La Barba al Palo di Italo Cucci

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“‘A Livella” c’e’, lo fanno capire gli Higuain e i Neymar

L’ultimo flash mi dice che il Virus ha ucciso Lucia Bose’. E’ sempre piu’ umano, l’assassino fantasma: sembra che le vittime se le vada a scegliere, anche i vip, senza pieta’. Democraticamente, mi vien da dire, mentre Xi Jinping e Putin ci fanno sapere che la democrazia e’ la migliore amica del Coronavirus: da noi ognuno fa quel che vuole – liberoooo – da loro quel che gli dice lo Stato. Che c’e’ in giro “‘a livella” lo fanno capire gli Higuai’n e i Neymar che scappano, sapendo che il destino non guarda ai milioni in banca, ai gol fatti e non soffre di sudditanza psicologica.
Il destino ha colpito una gran signora che ho visto ragazza, a Miss Italia, tenera, semplice, educata, diversa da Nini’ Panpa’n (Silvana Pampanini), la diva Gina Lollobrigida, la snob Silvana Mangano e la mia preferita, Eleonora Rossi Drago, eleganza e passione. Lucia resto’…manzoniana anche quando divento’ preda di Walter Chiari che l’avrebbe accantonata per correre come un cagnolino dietro Ava Gardner. Lei imperturbabile si fece rapire da un torero. Fu anche una questione di corna.
Quando non arrivano i flash dolorosi, lavora whatsapp. Cento messaggi al giorno, meme, video a volte eccellenti, piccole volgarita’ regionali, fake news sfacciatamente fake, messaggi di amici turbati che ti chiedono come stai per dirti come stanno loro. Male. Depressi. Spaventati. Eppoi le catene di Santantonio. Che ti chiedono di passare agli amici perche’ le passino agli amici le note miracolose della dottoressa Minchiafredda dell’Istituto Virologico di Nonsodove che raccomanda succo di limone, mele verdi e riso scotto. Scotto. O quelle sette preghiere che salveranno te e tutti gli incatenati dal virus se le girerete a sette amici e via cosi’. C’e’ la catena idiota, quella iettatoria, quella blasfema. La piu’ seguita, apprendo, e’ quella commerciale, e capisco: ti offre lunga vita, tanti soldi e rock’n’roll. Ne ho conosciute tante, fin da bambino, perche’ le catene sono nate piu’ di cent’anni fa, tanti quanti sono i poverini che le sottoscrivono, a volte solo per paura. Ai miei tempi erano lettere, cartoline postali e qualcuno diceva che ci guadagnavano le Poste. Con lo stesso sistema, applicato alla finanza, ci guadagno’ il Commendator Giuffre’ che si serviva dei frati cappuccini romagnoli – usati come involontari esattori – per raccattare denaro. Fini’ in galera, nei primi Sessanta, ma resto’ il brevetto. Pronto a entrare in azione anche con whatsapp, il gingillo telematico nato soprattutto per lo smart working – e sta bene – e l’innamoramento, oggi propalatore di dolore, paura e stupidita’ da associare alle facebook news. Forse non ce ne accorgiamo ma questo tormento pauroso ha fatto una vittima di cui nessuno parla: l’Amore.

GIANNI MURA MERITA OGNI ELOGIO

Ho fatto il cronista di nera, so cosa vuol dire raccontare la morte pubblica. Incidenti, delitti, stragi. Ero all’Heysel, ho passato l’esame piu’ crudele mentre Brera, davanti a me, piangeva. Non accettava quell’intromissione barbara nella nostra semplice, sciocca forse ma appassionata partita di pallone fra Juventus e Liverpool. All’improvviso, ecco la morte privata che ridimensiona – almeno per un po’ – la tragedia piu’ grande del nostro tempo che andiamo raccontando: se n’e’ andato Gianni Mura, non vittima del virus ma di un cuore stanco – mi dicono – ed e’ una morte sentita, oserei dire vera, che non appartiene ai telegiornali, ai bollettini della Protezione Civile, alle lugubri sfilate di camion che attraversano Bergamo per recarsi all’ultimo destino di tanti uomini, il cimitero, in un’atmosfera che ti induce a meditare sull’esistenza di un Dio Padre; tanti che non possono godere di un ultimo abbraccio, ne’ di una carezza, di un po’ d’incenso, di un prete benedicente (ne vedo ogni tanto qualcuno, raro, pochi somigliano a frate Cristoforo, ho sentito Francesco parlare di Don Abbondio).
Questo non e’ un coccodrillo, non credo che Gianni gradirebbe banalita’, io posso dire soltanto che se c’e’ uno che merita ogni elogio e’ lui, per la sua straordinaria bravura, e per fortuna non sono parole buone dedicate – come usa – a chi se ne va: Gianni Mura gli elogi li ha avuti da vivo, fin da ragazzo, e non dico solo degli apprezzamenti professionali, che contano fino a un certo punto, ma della stima e dell’amore dei lettori. Ognuno dei quali, in queste ore, fara’ il suo piccolo saluto a Gianni con una preghiera. I followers non contano, ne’ i facitori permanenti di necrologi. C’e’ un posto per lui, in questo diario che ogni tanto cerca polemica o addirittura allegria, perche’ l’ho conosciuto ragazzo quando corremmo insieme un Giro d’Italia sulle macchine della Gazzetta, nel ’69. Quando Merckx prese la bumba. Quando a Terracina crollo’ una tribuna, mori’ un bimbo e volevano che ne scrivessi io, per quella “nera” pregressa. Ecco, con lui nel mio diario spuntano all’improvviso Bruno Raschi il Cardinale, Luigi Gianoli il dannunziano Poeta Soldato, Rino Negri l’enciclopedico, e l’autista Graziani che si prendeva cura di noi come un buon padre o un fratello. Gianni era con la macchina dei piu’ giovani ma poi, la sera, si stava insieme. E tutti parlavano davanti a un buon piatto e tanto vino. Lui no, ascoltava e pensava al giorno dopo. Si nasce cosi’ maestri. Adieu.

LASCIATEMI FARE L’ELOGIO A MICHELA PERSICO RUGANI

Quelli che “Io resto a casa” hanno pubblicizzato la loro onorevole campagna assicurando – ad esempio – che avremmo ritrovato il piacere della famiglia. Vero. Provato. La prima che ho passato la chiamerei “la settimana santa”, una sorta di Pasqua a tempi invertiti. La passione – intesa come Via Dolorosa – e’ cominciata dopo, a passetti, insomma a piccole dosi. Io sto vivendo il tempo dell’ironia, un amico mi ha detto che a casa sua sono gia’ al sarcasmo- dico di marito e moglie – mentre un terzo mi garantisce che gia’ non ne puo’ piu’ e che presto uscira’ di casa e mostrera’ ai carabinieri il modulo che dice “il mio spostamento e’ determinato da situazioni di necessita’: non ne posso piu’ di mia moglie, torno da mia madre”. Quella si’, cari amici, puo’ essere una piacevole quarantena famigliare: con la mamma che riorganizza la tua cameretta, che ti fa i tortellini in brodo e il fritto dolce; e ti dice, sorridendo complice:”Te l’avevo detto io di non sposarla”.
A casa mia – dicevo – siamo all’ironia. In numero inferiore alle donne, io e mio figlio facciamo spesso presente che il Coronavirus colpisce soprattutto i maschi, che le donne (un 29% a bassa mortalita’) chi le ammazza, l’erba cattiva non muore mai, eccetera e insomma chiediamo – inutilmente – un tocco di riguardo. Riecheggiano vecchi cori da stadio: devi morire!!
Nel calcio, anche peggio. La’ dove trionfava il maschilismo assoluto, il Campione e l’Ancella bellissima tuttofare, naturalmente generosa de visu, restano in circolazione solo quelle che Tomba chiamava alla bolognese “le gnocche”. Nei siti sportivi svolazzano Alexandra Perez, Lucia Rivera, Giulia De Lellis, Antonella Fiordiche’ e mille altre bellezze senza…sponsor, mentre Georgina e le altre spariscono. Lasciatemi fare, allora, l’elogio di Michela Persico, la compagna dello juventino Rugani: il giocatore e la compagna sono risultati positivi al coronavirus. Lei, giornalista e conduttrice, parla chiaro, senza svenevolezze da maliarda:”La vita ci ha tradito. Io sono incinta, che succedera’ adesso?”. Sono sicuro che con la quarantena almeno la loro casa sara’ un nido d’amore. E li ringrazio: solo loro mi hanno fatto ricordare il primo giorno di primavera.

LE OLIMPIADI IN GIAPPONE SI FARANNO O SALTERANNO ?

Lo sport non ha detto un no globale all’attivita’ in tutto il mondo, dalle metropoli ai villaggi; lo sport difende ad oltranza, anche in tempi di coronavirus, non tanto la propria natura planetaria ma le singole identita’; e non lo fa in un eccesso di autonomia, di orgoglio, di narcisismo, di spirito di casta, no: difende dei contratti milionari. E si muove per sigle. Nell’ordine s’e’ fermata per prima la FIGC, il calcio italiano, titolare di diritti ceduti per milioni alle paytv; poi le altre 21O federazioni calcistiche (non so cos’abbia ancora deciso il Kazakistan, ma li’ comanda il ras Qasym-Jomart Toqaev); poi l’UEFA, titolare del calcio europeo e dei diritti delle varie Coppe, altre centinaia di milioni; e’ in arrivo la FIFA, la federazione delle 211 federazioni, che detiene per miliardi i diritti relativi alla Coppa del Mondo in programma in Qatar nel 2022, oggi a rischio non solo per il virus ma per lo spostamento degli Europei al 2021. Ed ecco – piatto del giorno – i Giochi Olimpici, sigla CIO che raccoglie 205 Paesi, in programma a Tokio dal 24 luglio al 9 agosto di quest’anno: gli organizzatori insistono, gli atleti cominciano a scansarsi. Mi e’ facile dire: salteranno anche le Olimpiadi. E non sarebbe la prima volta.
Infatti, insistendo caparbiamente nella loro volonta’ di difendere l’Evento, suggerirei l’intervento del Vescovo di Milano, Mario Delpini, quello che l’altro giorno, mentre Papa Francesco invocava aiuto dal Cristo di San Marcello, ha pregato sul Duomo la Madunina. Ne ha facolta’, nel capoluogo del territorio piu’ colpito dal virus; ne ha facolta’, come discendente del vescovo di Milano Ambrogio che nel 393 d.c. fermo’ le Olimpiadi che l’imperatore Teodosio voleva celebrare a Roma dopo 292 edizioni. Non fu un virus a far decidere Ambrogio ma una peste morale: gli atleti che gareggiavano nudi, il denaro che veniva dato ai vincitori, l’immoralita’ dilagante e la strage scatenata per una ritorsione dai romani ai Giochi di Salonicco. Potrei dire che con tante sigle in confusione lo sport mondiale meriterebbe di avere un comune vertice decisionista, ma gli interessi economici prevarranno sempre. Ma e’ probabile che l’Olimpiade di Tokio salti piu’ semplicemente per un imprevisto: Alberto di Monaco, membro del CIO, ha contratto il Coronavirus.

CHISSA’ QUANDO RIPRENDE IL CALCIO, MA I CONTI GIA’ SI FANNO

Dunque Bill Gates aveva predetto tutto sul virus quattro anni fa, come negarlo? Lo abbiamo anche ascoltato: ma non giocava a fare il profeta, avvertiva che il futuro non ci avrebbe sterminato con le armi atomiche ma con i virus, piu’ pericolosi del caldo, povera Greta. Sylvia Browne no, lei aveva gia’ scritto tutto da anni (Profezie – Che cosa ci riserva il futuro) ma non era stata presa in considerazione. Con serena incoscienza, mica con la rabbia, il fastidio spesso irridente ch’era riservato a Cassandra, figlia di Priamo, profetessa di sventure, sostanzialmente mal sopportata come una portatrice di sfiga. Lei non era come l’erede storica Sibilla Cumana che vendeva profezie a doppio senso, scaltra donna politica antelitteram; a Cassandra era stato dato il dono della preveggenza tuttavia accompagnato dalla condanna a essere inascoltata, come tanti giornalisti (me compreso, lo confesso) che ogni tanto dicono “L’avevo detto, io…”. I piu’ colti recitano, alla Lotito:”Vox clamans (o clamantis) in deserto”. Ora che il presidente Gravina fa sapere che non e’ da escludersi una stretta economica nel calcio dopo i danni inflittigli dal Coronavirus, quelli che come me riscoprono la forza del destino, la cui ira funesta – non le ripetute scandalizzate denunce – infiniti addurra’ lutti ai procuratori cialtroni (ne esistono anche perbene, credetemi), ai dissipatori, ai venditori di fumo, a tutti coloro che hanno trasformato lo sport piu’ popolare in un volgarissimo mercato detto Calciobusiness.
In ogni trasmissione radio e televisiva, in tanti editoriali o post dei social e’ tutto un chiedersi cosa sara’ domani. Ma non si tratta piu’ di sapere se e quando si giocheranno i campionati, le coppe, gli Europei e i Mondiali: calma e gesso, prima o poi si tornera’ in campo, la palla e’ rotonda – piu’ del barattolo – ed e’ forse la profetessa meno ascoltata, rotola, strada facendo rotola, gira rimbalza e rotola, dove mai finira’? E’ troppo tardi per chiederselo, oggi si gioca un’altra partita ma i conti si faranno presto, anzi si fanno gia’. Il presidente dalle belle braghe bianche chiama i giocatori a lavorare, si vergogni! Vabbe’, rinuncera’ ai lavori forzati ma tagliera’ gli ingaggi, neghera’ i premi, offrira’ la cassa integrazione agli eccedenti, risparmiera’ su tutto, anche sull’acqua minerale (beato chi ne e’ sponsorizzato); esibendo uno slogan tanto amato da noi giornalisti:”Piuttosto che lavorare – dira’ Cellino a nome di tutti i presidenti – fanno i calciatori”. Perche’ strapagarli?
E non dite che non ve l’avevo detto…

CONFRONTO FRA ITALIA E CINA DAL TONO EPICO

Prendo nota – senza stupore – che la Cina, dopo averci appestato, sta gia’ risolvendo i suoi problemi ed e’ disposta a darci una mano per venir fuori dal Coronavirus. Un uomo di Stato (precario) ha subito detto:”Oh come sono bravi e generosi”. Un altro, meno romantico e bergamasco, ha smoccolato e precisato:” Dobbiamo anche ringraziarli?!”. Il dibattito politico attualmente e’ a questi livelli. Ho avuto modo di recente di rammentare che il confronto pur doloroso fra Italia e Cina ha comunque un tono epico: e’ l’incontro fra le due piu’ alte civilta’ del mondo ancora in vita, con tutto il rispetto per antenati gloriosi perdutisi nella storia. Loro hanno il primato della cultura, se non altro per avere inventato i caratteri mobili, noi quello dell’arte: siamo il Museo del pianeta e farebbero bene a ricordarsene gli sfruttatori dell’arte e della bellezza italica – dal Louvre all’Hermitage, passando per i grandi musei d’Europa come dal Paul Getty di Malibu’ – che oggi ci trattano da pezzenti.
Ma della Cina parlavo, che ci rispetta come rispetto’ Marco Polo che gli fregava sotto il naso il segreto della seta; eppoi, mentre si attribuisce ai giapponesi l’abilita’ di copiare il meglio di noi (per non dire dei coreani che ci amano e fanno cantare ai bimbi delle scuole elementari “‘O sole mio” con la scusa che il trentottesimo parallelo passa da Palermo e da Seul…) i cinesi hanno la grandiosa umilta’ di voler imparare quello che non sanno. Anche le piccole cose.
(ITALPRESS) – (SEGUE).

CONFRONTO FRA ITALIA E CINA DAL TONO EPICO-2-

Non a caso alla fine del 1981 – governando ancora gli eredi della Banda dei Quattro, comunisti davvero – potei viaggiare in lungo e in largo per la Cina, da Pechino a Shangai a Canton, per soddisfare la curiosita’ dei governanti cinesi che mi organizzarono una serie di incontri con giornalisti e tecnici locali interessati a conoscere le mode e i modi del calcio occidentale. Potei dare il mio piccolo contributo a un’organizzazione che ancora limitava l’attivita’ sportiva a parate giovanili di stampo fascista senza curare l’aspetto del gioco di squadra agonistico ritenuto borghese. Il loro leader calcistico, l’onorevole dottor Cheng Chen Da, apprezzo’ il racconto delle meraviglie del calcio nostrano, soprattutto quello vittorioso, e a sua volta mi mostro’ la sperimentazione pratica dell’ideologia pallonara, a cominciare dalla grande fabbrica di palloni “Ferrovia”, la loro Adidas. Esistevano i club delle grandi e medie citta’; esistevano i giocatori, gia’ privilegiati con modesti ma significativi premi in remimbi, la loro povera moneta. Esisteva un problema di fondo, le trasferte spesso di migliaia di chilometri, troppo costose. Che fare? – avrebbe detto Lenin. Mao aveva trovato la risposta. “Venga con me a Canton” – mi disse Cheng Chen Da – e vedra’”. Vidi tutte le squadre del campionato di calcio cinese li’ convenute che giocavano tutti i giorni, tot partite al giorno, fino a quando si trovava il vincitore (non gli sconfitti: tutti gli anni giocavano sempre le stesse squadre di un unico campionato). E’ tanto scatenato quanto confuso il dibattito sul “cosa faremo?” della nostra Serie A che propongo al presidente Gravina la Soluzione Cinese. Meglio dei playoff.

LA BOXE RICORRA AL REVIVAL DI EROI VERI

Non è da tutti aver paura del Coronavirus, non lo teme il fantasioso “Bo Jo”, il premier britannico che ha consentito ancora fino a ieri il prosieguo a Londra del torneo preolimpico europeo di pugilato – al quale ha dovuto rinunciare all’ultimo minuto Clemente Russo per un’indisposizione – cominciato alla Copper Box Arena e che era destinato a proseguire fino al 24 marzo, nonostante l’opposizione di chi, come il presidente della federazione boxe italiana, Lai, tremasse all’idea di un pugile positivo. Della stessa idea il presidente del CONI, Malagò, le cui parole sono state poi finalmente accolte a gare in corso. “Abbiamo la nostra Giordana Sorrentino nei quarti dei 51 chilogrammi a Londra, a giocarsi la qualificazione al torneo olimpico di Tokyo. Vi sembra normale? La boxe è uno sport estremamente di contatto, è vero che gli atleti sono lì da tanto tempo ma è surreale che i Paesi interpretino il nostro mondo in maniera così differente e non lo trovo giusto”. Ma succede. Cosa fare?
Io sto rivedendo vecchi film per crearmi un diversivo. Sono ottimista ma soprattutto gli happy end alla Frank Capra, palermitano di Bisacquino, mi portano in un mondo diverso da questo. Non erano rose e fiori, nel primo dopoguerra, ma era anche un mondo senza frontiere, aperto e solidale che da quei film, nati in un periodo di pace, ricavava una spinta a vivere e a costruire. Frank li aveva girati subito dopo la tremenda crisi del ’29, quando nella mia Rimini era caduta la piu’ grande nevicata del secolo, rammentata da Fellini in “Amarcord”, mentre a New York la gente tradita da Wall Street cadeva dai grattacieli. Ricordava Frank, l’esule da una terra che oggi e’ costretta, al contrario, a chiudersi:”Quando partimmo da Palermo e arrivammo nell’oceano aperto, era una cosa cosi’ meravigliosa che tutta la memoria precedente era scomparsa”. Cosi’, al vertice della sua opera, “La vita e’ meravigliosa”, con James Stewart e Donna Reed, uno dei primi film che vidi nel dopoguerra. Di quei tempi erano anche le storie di uno sport che aveva consacrato nel mondo un eroe italiano, Primo Carnera, il “Gigante buono” di Sequals che, finita la carriera, tornava in Italia dopo aver portato i suoi muscoli e il suo sorriso in giro per il mondo. I critici raffinati spesso lo derisero ma in realta’ aveva trasmesso al suo tempo (nonostante un episodio tragico del ’33) un’immagine della boxe piu’ serena e favolosa di quella che esaltava pura forza o violenza e sofferenza in protagonisti come Paulino Uzcudun, Jack Sharkey, Max Schmeling, fino al Max Baer che lo schianto’ e al Joe Louis che gli fece dare l’addio al ring. Lo stesso “Brown Bomber” che mi fece amare questo sport affascinante fino all’ultimo match di Carlos Monzon.
Nel tempo del Coronavirus suggerirei di fare un’azione di rilancio della boxe ricorrendo non tanto ai film che ha partorito, alcuni bellissimi, quanto al revival di eroi veri come Marcel Cerdan, l’amato da Edith Piaf, e Duilio Loi, Nino Benvenuti, Carlos Monzon, per finire con “The Greatest” Muhammed Ali’. Storia e leggenda per ritrovare il passato e sopportare il presente. Intanto, leggiamo.