La Barba al Palo di Italo Cucci

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Viva la Spagna campione d’Europa

Sissignori, viva la Spagna campione d’Europa. Non solo perchè ha fatto un Europeo di tutte vittorie ma per aver salvato l’Evento continentale suscitando e vincendo la Partitissima decisiva dopo che tutto – dall’esordio alla semifinale – era andato in archivio senza momenti memorabili. Fatta salva, appunto, Spagna-Francia, la sfida più bella che ha introdotto quest’ultima bellissima partita di calcio. Sì, perchè dove c’è la Spagna c’è calcio. Tant’è che la finale era stata ribattezzata come un derby classico fra il Barça di Yamal e il Real di Bellingham; si sono invece inseriti, con i loro gol decisivi, Nico Williams – l’incubo dell’Italia – a nome dell’Athletic Bilbao, e Mikel Oyarzabal della Real Sociedad. Realizzando un’altra impresa, grazie al silenzioso e scrupoloso lavoro di De La Fuente: una squadra. Per questo ho avuto la tentazione di trattare questa partita come una finale di Champions: raramente ho visto una nazionale così compatta. Devo risalire all’Italia europea di Mancini. Per questo la consegna della “nostra” Coppa da parte di capitan Chiellini alla Spagna mi è parsa non solo meritata ma naturale. La nostra consolazione. E’ anche la Spagna della gioventù che ha esaltato la competizione rendendola memorabile soprattutto per le gesta – perdonate l’aulicismo che il calcio spesso suggerisce – di Lamine Yamal. Il diciassettenne che iscrivo nel mio diario di mezzo secolo insieme a Pelè, Maradona, Antognoni, Baggio, Del Piero, Totti fino a recuperare i giorni magici di Gianni Rivera. (A proposito, che li portò a fare Spalletti, a Coverciano, quei cinque Italiani ? Sembrava una proustiana ricerca del tempo perduto, è diventata una beffa al presente, un incubo del futuro).
Della Spagna non ho ammirato solo lo spirito gagliardo, la vocazione offensiva: dietro i goleador esplode la personalità di Cucurella, forse il migliore, un difensore severo, un trascinatore entusiasta. L’uomo che con la complicità dell’arbitro inglese Taylor ha involontariamente fatto fuori la Germania. Pensate che beffa sarebbe stata una vittoria inglese “preparata” da un arbitro inglese. L’Inghilterra ha perduto confermando la debolezza dei “vecchi” che, proprio come Kane, il suo campione, hanno spento lo spirito del giovane Palmer, un gol che poteva valere il ritorno di una Regina accanto al Re.

La gioventù non basta, alla Nazionale serve Pepe

C’è l’ho con Pepe, sì, con il signor Kepler Laveran Lima Ferreira nato in Brasile il 26 febbraio 1983 – quarantun’anni! – naturalizzato portoghese, difensore svincolato della nazionale lusitana con cui è diventato campione d’Europa nel 2016 e ha vinto la Nations League 2018-2019. C’è l’ho con Pepe non solo perchè l’ho visto consolare con affetto fraterno il campionissimo Ronaldo dopo un rigore sbagliato, raccogliendone le lacrime come se fossimo in piena telenovela, ma per il suo nobil pianto dopo la sconfitta – immeritata – con la Francia del Mbappè mascariato. Al quale ha opposto se stesso come un muro – al 97′ di Portogallo-Francia – dopo aver esibito la propria quasi innaturale potenza al 91′ sfidando in velocità – e battendolo – Marcus Thuram, quindici anni più giovane.
C’è l’ho con Pepe perchè ha messo in discussione il mio Piano Salvezza indicato ai responsabili della Nazionale, innanzitutto a Gravina al quale raccomando di non lasciar prevalere il dissenso etico di Abodi o Malagò davanti alla disastrosa prova degli ominicchi di Spalletti. Parli lui, rischi lui, decida lui eppoi si presenti alle elezioni non con la bandiera dei vincitori – un dolente richiamo alla Croce Rossa – ma con quella italiana, accompagnata non da inni stonati ma da proposte assennate. Ecco, Pepe mette in discussione il mio invito a ricondurre il Ct a Coverciano perchè si renda conto delle ignorate imprese delle Under azzurre. Certo non basta trovar uomini – ragazzi, ragazzini – dotati di freschezza atletica e di naturale passione. Ci vuole il “dippiù” di Pepe: orgoglio personale e anche patriottico, visto che il gioco del pallone è l’ultimo residuo di patria tollerato dal politicamente corretto.
Giorni fa ho parlato di ammutinamento azzurro, scandalizzando chi non sa che ammutinarsi vuol dire ribellarsi in silenzio, mandando a quel paese l’autorità rifiutata per grave dissenso o incomprensione. Ho temuto di avere esagerato e invece i fatti mi hanno dato ragione. Dopo la sconfitta con la Svizzera ho mandato tutti al mare “a mostrar le chiappe chiare”, e l’hanno fatto, allegrissimi, mostrando anche tatuaggi rubacuori o semplicemente idioti, esibendo comici sorrisi durbans ma soprattutto – come negargliel ? – le adorabili gnocche portate al mondo da Alberto Tomba, un campione, un vincitore. Non un fuggitivo spiaggiaiolo sin verguenza, come diceva Omar Sivori, ch’era più italiano di tanti finti italiani. Come quelli di Berlino 2024. Così vuoti di anima eppur così privi di forza che non puoi neanche offenderli definendoli muscolari. Vabbè, in fondo grazie Pepe.

Italia, serve rimettere il naso nelle giovanili

Spalletti sì? Spalletti no? Io ho detto no. Gravina ha detto sì. Vince Gravina. Perde l’Italia. Io avevo già detto no dieci mesi fa – anzi l’avevo scritto, verba volant – quando ci fu quella manfrina del finto anno sabbatico di Spallettone, Mancini andava in Arabia trattato – ex ore suo – come il mostro di Firenze, Gravina a sorpresa (?) s’aggiudicava trionfante il mostro di Napoli, quello in senso buono dello scudetto più scudetto di tutti gli scudetti. Io avevo detto no perchè amico (personale) del presidente federale non volevo che cadesse in un trappolone. E gli spiegai che con una Serie A ormai dedicata agli stranieri e dopo due Mondiali saltati non doveva prendere un allenatore ma un selezionatore. Uno capace di mettere il naso nel cosiddetto azzurro pallido – le giovanili, le Under (o anche nei campionati minori, fino alla C) – dove operavano allenatori/talent scout/istruttori/allevatori federali competenti. Ricordo che feci il nome di Alberto Bollini, del quale non sto a dire il curriculum salvo le ultime battute, perchè era già “federale” come vice del CT della nazionale maggiore, alias Mancini; partito Roberto, lo Spalletti fresco fresco lo mollava all’Under 20. Ma c’è dell’altro, a Coverciano: Carmine Nunziata all’Under 21, Bernardo Corradi all’Under 19, Daniele Franceschini all’Under 18, Massimiliano Favo alla 17, Daniele Zoratto all’Under 16. Prima della partenza per la Germania ricordavo l’impresa degli Under 17, appena laureati campioni d’Europa, e del loro bomberino, Francesco Camarda, classe 2008, 483 gol nelle giovanili del Milan, a me caro perchè mi rammenta due “amori” – anch’essi milanisti – diventati azzurri a 16 anni, Renzo De Vecchi detto il Figlio di Dio e Gianni Rivera , il Golden Boy. Allego, a futura memoria, un’annotazione per gli addetti ai lavori della Federazione: è sciocco accusare i club perchè non fanno giocare i giovani, a questi deve pensare la FIGC come faceva con i tecnici di Coverciano: ricordo che Bearzot era malvisto da qualche collega perchè convocava in Nazionale calciatori che non giocavano titolari nel loro club. E ancora, un suggerimento amichevole. Cinquant’anni fa ero in Germania ai Mondiali quando l’Italia di Valcareggi – la più illustre di tutti i tempi, con Rivera, Mazzola, Riva, Chinaglia, Anastasi, Facchetti, Capello ecc ecc – fu cacciata dalla Polonia. Allora convinsi Artemio Franchi a sostituire il vecchio “Uccio” (campione d’Europa 1968) con il “nonno” Fulvio Bernardini. Che da provetto selezionatore convocò 104 giovanotti – fra i quali Antognoni e Tardelli – e ne passò il frutto a Enzo Bearzot che fece quel che fece fra il ’78 – la Nazionale più bella, in Argentina – e l’82, la Nazionale Mondiale di Spagna. Con tutto il rispetto per Gravina e Spalletti, rammentando Bernardini dopo aver visto l’ultima Nazionale, vorrei dire che “così si gioca solo all’oratorio”. Gratis et amore Dei.

Povera e penosa Italia, povero Spalletti

Ricordo – proprio come fosse adesso – quando le avverse vicende della vita facevano dire “Povera Italia!”. Poi venne il miracolo economico e ci tirammo su. Finchè del motto disfattista s’impossessò la Nazionale. Il Brasile del ’50, la cacciata del ’58 a Belfast, il Cile del ’62, la Corea del ’66… Basta! Basta! Un sospiro a Roma ’68, Europei da non crederci. Poi furono esaltazioni e sconfitte vissute a pancia piena, con lanci di pomodori agli azzurri beffati, vittorie che fecero uscire i tricolori dalla naftalina, Italia-Germania 4-3, Spagna ’82, Berlino 2006 e Fratelli d’Italia cantato a squarciagola, Wembley 2021, due mondiali saltati, indifferenza…araba. Finchè ieri – l’ho sentito nel cuore – riecco “Povera Italia”. Sì, la mia anzianità di servizio – dodici Mondiali vissuti, Europei a iosa – mi permette di infliggere all’Italia sconfitta dagli svizzeri il massimo della pena. Povera, sì, e penosa, non solo debole ma addirittura assente, scoglionata, cosa stiamo facendo qui? Niente. La Svizzera. Fa parte dei miei Amarcord anche l’antica gita scolastica delle medie quando in autobus qualcuno intonava “la montanara uè” eppoi “la Svizzera, la Svizzera, la Svizzera, la Svizzera”. Un Paese che c’è sempre piaciuto, perchè anche un pò Italia, non solo sigarette e cioccolata ma ospitalità, libertà…Il calcio? Era da un pezzo che mettevano il naso fuori, io li seguivo, i rossocrociati, anche perchè conferivano storia e cultura alla mia passione per il calcio italiano, il Catenaccio, inventato dall’austriaco Rappan proprio in Svizzera. E copiato da Viani, da Rocco, predicato da Brera. E arrivavano in Italia i primi giocatori e allenatori, finchè l’altro giorno mi son divertito (era finzione) a minacciare i miei connazionali: “Attenti ai Bolognesi! Freuler, Aebischer, Ndoye…”. E molti mi rispondevano:”Sì, anche a Embolo, ah ah!!!”. Non ridono più. Gol di Freuler al ’37, Donnarumma comincia a perdere la Santità. Gol di Vargas al 46′, assist di Aebischer (con quel nome toscaneggiante evocato da Spalletti coi bischeri).
Povera Italia. Povero Spalletti. Non ho voluto far gradassate prima della partenza della spedizione accompagnata da un’orgia di spallettismo, critici predicanti le sue virtù, le sue intuizioni, la sua pissicologia. Ho solo detto, fischiettando, ah il mio caro Orsolini lasciato a casa, ma certo, con quello Scamacca lì, con quel Chiesa…E ho aggiunto, con un tantino di veleno: ma perchè Fagioli, non dico di lasciarlo a casa per le scommesse, non voglio un altro Paolorossi, ma cosa ci fa uno che da mesi è senza palla? Scusi Spalletti, perchè non porta in Germania Francesco Camarda, milanista, sedici anni, un bel faccino da killer dell’area, europeo con l’Under 17? Perchè? Perchè ?
E pian piano m’indigno con l’allenatore del Napoli, attento, prosaico, pratico, che s’è ripetuto solo con l’Albania e la Croazia, 3-5-2, catenaccio. Poi s’è dato alla poesia – a quattro, a quattro – s’è fatto anche santone. Tirava a farsi Padre Pio, ch’era tifoso del Foggia e aveva un beniamino che faceva tanti gol, Cosimo Nocera. Da you remember?
Basta Amarcord. Una sentenza. Tutti a casa. Troppo severo? Tutti al mare, tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare prese a pedate dagli svizzeri.

Dalla sconfitta al cielo, ora la Svizzera

Ero finito in gramaglie. Sconfitto. Quante volte – chiedevo alla memoria. E mi rifugiavo nel mito di Modric per rendere meno dolorosa la caduta. Poi arriva al 100′ la follia che ti porta in cielo: Calafiori lavora un pallone all’uncinetto, bello, pulito e lo dà a Zaccagni, l’ultima mossa di Spallettoni. Gol. Pareggio. Sabato a Berlino con la Svizzera. Avanti Italia.
Stavo meditando. Volevo solo rivedere il fulmineo presente. Modric contro Donnarumma, al 53′: sembra un Cristo sofferente e Gigio un diavolaccio. Rigore, paratissima. Roba da lacrime agli occhi, povero vecchio intenerito. Ma la palla gira e in un attimo Luka diventa un Lucifero splendente, si contorce, aggancia la palla rimasta in area, è gol. Ed è lui che piange, come un ragazzetto, fra i croati che accendono fuochi infernali. Vedete, questa è classe. E’ anche storia. Non li abbiamo mai battuti, da quella finta partita genovese del ’42. Sta a vedere che ci battono loro.
La partita era cominciata con duecentoquaranta secondi d’angoscia poi Donnarumma deviava una palla cattiva di Sucic. Tocca sempre a lui fare gli onori di casa. I croati han provato a riprendere il volo ma con lo schema duttile li abbiamo scoraggiati e spediti a remigare. La partita la capisci quando vedi le mosse dall’alto. Come immaginavo ho fotografato un incoraggiante 5-3-2 che un furbastro ha definito la versione più moderna del catenaccio. L’Italia con la Spagna ha perso malamente – ho sentito dire – provando il misterioso Giuoco di Spalletti. Malamente? Zero a uno per autorete. Ho visto di peggio. Vorrei veder di meglio. Contrappongo dunque la possibilità di vincere malamente con il 3-5-2/5-3-2/6-3-1 quando Retegui fa l’Orsolini e va a cercarsi la palla che non gli arriva. Scamacca è fuori – peccato – perchè non si è umiliato a fare lui pure il cercatore. Qui, fra gli azzurri – ecco il nostro limite – c’è paura di buttare la palla avanti come se non avessero visto che Dimarco e Di Lorenzo sono in palla, ali abusive ma produttive. Se devo dirlo rendono molto meno Pellegrini e Raspadori. Mentre il centrocampo vive più grazie ai ragionamenti di Jorginho che per gli slanci a responsabilità limitata di Barella. Ragazzo, cosa t’è successo?
Nella pausa cerco di capire cos’è che non mi torna in quest’Azzurra. Ecco: non c’è ombra di Juve. Solo Buffon dirigente. L’amico statistico precisa solenne (è juventino): dal 1998, per la prima volta nella storia della Nazionale, Spalletti ha schierato in un grande torneo una squadra senza giocatori della Juventus in campo. Oddio, manca anche Chiesa: non aveva detto che era il suo Sinner? E non doveva esserci Fagioli, quello che – ha preso il posto dell’Orso e di Camarda? Preferisco notare che funziona Di Lorenzo – l’insultato a sangue – che il ct aveva definito suo figlio. Relax. Me lo consente l’adorabile nemico, Luca Modric, che passeggia. Gli auguro una gradevole vecchiaia. Come se finisse un’amicizia. E invece gliel’abbiamo tirata al momento meno felice – per lui -, suggerendogli la pensione. Ma a un nemico così offro una stretta di mano.

Occhio alla Croazia di Dalic e Modric

Dicono che se Spalletti perdesse e finisse out sarebbe capace di dimettersi. E dicono che al suo posto potrebbe arrivare De Zerbi. Dico che se la nonna avesse le ruote sarebbe una carriola. Ma accetto – per discuterla – una versione più concreta: Spalletti resterebbe comunque perchè ha già detto che il suo obiettivo è il Mondiale perchè bla bla bla bla bla (Spallettone è fortissimo nel bla bla). E’ credibile perchè io so – per mia esperienza – che in questo bel mondo pochi sanno che conquistare un Europeo è molto più difficile che vincere un Mondiale. Mentre al torneo planetario si presentano anche squadre di Paesi calcisticamente modesti, l’Europeo è la rappresentazione del calcio migliore. Ricordo che negli Ottanta Artemio Franchi, presidente dell’Uefa, ebbe uno scontro durissimo con Joao Havelange, presidente della Fifa, che spalancava le braccia all’Africa per averne i voti. A un certo punto il grande Franchi disse: “Siamo pronti a rompere, invitiamo Brasile, Argentina e Uruguay e il Mondiale ce lo facciamo da soli”. Beata ignoranza. E’ come se sottacessi un’altra verità sacrosanta: ch’è più facile vincere Mondiali e Europei di quanto lo sia cogliere con il calcio una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Credo sia stata l’impresa più grande di Vittorio Pozzo, a Berlino, nel ’36, diventata leggendaria come Jessie Owens ma non per i suoi ori, ma perchè la sera andava a suonare l’ukulele a Casa Azzurri. Dove ogni tanto appariva Trebisonda Valla detta Ondina. Amica mia.
Non stupite, sto blableggiando anch’io, come Spallettone, perchè “sento” la vigilia e temo la Croazia. E credo che a quella squadretta sbandata dell’altra sera con i vivaci spagnoletti manchi un buon vecchio compare che sappia tenerli a bada e a sollecitarli alla battaglia; e capisco perchè Spalletti sia pronto a rimandarlo in campo: se questa Nazionale terrà botta Jorge Luis Frello Filho sarà quello che io sempre suggerisco, l’allenatore in campo. Ha 32 anni, l’azzurro più vecchio è Darmian, ma non gli affiderei la guida di una Panda. Poi sbaglierò tutto, l’importante è che non sbagli Spallettone. Ad esempio, non si preoccupi di sembrar catenacciaro, badi a vincere con ogni mezzo. E non si faccia pena di controllare Modric l’immarcabile. Lo lasci giocare per sè, se è possibile, evitando che faccia il leader in campo per la Croazia, come Cristiano Ronaldo per il Portogallo. Libero di farsi ammirare. Come disse un giorno Pesaola quando gli chiesero da chi avrebbe fatto marcare Pierino Prati:”Da nessuno, così finirà a marcare se stesso”.

Contro la Spagna l’Italia ha giocato senza attacco

Visto che l’ho cantato devo anche suonarlo. Scamacca non l’ho visto esistere fin dall’inizio di questa pena, quel colpo di tacco al 9′ che ha fatto arrabbiare Pellegrini. Ero ragazzo, una domenica a San Siro per un Milan-Bologna, un colpo di tacco di Ciapina Ferrario, esultai, il Gioànn mi diede del pirla. Imparai la moderazione dei gesti – finta modestia – che spesso si traducono in gol più delle finezze stilistiche. Quel che ho visto ieri mi ha stordito. Abbiamo giocato non tanto senza bomber – si sapeva – ma senza attacco, così neanche in tempi di carestia, mi viene in mente l’infelice Europeo dell’80 in Italia, roba da belgi. Scusate, avete visto un tiro in porta degli azzurri? Accecato dalla rabbia potrei averlo perso. In verità ho visto solo le grandi parate di San Gigio Donnarumma che ha rigiocato l’approccio all’Albania, salvandoci con la punta delle dita al secondo minuto. E ripetendosi prodigiosamente almeno quattro volte da Yamal e da Fabian Ruiz. Gli spagnoli li ha fermati, è stato abbattuto dal fuoco amico. Peccato, amico Calafiori, già non eri gradito alla critica, adesso chi ti salva?
Mi son detto arrabbiato, perchè? Non ho ancora maturato la saggezza dei vecchi? Mi spiego: mi sono accusato di mollezza quando al 64′ ho visto uscire Scamacca e Chiesa. Il fallimento. E allora mi son detto che dovevo battermi davvero, alla vigilia, per Orsolini, anche se ero sospettato di tifo. O per Camarda: sapeste quanto ho ricordato i suoi 483 gol-giovinezza! Sir Luciano, mi perdoni, m’aspettavo di più. Comincio ad aver paura di Modric – mio mito d’un tempo – e dico di aver paura – come me – della Croazia. Un momento di responsabilità può salvarci.

Spalletti non si preoccupi della Spagna

Mi piacerebbe riveder la Spagna, quella che nella finale dell’Europeo 2012 ci rifilò quattro pere, rovinando uno dei rari eventi azzurri fin lì godibili, il miglior frutto della stagione di Prandelli. Ma ne vedremo un’altra, giovedì prossimo – e già ci prende la tremarella per quel 3 a 0 inflitto dalle furie rosse alla Croazia – ed è giusto trovare in archivio le tracce di una sconfitta che fece scuola. Noi col berretto degli asini. Chissà perchè gli spagnoli ci creano imbarazzo solo accusandoci di nefandezze che in realtà sono virtù: catenaccio e contropiede, più semplicemente calcio all’italiana. Vergogna. (Poi fanno i fenomeni con Ancelotti che non è Guardiola). E chissà perchè a noi italiani quando pensiamo agli spagnoli d’oggidì viene in mente il flamenco rock, la loro modernità. Mentre il Maestro assoluto è stato Del Bosque, Er Moviola. Nel 2012 – quei giorni felici in cui scoprimmo di avere un campioncino, Balotelli, e cominciammo subito a sprecarlo – avevamo un’Italia bellissima con tutta quella Juve (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Marchisio, Pirlo, Giovinco e anche Giaccherini, toh!) e arrivammo in finale dopo avere umiliato Inghilterra e Germania. Dovevamo vincere. Ci prese la tremarella. Ho un ricordo nitido di quella vigilia. Predicavo sicurezza puntando sulla potentissima difesa bianconera; ne parlai in radio, in tv, lo scrissi sul giornale e un partitello di prandellisti, improvvisati sostenitori – ricordo – più della sua linea morale che del suo credo tattico, mi trattarono come un cavernicolo. Un giorno – per rasserenarmi – chiamai al telefono Emiliano Mondonico, gli spiegai la mia pena: “Non preoccuparti – mi disse con un sol tocco tranchant – con quella difesa lì se non impazzisce stravince”. Beh, il saggio e prudente Cesare impazzì, s’inventò un Tikitaka all’italiana, affrontò la Spagna “alla pari” – diceva lui – e finì che Silva, Alba, Torres e Mata ci fecero neri. Di chi la colpa? I prandellisti e quelli del flamenco rock trovarono varie scuse, qualcuno fece ricadere la responsabilità su Thiago Motta – costretto ad uscire anzitempo – così come nel 1966 tanti avevano spiegato la tragedia coreana col dramma di Bulgarelli infortunato. E allora dico a Spalletti – felicemente ricco di ambizione – di non preoccuparsi della Spagna, di andare avanti per la strada italiana. Magari raccomandando ai ragazzi di passar palla a Scamacca.