Avanti Italia. Non siamo la Germania, non siamo la Spagna. Travolgenti. Ma esistiamo. Grazie anche a Donnarumma. Ne ho viste, di Nazionali. Quest’Italia va direttamente nell’Albo d’Oro degli Amarcord: Argentina ’78, a Mar del Plata, Italia-Francia, gol fulmineo di Lacombe, oddio, ma ecco il pareggio di Paolo Rossi che studia da Pablito e il decisivo 2 a 1 dello Sceriffo Zaccarelli. Nacque in quei giorni l’Italia più bella – molto juventina – ch’ebbe bisogno del 1982 per farsi mondiale. E una Nuova Italia sembra questa, fasciata di nerazzurro. Subito un erroraccio, a 23 secondi dal fischio d’inizio: lo commette Dimarco con un retropassaggio folle – 0 a 1- ma 10 minuti senza tremori e un altro interista, Bastoni, infila l’1 a 1 di testa su suggerimento di Pellegrini; cinque minuti ancora e tocca a Barella, il principe dei bauscia, firmare il vantaggio con un gol che spacca la difesa albanese. E spacca chiama Scamacca. Che però non risponde. In tribuna d’onore, il neo presidente dell’Inter, Marotta, gioisce dentro: la nuova carica gli nega il balzo tifoso. E in ogni caso è nerazzurro anche Asslani…
Non ha fatto partite a chiacchiere Spalletti, da quando ha sostituito il Mancini rigettato dalla critica e dai tifosi, ovvero il Mostro di Firenze. Luciano ha lavorato – dote che lo distingue – digerendo ogni tipo di commento o di critica; consigli amichevoli e ordini sfacciati, tutto per dire andiamo avanti, avanti fino al 15 giugno, poi si vedrà. L’errore di Dimarco per il gollaccio di Bajrami sembrava un annuncio squillante di sfiga e invece da chi vengono i gol azzurri? Da Bastoni, annunciato assente come Barella: non è fortuna, è recupero con il lavoro.
Confesso che m’aspettavo di peggio, non di perdere anzi di vincere (l’ho anche detto pubblicamente) ma in modi più…italici, con molta difesa a denti stretti, e invece Spallettone (complimenti da Mourinho, immagino) ha esibito anche un gioco di buona qualità, e quasi corale. Come si è visto nel pur odioso “torello” di fine primo tempo. Ma se da quell’insopportabile palleggio rilassante – non tikitaka – arriva il tocco giusto per un contropiede fulmineo, da gol, ecco allora tentata una delle mosse più belle del calcio. Il test intanto è valido perchè l’Albania si presenta in abito di gala, Sylvinho l’ha addestrata per l’Europa e per far bella figura davanti a quei cinquantamila emigrati in Germania (guarda caso sostituiscono tanti lavoratori italiani degli anni Cinquanta). Mi avessero chiesto un parere, gli avrei suggerito di giocare come De Biasi e Reja gli avevano insegnato.
Italia travolgente, anche grazie a Donnarumma
Euro2024, avrei portato Camarda in Germania
M’è venuto in mente, l’altra sera – mentre parlavo di calcio con Roberto De Zerbi all'”Auditorium di Catanzaro – un episodio illuminante. Quando la Corea del Nord ci fece fuori, nel ’66, e l’attacco era spuntato, in tribuna sedeva un ragazzo del ’44 che nel ’62, nelle giovanili del Legnano, aveva segnato caterve di gol, poi era passato al Cagliari – continuando a far gol – e nel ’65 era stato invitato a far parte del Club Italia: si chiamava Gigi Riva. A Middlesbrough era in viaggio premio: ” E’ bravino”, aveva detto Mondino Fabbri a Andrea Arrica che invece sosteneva – anche con me, e condividevo – “E’ un fenomeno”. Ma nessuno – ch’io ricordi – si era battuto per il bomberino di Leggiuno. La criticheria non ama i giovani, tanto è vero che quando Bearzot, in partenza per Argentina ’78, prese su Cabrini, il sindacato delle penne rosse dichiarò sciopero. E a Baires nacque la Nazionale più bella alla faccia loro, nonostante l’aiuto che gli aveva dato Lacombe segnando il gol del vantaggio francese applauditissimo dalla tribuna stampa italica. Zaccarelli – uomo della Provvidenza – chiuse la pratica.
1966-2024, tanti anni dopo non voglio essere complice di un piccolo delitto commesso dal pur riveritissimo Spalletti: io Francesco Camarda, classe 2008, milanista, neo campione europeo con l’Under 17 di Favo, l’avrei portato in Germania con i suoi 483 gol segnati in maglia rossonera, visto che quella azzurra è così poco indossata da bomber italiani. Inesistenti, finchè l’Argentina non ci ha fornito Retegui e l’Atalanta non ci rivelato la potenza di Scamacca.
La mia – noterete – è una bonaria osservazione che faccio per mestiere: piuttosto che entrare a far parte del coro dei pessimisti mi permetto un’obiezione che non intacca la credibilità del Ct. E’ solo un’opinione. E spero dì sbagliare, spero che vinceremo senza “I 400 colpi di Camarda” (vedi Truffaut).
Si dice che in Germania non ci siano – in generale, non solo nell’Azzurra – protagonisti di primo piano, mancando di rispetto ai reduci di Wembley 2021, Donnarumma in testa. Siamo qui Campioni in carica, grazie a lui e a Mancini, non dimentichiamolo. Si dice che sarà l’Europeo di Mbappè, la miglior salsa possibile per tutti i maccheroni. Mentre canto le virtù del giovane Camarda lasciatemi sognarne l’ultima stagione di gloria di Cristiano Ronaldo. Capisco che a molti risulti antipatico, ad altri addirittura di scarso valore: la passione pallonara e la conseguente competenza non è di tutti. Quando penso che prima o poi attaccherò il tablet al chiodo, avendo perduto Pelè, potrei farlo con lui (anche se un Camarda mi garantirebbe una più lunga vita …). Dimenticavo: forza Italia.
Con Bosnia un allenamento, ben vengano i pronostici drammatici
Italia-Bosnia va in onda come un memento: ricordiamoci dell’Italia. Quale? L’ultima di Mancini, la Signora Europa 2021. Ma è stata come rimossa (dicono i nemici, io me la tengo cara). Dunque giochiamo per avvertire che da qui a quattro giorni comincia la rumba. Con l’Albania. La partita con la Bosnia? Un allenamento scioglimuscoli concordato. Con la malcelata voglia di un gol di Scamacca o di Fagioli, un’idea di Paolo Rossi preso al volo ci vuole sempre. E invece ci pensa Frattesi, al 38′. Il resto è noia.
Sì, si comincia. Siamo pronti. Per forza. Non c’è posto per la fantasia. Una volta ogni Nazionale alla vigilia dell’Evento – mondiale o continentale – riservava bisticci e capricci. Oggi si prende nota dello Spallettismo e si procede tipo Fedelissima, Usi Obbedir Tacendo. Vorrei protestare, vorrei dire che ho maldigerito il ripudio di Orsolini, mi limito a inviargli un saluto e un applauso. Tempi duri per l’Orso.
D’altra parte, cosa vuoi dire se non che il Calciobusiness sta uccidendo la Nazionale? Ogni tanto accuso l’Istituzione ma in verità sono i club – i loro dirigenti – a voler tanti stranieri in squadra, come se ci fosse una precisa volontà di azzerare quel nazionalismo che cova nell’Italia Azzurra. Eppoi va ancora bene: quando non il 50% ma il 100% dei club sarà di proprietà straniera spiegatemi chi sentirà la necessità di gridare o pensare “forza Italia”.
Con l’aria che tira ci si propone la vista e lo studio di Italia-Bosnia e potete immaginare quante emozioni. Spallettone ne fa anche un uso privato: ha scelto Empoli dove ha cominciato a giocare e ad allenare. E mi stupisco che non abbia chiesto un saluto/omaggio a Silvano Bini, che fu presidente e tuttofare dell’Empoli e viaggia sereno verso i cent’anni. Maestro di tutti, anche mio. Poi le frasi celebri, alla Mogol: “E’ una Nazionale a fari spenti…può avvantaggiarsene”. Scusa Luciano, evitiamo banalità, è così da sempre: trattati da poveracci, solo nel dopoguerra abbiamo vinto due Mondiali e due Europei. E ancora, l’annuncio del cronista emozionato: “Spalletti ha cambiato modulo, stasera 3-5-2!!!”. Non mi appassiono ma ricordo, è il modulo/Reja, Edy conferma: “Il 3-5-2 lo usavo a Napoli 15 anni fa, ora giocano così Conte e Mancini”. E Spalletti. Io ricordo quando Edy lo usava a Bologna, trent’anni fa. Il vantaggio? Se l’aria si fa pesante, ti copri: 5-3-2, et voilà. Per finire, leggo pronostici drammatici, i catastrofisti sono in linea. Nessun timore. Ormai sappiamo che portano bene.
Volare basso, per Spalletti necessità e virtù
E adesso, Spalletti? Zero davvero? Verrebbe voglia di girare la domanda a Montella che con lui ha diviso vita e 4-2-3-1. Come ci hai visto, Aeroplanino? Voliamo basso, eh. Spallettone è furbo, ha messo dentro Er Più, Calafiori, per farci capire che questo era un allenamento per forze nuove. Per allontanare pronostici velenosi. E infatti mi taccio. Rievoco soltanto – è cerimoniale apotropaico – antiche avventure.
E’ vero – parlo da testimone oculare – che l’Italia Grandi Eventi va bene quando comincia male. Vista a Bologna contro la Turchia, questa Nazionale dovrebbe realizzare un Europeo trionfale. E vincerlo. Non ironizzo, prendo nota di uno stato di tale modestia che non vidi nel ’68 quando – dopo la Corea – vincemmo con l’antimago Valcareggi il torneo continentale con Rivera e Riva tra altre stelle; neppure nell’82, quando la critica ferì gli azzurri del detestato Bearzot spaventati dal Camerun e quelli si fecero campioni del mondo con Conti, Pablito e altre meraviglie; nè nel 2006, quando arrivammo in Germania con la nomea di imbroglioni ma buoni, buonissimi, come Del Piero e Totti che Spalletti ha invitato insieme al Golden Boy a Coverciano: Lippi – pur contestato dagli intellettuali – fece un capolavoro e tutti salirono sul suo carro.
Ma c’è una novità, Spallettone sta bene a tutti, è arrivato con l’aureola presa in prestito da San Gennaro – e da Osimhen – ma ha disposizione quel poco che la scelta esotica dei club lascia alla Nazionale: intorno a Chiesa, l’unico crack riconosciuto, peraltro sostituito da Zaccagni, solo un gruppo di Bravi Ragazzi; Bologna s’aspettava Orsolini, ma l’Orso non era in serata, l’ha sostituito Cambiaso. Presente una discreta difesa, chi fa gol?
Quasi-gol tanti, almeno quando i radiotelecronisti gridano Rete…gui! Inutilmente invocato dai bolognesi che Spalletti ha chetato offrendogli Raspadori, enfant du pays. Senza emozioni. Al punto che i turchi di Montella – mai vittoriosi con l’Italia – si fanno audaci anche e soprattutto con i “nostri” Chalanoglu, Yldiz e Celik. Dopo una qualificazione brillante sono parsi in buona forma rispetto ai logorati azzurri che ho visto spenti anche psicologicamente, poco guerrieri, privi di un trascinatore e a pochi giorni dall’inizio del Mondiale alleva tristi pensieri anche l’Albania.
[email protected]
(ITALPRESS).
Real XV, buon divertimento e lambrusco ad Ancelotti
Incontrai Santiago Bernabeu a Belgrado, nel ’73, finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Ajax. Parlammo anche, cosa non riuscita ai giornalisti di tutto il mondo ch’erano lì per il grande evento. Una chiacchierata (per me) emozionante ottenuta non per merito mio ma per bontà sua. Il signore in grisaglia mi aveva sentito chiamare un collega a voce alta e mi colse a volo:”E’ bolognese, lei?” “Sì”. (In un certo senso. Vivevo e lavoravo a Bologna). “Sono Santiago Bernabeu, mio fratello ha studiato per anni nella sua bella città, al Collegio di Spagna…Io amo Bologna”. A parte poche battute in rossoblù gli chiesi perchè fosse a Belgrado senza il Real in finale. “Cerco di non mancare mai il match decisivo. La Coppa dei Campioni è come se fosse nostra”. Ne aveva già vinte sei – complessivamente 36 trofei – il signore cui Francisco Franco aveva concesso l’onore di dare il nome – ancora vivente – allo stadio madridista. In quel momento era in crisi, anche personale – se ne sarebbe andato quattr’anni dopo – ma sul Real non aveva dubbi: “Vincerà tante coppe. Nella Liga non abbiamo rivali, il nostro gol è l’Europa”.
Immagino che Ancelotti consideri Santiago un suo avo sportivo, come Alfredo Di Stefano che di Coppecampioni ne ha vinte cinque anche lui, giocando. E adesso che cerco di magnificare Carlo mi butto a definirlo – come la Saeta Rubia in campo e in panca – ispiratore di un calcio totale oltre al nominatissimo calcio olandese, nel senso che a Crujiff e la sua banda di artisti mancava il senso della vittoria anche senza spettacolo. Carlo non è regista di film intellettuali all’Antonioni, naviga piuttosto fra Vittorio De Sica e Sergio Leone, fra humour e pistole, senza mitraglia. Anche sabato sera, davanti a un Borussia sturm und drang, il suo Real ha mostrato una platonica sofferenza. Poi ha vinto. Coppa dei Campioni n.15. Aveva ragione Santiago Bernabeu.
L’ho scoperto ragazzo, quando diciannovenne, con una doppietta rifilata alla Triestina, portò il Parma in B e lo premiai col Guerin d’Oro. D’allora Ancelotti è cresciuto fino a raggiungere livelli di qualità straordinaria da giocatore e da tecnico, senza mai autoproclamarsi inventore del calcio, pratica assai diffusa nel suo mondo. E ora ricorderà quando aiutò Berlusconi a proclamarsi re d’Europa perchè risultava che avesse superato il Real per numero di trofei. Vorrei anche dire – volendogli bene – che ammiro da sempre la sua capacità di vivere con semplicità i fatti quotidiani e i grandi eventi. Così come nell’ennesima vittoria mi ritrovo accanto a lui – forse anche più severo – a rammentare il vergognoso comportamento della Triade juventina che lo diede in pasto ai buzzurri. E mi diverte l’idea di indovinare come avranno reagito i sapientoni napoletani e i loro virgulti davanti alla vittoria di Carlo in Champions, loro che lo hanno praticamente ripudiato e definito bollito o addirittura…procuratore di suo figlio. Non ho altre parole, per Carlo, se non un “Buon divertimento e lambrusco”. Lo champagne lo lasciamo ai vittoriosi occasionali.
Da Allegri a Pioli, da Motta a Ranieri, quanti tristi addii
Avete presente la Var? Dei suoi meccanismi pericolosamente sciocchi mi colpisce soprattutto quello emotivo. Gol, tifosi che esultano, s’abbracciano, compaiono sul tabellone in versione “guarda quei matti come sono felici” e all’improvviso l’arbitro fischia. Check. Lungo. Straziante. No, non è gol. I passionali già dal cuore acceso si spengono. I focosi imprecano. Partita rovinata.
La metafora della Var s’addice al finale di campionato con tante feste ammosciate, con tanti amori traditi, con spettacolari entusiasmi mortificati. Con tanti tristi addii.
Non dico del Napoli ch’è parso una fermata del tram. Chi sale? Chi scende? Ma la Juve? Il Milan? Il Bologna? L’esonero di Allegri – Mister 5 Scudetti e 5 Coppitalia – lo ritroveremo nei libri di storia, come quello di Carlo Carcano che fra il ’30 e il ’35 la Juve rimosse mentre stava vincendo il quinto Tricolore consecutivo. Vi piaceva, cari juventini, portare a casa i trofei per la Quarta Stella di Allegri dopo la Terza di Conte? Poi chi ha frenato, il Corto Muso o il Bilancio Rosso? Dalle mie parti buttare così Max vuol dire fare scarti grassi. Sprecare. C’è chi può e chi non può, la Juve/Elkann può. Fino a quando? E il Milan che si libera di Stefano Pioli con una mesta e bugiarda cerimonia d’addio? Lo ringraziano “con affetto per aver guidato la Prima Squadra in questi cinque anni, ottenendo uno Scudetto che resterà indimenticabile e per aver riportato il Milan stabilmente nelle più importanti competizioni europee…”. Indimenticabile? Hanno cominciato a ferirlo e a dimenticarlo poco dopo la conquista, offendendo non solo l’autore di un’impresa calcistica ma l’uomo che l’ha costruita mentre imperversava il Covid. Le colpe? Ai bischeri l’ardua sentenza. E intanto chiediamoci: chi è Fonseca? Leggo “Infanzia in Mozambico, la batteria suonata così così, la maschera di Zorro, il ferro da stiro…” e cerco sostanza, eccola: ha vinto 3 campionati d’Ucraina, 3 Coppe d’Ucraina, una Supercoppa d’Ucraina, tutto con lo Shakhtar. Complimenti. Ma perchè se una Supercoppa d’Ucraina la vince De Zerbi, Fabio Capello dice che non ha vinto niente?
Ma è a Bologna che fanno la Var in grande, la rabbia dopo la gioia. Stavolta è protagonista l’allenatore. Ha appena finito di gioire e cantare con i suoi ragazzi, con i suoi dirigenti, con il suo popolo e all’improvviso Thiago Motta – bravissimo, non c’è dubbio – spegne il fuoco d’amore con un frettoloso “grazie di tutto, me ne vado” che già stranisce i supporter ma li scatena sui social perchè è come se dicesse “me ne vado alla Juve”, l’odiamata Signora di Torino.
Alla fine, restano vittoriosi senza risvolti Var solo Simone Inzaghi, Claudio Ranieri e Gian Piero Gasperini interpreti del calcio dal volto umano. Ne ho conosciuti tanti, di Mister, sono cresciuto con loro, anche grazie a loro se penso a Bernardini, a Rocco, a Pugliese, al Vecio. Con altri mi sono scontrato – Viani e Sacchi per tutti – o stretto rapporti confidenziali perchè li ho visti crescere, come Capello e Ancelotti.
In una stagione a dir poco demenziale solidarizzo con i protagonisti degli avvicendamenti, Zanetti, Andreazzoli, Sousa, Inzaghi, Liverani, Sottil, Cioffi, Garcia, Mazzarri, Mourinho, Dionisi, D’Aversa e Sarri. Scusate, devo aggiungerne un altro, lo sfortunato Eusebio Di Francesco: Niang all’ultimo respiro ha salvato l’Empoli e condannato il suo Frosinone alla serie B.
Ranieri salvatore di un torneo alla deriva
Esistono tanti modi per celebrare l’ennesima impresa di Claudio Ranieri. Ha salvato anche il Cagliari, condannando alla retrocessione il Sassuolo. I suoi ragazzi lo hanno portato in trionfo, i suoi tifosi gli hanno dedicato una corale manifestazione di gratitudine, i dirigenti lo hanno gratificato di pur tardivi sorrisi e complimenti, i critici lo hanno applaudito come il maestro che ha offerto spettacolo con un’orchestra felicemente affiatata. Io, che queste note le ho rese pubbliche già da decenni, avendo seguito Claudio nella sua vita di calciatore e nei suoi trentott’anni di tecnico, oggi mi sento di chiamarlo il Salvatore di un campionato che sta andando moralmente alla deriva. Questo gioco non è – come dicono gli snob – venti uomini in mutande che si contendono un pallone (due stanno in porta) ma un’arte popolare, una narrazione favolosa, un evento sociale. E i suoi nemici non praevalebunt. Il calcio è anche produttore di emozioni eterne. Ma qualcuno ha deciso di profanarlo organizzando la fase più delicata del torneo – la zona salvezza – in modo scorretto, negando l’opportunità delle partite contemporanee. Rivedere Udinese-Empoli. Sospetti? Esistesse un ufficio inchieste certe partite si rigiocherebbero. E il Var? Era già uno strumento ingiusto, si è rivelato una buffonata. E cosa vuol dire presentare al lunedì sera la partitissima Bologna-Juventus che non ha peso tecnico decisivo ma è lo show di punta del Giravolta degli Allenatori? Un esempio: Conte o Gasperini a Napoli? E perchè non Allegri? Fossi De Laurentiis lo chiamerei: con immense difficoltà aziendali ha portato la Juve in Champions (un regalo da 100 milioni) e con il finale di Coppa Italia le ha offerto il modo di liberarsi di un vincitore grande ma troppo scomodo. Un suo “Diario juventino” venderebbe milioni di copie.
Adesso – stando ai ben informati – tocca a Motta. Che sarebbe il cinquantesimo allenatore della Signora. Da ammiratore (interessato) gli rivelo una storia che non conosce. Nell’88 diventò tecnico bianconero Dino Zoff, sostituì Rino Marchesi. Superdino guidò i bianconeri per due stagioni senza tituli tricolori ma centrando il double continentale Coppa Italia-Coppa UEFA. Secondo usanza consumata anche con Allegri, il Vittorioso non fu confermato perchè il suo gioco non era abbastanza emozionante e il nuovo vicepresidente esecutivo, Luca di Montezemolo, tifoso del Bologna, decise di portare a Torino nel ’90 il tecnico rossoblù Gigi Maifredi, il Mister balzato alla ribalta con una stagione di bel giuoco che aveva riportato lo Squadrone in Serie A. Amatissimo dai critici giochisti per il suo Calcio Champagne, Maifredi finì la stagione senza portare la Juve in Europa. Anche Thiago ha esibito un Bologna eccellente – Champagne o Prosecco cambia poco – l’ha portato in Champions applaudito dai critici. Sappia che troverebbe una Juve più disastrata di quella che accolse Maifredi. C’era ancora l’Avvocato che richiamò subito Trapattoni. Non è facile “essere da Juve”.
Allegri paga l'”allegrata” dell’Olimpico e il politicamente corretto
Allegri licenziato. Licenziato? Direi in ferie anticipate, con un pacco di milioni che scoraggia ogni tentativo di compiangere la sua dolorosa vicenda. Vacanziere, dunque? Un ritorno a Livorno per anticipare l’estate ai Bagni Pancaldi? Macchè, qui ci sta un anno sabbatico, anzi un biennio visto che la Juve deve pagargli anche la stagione ’24-’25. La felicità è un pacco di soldi e un posto in Champions. Voglio dire che il Conte Max se ne va lasciando la qualificazione europea e i relativi 100 milioni che incasserà la società (ci sta dentro, comoda, la sua liquidazione) e la quindicesima Coppa Italia bianconera, la sua quinta. I nemici dicono ch’è solo una consolazione. Non conoscono la storia della Juve fidanzata d’Italia non solo per tanti scudetti, ma per quelle Coppe che Giampiero Boniperti mi mostrava orgoglioso, tanti anni fa, nella storica sede di Piazza Crimea.
Se è vero che la polemica stagione di Allegri è stata suggerita dal suo nongioco divisivo, con ultrà giochisti scandalizzati opposti ai risultatisti ispirati dal bonipertiano “vincere è l’unica cosa che conta”, è verissimo che l’esonero è dovuto alla scandalosa “allegrata” dell’Olimpico.
Via la giacca, corsette isteriche, vaffa a mitraglia: la sceneggiata non è piaciuta lassù dove si paga. Dubito che l’abbia deciso John Elkann in persona, lui sa bene che Allegri dopo i cinque scudetti consecutivi è tornato per reggere una società allo sbando dopo il siluramento di Andrea Agnelli. No, direi che – almeno formalmente – è intervenuto il politicamente corretto. Cinque-scudetti-cinque, ma che maleducato! Non è una novità. Carlo Carcano, il mitico allenatore che con la Juve vinse quattro scudetti consecutivi negli anni Trenta, fu esonerato nel 1935, mentre vinceva il quinto, perchè accusato da amici di Casa Agnelli di essere gay. Omosessuale, come si diceva. Ho conosciuto Carcano, a Sanremo, cronista del torneo Carlin’ Boys: era un signore. Come Allegri, schiamazzi a parte. Un signore di Livorno un pò particolare, come i suoi concittadini versati nella polemica ma a cuore aperto. Come si dice alla Gran Guardia? Livorno, ‘r peggio portuale sona ‘r violino ‘ò piedi.
Volete sapere chi lo sostituirà? Dicono Motta. E io dico a Thiago, se proprio è tentato dalla Juve, di farsi raccontare la storia di Manfredi. Giuntoli, ch’è di quelle parti, dovrebbe saperla…
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).





