“Sinisa e’ sempre un guerriero, ma con il Coronavirus non puo’ correre rischi. Abbiamo quasi dovuto insistere per mandarlo via, senno’ sarebbe rimasto qui per l’attaccamento che ha al Bologna. Adesso e’ tranquillo a Roma, ma e’ molto importante che non venga intaccato perche’ su persone che hanno avuto il suo problema con questo virus non ci sono casistiche”. Ha parlato il medico di Mihajlovic e all’improvviso mi e’ parso del tutto inutile, sciocco, un gioco da bambini il rincorrere la data della Ripresa e quella della Conclusione. Del campionato. Eppure, Ripresa e Conclusione in queste ore si riferiscono ad altro. Per esempio alla riapertura delle scuole, il primo vero campionato della nostra vita. Ma c’e’ di piu’, invertendo i termini: chiudere la fase cruciale del coronavirus e riprendere una vita qualsiasi, ma una vita, senza la spada di Damocle di quel maledetto virus che pende sulla testa di tutti ma in particolare dei malati. E di chi li cura. Il resto conta poco. Se n’e’ accorto, in ritardo, anche il Papa. Curare anime non esime dai preoccuparsi dei corpi. Gesu’ non si limitava a benedire, disse “Lazzaro vieni fuori!”.
Questa ci stiamo accorgendo cos’e’: una guerra senza le bombe. Dai miei ricordi affiora un dato indelebile: nel ’44 avevamo semplicemente paura di morire, nel 2020 abbiamo paura di morire di fame. Quando quella fini’ ci buttammo a mangiar di tutto.
Da tempo ho visto cuocere le bucce delle patate e ripassare in padella gli avanzi di pastasciutta, e ho subito detto “mangiare di guerra”. Evidentemente fra gli chef tanto di moda c’e’ anche qualche profeta. Vi saranno capitati, in questi giorni di quarantena mediatica, i videomessaggi di quelli che “stiamo in casa e abbuffiamoci”. Senno’ cosa fai? Hanno beccato Carlton Myers che faceva jogging, l’hanno sgridato e costretto a chiedere scusa, capite?
Tutto questo mi fa tornare al tema iniziale: quando ci sara’ la Ripresa del Campionato, quando la Conclusione? Ah, saperlo. Ma prima poniamoci un’altra domanda, con calma, senza saltare freneticamente al punto: penso – e spero davvero – che ce lo diranno presto; ma se l’attesa fosse lunga – ho letto fra maggio e giugno – perdurando gli ostacoli agli allenamenti, all’attivita’ di palestra e di campo, come arriveranno i nostri eroi alla me’ta? Mi guardo e mi vien da ridere: ciccioni. Un altro campionato.
RIPRESA E CONCLUSIONE PAROLE CHIAVE DEL MOMENTO
PROTESTA L’AIC E I NODI VENGONO AL PETTINE
Ricordo quando i calciatori erano schiavi. Li chiamavo vite vendute, come quel film di Clouzot. Scrivevo di “mercato delle vacche” e i signori del calcio chiedevano la mia testa “al direttore” (ne ho avuti solo coraggiosi, che fortuna!). Poi alcuni miei coetanei Capitani Coraggiosi – Mazzola, Bulgarelli, De Sisti, Rivera, Castano, Losi, Mupo, Sereni, Corelli guidati da Sergio Campana, l’Avvocato – fecero nascere il sindacato, nel ’68, prim’ancora che quell’anno diventasse simbolo di ribellione. Ci fu poi la firma contestuale, perche’ a quel tempo da “vacche” erano diventati “pacchi”. Poi la legge Bosman, suonan le campane dindondan. Liberi, siamo liberi: i calciatori presero l’inno da Modugno. Oddio, il calcio e’ finito! – dissero i dirigenti. Come salvarlo? La faccio breve: se li sono ricomperati. A caro prezzo. Vite vendute 2.
Ha ragione oggi il sindacato calciatori quando accusa i “padroni” di non aver accettato subito il consiglio di smetterla e di avere messo a repentaglio la vita di tanti ragazzi; ha ragione a contestare l’ennesimo decreto che li “assegna” alle societa’ di appartenenza come se fossero giocattoli, non giocatori. Ma e’ in momenti come questo che i nodi vengono al pettine: non solo i giocatori ma i loro procuratori, assistenti, famigliari e il sindacato hanno aiutato la crescita del calcio business abbacinati dai milioni che ormai arricchiscono anche i gregari. Schiavi son tornati. Con l’attributo aggiornato: Dorati.
Finisce che nel turbinio di meme, slogan e trovate anche divertenti e antipaura che circolano sul web spunta il solito cartello:”Avete dato un milione al mese ai calciatori e 1300 euro ai biologi ricercatori. Fatevi curare da Ronaldo”.
Il coronavirus fra tracotanza e stupidità
Cina-Italia: oltre al coronavirus, immensa tragedia e probabile strascico d’odio (non a caso i cinesi di fuori e di dentro ci stanno teneramente riempiendo di mascherine e soccorsi vari per sedare i sensi di colpa), è un incontro fra le più grandi civiltà della storia: noi con la ricchezza dell’arte – ne possediamo il settanta per cento del mondo – loro con il primato assoluto della creatività e della memoria. La memoria che manca a noi, spesso sollecitati a traversare il parco delle rimembranze o spinti – da Foscolo – a metter piede in Santa Croce per onorare “l’urne de’ forti” e muoversi poi a “egregie cose”. Son passati pochi giorni dalle “inique sanzioni” dei decreti legge – in realtà tardivi divieti al suicidio – che già c’impegniamo in dispute futuribili come se dal picco del virus fosse iniziata la discesa.
Magari. Ma com’è triste, in realtà, veder scendere in campo i ragiunatt che, come se fossimo tutti di Bruxelles – un forte concentrato di tracotanza e stupidità – fan di conto senza badare alla salute. Che verrà quando vorrà. O alla salvaguardia della cultura, vicino ai tanti piccoli italiani che prima o poi dovranno capire cos’è successo. Nei giorni della guerra non si sapeva che fare, oltre ad aver paura, e a quattr’anni ho imparato a leggere e a scrivere. No, qui si fa il conto dei danni prim’ancora di averli… finiti.
Ottimismo? No, la solita storia della fila, mettiamoci dove comincia perché non si sa mai come va a finire in coda. A chiese e scuole chiuse, nulla di sacro a disposizione, ci dedichiamo volgarmente al business. I più preparati già hanno i conti da presentare alla Patria per un generoso sostegno ai bilanci indeboliti dal virus. Danni di guerra, si chiamavano, danni da virus si chiameranno.
Non ho voglia di ridere ma mi sforzo. Nel calcio stanno già arrivando i conti. Volete sapere a quanto ammonteranno i danni per la Juve, visto ch’è la più ricca, la più forte, quella – sentite sentite – che ha più da perdere? Nel caso in cui tutte le competizioni per club a livello nazionale e internazionale fossero annullate a causa del coronavirus, l’impatto negativo sui ricavi della Juventus per la stagione 2019-2020 potrebbe essere di circa 110 milioni di euro. Beati i poveri. Vincere non è importante, sopravvivere è l’unica cosa che conta.
(ITALPRESS).
Il destino del Calcio ai tempi del Coronavirus
Settantasette anni fa ho vissuto la mia peste. La guerra. L’ho trascorsa, dal ’43 al ’45, sulla Linea Gotica. Vedevo passare, a seconda dei movimenti bellici, tedeschi, inglesi, Gurkha, marocchini, polacchi e americani. Li vedevo con i loro dodge, panzer, jeep, sidecar. Con i Messerschmitt e gli Spitfire. Stavolta non vedo nulla e nessuno, a parte mille trasmissioni tivu’ che non fanno chiarezza. Anzi. Dalla Paytv a Palazzo Chigi. Sento tanta paura, registro decreti a singhiozzo. E’ anche la stagione degli opinionisti che continuano a trattare questo evento storico – feroce come la peste nera del 1350 raccontata da Boccaccio col “Decamerone”, quella del 1630 rivissuta da Manzoni sui “Promessi sposi” e la Spagnola del 1918 – come se fosse un telequiz. Come va? Quanti contagiati? Quanti morti? Quando finira’? Ma il massimo e’ “cosa nostra”: che fine fara’ il campionato? E la Champions? E l’Europa League? E l’Europeo 2020? Cosa fa l’Uefa, la nostra Europa? Piu’ o meno quello che fa l’altra Europa, il carrozzone istituzionale che vede i suoi soci – dalla Slovenia all’Austria, alla Polonia e via cosi’ – preoccuparsi solo di chiuderci fuori. Anzi dentro. L’Europa degli egoismi, dei premier cialtroncelli, l’Europa che augura la peste agli Altri senza capire che cosi’ non si ferma piu’. L’Europa all’italiana, perditempo e inesperta. Guardiamo al calcio (allo sport): erano tutti convinti, compreso il ministro dello sport, che le decisioni toccassero alla Federazione e alla Lega. Piu’ ignoranza che scaricabarile. Poi il governo ha deciso di chiudere, non le porte ma l’attivita’, e Rugani ha messo un robusto catenaccio sopra i lucchetti. Poverino, la solita vita della riserva, e cosi’ passera’ alla storia; ma alla fine dovremo essergli grati perche’ cosi’ il blocco e’ sicuro: e’ juventino, e’ importante, e il suo stop incolpevole spingera’ l’Uefa a presentare richieste di chiusura provvisoria dei suoi eventi all’Europa di Bruxelles che per ora sta calcolando quanto perdera’ vendendo meno camembert, maccheroni, wu’rstel, frika, pierogi ruskie e moussaka.
PREPARIAMOCI A TORNARE, SENZA PAURA DEL VIRUS
Giocare o no? Porte chiuse o porte aperte? Godersi i gol di Dybala o no? Soffrire per la squadra del cuore che rischia la retrocessione o augurarsi uno stop ufficiale che magari la salva? E lo scudetto chi lo vince? La Juve ch’e’ gia’ prima splendida splendente? E chi ci dara’ una risposta decisa, anche se sgradita? Forse il Ministro Tentenna che ha una verita’ al giorno? Ho anticipato mille chiacchiere precisando che non esistono decisioni “sportive” – Lega, Federazione, CONI – ma solo governative, l’interesse pubblico non puo’ dipendere da Dal Pino, Gravina o Malago’; e neppure da un ministro senza portafoglio ne’ competenza come tanti opinionisti: solo dal governo, e da un decreto legge. Punto e basta. Inaudito? Gia’. Anche ingiusto, per gli interessati. Me compreso. Ma se a questo siamo arrivati forse e’ tempo che si capisca la gravita’ del momento. Ai miei figli, ai colleghi e agli amici piu’ giovani ho detto: questa peste e’ peggio della guerra.
Estate 1944. Fuga dal paese natale, sfollati in campagna, mitragliamenti, bombe. Poi un altro paese, un’altra casa. E i fratelli piu’ grandi si chiedono ancora se continuera’ a vincere il Torino di Vittorio Pozzo, se e quando tornera’ a comandare la Juve come ai tempi di Carcano…
Nella piazza principale di Poggio Berni, un paese romagnolo sulla Linea Gotica, giocavamo a pallone a un metro dai panzer tedeschi e quando un pallone scappava un soldato ce lo restituiva con un calcio. Ridendo. Forse pensando che lo stesso gesto l’avrebbe fatto a casa, con un fratellino di cinque anni. Come me. In casa non s’ascoltava Radio Londra ma le cronache sportive non erano proibite, e qualche campionato – a Nord, a Sud, anche vicino a noi – si giocava. Poi qualche giorno al buio, quando le battaglie aeree o i confronti ravvicinati a cannonate ci costringevano a scendere nel rifugio, una grotta spaziosa dove ci portavamo la palla strappando un sorriso agli adulti impauriti. La palla: non ho conosciuto un altro strumento cosi’ rallegrante, in qualsiasi situazione; dunque conosco bene la paura, e me la vedo intorno, perche’ non potersi toccare, temere anche un sospiro, non ti dico uno starnuto, un colpo di tosse, vuol dire esserne prigionieri, niente di meno; e il virus fa piu’ paura di una guerra annunciata che ha i suoi segni, seppur tecnologica, mentre cosi’ tremi, t’inquieti, solo per segnali incerti, avvertimenti, minacce. Cosa sara’ domani. Da giorni e giorni ormai ognuno dice la sua, le opinioni si sprecano, tutti indovinano tutto. O niente.
Cosi’ siamo arrivati al punto: giocare o smettere? Leggetevi il decreto apparso sui vostri tablet e cell come se fosse un pessimo scherzo di facebook, scritto proprio cosi’, come uno scherzo macabro, roba da Iene. E invece e’ tutto vero. Il campionato, se e’ vero che ha buon diritto di esistere, puo’ chiudere come stanno chiudendo gli alberghi, i ristoranti, le scuole, le chiese. Gia’, le chiese. Quelle no, quelle le terrei sempre aperte. Fini’ la guerra. Lasciammo i rifugi, il paese ospitale, tornammo verso Rimini. Arco d’Augusto, Anfiteatro Romano. Il Tempio Malatestiano semidistrutto. Ci aspettava la chiesa di Santa Rita, la Santa degli Impossibili. Il sorriso torno’ col piatto pieno, non con il calcio. Anzi. Stavamo riprendendoci il gioco, e mori’ il Torino… Da’i. Prepariamoci a tornare. Senza paura del virus.
LA JUVENTUS E’ TORNATA VINCENTE
La Juve e’ tornata vincente. Con Dybala anche convincente. L’Inter s’e’ persa nel silenzio. Pericolosa finche’ s’e’ data al contropiede, ha ceduto quando la Juve del Ronaldo solitario e’ diventata squadra e gliel’ha impedito. L’Inter non e’ squadra, non sa dare spettacolo, ha troppi personaggi in cerca d’autore. La Lazio sta sognando …
Il calcio e’ fortunato. In una giornata di lutto – questo e’ giocare a porte chiuse – presenta Paulo Dybala, un gol da favola. Un urlo nel silenzio e un sorriso grande cosi’. Tale da addolcire la critica che dovrebbe indugiare sulle scelte cervellotiche di Sarri, uno che ha speso tutta la buona fama guadagnata a Napoli, dov’era un decisionista Comandante, mentre a Torino ha perso smalto, potenza, idee. Ma per fortuna ci sono i calciatori, e non solo Dybala, il fuoriclasse, anche quelli meno importanti e pur sempre protagonisti.
I veri eroi di ieri sono ragazzi che giocano. Giocano davvero. Si divertono. Non hanno paura. Solo Balotelli, l’intellettuale, e’ preoccupato di farsi la bua, si’, quella cosa che si chiama vairus, come dicono Klopp e il ministro Di Maio. E’ coerente: soldi soldi, per lui ormai il resto non esiste. Gli altri ce la mettono tutta, ognuno secondo le proprie possibilita’.
Dalla modesta Spal di Petagna alla presuntuosa Juve di Ronaldo, passando per l’appassionante risalita delle genovesi di Pandev e Quagliarella (e’ bello che Genova, in zona azzurra, dopo tante sfighe, possa trovare almeno un sorriso con le sue squadre). Una lezione per tutti, quella dei giocatori e del calcio giocato: il resto, adeguato alla qualita’ degli interlocutori. Appena sali ai vertici – Lega, ministero, governo, la Federcalcio s’e’ chiamata fuori – incontri la casta poco casta degli incompetenti, dei poltronisti, degli spaventati, degli avventurosi che per giorni, fino all’ultimo minuto, si passano il cerino. Che fatalmente si spegne fra le dita di Spadafora, il ministro che sa cosa vorrebbe fare ma non lo sa fare. Non gli manca il potere, gli manca la potenza. Il campionato a porte chiuse, il campionato in chiaro, il campionato sospeso. Le dice tutte, e il governo gli da’ man forte recuperando l’Italia dei Comuni, egoismo, grettezza, debolezza scambiata per autonomia. Quanti danni puo’ fare un ministro dello sport pur generoso e entusiasta ma privo di competenza specifica! E nello sport si vede subito, se non sei all’altezza. In tanti ministeri ci si va per politica, non per competenza, e si nota meno. Tutto questo – va detto – per la gioia degli opinionisti: avendo detto tutto e il contrario di tutto il governo li ha fatti felici e ognuno di loro oggi puo’ dire “come avevo detto”. Io non ho taciuto. Ho detto semplicemente che un evento tragico di tale dimensione ( di peggio ho vissuto solo la seconda guerra Mindiale sulla Linea Gotica) doveva essere gestito dal governo, non da una Federazione, da una Lega, dal Coni. Qusto vuole la democrazia. E siccome il caso non e’ risolto e non potremmo mai perdonarci un calciatore vittima del Coronavirus, prima di domani, prima dell’ennesimo incontro in Federcalcio e di un nuovo guizzo del ministro, il presidente Mattarella – che so appassionato – faccia una telefonata a Qualcuno. E’ l’unico presidente di cui mi fido.
GASPERINI E INZAGHI CALCIO MADE IN ITALY
Ai miei tempi (ah ah) i 7 gol dell’Atalanta – 7 a Torino, 7 a Lecce – sarebbero stati accolti male, come il virus del peggior offensivismo ispanico/nederlandese. Chiacchiere e distintivo. E subito Scuola roccobreriana animata da sdegno contro Scuola napoletana entusiasta al grido di golgolgol che non era stato ancora del tutto appaltato ai gorgheggi di Victor Hugo Morales o dell’avvocato Mario Mattioli piu’ tardi innovatore in Rai dove i toni moderati venivano spacciati per martellinismo: al grande Nando bastarono 3×3=9 parole per celebrare adeguatamente l’evento del secolo. Si sorrideva, a quei gol, con un misto di comprensione e di pena, roba da ragazzi, folli’e da importazione. Vi garantisco ch’era piu’ facile sostituire con i jeans i pantaloni alla zuava o tracannare bocce di latte alla James Dean invece di spumador piuttosto che andare controcorrente con le tattiche calcistiche. Giu’ le mani dal calcio all’italiana. Quando mi presentai a Brera avendo appena letto “Rivera, il Golden Boy” di Maurizio Barendson fui subito tacciato di qualunquismo. Mi difesi proponendo una via di mezzo. Quale? Fulvio Bernardini, che con il suo Bologna aggiungeva al gioco per vincere anche qualcosa per piacere, dava un tocco in piu’, non riveriano pero’, alla classica manovra catenacciara, con intelligenza tattica che dopo la conquista dello scudetto a Firenze incanto’ Brera; ma fu quel 7-1 al Modena il 14 ottobre 1962 (arieccolo il numero magico) a far nascere il mito del Dottor Pedata:”Cosi’ si’ gioca solo in Paradiso” – disse – e chiese subito al presidente Dall’Ara di comprargli un portiere da scudetto – William “Carburo” Negri – e scudetto fu. A Milano pensarono che il Dottore si stesse convertendo al 4-2-4 brasiliano e mal gliene incolse quando il Bologna sconfisse l’Inter nello spareggio 1964 mettendo un terzino, Bruno Capra, al posto dell’ala sinistra titolare Ezio Pascutti infortunato. Gasperini l’Ammazzasette non e’ un qualunquista, non un risultatista e nemmeno un estetista, e’ il tecnico che sa cosa fare di un gruppo di giocatori tecnicamente validi e mentalmente liberi che sa disporre in funzione degli impegni e degli avversari; privilegiando gli elementi classici del calcio made in Italy, marcatura a uomo e contropiede. E’ cio’ che fa, ahilui senza il Papu Gomez ma con prudente intelligenza, il creatore della Nuova Lazio, Simone Inzaghi. Radu, Alberto, Milinkovic-Savic e Immobile recitano una nuova favola italiana. E Sarri? Chi l’ha visto?
C’E’ ANCHE CHI GIOCA A CALCIO: LAZIO E ROMA SE LA RIDONO
Il risultato che ci manca davvero e’ sapere chi ci sta prendendo in giro fra i vari “chi attribuisce a chi” l’annullamento di partite, porte chiuse e porte aperte, oggi, domani, chissa’. Il ministro dello Sport, brillante comunicatore, si fa una bella domenica da Mara Venier con quelli della pallanuto (qualche spiritoso dice che il Covid-19 non sa nuotare…) precisando che la responsabilita’ delle scelte e’ tutta della Lega di serie A. Ma se date ascolto al presidente della medesima Dal Pino tutto si fa – e si fara’ – per il bene della nazione. E della Nazionale. Nel senso che si distribuiranno date per i recuperi – il modo si sapra’ – in modo di garantire l’inizio regolare degli Europei il 12 giugno. Che viene dato per scontato mentre altrove si dibatte sul possibile rinvio dei Giochi Olimpici di Tokyo previsti in agosto. Chi vivra’ vedra’, ci dicono. E mai battuta fu piu’ minacciosa.
Pero’ c’e’ chi ha giocato a calcio. E si e’ divertito. Caso a parte l’Atalanta, strepitosamente vittoriosa sul Lecce, cosi’ regolare da sembrare originaria di un altro paese, il titolo riassuntivo di’ questa parata d’incertezze e’ “Roma ride, Milano piange”.
Situazione globale esattamente contraria a quella registrata prima del Covid-19, come ben sanno il sindaco Sala e la sindaca Raggi. E non si parla solo di calcio, ovviamente, anche se il salto del Derby d’Italia Juve-Inter e tutti gli altri spostamenti garantiscono liberta’ assoluta di gioco solo alla Lazio e alla Roma. La prima ha demolito rapidamente l’amico Bologna e s’e’ piazzata in testa alla classifica, la seconda ha conquistato nell’illibata Sardegna un prezioso successo da Champions al termine di una partita emozionante che ha dato valore anche al disperato Cagliari, che per fortuna ha alle sue spalle nove squadre e puo’ riprendersi le orgogliose speranze di due mesi fa.
Mentre stupisce la compattezza e la regolarita’ della Serie B che sembra vivere in un altro Paese (come la C, peraltro) ci consegniamo agli Indecisionisti per conoscere il seguito della storia che da anni non prometteva, come oggi, d’essere una favola grazie al Triello Inter, Juve, Lazio. Per ora in ordine alfabetico.
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