Ho uno stretto rapporto con un collega che stimo perche’ quando ci confrontiamo su un argomento che ci vede dispari ne discutiamo finche’ non troviamo almeno un dettaglio che ci vede pari. Non e’ solo rispetto delle idee altrui, e’ un esercizio non di umilta’ ma di realismo per non sentirsi infallibili. Ad esempio, e’ aperta la caccia allo scudetto ’19-’20 ed escludendo Cellino, che con il Brescia lo vincerebbe solo se non si giocasse piu’, e sarebbe salvo, sono diverse le opzioni riguardanti la ripresa e la conclusione del campionato bloccato alla giornata 29; la ripresa degli allenamenti del Bayern ha subito mobilitato gli ottimisti del “giocare comunque”, sollecitati anche dal fatto che si tratta di una scelta tedesca, quindi forte, come minimo astuta, volendo illuminata. Ci sono poi i propugnatori dei playoff, scartati da chi rispetta da sempre le regole del gioco e gia’ trova da ridire (come me) sulla introduzione della Var che continua a interferire con i regolamenti e prima o poi offrira’ il destro a qualche sconfitto per chiedere i danni, operazioni – sento – favorite dal Coronavirus in campo sanitario e commerciale. Un’opzione raccomandata da paurosi e vagabondi (scherzo…) e’ quella di assegnare lo scudetto a tavolino. Come? Ricordate il 2006 e il cosiddetto “scudetto di cartone” assegnato all’Inter dopo la condanna della Juve? Lo decise un Commissario straordinario, l’avvocato Guido Rossi, naturalmente criticato dal mondo bianconero quando si seppe che aveva fatto parte del consiglio d’amministrazione nerazzurro. Fui contrario anch’io, fra i primi a usare quella definizione “cartonata” che poco piacque all’amico Massimo Moratti, e scrivendo un libro sulla storia della sua famiglia non potei fare a meno di parlargliene sperando di trovarlo…pentito. Macche’. Sentite quel che mi disse: “Il periodo piu’ esaltante della mia presidenza? I miei quattro scudetti. E quello vinto a tavolino mi e’ piaciuto moltissimo”. Mi spiego’ perche’, raccontandomi per filo e per segno cos’era successo, prima di Calciopoli; e che bocconi amari aveva inghiottito registrando ingiustizie; e con quanta amarezza aveva ascoltato e letto le parole di personaggi di cui si fidava raccolte e sbobinate dai carabinieri; e quando era arrivato quello scudetto di tribunale capi’ che finalmente l’aria era cambiata e che poteva finalmente tentare – almeno tentare – di divertirsi. E vabbe’…Ma Rossi, abilissimo, non era andato allo sbaraglio, giustificando la sua decisione con la pressante richiesta Uefa di avere i nomi delle squadre qualificatesi a fine campionato per la Champions e per la Coppa Uefa.
Anche adesso la raccomandazione Uefa invita a decidere chi dovra’ fare le Coppe. Rinnovo il mio invito…poco democratico: nominare un super-partes autorevole che faccia tacere la canizza e decida secondo giustizia. Forse Lotito non sara’ d’accordo, ma non dimenticherei la giusta aspirazione alla promozione in Serie A di Benevento e Frosinone. E tutte le squadre d’ogni serie che abbiano maturato diritti in nome di uno sport che in questi casi non e’ solo business.
NOMINARE UN SUPER-PARTES CHE DECIDA PER IL CALCIO
GLI ITALIANI A VOLTE NON SANNO QUANTO SONO BRAVI
Chiacchiericcio radiofonico. Si ascolta tanto, non s’impara niente. Anzi. L’etere di Marconi e’ pieno di tuttologi. Oggi anche di virologi. Meglio: di polivirologi che trattano politicamente il virus. Poi quelli che parlando di Italia si dividono fra disfattisti – siamo un Paese di ignoranti incapaci – e presuntuosi – siamo un Paese di superiori virtu’. Senza eccedere, sto comunque – e mi consolo – fra i secondi: mi e’ molto piaciuto uno di quei tanti video che arrivano via whatsapp esaltanti la solidarieta’ e capacita’ italica. Lo ha prodotto una radio popolare orgogliosa di farci sapere che le Grandi Firme della moda – Armani, Gucci e via cosi’ – hanno convertito la loro attivita’ in produzione di mascherine, camici e altri oggetti preziosi in ambito sanitario.
Compare anche, fra i benefattori industriali, la Fiat-Fca con la Marelli e la Ferrari impegnate a produrre i preziosissimi respiratori polmonari. Non entro nel dettaglio, peraltro gia’ esposto dalle cronache, mi fermo al nome “Ferrari” che mi riporta alla mente il Vecchio di Maranello, il Drake, il Commendatore, l’Ingegnere al quale mi ha legato una sorta di devota amicizia (uso un termine, devota, che mi procuro’ un suo rabbuffo:”Non sono mica la Madonna!!”). Non tutti hanno buona memoria di lui, i piu’ giovani, in particolare, anche grazie a stagioni di sconfitte, se vanno su Wikipedia e cercano “Enzo Ferrari” scoprono che e’ una delle bellissime nate a Maranello.
Enzo era un industriale molto preoccupato del successo delle sue creature, lo si diceva anche dotato di un sano cinismo imprenditoriale. Era meno nota la sua generosita’ che lo porto’ a finanziare l’istituzione del “Legato Dino Ferrari”, oggi divenuto Fondazione, ente morale con lo scopo di promuovere la ricerca nel campo della diagnosi e della genetica della distrofia muscolare. Tutto in memoria del figlio Dino, morto nel 1956 per questo male ancora difficilmente curabile. Non c’e’ piu’ il Drake, adesso ci pensa il figlio Piero.
Tornando ai “polivirologi” mi ha colpito un commento radiofonico di una improvvisata “esperta” che ha dato dello sciocco a Trump perche’ ha invitato le case automobilistiche americane paralizzate dal Coronavirus a dirottare l’attivita sulla produzione di respiratori polmonari. “Poveretto – ha commentato la collega saputella – non si rende conto di quante difficolta’ puo’ incontrare una fabbrica di auto a convertirsi in fabbrica di respiratori”. Trump sapeva del “miracolo” Ferrari. Lei no. Cosi’ come Obama sapeva del “miracolo” Marchionne. Ma spesso gli italiani non sanno quanto sono bravi gli italiani.
PIU’ DELLA DOMENICA MI MANCA IL LUNEDI’
Agli italiani manca la domenica. Piu’ di quanto non pensassero prima del Coronavirus. E dire che li ho sentiti anche lamentarsi, prima: troppe partite tutti i giorni e la domenica. Esagerati. Mia moglie non ne puo’ piu’: perche’ non mi lasci un po’ sola e vai a vederti la partita dove vuoi? Profetico fu il libro che mi spinse a fare il giornalista sportivo, proprio “Tutti i giorni e di domenica” di Richard Powell. A me in verita’ manca il lunedi’. E’ vero che il gran commento alle partite si fa in tivu’ la domenica sera e il blabla si trascina fino all’inizio del lunedi’ ma vuoi mettere il pezzo del giornalista preferito, le sue pagelle, le chiacchiere da spogliatoio vere, non teleguidate da uffici stampa che odiano la stampa, il tutto stampato su carta? Uscivamo dalle garbate esibizioni televisive di Enzo Tortora, Lello Bersani, Paolo Frajese, Sandro Ciotti e i loro ospiti sempre di qualita’, poco ruspanti, e s’aspettava il mattino del lunedi’ per la cerimonia vera: la lettura. Gianni Brera, Antonio Ghirelli, Gualtiero Zanetti, Renato Morino, Giovanni Arpino, Giglio Panza Giuseppe Pacileo, Gianni Melidoni e altri che lascio nella penna senno’ riempirei una pagina, anzi, giochiamo: ogni lettore aggiunga all’elenco il suo critico speciale. Un gioco al tempo del Coronavirus. Quando Enzo Ferrari battezzo’ i commentatori sportivi “ingegneri del lunedi’” – scopritori di fatti dopo i fatti – molti se la presero, io mi feci un cartoncino, ce lo scrissi sopra e lo infilai nel metaforico cappello alla Humphrey Bogart. “E’ la stampa, bellezza!” fu la mia difesa. La bellezza vera consisteva nel fatto che i commenti erano tutti diversi, diversi i voti in pagella, totale anarchia tecnico-tattica perche’ quel che contava, in tutte quelle chiacchiere, era che il giornale di casa doveva difendere la squadra di casa. Tutto qui. E il lunedi’ era bellissimo registrare l’unica vera forma di libera opinione proprio nelle pagine sportive, le altre essendo spesso appaltate a pensatori liberi. Di non esserlo. Un trionfo, il lunedi’, tanto che quando Brera passo’ a “Repubblica” che il lunedi’ non usciva scelse di andare a farlo da Biscardi. E’ vero, “si faceva” il lunedi’ per mettere insieme un’opinione equilibrata prevalente. E tirare avanti. Io ero un critico d’assalto ma una sera di un lunedi’ cambio’ la mia vita: ero da Biscardi, seconda puntata del “Processo”, lui aveva l’abitudine di assegnare ruoli nella sua poco divina commedia. Arrivo’ a me e mi disse:”Tu devi fare l’equilibratore”. Sospettai il gommista. E invece mi trovai bene, in quei panni, per decenni. Salvo errori e omissioni e ribellioni di cui vado orgoglioso.
Si’, mi manca il lunedi’. Quando nei Settanta ingaggiai per il mio giornale Oreste del Buono – il mitico OdB, laudato scrittore che ci teneva solo ad essere noto come seguace di Gianni Rivera e Dick Tracy – e gli chiesi cosa volesse fare, mi disse “una rubrica il lunedi’”. Mi caddero le braccia. Ma smenti’ il mio atteggiamento sfiduciato. Scopri’ un baretto sotto casa sua dove il lunedi’ si riunivano i neri del quartiere. A dibattere di calcio, soprattutto, evidentemente, di Milan e Inter: stavano diventando milanesi davvero e il Derby dava loro un’identita’. Un grande scrittore e uomo di cultura aperto al sociale aveva scoperto un mondo nuovo e me lo mise in pagina per anni. Il lunedi’. Ovviamente.
IL GESTO DELLA BIMBA CHE CHIAMA I CARABINIERI PARABOLA DA NON OCCULTARE
Cerco ogni giorno di non sprofondare nel dolore. Vorrei anzi, se possibile, strappare qualche sorriso a chi mi leggera’. Ma c’e’ anche l’ora in cui vorresti piangere. Almeno per addolcire l’amara sensazione di essere impermeabili al dolore. E’ successo. Leggo ogni giorno le cronache cittadine di molti giornali, le pagine dove si trova la verita’ vera, non quella delle statistiche ufficiali, dei battibecchi politici, delle miserie nazionali che offriamo al mondo come se fossimo un popolo di straccioni o di banchieri sull’orlo del fallimento. Le cronache locali dissertano sul dolore piu’ grande dopo la morte: la fame. Ai tempi della peste raccontata da Alessandro Manzoni sui “Promessi Sposi” si parla dei tumulti popolari di San Martino dell’assalto ai forni: sono vere pagine di cronaca da rivisitare in questi giorni almeno per scoprire che c’e’ un lieto fine, che un giorno spero leggeremo insieme.
Cerco di allontanare la cronaca che mi ha addolorato e commosso ma non ci riesco. Nella mia terra martoriata dal virus l’altro giorno una bambina di dodici anni ha chiamato i carabinieri: “Mamma, papa’, mio fratello e io non abbiamo piu’ niente da mangiare”. I carabinieri, accertato il fatto – come si dice – sono andati a fare una bella spesa e l’hanno portata a casa della famiglia di un operaio rimasto senza lavoro per decreto che decreta anche la fame. Il soccorso l’ha chiesto la bimba, dignita’, vergogna hanno impedito che lo facessero i genitori. Perche’ li’, nell’Emilia-Romagna allegra e benestante, la fame una volta la facevano giusto i barboni. E manco quelli, se ben ricordo.
Ho avuto un buon rapporto, anni fa, con un grande personaggio della Chiesa, il cardinale di Bologna Giacomo Biffi, che un giorno incontrai in Alma Mater con un personaggio…storico che gli presentai: Ondina Valla, il primo oro femminile dello sport italiano, Berlino 1936, i famosi Giochi di Jesse Owens. Biffi mi disse che rispettava il ricordo di Dorando Pietri, lo avvertii di stare attento perche’ quell’eroe era un… peccatore di doping. Si era molto parlato, del cardinale, per quella frase finita negli annali della politica: “Bologna, citta’ sazia e disperata”. Mai ossimoro fu piu’ realistico e crudele. Gliene parlai e sorridendo mi avverti’ a sua volta che non corrispondeva al vero:”Non mi riferivo a Bologna, ma alla Regione”. L’Emilia-Romagna – aveva spiegato a Sergio Zavoli – era ai vertici del reddito pro-capite rispetto alla media italiana, al vertice dei consumi voluttuari, ma la provincia di Bologna aveva il primato mondiale della denatalita’ e il doppio della media di suicidi in Italia, e aveva tradotto con quei due aggettivi una regione che appariva “sazia e disperata”. Oggi il gesto di quella bambina affamata e disperata e’ da leggere come una parabola da non occultare. Mai.
ANCHE L’UMANITA’ VIRTUALE E’ UNA COMMEDIA UMANA
E’ quasi un mese che sono in questa dorata prigione, l’Isola di Pantelleria, dove risiedo e trascorro con sensi di colpa il mio riposo indotto da decreto legge. Ho spazio abbondante per non peccare nei movimenti solitari o con pargoli; ho una casa accogliente con una ricca biblioteca. Leggo, dunque, video (voce del verbo videre) e ascolto. Sono diventato un registratore perfetto – anche umano, ovviamente – dell’evento piu’ tragico dei nostri tempi e dunque ho cominciato a dividere l’umanita’ virtuale che mi circonda, realizzata via radio, tivu’ e giornali. E’ anche questa una Commedia Umana, non Divina. Eccone dieci protagonisti, in ordine sparso.
IL BIBLICO- “Cosa vi avevo detto? Ricordatevi la Genesi (18:20-21) Sodoma e Gomorra. Castigo divino. “Avevano abbandonato l’alleanza del Signore, Dio dei loro padri”. E voi? (Evito dettagli).
IL CINICO – “Perderemo i vecchi, i malatissimi, i poverissimi. Pazienza. La Natura si rinnova, ne ha bisogno. Peccato per il nonno. Sopravvivremo”.
Il TROTZKISTA- “Sconfiggeremo finalmente i capitalisti che viaggiano, che conoscono i popoli della terra, li frequentano, li sfruttano, li ammazzano; i globalizzati, i gaudenti che passano da un ‘alcova all’altra. Ne ammazzera’ piu’ Coronavirus di Stalin…”.
IL TOTO’ – Sa a memoria ‘A Livella’ e la recita soave per garantire una fine democratica a chiunque, al ricco e al povero sepolti uno vicino all’altro: “Percio’, stamme a ssenti… nun fa ‘o restivo, /Suppuorteme vicino-che te ‘mporta? / Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive / Nuje simmo serie… appartenimmo a’ morte!”.
IL MENAGRAMO – “Non so se si spegnera’, il Coronavirus. C’e’ chi dice che restera’ nascosto, infrattato nei luoghi vitali, dormiente ma pronto a svegliarsi… E anche se finira’, il nostro mondo non sara’ piu’ lo stesso, saremo dominati dalla paura. Sara’ da ricostruire lo spirito della casa, della chiesa, della scuola. Non potremo piu’ andare allo stadio, convinti di dover stare uno a un metro dall’altro. Se ne faranno dei nuovi, apposta”. Terque, quaterque…
IL COSTRUTTORE- “Vedrete macerie virtuali, castelli senza valore, casette bisognose di ristrutturazione, condomini da purificare, scenderanno in campo ingegneri, geometri, architetti, muratori e sara’ un mondo nuovo. Tutto da vendere”.
IL CONTADINO – “Dicono gli esperti che la grande industria impieghera’ anni a sanare le ferite, come il commercio devastato dai fallimenti, le scuole superiori e l’Universita’ in mano a brigate d’ignoranti. Vi salvera’ la campagna, l’agricoltura: frutta e verdura”.
IL RELIGIOSO – Pazientate, il flagello s’arrestera’: il Papa l’ha sfidato armato di Fede, ha fatto tremare i potenti, ha rincuorato i derelitti. E avete sentito come si e’ rivolto a Dio? Lo ha rimproverato. Oremus…”.
IL GIOCATORE- Dai, finiamola con questa prigionia. Non vedo l’ora di tornare a giocare, ridatemi le slot machine, il lotto, ma lo sapete che il lotto e’ una religione? Ridatemi un bel tavolo da poker. E anche il campionato: voglio scommettere”.
IL WHATSAPPISTA – Messaggio vocale: Oddi’o, hai sentito? Se tossisci gli spruzzetti possono portare il virus a tre metri, se starnutisci i pallini possono portare il virus a cinque metri…Oddio, Clara, quando finira’? (singhiozzo)…quanto mi manca il parrucchiere…
UN CAMPIONATO TUTTO ITALIANO SAREBBE LA PRIMA MOSSA GIUSTA
Con encomiabile ottimismo personaggi autorevoli si sottraggono volentieri al piagnisteo nazionale e raccomandano di pensare al dopo. Il mondo del calcio lo sta facendo e forse tirera’ fuori qualche soluzione utile alla collettivita’, com’e’ successo dall’8 marzo, quando decise di chiudere bottega. L’Italia allora si chiuse solo in parte, e dopo fu quel “io resto a casa” che non dimenticheremo mai. Il “dopo” per me comincia dal “prima”. Ho vissuto la seconda guerra mondiale e ricordo i primi passi della rinascita, in ogni campo. Dalle macerie alla vita, dal paesello alla citta’, dalla famiglia alla comunita’, dal lavoro alla ricostruzione, dal primo film al mai interrotto canzoniere italiano, il primo a esaltare la pace. Dallo spettacolo allo sport. Al campionato.Fu lunga e tribolata la trattativa fra i club per decidere la ripresa del gioco, come, dove, quando. Si comincio’ dal Girone Unico, quasi a voler ribadire una nuova Unita’ d’Italia dopo aver patito la guerra civile, il Nord e il Sud nemici. Poi 20 squadre, con la successiva eccezione a 21 quando si decise di salvare la Triestina in onore della sua italianissima citta’. Ci fu anche un’apertura di mercato, proprio per restituire al popolo degli appassionati un altro diversivo, la prima amatissima chiacchiera da Bar Sport. Pochi movimenti importanti, non c’era una lira, ma alcune squadre “ricche” – le solite – approfittarono dell’apertura delle frontiere: l’Inter di Peppin Meazza fece onore al suo nome e rivoluziono’ la squadra titolare con vari elementi provenienti dal Sud America, la Juventus ingaggio’ i cecoslovacchi Vycpa’lek e Korostelev; il Genoa ingaggio’ l’argentino Verdeal, il Torino, gia’ dominante prima della guerra, riprese il vicentino Romeo Menti. E vinse lo scudetto. Con questa formazione: Bacigalupo, Ballarin, Rigamonti, Maroso, Grezar, Castigliano, Loik, Mazzola, Ossola, Ferraris, Gabetto. Riserve Rosetta, Menti, Martelli. Tutti italiani. Vittorio Pozzo ne prese dieci per battere prima la Svizzera poi l’Ungheria.
Tutti italiani, vedete. Oggi si parla di stranieri pencolanti fra il resto o scappo. Higuai’n non ha avuto dubbi, restera’ negli annali come l’Argentin Fuggiasco, anche se decidera’ di tornare. Si discute della possibilita’ che i pedatori esotici possano decidere di andarsene di loro iniziativa, ma la norma prevede anche il loro licenziamento. Lasciatemi dire – sottovoce – che un campionato tutto italiano sarebbe la prima mossa giusta. Sul piano sportivo e economico. So che e’ impossibile ma sappiano, quelli che resteranno a giocare con noi – noi popolo di appassionati – che non dovranno far capricci, soprattutto coi soldi. Quelli della Juve hanno gia’ dato. Imitateli.
CANCELLAZIONE TORNEI PORTEREBBE FRUTTI AVVELENATI PER SEMPRE
Tempi duri per i comunicatori. Non c’e’ ora senza che qualcuno dica bugie, volgarita’ o sciocchezze. Succede a ogni livello. Purtroppo anche in questo mondo nuovo che e’ Coronaword e in particolare invocando il rigore della scienza che in verita’ si conferma sempre piu’ incerta. Propalando ogni giorno centinaia di dati numerici discutibili si cerca addirittura di mettere in dubbio l’aritmetica che ha il pregio eterno di non poter essere un’opinione, anche se la definizione appartiene a un antico uomo politico italiano. Proprio riferendomi alla politica, seguita da altri interessi di parte che riguardano l’economia o semplicemente il potere, si accetta con spirito democratico che si dica tutto e il contrario di tutto: gli italiani – vediamo – non accettano neanche i decreti, esibendo una naturale anarchia.
Mi feriscono, piuttosto, alle risse cattive sul nulla, ovvero sui piaceri della vita, sugli accessori futili dell’esistenza. Sul pallone. Giocare o non giocare, concludere il campionato o dargliela su e’ il tema del giorno che si dibatte – in mancanza del bar sport – in radio, in tivu’, sui giornali. A parte gli scontri dialettici furiosi fra tifoserie, ho sempre pensato che il calcio meriti confronti civili, anche calorosi, non astiosi. L’astio e’ peggio dell’odio che a volte vale una medaglia. Tanti anni fa, dovendo coniare un termine per la Juventus in sintonia con la Beneamata Inter la definii Odiamata. L’astio, invece, e’ entrato in campo cosi’ come lo definiscono i dizionari, “sentimento di malanimo e di rancore”, un modo scorretto di affrontare una diatriba. Un esempio? L’altro giorno Pippo Inzaghi, parlando del suo Benevento che ha gia’ praticamente guadagnato la promozione in Serie A (in classifica ha 20 punti piu’ della seconda, il Crotone) ha detto: “Il campionato va finito per garantire la regolarita’”. Gli ha risposto Demetrio Albertini, noto moralista federale: “L’ignoranza sceglie sempre le parole sbagliate”. A questo punto “l’ignorante” ha precisato il contenuto del suo intervento:”La salute viene prima di tutto e fino a quando questo problema non sara’ risolto bisognera’ seguire tutte le indicazioni che ci verranno date. Poi sara’ bellissimo tornare alla normalita’ e credo che la cosa piu’ naturale e giusta sia quella di finire la stagione, se sara’ possibile….Se Albertini avesse letto bene non avrebbe fatto queste esternazioni senza stile e di basso livello”.
Capisco l’atteggiamento ostile di un certo mondo pseudointellettuale o di chi e’ insofferente all’invasione calcistica dello spazio sociale e famigliare, ma che fra addetti ai lavori vi sia chi sogna la cancellazione di un campionato, e addirittura inveisca contro chi ne difende la regolarita’ fino in fondo, mi sembra un frutto di questa stagione del malessere. La cancellazione porterebbe frutti avvelenati per sempre. Intanto – mentre l’Uefa ha deciso che le Coppe prima o poi si finiranno – la chiedono soprattutto i club con bilancio tecnico fallimentare; poi, avete presente l’incessante richiesta di fantomatici scudetti non assegnati decine di anni fa? Li pretende chi non sa piu’ vincerli sul campo. E questo, se permettete, non e’ sport.
TEMPI DURI ANCHE PER I GIORNALISTI
Viviamo ormai in due mondi diversi: quello reale e quello televisivo. Nel concreto, ci si puo’ fidare (appena) dei Tg e (totalmente) delle repliche, addirittura dei loro protagonisti: l’ultimo Montalbano in replica l’ho trovato noiosetto come quello in prima visione ma ha comunque sbaragliato il campo superando i sei milioni di ascolti. La gente si fida di Lui. Che non e’ un duce ma uno che risolve i casi affidatigli. Ovvero uno che fa il suo dovere. Dovremmo stare piu’ attenti a questi “segnali”, come quello dell’amatissimo Don Matteo: vanno di moda i buoni, gli onesti, gli efficienti, i generosi. E allora, se viaggiate nell’altra tivu’, quella live, nei talk show, vi rendete conto che e’ proprio un altro mondo, una sorta di traduzione in politica e sociale degli show di lotta libera – dicesi wrestling – dove anche le belle donne (ce n’e’ in circolazione, fra le giornaliste e anche in Parlamento) diventano mostri, con occhi che schizzano dalle orbite, bocche contorte, denti famelici e, soprattutto, i lavori di rifacimento facciale che si piegano all’ardore polemico assumendo l’elasticita’ mostruosa degli eroi della Marvel. Tanto per restare in tv. Si difende come puo’, anche dagli ospiti, Barbara Palombelli, ma temo di esprimere un’ammirazione che risale ai tempi – suoi – di “Repubblica”, quando lavoravamo insieme nello stesso…condominio di piazza Indipendenza, a Roma: in realta’ il palazzo del ” Corriere dello Sport”.
Ho letto che gli spettatori di questi baracconi pseudo giornalistici vanno scemando, forse non si e’ capito che in tali frangenti, con la morte che bussa alla porta mille volte al giorno, c’e’ bisogno piu’ di serenita’ che di scalmane finto politiche dei mestieranti dell’urlo. Il noir – che funziona sempre – ve lo danno attutito in giallo, al massimo in thriller, appunto Montalbano, la Signora Fletcher, Leroy Jethro Gibbs e compagnia cantante. Gli spettatori assediati in casa, bisognosi di parrucchieri e anche di giacca-e-cravatta, hanno voglia di eleganza non troppo artificiosa, di spontaneita’ educata, di sorrisi non artefatti, di discussioni civili su problemi concreti; non ne possono piu’ di virologi fantasiosi e demagoghi ripetitivi quanto incompetenti. Renato Coen di SkyTg24, contagiato dal virus, curato all’Ospedale Sacco di Milano, guarito, ha scritto un memoriale emozionante integralmente ripreso da Google nel quale a un certo punto, mentre viene dimesso, raccoglie alcune raccomandazioni dei sanitari che lo hanno curato:”Lei che e’ della tivu’ dica ai suoi colleghi di non far parlare piu’ gli incompetenti che minimizzano e gli intellettuali tuttologi che non capiscono niente…”. Tempi duri anche per noi, cari colleghi. E’ l’ennesima volta che mi viene in mente una definizione del maestro Leo Longanesi da Bagnacavallo:”La liberta’ di stampa e’ necessaria soltanto ai giornalisti che non sanno scrivere”.





