La Barba al Palo di Italo Cucci

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NON SI PARLA MAI DEI BAMBINI

I vecchi sono andati a morire, i bambini se li sono persi. Anche stavolta. Ho ascoltato il premier, per l’ennesima volta, e dei piccoli italiani niente. Mi ha detto – vivo in Sicilia – che avrò l’Alta Velocità. Volevo aprire una bottiglia di champagne, mi sono accontentato di zibibbo. In Sicilia non esiste alcuna velocità. In treno si viaggia come ai tempi dei Borboni. I progetti danno l’idea di una gara secolare, tipo Golden Rush: solo i bimbi d’oggi vedranno se avrà vinto la Freccia Rossa o il Ponte di Messina. Chissà, forse come fecero gli Stati Uniti chiameremo in soccorso mano d’opera esotica, viste le difficoltà che s’incontrano a trovare patrioti lavoratori. D’altra parte – senza ironia – in Italia appena uno fa il suo dovere lo fanno cavaliere. E invece dovrebbero dargli volgari soldi per migliorare il tenore di vita, non pergamene per l’orgoglio. Gran parte delle opere (grandi) promesse dal governo non le vedrò realizzate per banali questioni di tempo. Dubito che potranno vederle i miei figli quaranta/ cinquantenni, e dunque torno ai bambini. Completamente ignorati da un clan di apprendisti stregoni che hanno “liberato” tutti, i vagabondi, i gilet, le mezze calzette, i signori e i poveracci, non quei luoghi animati dai bambini che tuttavia non potrebbero andarci da soli, visti i nonni spariti e quelli fatalmente spaventati. Si parla della scuola tradita, io comincio dall’asilo, che vuol dire parlare delle madri che non sanno come riprendere il lavoro visto l’impegno famigliare che fino a tre mesi fa avevano risolto, ma parlo anche di un ritardo culturale, di conoscenza dei piccoli, costretti a mantenere con i coetanei una distanza incolmabile, ognuno a casa sua, mentre è risaputo che è la convivenza che aiuta i bambini a ottenere una crescita sociale. Questo vale anche per la scuola elementare, e qui mi fermo perchè medie e superiori…non mi riguardano. Sì, si sarà capito che parlo per interesse: da nonno ottuagenario sopravvissuto che da marzo gode della compagnia di una nipotina di quattro anni la quale a fine pandemia parlerà di cronaca nera, economia, politica e poco di giochi e favole, neanche di calcio, perchè mi sono accorto che il clima intorno, ancorchè truccato da benessere, non sollecita giochi o suggerisce favole. Le favole sono per grandi.
Naturalmente non è tutta colpa dei governanti, se gli asili e le scuolette sono chiusi e non importa a nessuno, neanche agli pseudocomunicatori, tanto meno agli editorialisti. L’informazione non è interessata. Ahi, non c’è più il Corriere dei Piccoli del Sor Pampurio, la Tordella e il Signor Bonaventura di Sto, ma neanche un giornalista che pensi ai bambini e alle scuole. Uno ha chiesto della scuola, è vero, e cosa gli è stato risposto? Domani è previsto un incontro con la ministra, ne parleremo. Già. E’ la solita ministra.

GODIAMOCI LA LIBERTA’ RITROVATA CON GIUDIZIO

La compostezza di Sergio Mattarella a Codogno – si vede un uomo che non va cercando simpatia – non è una solenne lezione ma un ottimo suggerimento per i tanti di noi ancora isolati che non sentono l’impellente necessità ma la voglia sì di correre in piazza o verso assembramenti che non riguardino solo i cosiddetti congiunti. Per ritrovare la vita sociale mortificata dalla distanza. Mentre i bollettini continuano a produrre vittime del Coronavirus negli assembramenti e dintorni trovo non scandalose ma inopportune certe feste da spiaggia, adunate da riviera, picnic screanzati. Cantare, ballare, perchè no? Godiamoci la libertà ritrovata, ma con giudizio. Ci vorrebbe un galateo del dopo lockdown ma vedo che i media in genere preferiscono considerare segnali di vita ritrovata le risse politiche e le cattiverie campanilistiche. Ci pensi, qualcuno, magari non nelle numerose task force create – io dico – per valorizzare personalità di facciata insieme a parenti, amici, conoscenti, clientes, giannizzeri, servitorelli. Li solleciti il versante educativo – non noioso, per carità- dei mezzibusti televisivi. Mi manca Donna Letizia, ad esempio, che avrebbe avuto suggerimenti di buona educazione, e anche di Bon Ton, come suggerisce la raffinata Lina Sotis.
Nel mio campo (sportivo) ad esempio porrei alcuni limiti di buon gusto e di creanza. Ho già detto di un calciomercato che non gridi centinaia di milioni al vento mentre milioni di italiani cercano di avere quei seicento euro o anche un piatto di pasta alla mensa benefica. Meditate, buffoni di stagione, meditate. E voi, campioni del pallone (ma anche di ogni sport) sollecitate i vostri procuratori perchè svolgano trattative riservate (dicono che Wanda Nara ha fatto un colpaccio per il suo Maurito, ma non l’ha detto lei, solitamente ciarliera, l’hanno strillato i media che dovrebbero invece dare loro sì lezioni di continenza). E ancora vorrei tanto – non parlo per me solo – che una certa riservatezza riguardasse soprattutto gli infortuni dei calciatori.
Non vi sembra di pessimo gusto il celebratissimo malessere muscolare di Ibrahimovic e Baselli in un Paese che è diventato una valle di lacrime? E non vi sembra stupido – mi contengo – dire e scrivere delle erculee fatiche che andranno ad affrontare i nostri eroi dal 13 giugno ad agosto, dopo mesi di sosta e di riposo, mentre proprio il lavoro – che manca, o è sfruttamento – è il più drammatico tema del giorno? Il Demagogo che è in me non sopporta le bizze di Balotelli da quattrocentomila euro o i pianti dei procuratori per Lautaro, Cavani, Mertens e altri “figurini” milionari, mentre Uber fa correre in città i rider a tre euro a botta. Mi fermo, non oso pensare ad altre malefiche fantasie da grancassa.
Sono benevolmente curioso di conoscere quel che Ciccio Caputo del Sassuolo – un uomo in gamba – ha annunciato: “Cercherò di fare gol, come sempre, ma sto studiando una forma di entusiasmo particolare”. Come tempo pretende. Suggerirei un buon pensiero, una giaculatoria e un sorriso.

RIMETTIAMO IN SOTTOFONDO “NOTTI MAGICHE”

Ho visto una foto di Gianna Nannini con Maradona. “Mi amava” – ha detto la cantante non facile a frivolezze che in realtà dev’essere stata colpita da un ricordo di gioventù. Già, eravamo tutti più giovani, trent’anni fa, e non solo all’anagrafe: stavamo vivendo un evento che documentava l’importanza dell’Italia nel mondo. Un Mondiale di calcio non si dà facilmente, soprattutto se non lo paghi, vedi il Qatar ma anche prima. E’ vero che tanti soldi finirono in tasche non previste, ma questa è un’altra storia. All’italiana. Italia Novanta- ricorderete – fu il Mondiale delle Notti Magiche.
“Notti magiche
inseguendo un goal
sotto il cielo
di un’estate italiana”
Bè, fossi nella Lega calcio, reduce da giorni difficili, arsenico e vecchi dispetti, oggi, annunciando il Calendario della Ripartenza, metterei in sottofondo quella cara vecchia canzone che agli “anta” dà ancora il ghiribizzo. Agli “enta” niente. Non sono smemorati, semplicemente non sanno. Ne chiamerei tanti, giocatori e narratori, a fare un esame sul calcio. Non dico di quesiti sul regolamento regolarmente ignorato, ma domande così: “Per lei cosa vuol dire Notti Magiche?”. Silenzio diffuso. Uno tira a indovinare: “Una rottura di balle”.
Esatto.
Solo 10 partite su 124 al pomeriggio – leggo – la metà di notte. E dunque io avrei commentato felice, anzi cantando: “Notti magiche, aspettando un gol!”. E invece non tutti sono d’accordo, compresi i signorini che il pomeriggio no, con quel caldo, ai quali auguro di non dover mai giocare un mondiale. (Ricordo Città del Messico 1986, la partita con la Francia a mezzogiorno, sconfitta bollente, sì, era caldo anche per loro, ma avevano Platini…e nessuno s’indignò, forse solo io che sudavo come una fontana!).
Con un pò d’intelligenza e di onestà, con un grazie infinito al destino che ci ha salvato e ci ha collocato in un luogo di divertimento e di benessere, si dovrebbe cantare in coro per la vitalità ritrovata con un gioco sociale che annuncia la prossima fine del tormento. E’ forse l’atto più importante che firmerà la vera fine del lockdown. Il calcio ci riporterà nelle città vuote che sembravano abbandonate e tuttavia ci apparvero così belle come mai le avevamo vedute. Il campionato ci riporterà negli stadi vuoti e silenziosi che sollecitano commenti amarissimi da parte di personaggi che solo per seminare zizzania parlano di vergogna.
A questi farei rivedere due immagini che non dimenticheremo mai: il silenzio e il deserto di Piazza San Pietro con Papa Francesco tutto solo a parlare al mondo; il silenzio e il deserto intorno al Vittoriano mentre il presidente Mattarella parla all’Italia.
Se poi volete rompere tutte le sere il silenzio negli stadi fate cantare ancora Gianna Nannini.

ONESTI, ANDREOTTI E LO SPORT ATTIVITA’ SOCIALE E POLITICA

Andreotti lesse l’appunto:”Onesti…Uno con un nome così me piace…E poi se chiama come me, Giulio…”. Giulio Onesti è un avvocato romano venuto da Torino, combinazione non male. Il Governo del ’46, presieduto da Alcide De Gasperi, l’ha incaricato di commissionare il Coni, vecchio strumento dell’apoteosi mussoliniana. “Ce penso io”, aggiunse il giovane Andreotti, incaricato di risolvere il problema. Si incontrarono cordialmente, anche sul punto: “Il Coni va salvato”, aggiunse il non ancora Divino. E Onesti lo salvò, diventandone presidente il 27 luglio, a Milano. Poi Andreotti fece il resto: diventato sottosegretario alla presidenza del Consiglio operò politicamente perchè all’Italia, Paese sconfitto, fosse consentito di organizzare i Giochi di Roma 1960: Onesti ne fece un’edizione storica, le Olimpiadi dal volto umano. Quando anni dopo lo conobbi, il presidente se la cavò con un semplice “devo molto a Andreotti”; e quando Giulio diventò editorialista al QN che dirigevo e gli chiesi come mai fosse stato tanto “sportivo”, visto che la sua unica passione erano i cavalli di Tordivalle, fu esplicito:”Lo sport è attività sociale, perciò politica”.
Non gli chiesi conferma della battuta rifilata a chi, osservandolo fisicamente, s’era detto stupito della sua…sportività, ma certo era vera, molto andreottiana: “Fin dal dopoguerra sono stato amico di molti campioni – disse – e sò morti quasi tutti. Io no…”.
Ho cercato di far capire ai nuovi governanti, peraltro abbastanza sguarniti – mi sembra – dal punto di vista politico-culturale davanti alla storia del Bel Paese, quanto fosse socialmente utile difendere lo sport e il calcio in particolare che nel ’46, con l’invenzione della Sisal aveva salvato il Coni. L’ho raccontato, l’inventore, Massimo della Pergola, fu mio collega a Stadio.
Evidentemente, farcito com’è di intellettuali, il governo ha un’ idea del calcio da Bar Sport. Ma adesso che ha partorito la ripartenza si aggiorni e celebri due date civili importanti: la prima, 17 giugno 1970, Italia-Germania 4 a 3, el Partido del Siglo (per gli sconfitti Jahrhundertspiel) allo Stadio Azteca di Città del Messico, vittoria eminentemente politica: dai bauli di soffitta furono levate migliaia di bandiere tricolori ancora odorose di naftalina, i negozi ne avevano prodotte altre migliaia e gli italiani orgogliosi scesero nelle vie, nelle piazze e sulle spiagge gridando “viva l’Italia!”. Una novità: il tricolore e quegli evviva erano per tanti eredità del passato…Poi – seconda data – l’11 luglio 1982 l’Italia diventa Campione del Mondo al termine di una straordinaria sequenza patriottica: battuto il Brasile, il presidente del Consiglio Spadolini si presenta al balcone di Palazzo Chigi avvolto nel tricolore, neanche volesse annunciare la nascita del reddito di cittadinanza. Il giorno dopo è a Barcellona per partecipare al gran finale ma il Presidente Pertini gli consente solo di vedere Italia-Polonia, lo richiama e si presenta a Madrid per la sfida decisiva contro la Germania.
Avete mai visto un presidente della Repubblica ballare nella tribuna di uno stadio? Lo ha fatto Sandro Pertini, al Bernabeu, a ogni gol – tre – segnato dagli azzurri. Avete mai visto un presidente della Repubblica giocare a scopone con un allenatore (Bearzot) e due giocatori (Zoff e Causio)? L’ha fatto Sandro – tout court – diventando il Presidente più popolare di sempre. Tempo dopo, con tutt’altra verve ma con signorile passione, Azeglio Ciampi ha chiesto al popolo di cantare l’Inno di Mameli. Eravamo in studio, al Processo, quando il mitico Biscardi aprì una busta, lesse e disse:”Il Presidente ci manda il testo dell’Inno e ci prega di cantarlo”. Forse stonando cantammo tutti “Fratelli d’Italia”. Capito cos’è il calcio?

LA CONCRETEZZA DI GABRIELE GRAVINA

Si chiama Gabriele Gravina. I cialtroni – che fortunatamente ha conosciuto e bollato – amavano dire “chi era costui ?”. E lui, silenzioso presidente-carneade di una Federcalcio che ha conosciuto la potenza di Franco Carraro e le pazziate benefiche di Tonino Matarrese, ha schienato tutti i cortigiani serpentini e le iene rivali con una battuta, che farà storia, regalata al popolo nei giorni del Coronavirus scatenato contro il gioco più amato dagli italiani:”Non sarò io il becchino del calcio”. Pugliese di Castellaneta, la città di Rodolfo Valentino, è cresciuto imprenditore molto solido in Abruzzo: poco dannunziano, meglio ispirato da Flaiano che ha sempre avuto una battuta per tutti. Anche quelle altrui, nobilitate dal suo nome. Ieri, portata a termine l’impresa in cui pochissimi credevano – la ripartenza del campionato – ha riassunto il suo impegno con crudezza e…crudeltà. Sentite: “La preoccupazione è stata molto forte, abbiamo vissuto momenti di grande difficoltà in un mondo in cui siamo costretti molto spesso a convivere col mecenatismo e col cialtronismo. Questo mi ha portato, più di una volta, insieme ai miei amici delle componenti e delle leghe a fare uno sforzo per oltrepassare i filosofi dell’ovvio, i fautori del piano B, gli anfitrioni dell’emergenza, i sostenitori del ‘tutto non si può farè. Abbiamo vissuto momenti di grande difficoltà, ma vi garantisco che abbiamo sempre avuto la consapevolezza che il calcio doveva ripartire perchè rappresenta per tutti i tifosi un momento di grande condivisione e passione”.
Modestamente, ha parlato neanche per me. Che alla candidatura, poco gradita dai suddetti cialtroni, alla presidenza federale ne avevo tratteggiato il profilo convincente.
“Gabriele Gravina – scrivevo – potrebbe essere l’uomo giusto. Il mio giudizio – per quel poco che conta – è influenzato dall’aver avuto un amico importante che nella sua purtroppo breve esistenza ha solo costruito e ha dotato il calcio di una sponda culturale prima inesistente: parlo di Luciano Russi, scomparso nel 2009, già magnifico rettore dell’Università di Teramo, editore di “Lancillotto e Nausica”, rivista di storia e critica dello sport. In tempi diversi, ma poi insieme, Gravina e io lavorammo con Russi al nascente corso di laurea in ” Discipline giuridiche e economiche dello Sport”, facoltà di “Scienze Politiche” con sede in Atri. Russi e Gravina avevano avuto anche un’esperienza…di campo alla guida del famoso Castel di Sangro che fra l’84 e il ’96 conquistò cinque promozioni fino alla Serie B, esperienza che fu raccontata e romanzata anche da uno scrittore americano, Joe McGinnis”.
Il fronte avverso lo trattava da abusivo – s’accontentasse di comandare in Serie C, dicevano – e mi divertì un commento apparso sui social che lo criticavano:”E’ strano – scriveva un tifoso – che un signore (McGinnis) che scrive un libro sul miracolo calcistico del Castel di Sangro finisca per dimenticare l’artefice del successo. Te lo dico io. Si tratta di Gabriele Gravina, attuale Presidente della FIGC. Con il suo motto – ‘Chi vola vale, chi vale vola, chi non vale non volà – abbiamo fatto il miracolo. Lui era il Presidente del Castel di Sangro”.
Informatori “sicuri” mi dicono che appena finiti i giochi lo faranno fuori. I becchini, abbiamo imparato, nel bel mondo del calcio non mancano.

I CINESI IN BREVE POTREBBERO VENIRE SOLO PER NUOCERE

“Non tutti i cinesi vengono per nuocere”. L’ho sentito dire da Massimo Moratti quando il tycoon Zhang Jindong è arrivato a Milano per fare sua la Beneamata mentre già il Milan era nella tempesta (??) cinese. In un libro che ho dedicato alla famiglia Moratti ho sottolineato che l’amore per l’Inter ha spinto prima il patron Angelo poi il figlio Massimo a curare la cessione dell’amatissimo club sempre a persone di fiducia, come Fraizzoli, come Pellegrini. Come Zhang. Al punto che l’erede del magnate della Suning, Steven, poi diventato presidente nerazzurro, fu accolto in Casa Moratti come un figlio.
Sull’altro fronte, qualcuno operò con leggerezza quando fu deciso di trasferire il Milan a Li Yonghong, presunto riccastro che più tardi si scoprì essere inguaiato: secondo il quotidiano finanziario Shanghai Zhengquanbao (?????), Li alla fine degli anni novanta sarebbe stato al centro di una truffa ai danni di 18.000 risparmiatori per un totale di circa 100 milioni di euro. Nel 2012 altra botta dalla Borsa di Shanghai per inadempienze varie. Ma l’affare si fece e il 13 aprile 2017 il Milan diventò cinese e il club si chiamò Rossoneri Lux. Mica male. Fiat Lux. Inutili furono certe mie informazioni riservate ricevute da un notabile cinese e trasmesse a Fassone e Mirabelli che avrebbero dovuto metterli sull’avviso: devo dire che il direttore sportivo le recepì ma intanto faceva mercato, comprava, spendeva, mentre Fassone si ritenne più importante di quanto non fosse. Il signor Li, affiancato da un altro Li – Han- e da Xu Renshuo, pur poco attendibile come imprenditore, riuscì a mangiarsi 524 euromilioni prima di cedere il Milan al Fondo Elliott di Paul Singer nel luglio 2018. Oggi leggo che anche il Milan ex cinese non se la passa bene e dà tutte le colpe ai cinesi. Come se la sarabanda di personaggi di vertice (ne ho contati undici) e i balletti di panchina – Montella, Gattuso, Giampaolo, Pioli e l’annunciato tedesco Rangnick – non fossero drammatici e molto occidentali segnali di mala gestione. Il Milan non ha gli occhi a mandorla, li ha chiusi, e nonostante la presenza di un manager di fama come Scaroni non riesce a tornare in quota. E ormai tutti rimpiangono Berlusconi, del quale molti drittoni non vedevano l’ora di liberarsi. Molto semplicemente Berlusconi aveva dato al Milan anche passione, oso dire amore. Lui che può. Ma oggi parlo dei cinesi perchè causa Coronavirus stanno subendo un attaccò concentrico dall’Occidente, Stati Uniti, Canada, Inghilterra, un club anticinese cui dovrebbe prevenire anche l’Italia. Il motivo pratico, la pandemia che si vuole naturalmente far partire dai laboratori di Wuhan; il motivo politico, la censura imposta a Hong-Kong, quello vero, l’invasione informatica con Huawei denunciata dalla Cia. Se sarà guerra fredda, sarà anche l’ultimo consistente danno del Coronavirus. E i cinesi in breve tempo potrebbero venire solo per nuocere.

IL 20 GIUGNO TORNA IL CAMPIONATO

Germania, Turchia, Spagna, Inghilterra…Italia. Una ola solitaria. Nessun trionfalismo pubblico. Il 20 giugno torna il campionato, la Febbre del Sabato, ma è giusto, una volta arrivati al traguardo, mantenere il decoro promesso. Il Coronavirus è vivo, il calcio, sopravvissuto alla pandemia, ha il diritto di essere soddisfatto ma anche il dovere di affrontare questa liberazione con compostezza. Il ministro ha mantenuto la parola. E ha aggiunto una notizia/volontà che speriamo confermata dalla Federcalcio: giocare prima, quasi per ricreare l’atmosfera del calcio perduto, la Coppa Italia, un vero regalo per tutti gli appassionati, visto che le partite del torneo nazionale intestato al Presidente della Repubblica sono della Rai che le trasmetterà in chiaro: un piatto sensazionale, dopo il lungo digiuno, ma anche un assaggio del calcio (nuovo) che verrà: Juventus-Milan e Napoli-Inter ci daranno la possibilità di controllare la condizione fisica e psicologica dei calciatori e la fedeltà agli impegni assunti con il protocollo accettato dal Comitato Scientifico. L’altro problema – esaltato dai disfattisti e da frange di ultras – ovvero stadi a porte chiuse, non ha in verità alcun peso, come è stato dimostrato in Germania. Questa volta davvero la televisione sarà indispensabile.
Il campionato rinascerà da opportune trattative con Sky e DAZN. Il primo round, il 20, sarà impegnato – anche se manca l’ufficialita – dai recuperi Torino-Parma, Atalanta-Sassuolo, Verona-Cagliari, Inter-Sampdoria.
Un calendario progressivo prevede i recuperi di Coppa Italia il 13 e 17 giugno, i recuperi del campionato il 20 (giornata 25), il 23 (giornata 26), il 27 (giornata 27), il 30 (giornata 28). La stagione finirebbe il 30 agosto coppe comprese, il torneo 20-21 dovrebbe riprendere il 12 settembre. I calciatori preoccupati dell’orario, perchè non sopportano il caldo, potrebbero prevedere per ora gli orari delle partite del weekend alle 17.15, 19.30, 21.30. I raccoglitori di frutta, come sempre, dalle 8 alle 18. Chiedo scusa: spero di non dover più registrare le sciocchezze degli addetti ai lavori.

NON TUTTI I VIRUS VENGONO PER NUOCERE

Non tutti i virus vengono per nuocere. Come in tutte le disgrazie c’è chi ci guadagna. Ci son passati davanti agli occhi decine di virologi e affini, molti dei quali son trascorsi dall’anonimato alla fama, dalla fama alla gloria (alcuni anche dalla gloria alla fame) ottenendo preziosi ingaggi dalle tv che si sono trasformate in scatole di magìa, facendosi concorrenza non più con soubrette e politicanti ma con tuttologi specializzati in Coronavirus da febbraio. Prima sconosciuti. Alcuni, non pervenuti in video, hanno rimpinzato i social sparando sciocchezze da galera. Come gli esibizionisti, coloro che s’inventano d’essere sopravvissuti al coronavirus e trovano solerti intervistatori e sciocchi sodali facili a cadere nella trappola della bugia a volte organizzata e costosa. Arrivati alla fine del lockdown molti hanno assunto una nuova veste: sono i futurologi. Questi, a loro volta, si sono divisi in due categorie: ottimisti e pessimisti. Gli ottimisti sfruttano l’onda di protesta dei seguaci del liberatutti – editto mai emanato ma percepito nella confusione di decreti e decretini – ma non sono più ricercati. Sono ovvi. E infastidiscono i superstiziosi che respingono dal primo giorno lo slogan pseudo liberatorio “#andrà tutto bene” dopo aver contato a migliaia le vittime della pandemia. E’ andata malissimo. Funzionano ancora i pessimisti, da evocare con cura – terque quaterque testiculis tactis – perchè ritenuti dal popolo portatori di sfiga; costoro, pur soffrendo la sindrome di Cassandra, l’inascoltata profetessa di sventure, insistono nel predicare il ritorno del Maledetto avventurandosi anche nei tortuosi percorsi biblici. I pessimisti li guida la paura, li difende il malocchio suggerito da prediche futuribili piene di minacce che, volendo, si possono spendere in incontri a tempi e spazi ravvicinati anche come passatempo. Dai tarocchi al burraco. I ricconi possono permettersi il tavolino a tre gambe e altri mobili. Come il divano dello psichiatra. Cresce a dismisura il fatturato degli Otelma, dei Nostradamus di paese. Fosse vivo, Gustavo Adolfo Rol farebbe milioni.
Se il virus non molla – dico io – arriveranno i Savonarola e non sarà festa. In famiglia – antenato di mia madre – ho avuto un contemporaneo, e collega, del frate domenicano finito al rogo. Frate Matteo da Bascio (1495-1552) era un francescano umilissimo dato alla cerca per aiutare i poveri e fu autorizzato da Francesco e dal papa a fondare l’ordine dei Cappuccini nel quale crebbe Padre Pio. Era stagione di eretici e miscredenti, ma anche di stenti e violenze, e Matteo si fece predicatore durissimo prima viaggiando nelle contrade del Montefeltro, poi allargandosi in altri territori. Era “di statura alta, di viso lungo e magro, di pochissimo riso, com’anco di poca allegrezza”; un cronista nel 1543 scrisse che “era più ruvido a maneggiarsi, anzi non punto sociabile, usava semplici frasi ritmate così che potessero essere facilmente comprese anche dagli illetterati, faceva cantare canzonette devote, predicava il Crocefisso e gridava “All’inferno i peccatori”. A Città di Castello, alcuni giovani lo gettarono nel Tevere perchè non avevano gradito i suoi rimproveri. Una testimonianza dei toni apocalittici usati da Matteo è contenuta in un rarissimo opuscoletto di Montegiano da Pesaro, dato alle stampe nel 1552 all’indomani della sua morte, dove elenca i peccatori che perseguiva: “le donne vanitose, gli ipocriti, gli ubriachi, i fannulloni, gli invidiosi, i potenti che spadroneggiano, gli avvocati, i notai e i procuratori, i medici e i mercanti, i ricchi contadini e i padroni sfruttatori, i coloni ingannatori, gli artigiani, i mugnai e i fornai, i sarti, gli osti e infine gli indifferenti e gli spensierati”. Morì a Venezia. Forse avvelenato. Fu beatificato nel 2002 da Papa Giovanni Paolo II – c’ero – forse per pareggiare il conto con Josemaria Escrivà de Balaguer. Fondatore dell’Opus Dei.