Fate caso: nonostante gli appelli del Presidente Mattarella e di Papa Francesco, le uniche due personalita’ riconosciute all’unanimita’ superpartes per carisma, autorevolezza e mandato – l’uno popolare, attraverso i meccanismi della democrazia, l’altro divino per intervento della Provvidenza – governanti e oppositori sono in conflitto su tutti i temi relativi alla Fase 2 del Coronavirus. Ripescati in qualche maniera i “congiunti-fidanzati” per i prossimi brevi incontri, nessuna soluzione e’ ancora stata decisa per la riapertura delle scuole, l’organizzazione famigliare che per ora non consente la ripresa del lavoro ai coniugi con bambini, l’attivita’ commerciale e ancora in buona parte quella industriale: neanche le numerose task force – compresa quella suprema condotta da Colao – riescono a stabilire un po’ d’ordine in questo clima avvelenato anche dall’incertezza scientifica; anche gli ormai quotidiani messaggi positivi vengono in poche ore dissolti da un pessimismo per niente razionale. Ma c’e’ una cosa che tutti unisce: da’lli al calcio.
Per il futuro sento parlare di braccia restituite all’agricoltura, incalzanti liberalizzazioni che vanno dalla licenza di cannabis alla riapertura delle case chiuse, mentre non si danno garanzie per la riapertura di chiese e stadi, visto che da una parte lo stesso Bergoglio frena i suoi vescovi, mentre Spadafora non frena il suo istinto antisportivo. E adesso, per farlo felice, per ristabilire un equilibrio a suo favore dopo la ripresa dell’attivita’ calcistica tedesca, la Francia dice no alla ripresa del campionato. Il primo ministro francese Edouard Philippe ha annunciato che il calcio – e le manifestazioni sportive – sono state interrotte fino ad agosto, “e visto che l’UEFA ha annunciato che i campionati nazionali devono finire entro il 3 agosto, la Ligue 1 di fatto viene cancellata per il resto della stagione. L’unica opzione contraria che il resto di questa stagione venisse giocato in autunno. Dal No al Ni, insomma. E’ la mia tesi: prima concludere il campionato interrotto, anche a agosto/settembre/ottobre, insieme alle Coppe europee, poi giocare il torneo 20-21. Per evitare danni sportivi immensi, ricorsi ai tribunali statali gia’ soffocati da pratiche inevase e fallimenti patrimoniali. Per cominciare, Sky ha gia’ quantificato le richieste alla Lega prima dell’ultima riunione (Dazn ha fatto lo stesso): in caso di stop definitivo chiederebbe uno sconto alle societa’ di 255 milioni. Taglio che i club dovrebbero nel caso riconoscere anche agli altri licenziatari per un mancato incasso complessivo di 440 milioni (considerate solo le televisioni). Ma gli introiti tv incidono sui conti dei club per circa il 40%. Gli altri mancati incassi (botteghini, sponsorizzazioni, merchandising, altri proventi) farebbero salire le perdite a oltre 700 milioni.
Il governo sta per utilizzare la ghigliottina nonostante il tentativo salvifico del premier subito rintuzzato da Spadafora. L’opposizione tace, come disinteressata, salvo il pollice verso di Berlusconi, contrario alla riapertura del campionato visto che lui non c’e’ piu’, e’ a Monza. Il calcio era ricco di padrini attratti dall’antica formula panem et circenses tuttavia spariti all’improvviso dopo l’ultimo Derby d’Italia. E’ rimasta una lapide: “Torino, 8 marzo 2020 -Juventus-Inter 2-0 – Stop al campionato- Una prece”.
UNA COSA CHE UNISCE TUTTI: DA’LLI AL CALCIO
L’ALTALENA DI INDECISIONI E’ INDECENTE
Prima di darmi allo sport – materia oggi rivelata infima da un governo immobile – ho fatto il cronista giudiziario e mi son costretto ad un aggiornamento specifico quando, durante il processo Nigrisoli, ho conosciuto l’avvocato Carlo Alberto Perroux, un principe del foro che mi ha erudito chiedendo in cambio, anni dopo, una rubrica sul “Guerin Sportivo” dedicata al Bridge: era anche fondatore e capitano del Blue Team che conquisto’ successi mondiali. Ecco perche’ oggi sono in grado di affermare – incoraggiato dal costituzionalista Sabino Cassese – che stiamo vivendo una stagione straordinariamente liberticida che ha sollecitato proteste nel mondo intero, mentre a casa nostra c’e’ addirittura chi raccomanda che “la democrazia non sia una palla al piede”. So – perche’ c’ero – come potrebbe finire. Non perche’ i nostri affezionati mezzibusti siano pericolosi sovversivi: sono solo molli e ignoranti. Che a volte e’ anche peggio.
Non mi stupirei se, perdurando questa sorta di coprifuoco che danneggia corpi e menti, saltasse fuori un governante aggiunto per l’emergenza come Achille Starace, gia’ presidente del Coni diventato segretario del Partito Fascista, che costringeva i ministri di Mussolini a fare sport allo Stadio dei Marmi: prova decisiva il salto in un cerchio di fuoco. Leo Longanesi ne rise fino alla censura.
Altri vi diranno dei danni inflitti con norme incerte e pavide alla Societa’, alla Famiglia, alla Scuola, alla Cultura e alla Salute degli italiani, per non dire del tracollo economico che puo’ trasformarsi in miseria, titolare della fame, la massima inquietudine capace di trasformare le genti piu’ pacifiche in ribelli. Io mi fermo allo sport, che ne ha gia’ abbastanza. L’altalena di indecisioni e’ indecente.
L’ultimo intervento del premier Conte – tifoso inconsapevole della Roma – ha raggiunto vertici di comicita’ involontaria soprattutto quando gli e’ arrivata la bacchettata correttiva del ministro dello Sport Spadafora i cui interventi avrebbero senso se fossero effettuati dal ministro della salute Bob Hope, pardon Roberto Speranza. Dappertutto, nel mondo, e significativamente in Europa, tutto lo sport sta riprendendo vita, sia individuale che di gruppo, proprio perche’ – come dico gia’ da mesi – non c’e’ migliore annuncio di una vittoria per dichiarare concluso, o come in questo caso attenuato, un periodo particolarmente tragico. Ma dico anche, da sempre, che lo sport e il calcio in particolare non chiedono elemosine a un governo bollettaro, pretendono solo di salvaguardare i propri interessi non appena il coronavirus avra’ sollecitato una normativa adeguata agli italiani, alle loro aziende, alle loro famiglie e alla loro salute che per noi e’ da sempre la prima da salvaguardare.
Un’ulteriore lunga attesa rischia di partorire soluzioni emergenziali umoristiche come la proposta lotitiana di giocarsi lo scudetto in una partita secca fra Lazio e Juve. Magari aggiungendo al prossimo torneo una squadra, il Benevento, promossa sul campo. Ovviamente al posto del retrocedendo Brescia, tanto per far piacere all’illuminato nichilista Cellino.
Per non apparire egoista chiedo ai governanti non solo di farmi rivedere e raccontare il campionato di calcio: di questo vivo. Poi voglio portare a passeggio la mia nipotina per farle conoscere – a quattr’anni si puo’ – il bello della primavera fra poesia e prosa. Eppoi, come ho gia’ scritto qui, se e’ vero che agogno l’apertura degli stadi, mi sta ancora piu’ a cuore quella delle chiese. Dove vivo – a Pantelleria – ce n’e’ una matrice, un santuario mariano e tante chiesette: tutte vuote. Qui non c’e’ contagio e ordinatamente ubbidiamo ai decreti anche se non ci riguarderebbero. Ma perche’ negarci il luogo della preghiera? Ahinoi, non siamo tutti discepoli di Fiorello.
IMPAZZA LA GASTRONOMIA, IL FRIGO E’ LEADER DELLA CASA
Impazza la gastronomia. Dappertutto. Web, tv, radio, giornali. Un immenso pasto mediatico. Prima fase – uora uora – magna che te passa. Solitudine ingannevole, panini imbottiti, tv istigatrice, spaghettata aromatica (aio-e-oio-peperoncino, il massimo). Controllo alla bilancia prima settimana, poi que sera’ sera’. Un lento succulento andamento suicida. Il leader della casa e’ il frigo (a Bologna dicono ancora frigor, e’ una parola rinfrescante), avessi i mezzi inventerei un frigo con televisore incorporato. O viceversa. Mangiare: e’ l’unica cosa che Conte non ha ancora limitato, ma gli scienziati sono pronti. Ha pero’ parlato di fidanzati, il premier d’antan, e mi son tornati in mente tempi lontani quando era l’amore a dettare impulsi gastronomici: fidanzata delusa o trascurata, uguale cicciona; fidanzata soddisfatta e esercitata, uguale “ti ricordi Twiggy?. Menu’ classico: pane, amore e fantasia.
Ma verra’ il 4 maggio, o il 7, o il 18 , o il 24 (quando scopriremo che lo straniero non passa piu’, addio estate) e potremo avvicinarci al pizzaiolo, al piada-e-prosciutto preparato dalle signore di Mamaia, la Rimini sul Mar Nero, e la chiameremo piadina rumegnola; e agli arancini, ai suppli’, a quel bendidio di fantacibarie; e proveremo anche metti una sera a cena, con la mascherina, io a un metro da te, tesoro mio, ma cos’e’ un tavolo?, una parentesi scomoda fra le parole “io t’amo”. Puo’ anche venire un colpo di nostalgia: ti ricordi quelle serate con gli spaghetti al tonno e pastaececi?
Si’, bene, ma quanto dura? Verra’ giorno che il Pil ci restera’ sullo stomaco, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca. Verra’ l’ora di risparmiare, l’arte di arrangiarsi: la cucina di guerra e post, insomma. Menu’ piacevoli alla lettura ma vuoti di sostanza (come la blanche cuisine, roba da ricchi inappetenti). Tornera’ di moda il pollo anche in versione vip, tutt’intero, ma anche solo ali, solo cosce; il baccala’ no, dopo la guerra era il mitico risparmioso pesce veloce del baltico che sfamava e dava la carica, adesso costa come il caviale (rosso); ci sara’ lo sgombro, ci ho costruito su una vita poi ho smesso di chiederlo, al ristorante, per non fare il pezzente, ma lo adoro. Piano piano scenderete al minimo indispensabile, come si tempi che la “Domenica del Corriere” aveva due rubriche seguitissime: “Chi l’ha visto? Scomparso dopo l’armistizio” e “Qui da me i golosi”, firmato Petronilla, che dovevo ritagliare sempre e mettere da parte per mia mamma, e m’immaginavo una di quelle rezdore poppute sempre alle prese con pignatte e padelle e poi scoprii ch’era una grande signora mantovana che di chiamava Amalia Moretti Foggia Della Rovere, tanto nomine per reduci e impoveriti. Io mi preparo gia’ la ricetta che andra’ bene quando la drastica riduzione conto in banca combinera’ con il quintale. Insalata Pantesca: patate lesse, olive snocciolate, cipolla fresca, se ce l’hai un polipetto e capperi. No, non saro’ mai Beppe Bigazzi, che quando disse “Berlingaccio chi non ha ciccia ammazza il gatto” la Rai lo caccio’. Ma vi giuro che il dopoguerra…In alto i cuori.
PASSATA UN’ALTRA DOMENICA SENZA STADIO E SENZA CHIESA
E’ passata un’altra domenica senza niente. Non solo senza stadio, che e’ gia’ dura da buttar giu’. Anche senza chiesa. Mi viene in mente una volta che le due potenze popolari – passatemi l’ardito confronto – si scontrarono…per l’occupazione dello spazio. La Conferenza Episcopale aveva chiesto di poter recuperare gli spazi domenicali dai quali era stata sloggiata dal calcio che neanche rispose, forte non solo del vistoso consenso popolare – gli stadi erano pieni – ma anche dall’esistenza della riffa domenicale del Totocalcio, terza “religione italica”. La Chiesa ripiego’ allora sul sabato che ai tempi del fascismo era diventato giorno di riposo laico (sabato fascista) ma si oppose vigorosamente Carlo Tavecchio, allora presidente dei dilettanti, la vera potenza economica del primo sport italiano. Allora in Vaticano qualcuno – immagino Papa Wojtyla in persona – penso’ che si dovesse far qualcosa e fu realizzata la conferenza Episcopale per lo Sport, affidata a Don Mazza, un sacerdote preparato e abile che riusci’ in breve tempo a rivalutare l’apostolato sportivo, piu’ tardi nominato vescovo di Fidenza. Fra le varie iniziative un incontro dei rappresentanti dello sport, giornalisti compresi, con il Papa, ospite meraviglioso per semplicita’. Io avevo avuto con lui un piccolo incidente diplomatico: quando era diventato Papa’ avevo dedicato un bel servizio alla sua squadra del cuore – il Katowice – sul “Guerin Sportivo”; un amico influente glielo mostro’ durante un’udienza e lui, in trono, col giornale spalancato (ho ancora la preziosa immagine) lesse per qualche minuto l’articolo poi disse: “Molto bello…Peccato che io sono tifoso di squadra di Wadowice, mio paese natale, grazie lo stesso”. Tuttavia non fui…scomunicato, anzi: un giorno don Mazza mi invito’ a un dibattito importante, sempre in Vaticano, sul tema “Il calcio e la Chiesa”. Quando tocco’ a me parlare mi sentii perduto: davanti a me avevo una fila di eccellenze e eminenze, riconoscibili per il colore della papalina; il cardinale piu’ importante (niente nome, please) stava sonnecchiando e allora ebbi una reazione gagliarda, partii a razzo, senza freni inibitori, e sparai la mia sentenza: “Il calcio e’ sport assolutamente cattolico: pecca fortemente, si pente immediatamente, si assolve all’istante”. Un attimo di silenzio, i monsignori guardavano tutti il cardinale che aveva aperto gli occhi e lui, all’improvviso, con uno sforzo titanico, abbozzo’ un applauso che divento’ subito ovazione liberatoria. Anni dopo, ho avuto modo di presentare la nascita di “Sport e Chiesa”, sotto l’egida del Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal Cardinale Gianfranco Ravasi e diretto da mons. Melchor Jose’ Sa’nchez de Toca y Alameda, sottosegretario del Pontificio Consiglio della cultura, maratoneta e presidente di Athletica Vaticana.
Santificata cosi’ la festa, mi riprendo una licenza laica ridando la parola a Carlo Tavecchio che, banane a parte, e’ stato il miglior amministratore del gioco del pallone. Sentite cosa dice sul Partire o Restare, gioco dell’anno:”Tanti presidenti dicono di non voler ripartire? C’e’ chi punta a rimanere in A, anche a costo di mettere a rischio il sistema…Se sara’ confermato lo stop alla stagione, Sky e le altre pay tv non vorranno pagare l’ultima rata. E a quel punto un sistema che fattura 3-4 miliardi l’anno esplodera’ per 200-250 milioni di mancati introiti dalle tv. E si chiedera’ l’intervento dello Stato. Con un Paese in condizioni drammatiche, chi potra’ mai dare soldi a un mondo in cui il piu’ “fesso” prende un milione di euro all’anno?”. Amen.
“‘O SOLE MIO” CANTATO DA PAVAROTTI PER TENERCI SU
L’Italia del virus, ridondante di parole, di critiche, invenzioni, precisazioni, suggerimenti e prescrizioni gratuite, e di opinionisti ed esperti, task force e deboli, tutti affannati ad agitarsi su cento tivu’, non lasceranno il segno come l’ascesa solitaria del Presidente Mattarella all’altare della Patria per il saluto al Milite Ignoto e la struggente benedizione di Papa Francesco il 28 marzo sul sagrato deserto di San Pietro. La storia di questa tragica peste non si affidera’ tanto a emuli del Manzoni, destinati a ripetere quel ch’egli gia’ scrisse, con impressionanti somiglianze, quanto alle immagini degli eroi degli ospedali, della Croce Rossa e della Protezione Civile – quella dell’infermiera sopraffatta dalla fatica e dal dolore, i medici truccati come marziani eppoi la lugubre fila di camion carichi di bare avviate a una ignota sepoltura – si avvarra’ piuttosto di testimonianze autenticate come la bandiera Usa piantata sull’Isola di Iwo Jima nel febbraio del ’45 o la foto della piccola vietnamita Kim Phu’c che a nove anni, ferita dalle bombe al napalm, fugge nuda in cerca di un rifugio durante la guerra in Vietnam nel ’72.
Confesso una certa vigliaccheria che mi assale dopo l’ennesimo tg carico di bollettini che elencano contagiai e morti: non e’ facile trovare qualcosa di consolante che ti restituisca per un po’ alla vita quotidiana di un tempo senza dover ricorrere per forza all’Ispettore Barnaby o alla Signora in Giallo. C’e’ riuscita la Rai, l’altra sera, con il film documentario dedicato da Ron Hovard a Luciano Pavarotti. Definirlo bello e capace di restituirci Lucianone in tutta la sua grandezza artistica e umana e’ dir poco: Lui e la sua musica hanno offerto emozioni tali da indurre al pianto; e cosi’ i suoi sorrisi solari, i momenti di tenerezza o di plateale narcisismo tipico del tenore. E tre ne ho visti, di tenori, Pavarotti con Carrera e Domingo, al concerto di Caracalla per i Mondiali del 90; e mi e’ tornata in mente – invero bazzecola – la volta che per raccontarne la poetica bravura sulle pagine del “Roma” di Napoli, ribattezzai Hamsik, Lavezzi e Cavani “I Tre Tenori.
Il documentario, realizzato da un americano, ha ignorato un aspetto singolare del personaggio Pavarotti: era un appassionato di calcio, tifosissimo della Juventus e di Platini, Baggio, Del Piero. Senza considerarne il tifo calcistico, in una pausa “umana” mi regalai una serata alla Scala per “Turandot” con Pavarotti e la grande Kabaivanska. Fui travolto dalla musica e da quel “Vincero'” pucciniano che divenne poi il mantra di Spagna 82. Ron Howard, non inserendo certe immagini di sport, di calcio in particolare, e’ stato accolto con moderato entusiasmo pur raccogliendo 4 milioni e passa di spettatori sull’Uno. Va sempre meglio il commissario Montalbano. Io me lo sono goduto anche fuori dal palcoscenico, dietro alla cosa piu’ importante fra le meno importanti. E lo racconto ancora con emozione. Trillo di telefono, “C’e’ Cucci?”. “Sono io. Chi parla?”, “Sono Pavarotti, Luciano Pavarotti” stile James Bond. “Chiamo da Londra. Mi dice qualcosa della mia Juve?”. Ripresi fiato e dissi qualche sciocchezza sulla Signora, sull’Avvocato che aveva speso una fortuna per il Vialli che poi Luciano avrebbe amato. Vennero altre telefonate e un giorno un invito a fargli visita nella villa sul mare Adriatico in provincia di Pesaro. Mi resi conto, non troppo stupito, di quanto fosse importante per lui quel gioco che gli snob dicono sciocco cosi’ come milioni di persone normali fanno sacrifici per goderselo. Fossi in una task force suggerirei di usare la sua voce per tenerci su. Non dico il “Vincero'” di Turandot fatalmente sfigato ma un semplice, vibrante “‘o Sole mio”.
ADDIO A GAZZONI, IL CALCIO GLI HA DATO GIOIE MA L’HA ROVINATO
Se n’e’ andato per conto suo, beffando il Coronavirus, Giuseppe Gazzoni Frascara, presidente dell’ultimo Bologna che – prima di Mihajlovic – ha scaldato i cuori dei pretenziosi tifosi rossoblu’. L’ha sconfitto la leucemia che lo consumava da anni e quando gli dicevano di Sinisa, che aveva vinto la sua battaglia, precisava sorridendo “la mia e’ quella dei vecchi, arriva anche lei al punto, ma si da’ tempo”. E il tempo e’ scaduto. Gazzoni era anche un vecchio amico – ci siamo conosciuti nei Sessanta – e oggi entra nel mio diario non solo per amicizia ne’ per semplici ragioni calcistiche ma perche’ il calcio gli ha preso buona parte della vita: della gioia, delle ricchezze, del potere. E alla notizia mi son venuti in mente altri personaggi distrutti dall’ambizione piu’ che dalla passione pallonara, come meta’ dei presidenti del Milan, da Felicino Riva a Albino Buticchi, come Calisto Tanzi, mentre un lungo viaggio nel calcio mi ha fatto incontrare i Generosi buttatisi nel calcio per la loro gente: ad esempio un personaggio romanzesco come il Principe Raimondo Lanza di Trabia, un vero gentiluomo, come Gazzoni, presidente del Palermo, inventore – nei saloni dell’Hotel Gallia, a Milano – del calciomercato, dove in una suite imperiale versava champagne a personaggi illustri e meschini; il che gli erose pian piano il capitale, tutto, lasciandogli solo l’Onore: si getto’ da una finestra dell’Hotel Eden, a Roma, lasciando in eredita’ alla moglie, l’attrice Olga Villi, un calciatore argentino, tale Marchegiani.
Un altro presidente a dir poco sfortunato, che ho conosciuto bene e ammirato, e’ il mantovano di Quistello Andrea Zenesini, una leggenda degli anni Sessanta/Settanta, uno che tuttavia non cercava notorieta’, fu da questa distrutta. Zenesini aveva cominciato da zero ma lavorando duro aveva creato la prima vera potenza tecnico/televisiva italiana, l’Europhon, che produceva televisori per tutte le marche. Mi disse un giorno Emidio Lazzarini, l’uomo che realizzava le scarpe da calcio piu’ preziose, la “Pantofola d’Oro”:”Zenesini fa come me, le mie scarpe nei piedi dei campioni diventano Adidas…”.
Andrea fu proprietario e presidente del Mantova – il Piccolo Brasile che salto’ dalla D alla A – dal 1966 al 1976, e patron della Milano Baseball 1946 dal 1961 al 1970. Fu anche, per la sua abilita’ amministrativa, tesoriere della Lega Calcio. “Nel novembre 1978 – racconta la cronaca – fu vittima di un sequestro di persona avvenuto a Milano. La sua prigionia duro’ 11 mesi, fu liberato dopo il pagamento di un riscatto di un miliardo e mezzo di lire. Mori’ per infarto nel 1983 pochi mesi dopo il suicidio della moglie.
A Gazzoni e’ andata meglio nella vita, a parte qualche folli’a amorosa, fino a quando il calcio che gli ha dato anche gioie non l’ha rovinato. Calciopoli gli ha “rubato” la sostanza economica e sportiva di un Bologna che aveva rilevato dai guai cosi’, per uno sfizio da gran signore, per godere qualche stagione che si era assicurato comprando prima Baggio (fui con lui quando bisogno’ convincere Ulivieri a farlo giocare) eppoi Signori. Eravamo amici dai tempi di una bella giovinezza a Bologna, quando c’era anche il fratello Germano, un abile imprenditore che non si sarebbe mai fatto imbrogliare dai calciotruffatori, ma mori’ in un incidente stradale; avevo conosciuto anche la madre, donna Idarica Frascara, che aveva aggiunto il suo nome nobile alla forse piu’ famosa famiglia bolognese del Commendator Gazzoni, creatore dell’Idrolitina, della Pasticca del Re Sole, del Resoldor “ah come respiro!”. Il gran signore che scendeva dai colli in citta’ con la carrozza a cavalli Nella scia, Giuseppe aveva creato la linea Dietor. Non gli era rimasto nulla. Ci vedemmo nell’autunno scorso e mi confermo’, sorridendo, che stava serenamente conservando l’onore.
DA NOI PIETA’ L’E’ VIVA
Cerco, se possibile, di raccogliere nel mio diario fatti e volti che non siano sempre e soltanto luttuosi, anche se l’ha ispirato, e lo mantiene, giorno dopo giorno, bollettino dopo bollettino, l’evento piu’ doloroso della mia vita. Un diario si tiene per il futuro, per ricordare, e mi piacerebbe un giorno – mi allungo la vita finche’ posso – ritrovare anche qualche nota lieta. Non e’ facile, anche se dalle storie di morte si puo’ sempre ricavare un flash di vita. Ho seguito su Raitre il racconto della vita di un mio maestro involontario, Giovannino Guareschi. Allevato a letture insolite come”Candido” e ” Il Borghese”, inavvicinabile il romagnolo Leo Longanesi, Maestro dei Maestri, riuscii a… sfiorare Guareschi quando nel 1961, ventiduenne, Nino Nutrizio direttore della “Notte”, dopo avermi dato la corrispondenza da Bologna, mi presento’ a “Candido”. Arrivai in una Milano che avevo visitato una sola volta, quando alle medie si faceva la gita scolastica alla Fiera. La scelta veniva effettuata perche’ – ci diceva il preside – Milano era l’Europa piu’ vicina. E non sbagliava. Come si e’ spesso detto “a Milano c’era tutto”, compreso quello spazio operativo che cercava un aspirante giornalista. Andai allora in via Rizzoli, alla sede di “Candido”, ma non ebbi fortuna: Guareschi era tornato a Roncole, nella sua terra Verdiana, piu’ “Don Camillo” che “Candido”, le cui sorti erano state affidate a Alessandro Minardi, il quale cambio’ radicalmente il giornale. Niente per me. E quando arrivai finalmente nel cittadone lombardo da professionista, nel ’68, al “Guerin” di Piazza Duca d’Aosta, trovai un’altra Europa, quella dei sessantottini, ovviamente, e dei terroristi: fui praticamente accolto dalla tragedia di Piazza Fontana e non la ressi. Mentre il collega/amico giornalista Enzo Tortora mi spiegava che li’ nascevano le notizie, preferii tornare a casa. Come Guareschi.
Ritrovarlo in un documentario umanissimo mi ha fatto ricordare quanto fosse animato da profonda pietas nei confronti di chi ci aveva lasciato. Tante, e spesso, nelle pagine di “Candido”, le sfilate di croci, eredita’ dei campi di concentramento tedeschi e polacchi che aveva…visitato (me lo diceva un mio zio prete cappellano militare, ch’era stato con lui a Wietzendorf) e della guerra civile. Imparai il rispetto della morte nuda e cruda, non rivestita da protagonista di una tragedia greca.
Cosi’ sono rimasto colpito da una notizia del Coronavirus che annoto a futura memoria: “Sessantuno croci bianche con un nome, una data di nascita e una data di morte hanno trovato posto nel campo 87 del Cimitero Maggiore di Milano, dove il Comune ha deciso di seppellire i corpi dei pazienti di cui nessuno per ora ha reclamato la salma”. Avevo appena visto la fossa comune accanto al cimitero di Managua, sconvolgente, peggio ancora quella “industriale” realizzata a New York che mi aveva rammentato le fosse comuni incontrate in California, nella Golden Rush o dove si costruiva la ferrovia, scavate per seppellire migliaia di Coolies, schiavi cinesi: con un fugace pensiero al contrappasso dantesco. Da noi no. Da noi pieta’ l’e’ viva.
NOI SIAMO PRONTI A SCENDERE IN CAMPO
In verita’ in verita’ vi dico …Non so se il tono e’ giusto, forse troppa enfasi, eppure ho avuto segnali che mi dicono prossima la riapertura del calcio e dunque mi capirete: non solo mi appassiona, il gioco del pallone (insieme a tant’altre cose come viaggiare, leggere, mangiare, ascoltare musica, amare e scrivere, naturalmente) ma mi aiuta a vivere discretamente da piu’ di cinquant’anni: non sono uno snob, non fingo interessi accademici (pur avendo insegnato in tante universita’ sociologia dello sport e giornalismo), non mi preoccupo di sapere se son giornalista o scrittore, o tutt’e due, so solo che vedo, ascolto e scrivo.
I segnali? Non arrivano certo dal Governo nelle cui mani si sono messi tutti e venti i presidenti della Serie A, sentite cosa dice il ministro Spadafora: “Riprendere gradualmente gli allenamenti, mentre per quanto riguarda l’attivita’ motoria all’aperto, su cui siamo tanto sollecitati dai nostri cittadini, e la ripresa dei campionati si valutera’ anche con il comitato scientifico tecnico”. Bu’m!! No, c’e’ dell’altro: e’ ricominciata la sfida a tutto campo fra Juventus e Inter, una sfida che ha assunto toni virali non perche’ ha invaso la rete e i social ma semplicemente perche’ e’ nata dal virus, tanto per rispettare l’attualita’.
Romelu Lukaku, un bravo giocatore e insieme un buon ragazzo che l’Inter definisce “sensibile”, appena arrivato in Zona Milano e’ stato subito assalito dalla sindrome del Coronavirus e ha raccontato non agli amici, riservatamente, ma alla moglie di Mertens, Kat Kerkhofs, durante una chat su Instagram: “Abbiamo avuto una settimana libera a dicembre. Siamo tornati e giuro che 23 giocatori su 25 erano malati. Non e’ uno scherzo. Abbiamo giocato in casa contro il Cagliari e dopo 25 minuti uno dei nostri difensori (Skriniar, ndr) ha dovuto lasciare il campo. Non poteva andare avanti e quasi svenne. Tutti tossivano e avevano la febbre. Mi ha anche infastidito. Quando mi sono riscaldato, sono diventato molto piu’ caldo del solito. Non prendevo la febbre da anni…Non siamo mai stati testati per il virus in quel momento, quindi non lo sapremo mai con certezza”. Apriti cielo! Molti juventini hanno reagito ricordando che quando il loro Rugani e’ risultato positivo al virus, primo calciatore di A, e’ stato trattato come un appestato, e che proprio Lukaku aveva ironizzato sul fatto:”E’ stato necessario che fosse positivo un giocatore della Juve per mettere tutti in quarantena? Non e’ normale. Perche’ dobbiamo giocare se nel mondo c’e’ gente che rischia la vita?”.
Tutto sembrava pacificato dopo che il bel Dybala – popolarissimo – aveva enfatizzato la sua quarantena per virus, certificata da tamponamento, posando insieme a Oriana, la bellissima fidanzata che per non lasciarlo mai si e’ fatta contagiare e vive con lui. E quando insieme hanno detto “Noi restiamo a casa” e’ parso a tutti – con strizzatina d’occhio – che sarebbe stato un sacrificio tutto particolare. Tutto dimenticato in un lampo, la faida e’ ripresa…virulenta. Il clima ideale del campionato e’ quasi garantito. Ministro Spadafora, non so voi: noi siamo pronti a scendere in campo!





