La Barba al Palo di Italo Cucci

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ITALIA ’90, RICORDO DELLE NOTTI MAGICHE 30 ANNI DOPO

Dopo trent’anni, di quel Mondiale ho scoperto che mi è rimasta solo rabbia. A quel tempo no, solo malinconia. Perchè fu l’unica volta, nei miei quindici mondiali, che seguii l’evento non da cronista ma da manager. Neanche da tifoso, perchè c’ero dentro e non riuscivo a cogliere dal mio amico Azeglio, o nel ritiro di Marino, ai Castelli, lo spirito dell’Ottantadue, neanche quello dell’Ottantasei messicano, dove mi trovai alla ricerca del tempo perduto dal Vecio Bearzot nel voler premiare con un viaggio esotico la fedeltà dei suoi prodi, dimenticando di creare uno spazio nuovo per i virgulti. Gli sforzi di Luca di Montezemelo fecero del Novanta un evento mediatico senza precedenti al quale partecipai nell’Introduzione creando un evento nell’evento, una sorta di racconto dei Mondiali italiani, tre vinti in semplicità e tempi difficili, portando l’Azzurro in giro per le città dove si sarebbero giocate le partite, con dibattiti ad alto livello condotti dal giovane Enrico Mentana. Poi cominciò il calcio, finalmente, con la Nazionale che ci parve la più bella. Vicini aveva ereditato la panchina da Bearzot con il quale era stato in contrasto fino all’ultimo, nonostante fosse il suo primo collaboratore tecnico. Fin da Spagna ’82, quando l’aereo dei vincitori offerto da Pertini lasciò a terra solo lui, l’Azeglio, colpevole di essersi defilato nei giorni difficili, abbandonato anche da quei critici che in odio al Vecio lo avevano adulato; poi a Messico ’86 dove il divario di idee si risolse in un divorzio sostanziale che lasciò vicino a Bearzot solo Cesare Maldini, destinato a guidare l’Italia solo otto anni dopo, al Mondial di Francia dopo il fallimento di Sacchi a Usa ’94.
Le convocazioni di Vicini erano dettate dagli ottimi risultati ottenuti con l’Under 21 nell’84 e ’86 e dall’inserimento fra quei giovani di talento di alcuni campioni “eletti” dal campionato. Tre portieri di qualità – Pagliuca, Tacconi e Zenga – forse per la prima volta di pari grado, una difesa a prova di bomba con lo “zio” Bergomi, Franco Baresi, Ciro Ferrara, Riccardo Ferri, Paolo Maldini e il potente Pietro Vierchowod; a centrocampo un gruppo di sicuri signori del gioco, a partire da Ancelotti con Berti, de Agostini, De Napoli, Donadoni, Mancini, Giannini e Marocchi; davanti, infine, una parata di stelle: Baggio, Vialli, Serena, Carnevale e Schillaci. Eravamo sicuri di vincere: tecnicamente forti eravamo pronti a meritare l’incoraggiamento popolare che non mancò non solo perchè giocavamo in casa ma per quell’atmosfera straordinaria che ancor oggi ricordiamo come Notti Magiche e che ho raccontato anche di recente – quelle sì – con un filo di nostalgia, quando ho visto una foto quasi sentimentale di Gianna Nannini e Diego Maradona insieme, immagine che nel tempo ha finito per rappresentare l’inizio e la fine del Mondiale dell’Italia giovane e ambiziosa. Il canto eccitante di Gianna a dare il via alle nostre certezze, la classe infinita di Diego a negarci la gloria finale.
E tuttavia fra i due protagonisti s’inserì a sorpresa il personaggio – più che calciatore, direi – che esaltò gli italiani, Totò Schillaci. Il siciliano della Juve firmò la prima vittoria azzurra il 9 giugno segnando il gol dell’1 a 0 a un’Austria per nulla irresistibile, “ma si capisce – diciamolo – è l’inizio, i nostri sono emozionati”. Così la critica comincia a far danni, pochi pungolano gli azzurri, gli occhi di Totò portano fuori strada. Quella sera porto a Telemontecarlo, dalla mia postazione all’Olimpico, il fuoco azzurro che diventerà incendio nelle puntate successive – sera dopo sera – di una trasmissione di successo, Galagol, nella quale trionfa la mia esordiente partner, Alba Parietti, alla quale l’abile regista suggerisce una posa che deciderà la popolarità di Alba Coscialunga. Festa continua a Roma e in video, meno nel resto d’Italia: a Palermo c’è stato un morto nei lavori di ristrutturazione della Favorita, a Bologna una tragedia con la morte di un tifoso inglese, altrove squadre di mezza forza non esaltano, ci si ubriaca d’azzurro. E si paga il conto. A Napoli, dove sono presente perchè m’immagino – e non sbaglio – che si giocherà la vera finale, Italia-Argentina, tutti gli italiani contro Maradona. Tutti, esclusi i napoletani che non nascondono la loro sincera simpatia per Diego e festeggiano quando il gol del pareggio di Caniggia – una topica di Zenga – ci porta ai rigori e al 4-3 finale firmato proprio da Maradona. Quando lo stadio si svuota, alla mia destra, in tribuna, è rimasta solo una coppia di giovani che piangono abbracciati. Due italiani feriti dalla sconfitta. In quel momento penso siano gli unici. E chiudo il mio Mondiale ignorando il terzo posto colto a Bari contro l’Inghilterra e vergognandomi dei fischi che l’Olimpico rovescia sull’Argentina di Diego aiutando la Germania a vincere il titolo, complice l’arbitro.
Conservo, di quella sera, il profondo senso di delusione provocato anche dal nostro stupido ottimismo, dalle Notti Magiche che ci hanno ubriacato e dall’improvvisa involuzione del metodo Vicini nell’unica partita che contava davvero, qui rappresentata da un tabellino che continua a raccontarmi una delle pagine più tristi del calcio azzurro. Non dimenticherò mai le scene di Batista, il volpone che improvvisava danze selvagge – mica tanghi – per distrarre Zenga, finchè riuscì a spingere l’evanescente Caniggia al colpo decisivo. Era successo anche a Messico ’70, col pareggio di Schnellinger al 90′ che aveva portato ai supplementari, solo che quella volta gli azzurri diventarono eroici. E finì 4-3 per noi, non 3-4 dopo i rigori. Reso onore comunque a Schillaci, uno che ha amato l’Italia riamato dagli italiani, mi chiedo ancora, forse smemorato, dove fosse Baggio, quella sera. Insieme al nostro coraggio.
Napoli, martedì 3 luglio 1990 ore 20.00
ARGENTINA – ITALIA 1-1 DTS; 4-3 DCR
Reti: 0:1 Schillaci (17′), 1:1 Caniggia (67′)
Sequenza Rigori: 0:1 F. Baresi, 1:1 Serrizuela, 1:2 R. Baggio, 2:2 Burruchaga, 2:3 De Agostini, 3:3 Olarticoechea 3:3 Donadoni (parato), 4:3 Maradona, 4:3 Serena (parato)

Argentina: Goycoechea, Ruggeri, Simon, Olarticoechea, Serrizuela, Giusti, Burruchaga, Basualdo (99′ Batista), Calderon (46′ Troglio), Caniggia, Maradona.
Allenatore: Carlos Bilardo
Italia: Zenga, F. Baresi, Bergomi, De Agostini, Ferri, Maldini, Donadoni, De Napoli, Giannini (75′ R. Baggio), Vialli (71′ Serena), Schillaci.
Allenatore: Azeglio Vicini
Arbitro: Vautrot

SI TORNA A GIOCARE, C’E’ ANCHE BERLUSCONI

Comincio a scoprire – intrattenendomi con i media – una diffusa contentezza per il Calcio di Gravina, chè d’ora in poi dovremo chiamarlo così per distinguerlo da quello di Cairo. Insomma, han vinto tutti, o quasi. Resistono gli appassionati della disfatta – born to lose – che parlano – e scrivono, ahimè – di vittoria di Pirro. (Al proposito mi consento una divagazione: Pirro era il cagnolino di Bernardini che ai bei tempi degli allenamenti del Bologna a Casalecchio – anni Sessanta – il Dottor Pedata autorizzava a scendere in campo e correre dietro il pallone quando voleva sdrammatizzare, una finezza psicologica che rallegrava i rossoblù).
Fino a qualche tempo fa molti mi chiedevano – e mi scrivevano apposta – perchè fossi tanto impegnato nella battaglia per la ripresa del campionato, c’era evidentemente chi pensava ch’io mi fossi dato all’agricoltura; oggi lo chiederei io, a tanti opinionisti, ad esempio, ma come vuole il saggio Marzullo mi darei anche la risposta: perchè qualcuno avrebbe comunque vinto e consentito a tanti di gridare “abbiamo vinto!” con tutti gli esclamativi adottati dall’enfatica Spagna. Il carro dei vincitori trabocca. Come nell’82, come nel 2006 quando, nonostante avessero vissuto l’indegna aggressione a Bearzot, molti giornalisti di chiara fama puntarono dimentichi le armi contro Lippi, Buffon, Cannavaro e compagni, tuttavia partecipando al trionfo finale che, coerente con la storia, ebbe luogo nelle piazze di Roma.
Ho poche cose da dire per continuare a spiegare il mio comportamento bellicoso: prima di tutto, detesto la neutralità che non è obiettività ma viltà, poi faccio le mie valutazioni e prendo partito non sulla base del personale tornaconto ma per quanto trovo ingiusta la posizione dominante; la mia partita preferita – dico da decenni – è Davide-Golia 1 a 0. Mi sorregge la passione per il calcio e per questo mestiere. Poi, nel dettaglio, ho salutato con piacere il diritto del Benevento alla promozione, il ritorno nel calcio professionistico del Palermo, l’esordio prossimo venturo del Pordenone temperamento furlano, la bella guarigione della Reggina già curata con amore – e sfortuna – dal mio amico Mimmo Praticò. E, lasciatemelo dire, l’apparizione bella e convincente di Silvio Berlusconi a fianco del Monza suo e di Galliani. Molti furono felici quando il Cavaliere lasciò il Milan e il calcio, molti che non sanno distinguere fra la politica e lo sport, molti che hanno esaltato oltre misura Arrigo Sacchi che in realtà i suoi successi avrebbe dovuto sempre dividerli con il Dottore. Il ritorno del Presidente Dottore Cavaliere (PresDottCav fantozziano) è una buona notizia per il calcio: non porta soldi (se non al Monza) riporta passione e competenza che col business ha poco a che fare, basta guardare in che acque naviga il povero Diavolo.
Fra pochi giorni tornerà il nostro mondo e gli farò visita con l’entusiasmo di un neofita, ho già ripreso un aereo, sono sbarcato in un’Italia intraprendente, meno spaventata ma più arrabbiata, vogliosa di ribellarsi al panciafichismo dei paraculi e dei burocrati. Per questo, recuperato in pieno l’ottimismo della ragione, precisato che a me è andata bene e ringrazio Iddio, chiudo questo diario che mi ha tenuto compagnia durante quarantena e lockdown. Spero anche a voi.

DIFENDO SUPERMARIO, GLI SUGGERISCO L’EDILIZIA

Nei giornali di una volta, comprati e letti generosamente, anche perchè – dico io – le pagine non erano tante, si usavano certe pratiche come trucchi del mestiere. Si scrivevano articoli che andando verso sera potevano essere scalzati da notizie dell’ultim’ora e finivano in una cartelletta intitolata “POSCIA” affidata al proto di notte che la passava al proto di mattina perchè componesse il testo subito, per non intasare il lavoro in tipografia. A volte la notizia più bella del giorno, trattata con spazio adeguato, si svuotava all’improvviso e allora bisognava avere a portata di mano una storia pronta, preconfezionata, addirittura dotata di titolo e foto; la storia si chiamava emergenza e di solito era cronaca nera, aggiornamenti legali di processi celebri tipo “Rina Fort la saponificatrice di Correggio”, “Si tuffa e trova l’oro di Dongo”; oppure, per lo sport, “La Coppa Rimet sotto il letto” che, per chi non lo sapesse, ricordava con sempre nuovi dettagli come Ottorino Barassi, presidente della Figc detentrice dell’ultima edizione della Coppa vinta nel 1938 dalla Nazionale di Vittorio Pozzo, l’avesse messa in una scatola da scarpe e infilata sotto il letto per nasconderla ai nazisti che perquisivano le case: impresa lodata da tutti i calciofili del mondo che tuttavia non impedì il siluramento del bravo Ottorino quando l’Italia sconfitta a Belfast non potè partecipare ai Mondiali del’58 in Svezia (altra storia sempre vendibile, come quella – torno alle “nera” – di Wilma Montesi, vittima di un criminoso pediluvio nel 1953, protagonista di un libro appena uscito).
Ecco, dopo avervi deliziato con questa premessa da Tempi Moderni, voglio dirvi che certi trucchi valgono sempre: in giorni di magra come questi, privi di fatti da narrare salvo le cialtronerie del Coronavirus applicato al calcio, può capitare che nella redazione sportiva il capo annunci un pò dimesso “Oggi voglio una bella storia su Balotelli” e che qualcuno gli risponda “benissimo, è appena arrivata una notizia che lo riguarda, Cellino lo ha licenziato! Possiamo metterla all’inizio del pezzo, il resto è praticamente già scritto”. E via alla tastiera.
Giuro che questo non c’entra niente con il pezzo che sto scrivendo e che mi è stato chiesto solo perchè anni fa, sette se ben ricordo, raccolsi in un libro gli articoli scritti su queste pagine intitolandolo “Bad Boys”, dedicato a Supermario e al suo collega Andonio Cassano (sì, Andonio), testo trattato anche da eminenti psicologi. Fra i commenti ricordo questo “l’autore accompagna il lettore e lo sportivo lungo un quadriennio pieno di promesse più o meno mantenute, talenti sbocciati o smarriti, scandali veri o presunti che hanno segnato, e spesso condizionato, il periodo vissuto dallo scacco del Mondiale sudafricano all’avventura europea della nuova Italia di Prandelli. Un tempo scandito da storie, personaggi, campioni e bidoni”. Balotelli bidone? No: io l’ho sempre difeso e ancora – magari annoiato – lo difendo, perchè la sua storia, fin dalla nascita, è una storia speciale di sofferenza, di dolore, premiata giustamente da successi e guadagni perchè il piccolo abbandonato in un ospedale di Palermo e adottato da una famiglia bresciana è nato con un dono, piedi da calciatore che adeguatamente esercitati lo han fatto diventare campione. Nessuno, nel frattempo, famigliari e procuratori, ha potuto insegnargli altro ed ecco, pronta per centinaia di pubblicazioni e documentari, “La saga di Balotelli” della quale si rimanda sempre la fine perchè – come dicevo – è un vero e proprio pronto soccorso editoriale.
Bene, io la fine vorrei invece raccontarla, almeno immaginarla: con tutti i soldi che l’onnipotente Raiola gli ha fatto incassare (guadagnare no, direbbero Moratti, Berlusconi, mister e monsieur, poi Cellino) gli suggerirei di farsi imprenditore, non megagalattico come Briatore, ch’è un genio, non produttore di abbigliamento sportivo o titolare di un ristorante a la page, attività succhiasoldi: mi darei al mattone, all’edilizia che, finita la crisi, tornerà a rendere. Poi, come dire?, un giorno potrà andare orgoglioso, dopo aver distrutto magliette, cuori e supercar, di avere costruito qualcosa. Anche una casetta per Pia.

IL NUOVO CALCIO DOVRA’ ROTTAMARE I VIOLENTI

Fateci caso, nei discorsi quotidiani, una volta che ci siamo sentiti salvi e liberi, naturalmente senza aver pagato pegno, senza tragedie, solo una lunga prigionia casalinga, ricorre il concetto “non tutto il male viene per nuocere”. Paradosso che si coglie anche sui social e le dirette radio con ascoltatori sopravvissuti. Tipo: “Ho finalmente ritrovato la famiglia”, “Il mio bambino sa finalmente chi sono”, “L’amore è sopravvissuto alla quarantena, nessuno potrà separarci”. Poi ci sono anche i prosaici che vantano una nuova cultura culinaria e i maschilisti che hanno apprezzato gli spaventati silenzi della moglie. Non tutto il male è venuto per nuocere neanche nel calcio che ieri ha detto l’ultima parola dopo la crisi: si torna a giocare con le regole, rifiutando aggiustamenti antisportivi. Chi vince va avanti, chi perde va indietro (e nel frattempo bentornati al Vicenza, alla Reggina e al Monza, quest’ultimo berlusconianamente inteso a conquistare anche la Serie A e forse il Mondo). Ma soprattutto si ritrova una meritevole unità d’intenti contro i violenti da stadio e i cosiddetti ultrà che nelle ultime ore hanno esibito la loro natura criminale a Roma e a Milano, acquisendo la massima visibilità dopo aver convinto addirittura un ministro – con falsi comunicati pieni di falso orgoglio – del loro diritto ad aver posto negli stadi aperti, rifiutando un calcio emergenziale a porte chiuse.
Vediamoli, dunque, questi…alleati:”Sabato a Roma, lanci di sassi, petardi e bottiglie, zona Circo Massimo blindata. Il motto del raduno era ‘Dalle curve alle piazzè. A conclusione della manifestazione sono state arrestate 2 persone e 15 i fermati dai poliziotti della Digos. Alcuni agenti risultano feriti”. Milano, domenica: “Dagli scontri tra tifosi alle risse nella movida: è questo il curriculum turbolento di Alessandro Caravita, figlio d’arte, per quanto riguarda il tifo calcistico, di uno dei più noti esponenti degli ultras italiani, storico tifoso dell’Inter. Il giovane è stato arrestato dai carabinieri perchè ritenuto il presunto aggressore di un 24enne accoltellato nella notte tra il 5 e il 6 giugno, durante una rissa in piano centro”.
Voglio anche ricordare – per chi l’avesse dimenticato, che la Coppa Italia che tornerà venerdì e porta il nome del Presidente della Repubblica, è stata brutalmente ferita da un omicidio: l’ultrà romanista Daniele De Santis detto Gastone il 3 maggio del 2014 – in occasione della finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina – sparò al sostenitore del Napoli Ciro Esposito, che morì dopo 50 giorni di coma. Poco tempo fa si è visto nelle strade di Roma uno striscione choc dei tifosi giallorossi con dedica e auguri a Daniele De Santis, e soprattutto di solidarietà perchè il “popolare” Gastone è stato condannato a 16 anni di carcere, sentenza di Cassazione. Eccolo: “Daniè, la Roma ultras è con te!”.
Il Nuovo Calcio che sta nascendo dovrà rottamare questi gruppuscoli di violenti subìti se non mantenuti dai club. Il ministro Spadafora ha cambiato idea: “Alla riapertura il tifo violento non avrà alcuno spazio. Devastare città, aggredire giornalisti e forze dell’ordine, lanciare insulti e minacce antisemite è quanto di più lontano possa esserci dai valori dello sport e dalla passione calcistica”. Ohibò.

USCITI DALL’INFERNO MA IL PARADISO E’ LONTANO

Sfidando le ire dei potenti cialtroni che tentano di imporre nuove regole al calcio per impedirne la rinascita, mi sono esercitato in una Domenica Sportiva da tempo dismessa: tre mesi sono passati – parlo per me – prima desiderando ardentemente la ripresa, poi con una pausa di fiacca che oggi, a quattro giorni dalle semifinali di Coppa Italia (venerdì Juve-Milan, sabato Napoli-Inter) trova ancora lampi di insana voglia, visto tutto quel che succede intorno. Un clima scoraggiante. Banalizzando, vorrei dire che siamo forse usciti dall’inferno ma il paradiso è lontano perchè la fine del lockdown è stata presa come una immediata resurrezione. Mentre avevamo – abbiamo – bisogno di un purgatorio simile ai ritiri delle squadre di calcio, dove fisicamente e psicologicamente ci si prepara a tornare in campo. Fregandocene della prudenza siamo passati dall’immobilismo alla furia. Un’altra volta “tutto e subito”, mentre – udite le promesse e le rassicurazioni del potere – incombe la sindrome del “niente e chissà quando”.
Eppure voglio esser pronto alla battaglia, mi do la carica, anche artificialmente: ieri – ad esempio – ho festeggiato tutto solo lo scudetto che il “mio” Bologna ha conquistato 56 anni fa – 7 giugno 1964 – a Roma nello storico spareggio con l’Inter. Nostalgia canaglia (“che ti prende proprio quando non vuoi” – o non hai altro da fare…). Una breve ola col pensiero, poi un tuffo nell’attualità con le storie di mercato che fatalmente coinvolgono non uno ma due campionati. In quello che va a ricominciare stanno succedendo cose folli: visto che è tempo di mercato ci sono giocatori che da venerdì torneranno in campo con una maglia sapendo – o sperando – di averne già un’altra subito dopo la scorpacciata di partite. Se Pjanic e Lautaro passano al Barcellona di Re Messi non è niente (salvo sofferenze nerazzurre) ma se Chiesa gioca oggi con la Fiorentina e fra un mese con la Juve, altro che il tradimento viola di Baggio. E l’albanese Marash Kumbulla finisce col Verona e ricomincia subito con la Juve o con l’Inter? E Nainggolan che amava tanto il Cagliari lo tradirà con l’odiata Inter? Zaniolo, erede designato di Re Totti, tornerà anche lui dalla Roma all’Inter che ai tempi di Spalletti non sapeva di averlo? Oddio, non mi piace, il mercato, questo poi azzera tutte le mie passioni da calcio di una volta, quello dei campioni che davano la vita al club – Rivera, Bulgarelli, Mazzola, come Antognoni e Totti – e se baciavano la maglia era una dichiarazione dì fedeltà non una posa per il fotografo. Balotelli a forza di mutar casacca finirà per indossarne una bianca, anonima come una maglietta della salute, bandiera bianca, insomma, anche se il pan non manca, il fornaio Raiola qualche bischero prima o poi lo trova. E sul bianco metterà un €. Finirà che il mitico gesto di Liam Brady – segnò a Catanzaro il gol-scudetto (su rigore!) della Juve mentre sapeva di essere già della Sampdoria – avrà molti imitatori non tutti stimabili come lui, temo. L’emergenza, vedrete, ci restituirà un calcio bisognoso di rifarsi una reputazione, e non dico una verginità perchè il gioco del pallone è nato…depravato.
Affido queste considerazioni agli amici che durante la quarantena hanno come me atteso sereni la ripresa dei giochi considerandola un segnale di salute ritrovata. Ma passano le ore e le mosse dei Padroni del Vapore inducono a scoramento. Nelle loro riunioni giocano sulla nostra passione come gli scienziati sulla nostra paura. Oggi tocca al consiglio federale che dovrà raccogliere la sfida della Lega intenzionata a chiudere la stagione senza retrocessioni in caso di reiterato contagio. A parte il tono iettatorio che Lotito tradurrebbe in “cupio dissolvi” il desiderio dei ribelli è uno solo: continuare il gioco senza pagare dazio.

PORDENONE E BENEVENTO ALLINEATI, NORD-SUD COMBATTONO INSIEME

L’ultima polemica? Come manderemo i bambini a scuola? Con la mascherina o con la visiera di plastica? Avevo ricordato i bambini dimenticati, giorni fa. Se ne sono ricordati, i media, ma solo per introdurre nel mondo dei piccoli le risse del mondo dei grandi (intesi anagraficamente). Prima, per far sapere la storia di quei sindacalisti che hanno condannato la maestra che ha portato finalmente i piccoli prigionieri in un parco, a respirare e a giocare: al peggio non c’è mai fine, si celebra l’Italia Verde ma non è spazio per i dimenticati. Poi, questa storia delle visiere: a vederli, i bimbi giapponesi non se la passano male, altro che barriere di plexiglass e mascherine, respirano senza affanno, si guardano, parlano normalmente, credo che in Giappone, dove le mascherine le portano da una vita (e noi a guardarli: che buffi!) abbiano avuto una buona idea. Temo, piuttosto, a proposito di questo strumento, che qualche dirigente contrario alla ripresa del calcio voglia imporlo ai calciatori. Non si fidano dei tedeschi che giocano in libertà, attenti a evitare soltanto baci e abbracci, sono convinti che i nostri pedatori siano deboli, soggetti al Coronavirus anche se ormai sembra vicino alla sconfitta. Scherzo? E allora come giudicare l’ultima mossa dei renitenti che venerdì in Lega hanno proposto di bloccare le retrocessioni? Adesso abbiamo capito perchè gli anti-campionato si danno tanto da fare da mesi (sobillati da qualche potente imitatore di Massimino, un “io può” che non vuole smenare altri milioni con il calcio): non vogliono rischiare la dura legge del pallone, vogliono vincere anche se il risultato della loro gestione porta alla sconfitta. Destino e classifiche vogliono tuttavia che siano in aperta contestazione i virtuosi che hanno lavorato per vincere. Benevento e Pordenone. Il presidente dei friulani, Mauro Lovisa – a un passo dalla storia – parla chiaro:”Bisogna che i verdetti arrivino dal campo altrimenti avremo un’altra estate con i tribunali pieni. Io sono sempre stato per la ripartenza, il Paese e lo sport in sicurezza devono ripartire. Io ho subìto e combattuto il Coronavirus, sono stato in casa, ho avuto fortuna. E se ci fosse un caso di positività nel calcio lo si affronti come in Germania, isolando il singolo contagiato. E basta – aggiunge – con i lamenti per la stanchezza dei giocatori. Si gioca dappertutto”. Il presidente del Benevento, Vigorito, parla da sempre di giustizia e si limita a minacciare ricorso in tribunale, mentre interviene – deus ex machina – il sindaco, il mitico Clemente Mastella, evidentemente pronto a far cadere…il governo di Gravina se dovesse prevalere l’ingiustizia del blocco della classifica di A: “Saremmo difronte a un comportamento eticamente e sportivamente disdicevole verso il quale ci muoveremmo con azioni legali e chiamando i tifosi a manifestare”. C’è un dato positivo, in questa manifestazione di follia pre-solleone: Pordenone e Benevento sono allineati, Nord e Sud, almeno nel calcio, combattono insieme.

I TURISTI TEDESCHI STANNO ARRIVANDO

“Caro Cucci, ho letto le tue nostalgie romagnole (guerra a parte) e vedo che girano intorno ai tedeschi che hai cominciato a vedere sulla spiaggia di Rimini fin dal 1946, dopo che le hanno prese dagli alleati e sono subito tornati come se l’Adriatico fosse il loro mare. Di loro si parla tutti i giorni, sui giornali e in tivù, per far sapere che mentre noi siamo alla frutta loro navigano nell’oro, che se ne andranno in Grecia e in Croazia perchè non si fidano del nostro risanamento, e ne parlano anche con cattiveria ma al tempo stesso con la speranza di rivederli per il bene del nostro turismo. Sarà tutto vero ma voglio darti una informazione di prima mano: nel mio albergo vicino a Rimini è arrivata la prima famiglia da Stoccarda, proprio come l’anno scorso, coi bambini e le biciclette. Allegri e senza paura. Fallo sapere”.
Non è una balla, ci sono davvero i tedeschi. Questa lettera mi fa venire un’idea: invece di leggere tutti i giorni gli elenchi dei ricoverati, dei contagiati, dei sopravvissuti e dei morti gli incaricati governativi dovrebbero leggere l’elenco degli arrivi degli stranieri, dei tedeschi in particolare. Perchè fanno parte dell’economia famigliare e nazionale. Non solo in Romagna, meta prediletta, la loro presenza a Capri, sulla Costa Amalfitana, in Sicilia ha lasciato tracce storiche. Ad esempio, dove vivo io, a Pantelleria, sono arrivati archeologi famosi e loro allievi dall’Università di Tubinga; il loro capo, Thomas Shàfer, s’è anche comprato un dammuso e l’estate la passa qui. Le scoperte dell’Acropoli e le teste di marmo della famiglia di Cesare son cosa loro. Insomma, se ad Angela Merkel e ai suoi collaboratori stretti non piace l’idea di farci arrivare i soldoni europei, i cittadini di Germania i soldi li portano direttamente. Certo era meglio quando portavano i marchi, ma i primi contribuenti estivi sono sempre loro, perchè da Marina di Ravenna a Cattolica ogni cittadina romagnola è casa loro, ogni spiaggia, ogni ombrellone, ogni sdraio un rifugio, ogni collina una gita in auto o in bicicletta perchè si deve a loro – e al fiuto degli albergatori romagnoli – se sono nati i Bike Hotel dove puoi ricoverare la tua o trovare una bici disponibile insieme a un meccanico che ti tratta come se tu avessi una Ferrari. Certo non racconto nulla di nuovo, ma di nuovo c’è che stanno tornando. E io li sbatterei in prima pagina. Non hanno paura – dicevo – ma soprattutto esibiscono quella loro abitudine che a volte ci irrita: sanno tenere le distanze. Ai controlli che ho fatto ho trovato albergatori ottimisti, se non allegri, perchè noi…calvinisti di Romagna stiamo bene se c’è lavoro. Con voce meno squillante mi è stato anche detto:”Oggi sono arrivati due milanesi, sembrano due innamorati, si vede che se la sono vista brutta, ma stanno bene”. E per la prima volta ho sentito tanta solidale simpatia in persone di solito gentili ma troppo indaffarate per darsi a sentimentalismi. Poi mi hanno dato un suggerimento scherzoso ma non troppo: “Visto che la NBA riprenderà il campionato di basket il 31 luglio a Disney World, a Orlando in Florida, dove le 22 squadre saranno ospiti del Disney Resort, se qualcuno ha bisogno può venire a Mirabilandia, Ravenna, Romagna, Italia”. Per me, la vera fine del lockdown è questa. E che Dio ce la mandi buona.

TRASMETTIAMO IN CHIARO LE GARE DI SERIE A

Tempo fa, battendomi per la ripresa del campionato (è andata bene, no?) avevo chiesto che il grande calcio professionistico dedicasse un pensiero – concreto – alle serie minori, quelle in cui sono cresciuto cronista e anche apprendista: un “bocia” di bottega, come usava un tempo. Nelle rovine create dal Coronavirus ci sono anche decine di club e centinaia di calciatori “minori” che vanno ad aggiungersi alla lunga lista di piccole aziende fallite e di disoccupati cui non basta offrire umana e poco costosa solidarietà. Ci vuole di più: un aiuto economico, tanto per cominciare. Siccome i governanti del calcio non somigliano ad altri governanti spacciatori di promesse, voilà, ecco cosa ha deciso di fare la Federcalcio presieduta da quel Gravina ch’è stato bollato d’infamia per aver pronunciato la parolaccia del giorno, algoritmo: è nato il Fondo Salva Calcio, vale a dire un intervento economico diretto di 21 milioni e 700.000 euro a favore di club, calciatori, calciatrici e tecnici di serie B, C, Lega Dilettanti e Calcio femminile. Così suddivisi: 5 milioni per i club di B, 5 per i club di Lega Pro, 5 per le società della Lega Dilettanti, 700.000 per il calcio femminile; e ancora 3 milioni ai calciatori, 3 ai tecnici e preparatori attraverso il Fondo Solidarietà. Di solidarietà avevo parlato, segno distintivo dello sport. Un bel gol. Alla faccia dei disfattisti, degli egoisti, degli avventuristi appassionati del “tanto peggio tanto meglio” che peraltro resistono sulla scena maggiore dove già si registrano le inquietudini prodotte dalla povertà e dalla fame che in questo Paese costituiscono storicamente le vere spinte rivoluzionarie. A questo spesso infamato calcio – in tutte le sue componenti – chiederei un altro gesto, ancor più impegnativo ma sacrosanto. Il Demagogo dilettante ch’è in me – ormai ci conosciamo – ha colto nelle parole di un demagogo professionista, il politico ministro dello sport Spadafora, una richiesta che vale la pena sostenere: la trasmissione in chiaro delle partite di campionato dopo che ci saremo rifatti la bocca con le trasmissioni già previste in chiaro delle partite di Coppa Italia a cura della Rai. C’è già chi, al proposito, sta preparando la nota dolente dei danni che questo gesto procurerebbe alle tivù e ai club; non solo non abbondano i coraggiosi, nel mondo della pedata, mancano anche i fantasiosi capaci di valutare le prospettive di questa scelta generosa: un immenso spot a favore del calcio (e di Sky e DAZN) unica importante impresa nazionale capace di intervenire a favore dei propri “clienti”, degli appassionati, della gente fottuta dal virus. Sperando di avere un riscontro positivo dall’alto – sarebbe anche il modo di far pace con Spadafora – e dai comunicatori impegnati, io ci metto la mia firma.