La Barba al Palo di Italo Cucci

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IN NESSUN PAESE AL MONDO ESISTE IL BAR SPORT

“Ah, les Italiens!”. Cosi’ dicono, quando parlano di noi, gli amici (si fa per dire) francesi. Noi siamo piu’ portati a usare parole diverse per esprimere sentimenti diversi (abbiamo un dizionario con 144.000 lemmi), loro cambiano tono di voce: “Ah, les Italiens! Meravigliosi!”, parole come uno squillo d’ammirazione. “Ah, les Italiens! Insopportabili” – dicono con aria schifata, inviperiti. Immaginateveli in tutte le versioni possibili e ripassando la canzone di Paolo Conte fateli soprattutto invidiosi. Possibile che qualcuno invidi gli Italiani dopo tutto quello che e’ successo? Possibile: invidiano la nostra anarchia che di questi tempi aiuta a vivere – e a morire – senza abbassare la testa, mantenendo il “punto di vista” che e’ molto piu’ di un’opinione: e’ il diritto di sbagliare.
Ho girato il mondo e non ho trovato da nessuna parte un luogo – anche virtuale – che somigli al Bar Sport, dove si fronteggiano partiti calcistici come un tempo i partiti politici. Posso testimoniare che nel mio vecchio bar riminese fino al ’48 ci si affrontava da tifosi della dici’, del picci’, del pri, del mis e poi, dopo la batosta elettorale del 18 aprile, eccoci juventini, interisti, milanisti, bolognesi, faticosamente uniti dall’Azzurro anche se nessuno cantava “Fratelli d’Italia” o esponeva il tricolore. Poi, Italia-Germania 4 a 3 ha sdoganato la Patria, l’Ottantadue ha fatto il resto e l’Italia e’ diventata un Paese basato sul pallone.
C’e’ ne accorgiamo soprattutto adesso, con il virus che tira e i benpensanti che impazzano accusando il calcio di non saper tenere il lutto in certe circostanze: vorrebbero che neanche ne parlassimo, di calcio, come per dire “siamo seri”. Eccoli.
Volete che riparta il campionato?!
Ma siete pazzi: avete sentito il virologo?
Ma siete pazzi: avete sentito il microbiologo?
Ma siete pazzi: avete sentito l’epidemiologo? L’infettivologo? Il tuttologo?
Mentre medici e infermieri danno la vita sul pezzo per chi soffre senza l’aiuto o il parere dei vari “logi”, questi ultimi hanno aggiunto una stanza virtuale al Bar Sport. E qui si accapigliano, Roberto Burioni contro Maria Rita Gismondo, Andrea Crisanti epidemiologo, Giovanni Maga virologo CNR, Ilaria Capua virologa in USA, Massimo Galli infettivologo milanese del “Sacco”, Giorgio Palu’ microbiologo e per finire Giovanni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanita’, quello che vive di certezze:”Il campionato non s’ha da fare”.
Con tutto il rispetto – sincero – per gli scienziati prendiamo atto che la Scienza e’ un opinione. E che a dirigere il traffico dialettico e di pensiero ci manca lui, solo lui: Aldo Biscardi.
Ah, les Italiens!

E SE L’ATALANTA FOSSE LA PROSSIMA “SORPRESA” SCUDETTO?

Un giorno mi hanno chiesto di scrivere un articolo sul Quadrilatero Piemontese – Vercelli, Casale, Novara, Alessandria – ho detto si’, poi mi sono pentito, sapevo poco o nulla, poi ho studiato, ho scritto, ho spedito e quando mi hanno risposto “benissimo” ho fatto sapere in giro che mi ero laureato. Mi mancava, nel dettaglio, quel pezzo di storia del calcio delle origini, dal 1908 al 2022: sapevo tutto della Marcia su Roma, compreso lo slogan di Longanesi e Maccari, “O Roma o Orte”, poco delle imprese dei Bianchi e dei Neri, che non erano politicanti ma Vercellesi e Casalesi. Poi – confesso – avevo studiato bene la materia anche perche’, appena nominato direttore del Guerin Sportivo, un redattore sciagurato (lui accuso’ un tipografo) aveva scritto Pro Vercelli sotto una foto di calciatori in maglia nera e Casale sotto quelli in maglia bianca. Decine di lettere di protesta. Ci fosse stato Facebook sarebbero stati insulti sanguinosi. O forse no, adesso che ci penso: indifferenza. E per questo sto scrivendo questo articolo: contro l’indifferenza e l’ignoranza.
Per molti Gianluca Vialli e’ quel calciatore che ha vinto tutto con la Juve perche’ aveva due bicipiti cosi’ e naturalmente tutti i difetti juventini, e Mancini non e’ quello che ha vinto uno scudetto con l’Inter, da allenatore, senza neanche giocare? Parto da loro perche’ l’ultima volta che mi sono davvero divertito e’ stato quando la Sampdoria ha vinto l’ultimo “scudetto in liberta’” come l’Avvocato defini’ quello del Napoli ’87, ahilui bissato nel ’90. (Quando hanno rivinto Lazio e Roma, nel 2000 e 2001, le Romane facevano gia’ parte dell’establishment). E Vialli e Mancini indossavano la maglia piu’ bella mai creata agli ordini di un signore che andrebbe rammentato spesso per competenza, Vujadin Biskov, mentre i cantori moderni rammentano come inventori di calcio solo Sacchi e Guardiola. Addirittura Sarri. E affliggono il campionato ormai ridotto come il Festival di Sanremo, che si fa ancora per interesse e abitudine, e per questo viene difeso, ignorandone le canzoni piu’ belle, i cantanti piu’ popolari; e del calcio si rammentano solo Maradona e Platini, forse Baggio, ahilui infedele per principio, nell’era di Ronaldo e Basta.
L’abbiamo chiamato Calcio Provinciale, come dire un torneo di poveracci, quello che registrava vincitori estemporanei. Nel ricordare l’impresa del Cagliari di cinquant’anni fa ho sentito citare il Leicester. Fatti i doverosi complimenti a Ranieri, che ha vinto introducendo l’Italiano nel calcio inglese, merita rammentare che la Sardegna ha avuto il suo scudetto da una squadra superdotata tecnicamente e fisicamente – e non dico solo Riva – arrivando a dominare la scena non per la forza del destino ma con suo merito. E l’impegno di Arrica e Scopigno. Come la Fiorentina del ’56, di Befani e Bernardini, arrivata addirittura alla finale della Coppa dei Campioni, prima squadra italiana, risultando sconfitta dal Real gia’ maestro d’imbrogli. Quella del ’69 era stata costruita da Baglini e Pesaola con competenza – come il Bologna di Dall’Ara e Bernardini del ’64 – e il Cagliari merito’ la stessa attenzione che avrebbero avuto la Lazio di Lenzini e Maestrelli nel ’73, il Torino di Pianelli e Radice nel ’76 (nobilta’ ritrovata), la Roma di Viola e Liedholm nell’83, il Verona di Guidotti e Bagnoli, il Napoli di…Ferlaino, Maradona, Bianchi e Bigon dell’87 e del ’90. E appunto la Sampdoria di Mantovani e Boskov nel ’91. E credetemi che mi sono divertito e…acculturato piu’ con queste squadre che con le grandi, dotate di mezzi pari alla loro ricchezza! Mentre le “sorprese” finivano per pagare a caro prezzo non le vittorie ma il post-scudetto, quando si facevano investimenti pericolosi per restare seduti al tavolo delle Grandi, battibili con l’intelligenza, non con i soldi.
Mi vien voglia di dire: ora tocca all’Atalanta. Mi farebbe piacere. Anche Bergamo rinascerebbe piu’ un fretta: alla citta’ non mancheranno i mezzi economici, le sarebbe d’aiuto un cuore di calcio.

GUARDO CON SPERANZA AI GIORNI DELLA RICOSTRUZIONE

A molti potra’ sembrare sgradevole come i giorni che stiamo vivendo mentre io guardo con convinta speranza ai giorni della ricostruzione. Perche’ ho gia’ vissuto un’esperienza analoga e so per certo che la fatica che verra’ sara’ considerata come un agognato premio. Parlo del dopoguerra 1946/’47, delle rovine che trovammo quando tornammo in citta’ dopo lo sfollamento in campagna. In verita’, temo che aver trovato allora macerie fisiche – case e strade e ponti crollati – sara’ considerato, almeno da noi ex rifugiati, meno faticoso e doloroso della ricostruzione morale di un Paese ferito nell’anima dal Coronavirus. Sento parlare di un Piano Marshall per il rilancio delle imprese, della produzione, delle strutture economiche: allora si tratto’ di ridare una casa a milioni di italiani, le strade a una viabilita’ che favorisse il lavoro e si parlo’ di Piano Fanfani, dal nome di un politico democristiano che l’opposizione ridicolizzava perche’ era alto un metro e niente. Anche allora era in ballo una ricostruzione morale dell’Italia, da sconfitti, e dovette provvedere al gravoso incarico il premier dell’epoca, Alcide De Gasperi, che si presento’ alla conferenza della pace, a Parigi, il 10 agosto del 1946, con un discorso pieno di dignita’: “Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, e’ contro di me: e’ soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l’essere arrivato qui dopo che i piu’ influenti di voi hanno gia’ formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione…”. Ci salvo’ la reputazione umiliandosi, ben altro tono ebbero, piu’ avanti, le parole indirizzate a Gino Bartali quando vinse il Tour de France del 1948 e salvo’ il Paese dalla rivoluzione dopo l’attentato a Palmiro Togliatti leader del PCI.
Non meno umiliante sembra fin da ora la richiesta che stiamo rivolgendo all’Europa perche’ ci presti milioni di euro per sanare l’inevitabile crisi economica ma il momento piu’ importante riguardera’ il destino di quei denari. C’e’ gia’ un motivo di ottimismo, dicevo, ed e’ la decisione, suggerita dal Presidente Mattarella, di affidare a Vittorio Colao il ruolo di super commissario “alla ripartenza” (finalmente un significato concreto al termine sacchiano), alla cosiddetta Fase 2. Ho parlato, tempo fa, di un “uomo solo al comando”, con preciso riferimento al grande Fausto Coppi, e questo mi sembra possa essere Colao. Non lo dico per una scelta politica che non mi spetta ma perche’ lo conobbi, vent’anni fa quando, amministratore delegato di Omnitel, mi annuncio’ il varo di una struttura operativa che avrebbe modificato pesantemente il mondo delle telecomunicazioni: i call center. Il resto e’ noto. Il resto e’ una carriera internazionale strepitosa nel Fare e non nel Dire. L’uomo che mi aspettavo al vertice di tutto lo sport europeo, con tutto il rispetto per per i massimi dirigenti che, pur essendo animati da sanissimi principi, ogni giorno trasmettono incertezza a un mondo altamente produttivo oggi paralizzato. Che Dio ce lo mandi buono.

FINCHE’ GIOCO’ RIVA IL MEGLIO DEL MONDO FU ESCLUSIVAMENTE ITALIANO

Cinquant’anni fa, come oggi, il calcio festeggio’ un evento che superava i confini di uno stadio e di un’isola per diventare nazionale: lo scudetto del Cagliari. Erano tempi in cui il tricolore dannunziano vagava per la bella Italia finendo su maglie estranee al solito mondo Juve-Inter-Milan, ricchezza, potere, popolarita’. I campionati erano combattuti, non assegnati anni prima come adesso che i bianconeri si annoiano pure. Prima del trionfo sardo lo scudetto era toccato al Bologna e alla Fiorentina, dopo avrebbe portato gloria e baldoria alla Lazio, al Torino, alla Roma, al Verona, al Napoli, alla Sampdoria. Prima erano nate le stelle di Bulgarelli e De Sisti – capitani d’Italia – poi quelle di Chinaglia, Pulici, Falcao, Brigel, Maradona e Vialli. Il meglio del mondo era in Italia, ma per anni fu esclusivamente italiano: finche’ gioco’ Gigi Riva. Fidatevi di un testimone oculare: era il migliore. Uno scarpone austriaco lo schianto’ negandogli un futuro da superstar ma nel frattempo riusci’ a imporsi anche come superman, nel senso di grande uomo italiano da collocare accanto ai Fusti e Busti cantati da Longanesi e Montanelli e agli eroi podemici di Pier Paolo Pasolini. Anche se a Gigi tocco’ un Autore tutto personale, Gianni Brera: per via della comune Lombardia, per quell’eccellenza fisica che cancellava abatini e stortignaccoli, per l’interpretazione massima dei comandamenti pallonari che porgevano all’azzurro un italiano vero ribattezzato Rombo di Tuono come in una pagina romanzesca di Grazia Deledda. Eppoi, la Sardegna in quanto antica terra di guerrieri che il Gioann enfatizzava perche’ aveva accettato di porre accanto al vessillo dei Quattro Mori la bandiera tricolore. E annotava: “Lo scudetto del Cagliari rappresento’ il vero ingresso della Sardegna in Italia. Fu l’evento che sanci’ l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano”. Feci la mia piccola parte, allora, negando quello che frettolosi commentatori andavano dicendo della “prima squadra meridionale ad aggiudicarsi lo scudetto”. Adoro il Sud, ho scelto di viverci la mia ultima vita, ma la Sardegna e’ un simbolo di indipendenza storica e geografica, la madre di migliaia di eroi che fecero vittoriosa l’Italia nel ’18. Ma in quel bellissimo Settanta del Cagliari Riva avrebbe ben presto precisato il suo ruolo patriottico in Italia-Germania 4 a 3, sul campo dell’Azteca dove si lascio’ andare all’unico gesto destinato a strappare lacrime alle mamme italiane: l’abbraccio fraterno a Gianni Rivera goleador decisivo. Ecco che l’antiretorico uomo di Leggiuno ci viene ancora una volta in soccorso nei giorni della paura e della speranza. La data l’ha scelta il Destino ma il ricordo sereno di quell’antica storia di calcio di cinquant’anni fa merita un saluto augurale all’Uomo di Pasqua Gigi Riva.

NON MI MANCA LO STADIO, MI MANCA LA CHIESA

Sono un appassionato di calcio (a modo mio quasi professionista) ma non sono d’accordo con i tanti che dicono “stavolta mi manca solo la partita”, forse perche’ il campionato pasquale si giocava il sabato per un rispetto alla Pasqua, rispetto ormai negato al Natale. Forse perche’ ai cattolici gia’ adempienti nel confessionale si chiede il grande gesto della Fede – la Comunione – almeno a Pasqua. E a me non manca Il campionato ma la sempre vissuta Festa della Resurrezione, gia’ mortificata dall’assenza di contenuti del Venerdi’ e del Sabato Santo; non mi sono lavato gli occhi, non ho sentito le campane sciolte cantare in letizia. Insomma: non mi manca lo stadio, mi manca la Chiesa.
E’ buffo: ho letto e sentito qua e la’, anche con supporti poetici, l’insopportabilita’ della partita nello stadio chiuso, mentre c’e’ stato un plauso, anche di preti, alla Messa nella Chiesa chiusa. E Fiorello trattato come un evangelista aggiunto, o un Papa laico, quando afferma “si puo’ pregare anche in bagno”, come insegna la moderna e generosa quanto equivoca autogestita fede laica, secondo la quale si puo’ effettuare anche una autoconfessione con autoassoluzione e godere di un permissivismo che dequalifica i comandamenti: con l’aria che tira, fra ladri, bugiardi, bestemmiatori, famiglie distrutte, adulteri e’ gia’ tanto che si sottraggano all’impunita’ gli omicidi, ferma restando l’incertezza della pena.
Alla partita a porte chiuse mi adatto facilmente, prima perche’ lo spettacolo e’ offerto dai calciatori cui non manca – smettiamola di contar balle – la dolce o potente pressione dei tifosi, visto che questi da anni sono dediti all’insulto razzista, volgare, minaccioso; poi – ricordo bene – scompaiono le simulazioni cretine- non quelle dettate da abilita’ tecnica, da studio – e le giravolte per ottenere il plauso delle curve o dei singoli ultras. La chiesa chiusa mi ricorda la Chiesa del Silenzio, il luogo della preghiera cancellato all’Est fuorche’ in Polonia dove i rossi evitavano accuratamente di disturbare e perseguitare il popolo ferocemente pio accontentandosi d’imprigionare il loro cardinale Stefano Wyszynski. Come Mindszenty in Ungheria. E’ vero, con la fede ogni luogo ospita una preghiera. Ma solo chi ne ha conosciuto la mancanza sente il bisogno fisico della Chiesa, dell’altare, del tabernacolo, della preghiera e dei canti collettivi, delle sacre effigi, del profumo dell’incenso; sto dimenticando i sacerdoti perche’ mi ha colpito il loro facile adattarsi all’assenteismo decretato mentre ci son fratelli, tanti, che sono andati a morire di Coronavirus dopo avere accompagnato tanti fedeli al Passaggio. Che non e’ la nostra a Pasqua. E allora fatemi giocare il campionato anche a porte chiuse tanto i nostri eroi non ne soffriranno e la tivu’ mi dara’ ampia soddisfazione soprattutto se il telecronista sapra’ fare il suo mestiere. Non e’ altrettanto valida la Messa televisiva, soprattutto se il telecronista vorra’ fare il suo mestiere e muovera’ con saggezza estetica la sua telecamera sui volti e sulle mani e sulle vesti dei sacerdoti e le opere d’arte, gli orpelli da cerimonia. La curiosita’ di svelare il pensiero del Papa leggendoglielo di nascosto negli occhi. Amen.

UN PENSIERO E UNA PREGHIERA AI MIEI CARI AMICI SCONOSCIUTI

Quando e’ cominciata questa storiaccia (la cui fine spero di raccontare presto) mi sono sentito braccato dal destino. In tivu’, in radio, sui giornali circolava il mio identikit. Ottantenne, fumatore, problemi alle vie respiratorie…Bingo! Complimenti signore, ha vinto un Coronavirus! C’e’ poco da ridere, fino a quando non sono arrivato nella mia Isola ho tremato, oggi la paura e’ passata, la prudenza no. Gli anni son quelli, ho fumato per 65 anni, solo un anno fa mi son fatto una polmonite da aria condizionata (giuro che quest’estate staro’ attento, attentissimo) poi quelle notizie, diomio, piu’ che pena m’e’ venuta rabbia e forse devo a questo tormento dell’anima se son qui a raccontarlo. Non ho ceduto al richiamo della Livella. Quante volte avrete sentito dire di un vecchio rompiballe persecutore “e chi l’ammazza, quello?”. Ecco, cosi’ mi sento, anzi peggio: per tutti quei vecchi morti soli, forzatamente abbandonati da figli, nipoti, amici, caricati su un camion e sbarcati chissa’ dove per l’eterno riposo, che Dio li aiuti, diventati cenere alla cenere, polvere alla polvere, prima li hanno lasciati morire, adesso fanno le inchieste, piu’ becchini che inquirenti, forse indagatori dell’incubo. Come Dylan Dog. E’ un complimento.
Io non ho conosciuto i miei nonni, uno morto giovane, l’altro non mi ha aspettato, di nipoti ne aveva gia’ tanti. Per me i vecchi sono in particolare quelli della bocciofila di Bologna all’Antistadio: ho cominciato a conoscerli da giovane cronista, il capo che non era sciocco mi mandava a intervistarli quando facevamo qualche inchiesta a sfondo sociale; e regolarmente prima delle elezioni: valevano piu’ dei ricercatori demoscopici, con loro non abbiamo mai sbagliato un pronostico, mi direte che a Bologna era facile, certo, ma loro indovinarono anche Guazzaloca. Verso Natale ero in zona Fiera, avevo voglia di un caffe’, mi hanno portato alla bocciofila piu’ vicina dicendomi “qui si fa il miglior caffe’ di Bologna”. Vero. Per questo mi piange il cuore quando sento il grido di dolore di Marco Giunio De Sanctis, il presidente della Federazione Bocce, un amico, ferito dalla chiusura delle bocciofile, luogo dato agli ultimi sorrisi, ma soprattutto dai tanti frequentatori/giocatori che se ne sono andati, ghermiti dal virus. “Quasi diecimila dei novantamila agonisti italiani – dice – sono Lombardi e vengono quasi tutti da Bergamo, Milano e Brescia”. Forse sa anche quanti ne ha perduti o teme semplicemente di dover fare certi conti piu’ avanti, quando la tragedia si sara’ conclusa e se ne aprira’ un’altra che riguardera’ non solo il presente ma il futuro. Per questo voglio dedicare un pensiero e una preghiera ai miei cari amici sconosciuti. E al loro Dio. Che e’ anche il mio.

SARA’ BELLO CHIEDERSI “DOVE ERAVAMO RIMASTI?”

A volte penso che avrei dovuto dar vita a un diario intimo, come una fanciulla, non pubblico e sfacciato. Ci sono dettagli che mi creano il dubbio di espormi a un giudizio del lettore che potrebbe trovarmi vanesio o lontano dalla tragica realta’ di questi interminabili giorni. Se esprimo ammirazione per una bella donna – che viso! che sorriso! e qui mi fermo – colta in tivu’ (per strada le mascherine negano ogni tentazione) posso dirlo al mio diario o devo attenermi a una sorta di divieto di pensieri deboli? Se vedo sulle pagine dei giornali sportivi una bella foto di Paulo Dybala esultante come un prigioniero liberato, posso illudermi che sia l’annuncio di un vicino ritorno alla normalita’? Io tengo un altro diario che accoglie immagini piu’ che parole. Il mestiere mi ha insegnato che una fotografia o un disegno valgono spesso piu’ di un editoriale, lo si diceva – ricordate? – delle vignette di Forattini, e dov’e’ Forattini adesso? Avra’ novant’anni…
Sara’ capitato anche a voi non solo di avere una musica in testa ma di cercare, nelle ore indolenti del “io resto a casa”, di pensare a persone dimenticate, pubbliche o private, il vip sotto traccia, l’amico che e’ andato in Africa quando molti dicevano d’andarci ma stavano a casa. Ho spento facebook- troppi villani – che ogni tanto mi portava davvero amici perduti, come il riminese Johnny che ha scelto da decenni Stoccolma e piu’ di un mese fa, quand’e’ cominciata la rumba del Coronavirus, mi ha scritto su Messenger “siete i soliti italiani emotivi e catastrofici, qui tutto bene, qui viviamo…” e mi e’ venuta voglia di riaprire fb e dirgli di stare attento, di chiudersi in casa perche’ il loro stolto premier li ha portati all’inferno, come Boris Johnson (ma io non faccio come molti opinionisti che lo deridono, ho anzi pena per lui).
Mi ha scritto una lettera uno di Mantova che si chiama Negri e subito gli ho chiesto se e’ parente del mio William da Governolo che’ siamo rimasti in pochi reduci della battaglia per l’ultimo scudetto del Bologna 1964, lui, io, il capitano Pavinato, Romanino Fogli, Bruno Capra che inganno’ il Mago Helenio. E basta. E basta. Altri mi scrivono, mai giovani. Peccato. Avrei tante cose da raccontargli…
Ma non proibitemi, riguardando quella foto di Dybala che salta felice, di ricordare che il coprifuoco e’ cominciato un mese fa con il discusso Derby d’Italia Juventus-Inter e con quel gol della Joya che ha invaso i musei del bello, di un calcio che i ginnasiarchi pieni di moduli vorrebbero soffocare e invece vince sempre. Adesso si dice che il campionato sta per ricominciare – e fa bene Galliani a precisare che succedera’ quando lo diranno gli scienziati parlando per conto dello Stato, io lo dico da piu’ di un mese – e sara’ bello chiedersi “dove eravamo rimasti?”. Li’, eravamo rimasti, a quel gol dribbloso formato Maradona. E se non dovessimo ricominciare, che bella l’ultima pagina…

SE POTESSI, A PASQUA VORREI TUTTI A PANTELLERIA

Pantelleria, aprile. Mentre in Italia – ‘u Continente, si dice qui – il dominio della Notizia e’ in mano a Sorella Morte, mai sentita cosi’ vicina, nell’Isola si dibatte sulla vita. Senza rendersi conto dell’eccezionalita’ del momento perche’ ne’ la nave ne’ l’aereo hanno sbarcato il Coronavirus e quel che sappiamo – di luttuoso, di disperante – ce lo dicono la radio, la televisione, i rari giornali che arrivano per nave e quelli che sfogliamo sul tablet. Perche’ per noi, piccola comunita’ di circa settemila abitanti ospite e padrona di questo paradiso di 85 chilometri quadrati, il problema vero e’ che ci hanno chiuso il Punto Nascita. Non nascono piu’ panteschi, solo palermitani o trapanesi. Il malessere s’e’ propagato oltre il contesto sociostorico, quando si diceva – l’iniqua sanzione era gia’ scattata anni fa – che e’ contro natura togliere all’isolano la sua identita’ che non ha solo contenuti anagrafici ma si fa forte di un dna specifico innestato nella terra e maturato nei secoli, dai fenici ai romani, dagli arabi agli ebrei, agli ispanici di Isabella, ai borbonici franzosi che piantarono la loro bandiera sull’Isola Che Non C’e’, comparsa eppoi sparita nel mare fra Pantelleria e Sciacca, il punto Italia piu’ vicino, a 126 chilometri. Mentre dalla mia terrazza vedo al tramonto il faro di Kelibia, il porto di Tunisi, a 75. Per dire, il prodotto identitario dell’agricoltura pantesca e’ l’uva zibibbo, lo Zubib alessandrino. D’Egitto. Eppoi, questa si chiama Isola di Terra, non e’ abitata da marinai e rari sono i pescatori, tutti agricoltori sono, sempre inginocchiati davanti a Madre Terra per raccogliere i capperi profumati o i grappoli d’uva dalla vite alta pochi centimetri, l’Alberello Pantesco dichiarato dall’Unesco “patrimonio immateriale dell’Umanita’”. Ma stavolta la protesta per la chiusura del Punto Nascita ha un’altra sostegno: le mamme in attesa di un figlio – qui i bimbi nascono ancora, a Dio piacendo – devono spostarsi in aereo o in nave per controlli o per partorire nelle due citta’ siciliane rischiando di prendere e riportare a casa il maledetto virus. Tutti abbiamo fatto qualcosa (un contatto autorevole, uno scritto irritato, s’e’ alleato a noi anche Domenico Mogavero, il vescovo di Mazara del Vallo e della nostra chiesa amministrata da generosi e serenissimi preti esotici, ieri c’erano gli africani, oggi i pakistani: siamo terra di missione) ma nessuno ci ha ascoltato, a Roma hanno in testa i morti, solo i morti, e si capisce, ma cosa gli costerebbe- scusate l ‘ironia – lasciarci vivere?
Sapeste cosa vuol dire non conoscere il Coronavirus! Si’, sappiamo che esiste ma qui non s’e’ mai visto e ne abbiamo tuttavia paura, temiamo che scenda dall’aereo o dalla nave in forma umana, come un turista. E la paura ci ha ammaestrato, tutti seguono le regole dettate da lontani e a volte indecifrabili decreti “romani” o “palermitani” ch’e’ lo stesso. I bar sul porto, al paese, son tutti chiusi, come la cartoleria o la boutique dove d’estate fanno acquisti Susan Sarandon, Madonna, Julia Roberts, Michelle Pfeiffer, e il bar rendez-vous dove e’ facile incontrare il Maestro Muti o il Duca d’Aosta che s’intrattengono con gli amici mentre li’ vicino c’e’ l’angolo dove gli africani sbarcati nell’Isola attendono la chiamata al lavoro e poco piu’ in la’ il negozio di alimentari per rumeni. Tutto chiuso. Pochi passanti. Sono aperti i Carrefour ma non c’e’ fila, si va a fare la spesa con la mascherina, anche i guanti, e poi via a casa. Viene anche da ridere, onestamente, visto che non c’e’ un contagiato che uno. Eppure prevale la voglia assoluta di vivere, in questo piccolo grande popolo che non conta homeless o questuanti perche’ generosamente non fa mancar nulla a nessuno: e’ gente che nottetempo si butto’ in mare a salvare un barcone di africani travolto da una di quelle terribili mareggiate che qui s’improvvisano in pochi minuti. Alcuni naufraghi son rimasti, ad esempio un padre con dei piccolini (una foto storica dei Carabinieri e’ proprio quella di un militare che tiene in braccio un neonato appena strappato al mare mentre la mamma spariva per sempre fra le onde) bimbi spaventati che ora vedi giocare a pallone in piazza, cresciuti bravi panteschi; e’ rimasto anche il barcone, li’, davanti al mare, come un monumento di paura e minaccia: mai piu’ uno sbarco, da allora.
Stupisce – me “straniero” importato dalla Romagna Felix e operosa, canterina e gaudente – la disciplina pubblica di questa gente che di ‘sti tempi, e gia’ da mesi, aspettava ballando, come sempre, l’arrivo della Pasqua da celebrare nella chiesa matrice molto somigliante a una moschea o nel Santuario della Madonna della Margana, dov’e’ l’effige di Maria (dipinta nell’857 per i frati di san Basilio) che fu portata in processione fino alla Balata dei Turchi, la grande lingua di pietra che entra in mare, dove con Lei furono respinti gli invasori ottomani. Tutto si fa, ordinatamente, senza proteste, anche pregando, per respingere questa volta il Virus. Spaventati, non isterici. Ci avvertirono ch’erano sbarcati all’aeroporto alcuni turisti di ritorno, quelli che hanno le case piu’ belle (i Dammusi) dalle parti dell’Elefante, monumento marino: bergamaschi – ci dissero – quando Bergamo era gia’ un cimitero, ma il decreto non ci aveva ancora blindato, furono accolti e invitati alla quarantena nelle loro belle dimore fra cielo e mare, boschi e scogliere con siepi di solari ginestre e corbezzoli.
Fra un cielo-e-mare come un dipinto del Beato Angelico (lo conosco bene perche’ ho studiato nel suo convento, alla Badia Fiesolana) fra nuvole grigiazzurre e acque trasparenti che rivelano fondali viventi, aspettiamo il Giudizio Universale o meglio ancora la fine di un incubo obbedendo agli ordini romani, scrupolosamente seguiti dagli obbedientissimi Carabinieri. Non dico “io resto a casa” perche’ mi sembrerebbe d’irridere chi deve resistere in pochi metri quadri. Se potessi, vorrei tutti qui, fra gli ulivi, le palme e i carrubi, nel giorno che il Coronavirus ha trasformato in festa dei separati. Buona Pasqua.