattuta in prima dalla Gazzetta: “Lautaro in Barça”. C’ero arrivato anch’io – non ci voleva un genio – ma non avevo…osato disturbare i conduttori dell’Inter perchè il discorso non finisce lì, s’aggancia al passato che è stato scioccamente ignorato: non ricordate che Lautaro era il miglior amico di Icardi, quello che, mentre i croati gli facevano la guerra, invitava il Maurito degradato (con Wanda) alla festicciola casalinga? Ecco, non volevo disturbare i manovratori sconfitti anche per carenza di bomber (Lukaku verrà…) rammentandogli di aver rinunciato a Icardi per un piatto…di caviale. Ne parlo adesso, ma in fretta. Temo che ci sarà tempo – tanto tempo – per riparlarne. Adesso i manovratori nerazzurri avranno il loro daffare con i social scatenati e velenosi cui in passato hanno chiesto aiuto. Ho trovato due tweet divertenti, non offensivi, il primo dedicato a Marotta (DNAahahahahah) che introduce il secondo, l’orologio che segna – al gol di Mertens – 3303 giorni, 0 minuti e 17 secondi dall’ultimo trofeo vinto il 29 maggio 2011 battendo il Palermo 3-1 in Coppa Italia (2 gol di Etòo, uno di Milito, allenatore Leonardo, se ben ricordo, quant’acqua e quanti tecnici sotto i ponti…). E quelli che invocano Spalletti?
E adesso un consiglio a Gattuso: non dare retta a chi ha descritto una Juve in ritardo e un Ronaldo ancora fuori fase, è solo un tranello per te. La Signora Omicidi è in agguato. Quasi perfetta. Le manca solo un pò di cuore.

ECCO LA JUVE, RIPRESA CON FINALE DI COPPA ITALIA

Ecco la Juve: vittoriosa allo Stadium nell’ultima partita di campionato con l’Inter, vincente anche con uno zero a zero grazie all’1 a 1 dell’andata a San Siro. Non appagati dalla ripartenza, emozionante con quella dedica ai sanitari eroi, volevamo anche un gol di Dybala. E’ mancato ma non trovo accenti critici per il ragazzo che si è presentato allo Stadium per dire lui, per primo, che il Coronavirus si può sconfiggere. E’ andato tutto bene. Non è mancato niente, non il pubblico, forse Ibra che avrebbe dato il solito contributo allo spettacolo. E’ andato tutto bene: squadre all’altezza dell’attesa, dunque più Juve che Milan in un confronto classico fra l’italiana più titolata in casa, quella più ricca di trofei mondiali: i rossoneri ridimensionano la Juve con le loro sette Coppe dei Campioni. Una rivalità elegante, vorrei dire, non rabbiosa come quella fra Juve e Inter se si esclude quel gol negato a Muntari che rivelò il cinismo di Buffon.
Si capisce che tutti hanno lavorato abbastanza, non risultano giocatori scarichi o stanchi e mi piace ringraziarli, ripagarli di stima dopo che molti – durante il lungo dibattito sul giocare o no – li avevano trattati da signorinelle pallide. Cristiano Ronaldo, mostrando spesso su Instagram la corazza perfetta, li ha rappresentati al meglio. Anche in campo. Anche se ha spedito sul palo il rigore giustamente concesso da Orsato al 15′. E’ andato tutto bene anche perchè il giusto rigore realizzato avrebbe trovato fra gli untori che impestano questa delicata situazione del calcio i soliti accusatori dei bianconeri favoriti dagli arbitri: il fallo di mano di Conte s’è visto ma Orsato ha voluto celebrare al meglio la Ripartenza facendosi soccorrere dalla Var. E l’espulsione di Rebic? Giusta anche quella. Peccato fosse l’unica vera punta del Milan. Almeno secondo Pioli. Che ha approfittato penso disperatamente delle sostituzioni, arrivando a proporre anche il diciottenne Colombo, più speranza che altro. Non come Donnarumma, in concreto forse il vero protagonista del match con due preziose parate. No, il confronto di Coppa non s’è fatto mancare nulla. Aggiungiamo l’espulsione di Rebic? Giusta anche quella. Peccato che il croato fosse l’unica vera punta per Pioli. Credo che i rossoneri non abbiano molti dubbi sulle mosse di mercato.
Cosa dite? sono mancati i gol? Mi verrebbe da dire: mancava l’Haaland con il quale gli organizzatissimi tedeschi hanno dato il via al loro neustart. Ma soprattutto la Juve non s’aspettava di ritrovare il Milan tosto dell’andata. E a un certo punto, con l’aria che tira, s’è accontentata di andare in finale con lo 0 a 0. Niente abbracci, niente abbracci. Ma l’unica cosa che conta è sempre vincere. Anche così. La Juve è la Juve…