Arriva da Riad un Buon Natale speciale. È un augurio pieno di modestia, di semplicità, di saggezza e di serenità anche se viene dal calcio, il mondo dei folli. È il Buon Natale della Lazio che sottrae la Supercoppa alla grande Juventus, già battuta all’Olimpico, capace stavolta di confermare solo la qualitá di Dybala. Mentre di Ronaldo è rimasto negli occhi dei milioni di telespettatori in tutto il mondo solo il cerchietto fra i capelli. Ci si aspettava da lui un altro volo, CR7 è rimasto a terra. Mentre Sarri non è riuscito ad opporre agli avversari la superiore ricchezza di campioni. Quel che serve, nei grandi impegni, è la squadra. La Lazio è squadra, la Juve è hit parade.
Riguardatevi Simone Inzaghi dopo il 2 a 1: sembra spaventato, beve acqua avidamente, come a respingere un’insorgente voglia di deliquio. Sta battendo la Juve e non ci crede. Si chiama modestia. Si chiama lavoro. Finisce in prima pagina, non mostro ma Normalman, e scomoda un altro confronto: mentre la sua Lazio trionfa in un evento straordinario infilato in una modesta domenica di campionato, il glorioso Milan appena riemerso dai festeggiamenti dei 120 anni subisce una pesante umiliazione dall’Atalanta. Una punizione – il 5 a 0 – che rappresenta perfettamente la condanna del calcio business – un club senza padri nè figli, gloria smarrita nelle banche- e porta alla ribalta due club italianissimi con due tecnici estranei al vippaio milionario, Gasperini e Inzaghi appunto.
È giusto e utile ricordare che la Lazio è un capolavoro di saggezza e buona amministrazione nonostante le esibizioni di Lotito, indicato dagli avversari come leader del sottobosco pallonaro, visto ieri sul campo di Riad festeggiare non solo una storica vittoria ma l’impresa ottenuta grazie a Simone Inzaghi, il tecnico laziale da sempre che i tifosi inorgogliti vorrebbero laziale per sempre. Dieci anni sulla stessa panchina, fin dalle giovanili, mentre altrove cadono allenatori come foglie in una rappresentazione comica interpretata da personaggi che vivono di esoneri e di ripescaggi, come i presidenti fossero tutti istruiti da Zamparini. Felice nota beneaugurante di questa domenica non è solo la vittoria del Bologna di Mihajlovic ma il suo inatteso bisticcio sul campo di Lecce con il rossoblù Gary Medel detto “il pittbull”. Sissignori, Sinisa è guarito.
LA LAZIO E LA SUPERCOPPA COME REGALO DI NATALE
IL TALENTO DI FEDERICO CHIESA E I RISCHI DEL CALCIO BUSINESS
Guardavo Federico Chiesa, l’altra sera, e realizzavo come un talento sicuro, una promessa garantita, può rischiare la sparizione attraverso i meccanismi del calcio business viziato da una comunicazione selvaggia. Ecco la sua partita: cerca di mettercela tutta ma si prende un paio di calcioni e a un certo punto – siamo al 17′ della ripresa – chiede il cambio (credo), esce e viene sostituito dal ragazzo Vlahovic che addirittura salva Montella pareggiando con l’Inter al 92′. Flash back: uscendo, Chiesa viene salutato dai fischi dei tifosi. Come dire:, sic transit gloria mundi. Un passo indietro: lo hanno picchiato, Federico, perché cosí si fa con gli attaccanti pericolosi, come una volta, o perché qualcuno l’ha accusato pubblicamente di essere un cascadeur e i colleghi gliela fanno pagare? Io so solo che gli attaccanti una volta si facevano rispettare e solo a toccargli le caviglie si ricevevano in cambio notte da orbi. Cosí faceva Sivori, talvolta definito “il chirurgo” perché era capace di vendicarsi dei picchiatori facendogli tibia e perone. Più edificante ricordare come sapeva farsi rispettare uno dei rari eroi del calcio, Gigi Riva: lo rivedo come se fosse oggi, a Torino, Juve-Cagliari, alzarsi in volo ostacolato da Morini, cerbero impietoso, e annientarlo allargando le braccia. Chiesa no. Si arrende. E con i tempi che corrono – fortunato il Paese che non ha bisogno di eroi – lasciatelo fare, è il suo diritto. Forse anche un capriccio: era pronto per la Juve, Commisso non ha voluto cederlo e lui si è come spento. Poverino. A Firenze non perdonano. Non ne possono più delle particolari attenzioni della Juve per i ragazzi viola: prima Robi Baggio, tanto tempo fa, e fu un dramma; poi Bernardeschi, l’altr’anno, e fu un fastidio. Stavolta sembra che dicano a Chiesa: se vuoi andare vai. Approfitti delle vacanze natalizie per ripensarsi e correggersi. E già che c’è si ricordi che sacrificio economico ha fatto il brillante presidente italoamericano che non è venuto qui per far pena a qualcuno ma per vincere. Ha ragione Montella, il bel gol di Vlahovic ci ha messo una pezza, il futuro è ancora incerto. Avvertirlo di conservare e accrescere l’amore non facile dei fiorentini. Come? Sottraendosi alle trame del calciomercato.
Lo dissi, tempo fa, a Lorenzo Insigne, raccomandandogli di lavorare forte e bene per restare nel cuore dei napoletani. Non c’è riuscito, è addirittura entrato a far parte della scuderia di Raiola, come Balotelli, come Pogba, due furbini, mentre lui si è ritrovato solo a combattere contro tutti senza più l’amico/procuratore Andreotti che lo curava a dovere. Ebbe difficoltà con Ventura, con Sarri, enormi con Ancelotti. E se qualcosa va male è sempre colpa sua. Una figurina ideale del calcio italiano tritata dal business. Peccato.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
INTER E JUVE ALLA PARI, SI VA VERSO NATALE COL CUORE IN GOLA
Ero sicuro che dopo il “riscaldamento alla Mourinho” operato da Conte l’Inter avrebbe divorato letteralmente la Fiorentina. E ci ha provato, sbagliando assai, certo troppo, visto che Lukaku s’è mangiato almeno un paio di gol che potevano “vestire” elegantemente il gol alla lacrima di Borja Valero, ancora amatissimo in Arno. No, anzi, le scelte nervose della vigilia son parse più utili alla Fiorentina che non ha ceduto all immediata supremazia dei nerazzurri ma ha atteso, paziente, che arrivassero i minuti decisivi per spedire in campo la Giovinezza, tipico prodotto viola: Dusan Vlahovic, diciannovenne serbo, gol al 92′, e che gol. Da campione affermato. E adesso Inter e Juve sono alla pari. Si va verso Natale col cuore in gola. E il panettone in tavola. Lo dico per Montella che poteva salutare la compagnia cantante nonostante la generosità di Commisso, che ha messo soldoni nella Fiorentina solo per ingoiare amarezze. E dire che aveva rifiutato pure i milioncioni che gli erano stati offerti per Chiesa, con la Juve che si dice fosse pronta a dargli anche Dybala. Il bello è che il gol del prezioso pareggio l’ha segnato Vlahovic quando il coraggioso Montella l’ha chiamato a sostituire proprio Chiesa, l’oggetto misterioso del Campionato. Il giocatore – si dice- che sa utilizzare solo Mancini in Nazionale. A scudetto lontano – e pur sempre accreditato a Juve o Inter, le Nemiche – è interessante vedere se Cagliari o Lazio avranno la forza, o l’audacia, di proporsi componenti di un trio tricolore. Bella la Lazio di un Inzaghi ormai affermato, entusiasmante il Cagliari di un Maran paradossalmente ancora da scoprire e di un Riva rivelato ai giovani.
Nota felice di giornata, la corsa di Mihajlovic dopo il successo del suo Bologna sulla miracolosa Atalanta. Viene da dire, come nei romanzi rosa, che l’Amore vince tutto. Sempre.
A NAPOLI ANCELOTTI PER LA CHAMPIONS E GATTUSO PER IL CAMPIONATO
Stupirete: nonostante i dibattiti fra intellettuali sul tema “L’allenatore perfetto dove lo metto?” la situazione delle italiche panchine è a dir poco contraddittoria. Dopo l’esonero di Emery e Pochettino, i soliti sopravvalutati dagli opinionisti, se oggi vuoi cambiare c’è un solo tecnico pronto all’uso, e si chiama Gattuso. È questione di ore, al massimo di giorni, poi potrà scegliere là dove si risparmia il panettone, esonerando i perdenti prima di Natale. Commisso lo vorrebbe alla Fiorentina “perché è calabrese”, Preziosi lo vorrebbe al Genoa “perché costa poco”, De Laurentiis lo vorrebbe al Napoli “per fare un dispetto ai napoletani”, Mattioli – presidente della Spal – lo vorrebbe a Ferrara “perché non c’è altro”. E giá che ci sono direi, come si dice nel giardino dei Finzi Contini, ‘a sam mis mal”, siamo messi male.
Non c’è l’ho con Gattuso, prendo solo nota della sua unicità peraltro avvalorata da quei geni del Milan che l’hanno scaricato perché non faceva fino (Maldini e Boban invece) e sono costretti a rimpiangerlo. E a pagarlo. Giusto Pioli, l’altro buon prezzemolo degli stati di crisi, ha riportato il venusto club rossonero prossimo ai 120 anni a quel tanto di dignità che gli compete. In fin dei conti, rivisitando l’intervista di Sconcerti a Allegri, il calcio gestito dai furbi, invaso dai cialtroni, manipolato dai “filosofi”, porta a lui, a Gennaro il Semplice, traduttore degli insegnamenti triestin/padovani di Nereo Rocco, salernitani di Gipo Viani, lumbard di Gianni Brera. Gattuso è il calcio italiano che serve quando serve eppoi, passata la paura, può essere anche infiorettato, intellettualizzato per quegli opinionisti tivù che non sanno leggere nè scrivere ma hanno imparato nottetempo le parole per impressionare i gonzi in un italiano che si chiama calcese.
La chiacchiera che più ha sorpreso è tuttavia quella nata a Napoli: Gattuso al posto di Ancelotti. Oddio, ma non è la piazza dov’è nato il Sarrismo, profumo di bellezza nell’asprezza naftalinata del catenaccio? È pura blasfemia accostare il nome di Ringhio a quello del Profeta perduto, meglio, ad esempio, richiamare Edy Reja il Restauratore. Ho tuttavia letto la velenosa critica di un influente napoletano che consiglia “un badante per Carlo”, mica perché Ancelotti sia fuso ma perché al suo livello puó essere competitivo solo in Europa. E infatti Genk o non Genk lo vedremo passare agli ottavi di Champions. Un badante no, ma suggerirei a De Laurentiis una soluzione da grande club rivoluzionario: si tenga Ancelotti per la Champions, affidi a Gattuso la squadra per il campionato. I signorini si sono lamentati degli allenamenti blandi di Carletto? Ringhio gli fará vedere i sorci verdi, consegnandoli periodicamente al fratello maggiore (cosí si é definito Ancelotti) tirati a lucido. E basta inseguire la Juve, il posto del Napoli l’ha ormai preso l’Inter di Conte, meglio cercare di sottomettere – fate bene i calcoli – il City di Guardiola o l’United di Mourinho o che altro passerá il convento. Magari per arrivare davanti alla Juve in edizione straordinaria: a Istanbul.
MARAN NON FA IL FILOSOFO E IL CAGLIARI E’ QUARTO
Allegri c’è l’ha con i filosofi. Bontà sua precisa: allenatori filosofi. E sbaglia comunque. Quelli di cui parla sono pippe. Uno solo ebbe diritto al titolo, Manlio Scopigno, ma non perché dicesse sciocchezze come i colleghi (?) che il Conte Max ha voluto bacchettare. Di tattica parlava, Manlio, ma solo per il piacere di conversare sorbendo China Martini. Si fidava molto di più dei preparatori fisici, sostenendo che in battaglia un predatore vigoroso potesse contrare un avversario virtuoso. Forse ispirato dal fatto che Gigi Riva era vigoroso e virtuoso. Se gli dicevi che c’era il fenomeno da panchina che “vedeva” la partita e poteva intervenire con mosse azzeccate, allora ti spiegava che i campi sono a schiena d’asino e che dalla panca non si vede una mazza. Filosofo era perché parlava di uomini, di sentimenti, di valori e il suo Cagliari era concentrazione di tutto questo.
Allegri ha visto sparire il “filosofo” Giampaolo che peraltro aveva cercato di erudire; ha appena registrato il tonfo di Sarri che qualche opinionista teorico del Bel Giuoco ha venduto agli sciocchi come mago; penso sia molto soddisfatto che la panchina che fu sua, a Cagliari, sia oggi occupata da Maran. Che non filosofeggia ma fa cose, fa risultati anche quando – come ieri – il giovane progressista De Zerbi lo inguaia; ma lui risale con finta pazienza e ti sbatte il Ragatzu giusto al momento giusto. Quarto posto dietro la Lazio, sembrano tornati gli anni Settanta. Neanche Maestrelli si portava da filosofo, eppure anche lui, come Manlio, vinceva perché sapeva distinguere gli uomini dai frilli. Come l’anno prima Pesaola, vincitore con una Fiorentina estremamente pratica: il Chiesa che oggi affonda la Viola con i capricci tollerati dal debole Montella non sarebbe campato un giorno, con il Petisso. Consiglio a tecnici e opinionisti di rivedere quelle stagioni che esprimevano anche un azzurro intenso, l’unico titolo europeo nel ’68, Italia-Germania 4-3 nel ’70 e Chinaglia. Mi fa tornare in mente, Giorgione eroe dei due mondi – Carrara, Cardiff, Internapoli, Roma, New York e Naples, parola fine – che c’è un ragazzo sbalestrato, un po’ com’era lui prima di Maestrelli: è Mario Balotelli. M’ero giurato di non parlarne più ma un gol da tre punti per Cellino me lo riporta sulla penna. Diomio, quanto Cagliari …
NAPOLI E LA CRISI DI ANCELOTTI ONESTO LAVORATORE
Tempo fa mi hanno chiesto perché nelle mie cronache napoletane, un tempo da leggere con accompagnamento di mandolino e putipù, fossi diventato nebuloso e incerto. Per non dire di Ancelotti: era cosa nota ch’io me lo fossi tirato su fin da ragazzo, fin da quando – conosciutolo e premiato in C – lo consegnai a Nils Liedholm con una medaglia d’oro di garanzia; all’improvviso, avendo per anni raccontato la sua storia, arrivato a Napoli l’avevo archiviato. Perché?
L’interrogativo ha un suono vagamente drammatico solo per me, lo ammetto; ma i guai sono tutti suoi. Non avevo mai caldeggiato la sua scelta e infatti una mattina mi aveva chiamato per dirmi “torno in Canada”; peccato che nel pomeriggio m’era arrivata notizia della sua firma insieme – ricorderete – alla famosa foto tipo zerozerosette di lui e De Laurentiis che posano spalla a spalla con la pistola in pugno. Non credo che oggi abbiano proprio voglia di spararsi, lui e ADL, ma son convinto che una crepa nella marmorea amicizia si sia prodotta. E mi duole – e insieme mi rallegra- che la frattura sia stata prodotta proprio dal mio Bologna che per decenni è stato amicone del Napoli. Fino a quando non ha cominciato a dargli fastidio.
So che vi interessa sapere di Ancelotti, e vi capisco; ma prima lasciate che vi dica un paio di cose: 1) mai come quest’anno ho visto calciatori esibire una condotta molto personale, tale da ridurre il potere e la responsabilità di tecnici e dirigenti: è successo alla Roma, al Milan, al Brescia, anche alla Juve, dove i tecnici sono stati esonerati per volontà “dello spogliatoio “; 2) fermandoci a Torino e a Napoli è successo che juventini e napoletani abbiano snobisticamente sottovalutato Sassuolo e Bologna. Capita – direte- ed è vero: capita soprattutto a chi perde la bussola e si crede invincibile; poi magari ti fa vedere belle imprese ai danni di avversari di grido, eppoi perde punti con i soliti pirati del campionato.
Ancelotti a Napoli s’è trovato, e ha ahilui maturato, una squadra di geni perdenti che gliel’ha data su col campionato e insegue – come si è visto due volte con il Liverpool- la Champions neanche fosse la Juve. Che peraltro si sta rovinando nell’inseguimento di un sogno quasi proibito pur avendo fior di campioni. Pensate il Napoli che ha un organico decoroso ma indebolito sul piano agonistico da una crisi di valori fisici e psicoligici. I signorini milionari non hanno piû voglia di sgobbare agli ordini di un onesto lavoratore. E lui? Carletto ha commesso un errore di base: è andato a vivere e a lavorare a Napoli perché adora la città, il suo mare, il suo sole, forse anche la sua gente (non garantisco) e non ha voglia di andarsene. Mentre ho memoria dell’unico allenatore che ha veramente fatto grande il Napoli, portandolo in Champions, Walter Mazzarri, che se ne stava a Castelvolturno a combattere i grillotalpa e le tentazioni. A faticare, a istruire i lottatori. I Tre Tenori operai, diconsi Lavezzi, Cavani e Hamsik. I guerrieri, oggi, sono stanchi.
IL DELITTO DELLE MANÌE DI TURNOVER E UN SORPASSO PER LA STORIA
La Juventus scavalcata al vertice della classifica non è solo una notizia. È una storia. Non è una questione tecnico-tattica, è opera di uomini. Come diceva Jean Paul Sartre – filosofo tifoso nella stagione in cui Albert Camus smetteva di fare il portiere e vinceva il Nobel per la letteratura – “il calcio è metafora della vita”, elevando il pallone a un alto ruolo nella società. Più logico che mai oggi quando anche in politica, ad esempio, si imitano le “mosse” calcistiche. Come il turnover. Manìa spesso coincidente con l’incertezza nella ricerca del leader vincente, necessario a ogni squadra. In campionato come alle elezioni. Leader d’immagine o concreto. Maurizio Sarri ha un leader istituzionale – CR7 Ronaldo – che preferisce al signore del campo, Dybala. E alla fine rischia di prenderle dal Sassuolo se non decide di mandare nella lotta Paulo, il miglior giocatore del campionato. Il turnover è un delitto. Beato chi…non se lo può permettere.
Come Conte, che all’Inter sta usando tutti gli uomini che ha a disposizione, anche quelli come Borja Valero che pareva smarrito e invece risponde all’appello di un capo grintoso e leale, che non nasconde le difficoltà ma si esalta proprio quando queste sembrano sopraffarlo chiedendo aiuto a tutti senza elencare assenze e sfighe. Conquistandone finalmente la fiducia dopo il Caso Dortmund.
Un maestro di calcio, Edmondo Fabbri, diceva che l’abbondanza di giocatori non era sempre un vantaggio quando creava problemi al tecnico e allo spogliatoio; un po’ come Liedholm che stupiva affermando che in dieci si poteva giocare meglio che in undici quando aveva bisogno di snellire la manovra. Sarri DEVE far giocare Ronaldo, quel Ronaldo che il critico Fabio Capello ha fotografato: lento e stanco; e deve tenere in panchina, quello che (perdonate) il sottoscritto ha fotografato dai tempi del Palermo: un fuoriclasse ch’è rimasto a Torino, quest’estate, perché non l’ha voluto nessuno. Il turnover – spesso delittuoso – ha mostrato anche una dimensione sconsolante di Buffon. Perché insistere?
Se poi volete divertirvi a scovare altre finezze sartriane in questo campionato, guardate cos’è successo a Napoli, dove gli uomini – come pecore matte – si sono ribellati al pastore e al padrone del gregge. La città del Vesuvio è stata spesso agitata da ribellioni dei derelitti, dei poveri. Sempre originale, sta offrendo al Calciobusiness una ribellione dei ricchi.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).
SPERO NEL CAGLIARI FINO ALLA FINE IN ZONA EUROPA
Con quel baffetto rosso sulla guancia Rolando Maran è meno surgelato del solito. È il suo stile, che farci? Una volta andai a Cittadella, una delle sue piazze, e chiesi a un collega se si riusciva a fare una cena insieme, mi invogliavano le cene venete a partire da quelle luculliane a casa di Giussy Farina. “Cena veneta? Maran è di Trento”. E cosí fu spogliato in un attimo di tutto il buonumore che m’ero immaginato. Gli farebbe bene, sorridere spesso, perché i critici sarebbero con lui meno severi. Rammentano i suoi numerosi esoneri piuttosto che i successi ottenuti. Quando Corioni lo licenziò a Brescia mentre stava andando bene e gli preferí Zeman “che lo rallegrava” telefonai all’amico che aveva inventato Maifredi e gli chiesi dove e come trovava Zdengo allegro. “Nel calcio”, mi rispose. E infatti fu un disastro…
Il Cagliari di Maran non è allegro: è quadrato, potente come Nainggolan, fascinoso come Joao Pedro. Mi sono messo in testa di seguirlo per distrarmi dalla noia di un’InterJuve senza fine. E senza qualità di squadra – essendo entrambe affidate a colpi personali di Lautaro, Lukaku, Higuaín e Dybala – contrariamente a quanto promesso da Sarri che a Torino ha trovato ciò che aveva trovato prima di lui Conte: l’ordine di vincere. Il Cagliari è anche una speranza di veder fallito il disegno del campionato-fatturato, quello inventato da De Laurentiis che sta portando il Napoli fuori onda: i suoi “ragazzi” sono partiti ch’erano calciatori, sono diventati ricchi e non amano faticare come un tempo. I nuovi padroni del Cagliari, subentrati al fantasticante e tellurico Cellino, lavorano seriamente in uno dei rari paradisi del calcio dove ho visto diventare saggi anche Scopigno e Domenghini, ch’è tutto dire. Ho fiducia in una squadra di provincia, come fu cinquant’anni fa, quando non solo Gigi Riva, ancora privo del luminoso sorriso del vincitore, affascinava gli italiani d’ogni colore, ricevendo in cambio uno storico tricolore; personalmente ritrovai una Squadra come quella di Bernardini che mi aveva affascinato, il Bologna, vincitore di uno scudetto senza divi, esclusi Haller e Nielsen, cosí come a Cagliari c’erano solo Albertosi e Riva, Ricky e Gigi.
Questo Cagliari – undici partite utili consecutive – ha giocatori di calcio ottimi come Cacciatore, Cigarini, Rog e Simeone, un eccellente, Joao Pedro, e il divo sdivizzato Nainggolan, quello che all’Inter passò come “Orlando che ismarrito aveva il cervello”. Non faccio scommesse, mai. Mi piacerebbe che questo Cagliari restasse fino in fondo in Zona Europa.





