La Barba al Palo di Italo Cucci

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NELLA GESTIONE MANCINI TRACCE DI UTILE AUTARCHIA

La situazione italica non è ideale ma questa Nazionale meriterebbe antichi cantori come Emilio Colombo, Bruno Roghi, Gianni Brera, Antonio Ghirelli, tecnici della poesia, poeti della tecnica. Questa Nazionale ha tanti meriti: quando vince ti rallegra, anzi, ti fa addirittura sentire italiano proprio nella stagione del disfattismo; eppoi titilla il sentimento nazionale anche per molto meno, addirittura per il colore di una maglietta. Azzurro? Verde? Certo è una novità disfarsi di uno degli Inni nazionali (Fratelli d’Italia, ‘O sole mio, Romagna mia, Volare e appunto Azzurro) per buttarsi sul futuribile (forse “Nel verde” di Max Gazzè, sul Verde Rinascimento o Verde Greta che sia). Tanto, che cambia?, basta vincere. L’unico dubbio era legato a fattori scaramantici, perché quando l’Italia giocò in verde un’altra volta, nel dicembre del ’54, per non confondersi con l’Argentina, subí poi una serie di sventure culminate con l’esclusione dal Mondiale 1958. Io preferisco, per chiudere la pratica, suggerire al presidente federale Gravina di cercare un posto nella storia del calcio italiano non solo per avere cambiato il colore della maglia. Il presidente in carica nel 1938, generale Giorgio Vaccaro, suscitò problemi politici per aver fatto giocare l’Italia a Marsiglia in maglia nera ma fu perdonato per aver vinto due Mondiali, nel ’34 e appunto nel ’38, in Francia. Quando i francesi aggiunsero al loro dizionario la parola Azzurri per dire Italiani. Les Azzurri, les Italiens. A ognuno il suo. A Giuseppe Pasquale “la Corea” ’66, a Franchi l’Europeo ’68, a Sordillo il Mundial ’82, a Nessuno quello del 2006. Ma il ricordo più bello, per il mondo non solo per il Bel Paese, lo ha lasciato Ottorino Barassi, il presidente che in tempo di guerra nascose agli avidi conquistatori tedeschi la Coppa Rimet, nascondendola sotto il letto in una scatola da scarpe. Quasi una scena da neorealismo rosselliniano, la sconfitta dei ladri di sogni.
Sono forse afflitto da ideali pauperistici ma questa Nazionale mi rallegra soprattutto perché allontana il Grande Spirito del Business dal calcio italiano. Sarò anche sciocco ma leggere una formazione di soli giocatori italiani eppur vincenti, eppur splendidi protagonisti di una qualificazione da ammazzasette, mi rallegra e mi fa sperare che ci si accorga, prima o poi, dell’inutilità di ingaggiare tanti stranieri. Soprattutto quando le loro nazionali li chiamano e ce li restituiscono feriti o depressi.
Trovo nella gestione azzurra (e verde) di Mancini queste tracce di utile autarchia. A partire dal giusto ridimensionamento del divismo deleterio. I ragazzi sono sempre più giovani e inventati da lui, il CT ottimo selezionatore che sul campo fa il tecnico, la miglior commistione possibile con l’uomo che fa anche il maestro. Un Ct tutto nuovo, originale: un Ct padre dei suoi ragazzi che già si chiamano Barella, Zaniolo, Kean, che si chiameranno Meret, Bastoni, Pellegrini, Tonali, Castrovilli, Orsolini, Scamacca, Pinamonti (a proposito, dissi a Conte: vai cercando gol, tieniti Pinamonti, macché). La vecchia Nazionale di Ventura era finita nel tragicomico, anche in noia, tutt’altro che gioia. Questa già mi piace. Donnarumma, Spinazzola, Acerbi, Bonucci, D’Ambrosio, Verratti, Jorginho, Barella, Insigne, Immobile, Chiesa…Sembra poesia.

ALL’INTER SERVE UN CENTRAVANTI

Hanno saputo che domenica sera ero a San Siro: mi telefonano, mi maileggiano, mi fermano:"Com'è andata? Rivincerà la Juve? Lei ha pronosticato scudetto all'Inter, come la mettiamo?". Abbiate pazienza, ci arriverò…

C'era una volta… C'era una volta la polemica giornalistica che metteva l'un contro l'altro armati i giornalisti. Non gli opinionisti. Nè gli scribi, come chiamava Brera i fanchiacchiere. E non dico dei dibattiti – si fa per dire – televisivi, biscardiani, cui peraltro partecipai attivamente. Il lunedì nascevano i pareri discordi parametrati sui commenti scritti la domenica e il martedì era un contraddittorio festoso. Con nome e cognome. Non come adesso che si dice – io pure – "qualcuno ha scritto". Giuro: se da giovanotto capitava – è capitato – che Brera o Ghirelli ti citassero, anche per criticarti, facevi il ritaglio e lo mettevi da parte per il curriculum. Oggi no, vorrei ma non si dice. E allora me la caverò identificando dei gruppi, tipo "Quelli che Lukaku", "Quelli che Dybala", "Quelli di Higuain". E tirando l'acqua al mio mulino. Perché – tenetevi – io l'avevo detto. (Ci sarà il solito perbenista criticone: non si dice, non si dice. E io invece: si dice, si dice, con le prove. Alla faccia di chi l'aveva detto…il contrario!).

Comincio – in breve – dai due argentini, entrambi ripudiati perché così volevano Paratici e Nedved, subito soccorsi dalla critica. Quante volte li ho difesi, soprattutto Dybala che per me è il calcio, com'erano Del Piero e Baggio; ho cominciato proprio su queste pagine, ai tempi di Allegri, ho continuato con Sarri quando ha scaricato la Joya, senza convincermi, peraltro, e l'aspettavo al varco, alla partita della verità. Fatto. Ma anche il Pipita ha goduto – spero – della mia solidarietá quando han preso a trattarlo da pensionato, da peso inutile, lui che è anche un buon ragazzo umiliato e offeso. Dal Milan, soprattutto. Dal Chelsea. Dagli incompetenti. Partito di maggioranza. Adesso li vedo entrambi in prima pagina, in apertura dei telegiornali, li sento urlati dalle radio da "Quelli che Dybala e Higuain" e farò un piccolo investimento: gli regalerò il prezioso librino dell'Abate Dinouart, "L'arte di tacere"..

E "Quelli che Lukaku?". Ah, i migliori. In sei partite – premesse di mercato comprese – il "gigante pensaci tu!" è diventato "il gigante chi l'ha visto?". Quand'era facile capire che non avrebbe mai sostituito Icardi (ne riparleremo…) e che semmai insieme sarebbero stati una coppia da scudetto (al quale non rinuncio, da pronosticatore, perché credo nei miracoli di Antonio ). Il Gigante Buono così non serve, all'Inter serve un vero centravanti. Fateci caso, era Inter-Juventus 1 a 1 fino a quando è entrato Higuain che ha fatto la differenza. Concreta. Per Sarri. Cime l'avrebbe fatta con Allegri. Sì, perché ci sono anche "Quelli che Sarri": quegli juventini che domenica sera, dopo aver vinto, hanno esclamato:"Finalmente la Juve che dá spettacolo. Altro che Allegri".

Come ho sempre detto, da odiatore della matematica e innamorato del pallone, "il calcio è un'opinione". E le opinioni tanto più sono strampalate, più divertono. Addio alle polemiche d'antan.

NELLA NOTTE DEI TRADITORI TRIONFANO LA JOYA, IL PIPITA E IL COMANDANTE

Nella Notte dei Traditori hanno vinto il Pipita e il Comandante. Conte, applaudito all'ingresso a San Siro dai settantamila interisti che l'hanno odiato con tutto il cuore, ha messo uno stop alla marcia trionfale e l'amore grande grande è rinviato ad altra data. Non ha perso lui, non ha vinto Sarri: il grande protagonista è stato Dybala, per il quale mi sono esageratamente battuto come de fosse mio. Mio parente, mio figlio, mio giocatore. Al Pipita le lodi le avevo già date e quando ha dato valore di vittoria al bellissimo gol della Joya, ho rischiato di cantarne le lodi da tenore, visto che il Derby d'Italia me lo stavo vedendo a San Siro, dal vivo, come ai bei tempi del calcio che seguivo in tribuna seduto accanto a Brera. Oddio, che differenza, ma I Dybala artisti ti fanno ancora sperare che il calcio vivrà in eterno e I generosi come Higuain ti riportano alla mente Antonio Valentin Angelillo, l'Italo argentino cui ha sottratto il record dei gol. Io oggi canto quel che posso anche perchè i fatti mi danno ragione: ho invocato gli argentini finchè anche Sarri, con il giusto disagio di tempo, gli ha dato fiducia, forse disobbedendo a Paratici, certo soddisfacendo Ronaldo chè alla fine anche lui vuole solo vincere. In realtá, contro l'Inter ha giocato più di dileggio che di sostanza, con quei dribbling da fermo che fanno incavolare piccoli e grandi. L'Inter, invece, pur esibendo fasi da Nou Camp soprattutto per aggressività, non ha trovato nell'esaltato (da altri) Lukaku l'uomo per vincere. Oso affermare – magari attirandomi l'odio di tutti – che ho notato l'assenza di Icardi. Un campione nerazzurro in campo ci voleva, ma niente; la Juve ne aveva almeno tre davanti insieme a una difesa che ha pasticciato solo nel rigore, sennò ha fatto la sua parte. Visto dal vivo. De Ligt comincia a essere un difensore degno di stare con Bonucci in attesa di Chiellini.

Resta tuttavia l'incoraggiante impressione che la Juve non sia ancora pronta a fare il nono trionfo. L'Inter si vede che ha voglia d'esserci. Peccato che per Conte e Marotta sia mancata proprio nella notte dei traditori. Sarri é diventato ufficialmente l'allenatore della Juve, lo premiano anche per avere difeso il Pipita e recuperato la Joya. Conte, secondo tegola della Beneamata, dovrá ricominciare la corsa al successo per ora rimandato.

(ITALPRESS).

GIAMPAOLO SI È SPENTO, DEL VECCHIO MILAN RIMASTA LA MAGLIA

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Marco Giampaolo si è spento, denunciando nel volto un dolore autentico, una pena infinita. Tanto che sarebbe impietoso, scorretto, antisportivo chiederne la testa. Per fare il critico mi pagano, lascio l'incombenza a chi paga il biglietto, a chi riempie San Siro come nei giorni del vino e delle rose. Alla società che – mal consigliata – lo ha mandato allo sbaraglio. D'altra parte, la situazione di totale scollamento tecnico esibita sul campo è tale da apparire – qui si può dire – incurabile. È malato il medico.

Del caro vecchio Milan è rimasta la maglia. È già qualcosa, nell'orrorificio della Juve azzurra e biancorossa, della Fiorentina verdolina, degli amati colori traditi dai designer partoriti dal marketing. È un Milan alla frutta, sostenuto da un ipotetico disegno tecnico "sacchiano" o "sarriano", cioè pretenzioso, inventato da pochi geni, contrabbandato per calcio spettacolo da incompetenti che sono stati seduti in panchina solo quando il Mister non li faceva giocare. Il dubbio l'ho avuto, dopo il gol segnato da Pulgar su rigore provocato da un'azione elettrizzante di Ribery: o la Fiorentina è in stato di grazia, o il Milan di…disgrazia.

I miei consulenti – all'uopo interpellati – mi hanno sbrigativamente risposto: la seconda. Eppoi, Ribery (anche goleador, magica serata da polemica standing ovation di San Siro): è un campione inesauribile o il nostro campionato, che prende i Lukaku e i Sanchez e altri vecchietti, è un glorioso e gaudioso pensionato? No, qui non ci sto: a parte il fatto che Ribery è un nobile professionista che non è venuto a Firenze per Pittimoda, per fare shopping in via Tornabuoni, visitare gli Uffizi o incontrare amici alla Leopolda, mi sento di dire che Montella è meglio assistito da Pradè di quanto non lo sia il povero Giampaolo da Boban e Maldini: a lui hanno regalato un vip dopo avergli tenuto Chiesa, a Giampaolo gli hanno chiesto di fare le nozze coi fichi secchi (o come dice Conte "mangiare da Bottura con 10 euro") tant'è che il pur (finto?) proletario Gattuso ha detto no. È bello far rinascere una squadra gloriosa donandole giovinezza: ma non basta un'età media di 23 anni. Un Boban o un Maldini gliel'avrei dato, a Giampaolo. Ci sono, ma nel posto sbagliato.

GRAZIE A FONSECA LA ROMA HA UN BOMBER, DZEKO

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Non so molto del nuovo allenatore della Roma, Paulo Fonseca. È un lavoratore, un interlocutore elegante, un uomo tranquillo; per Roma, capitale delle radio, ha un grande difetto, parla poco. Grande virtù, insomma. Solo una volta, per onorare una scommessa con un giornalista, si è presentato in conferenza stampa in veste insolita, truccato da Zorro. Gli è rimasto il nomignolo soltanto, del favoloso Don Diego Vega nulla conserva se non…l'audace ruolo di difensore dei colori giallorossi, intesi come A.S.Roma. Evangelicamente – oso pensare – è uomo da sì sì, no no. Mentre il pur bravo Eusebio Di Francesco era soprattutto da "sì". Vendiamo Allison? Sì. Vendiamo Strootman? Siiii, e quando è stato il momento hanno…ceduto lui, a Paulo hanno detto:"Vendiamo. Dzeko…". E lui, scaltro, ascoltato il ragazzo, ha detto no. Così la Roma ha un bomber, l'ho visto anche a Bologna. Ha un giocatore che sta bene nella Capitale, Amor Roma, il palindromo perfetto. Un centravanti sul serio amato dai compagni perché si batte anche per loro. Li guida. Rivedo il gol di Bologna, come istruisce il Veretout fuggiasco in contropiede, come avverte Pellegrini che da destra gli mette la palla in testa…gol. Poi, come dicevo, amore: ha rinunciato all'Inter che gli dava soldoni e Champions, mica poco. Vedremo, a fine campionato, chi ha segnato di più, lui o Lukaku.

Ho rivisto, con Fonseca, scene di calcio elementare. Non fidatevi di chi gli attribuisce le virtù del secolo, possesso palla e pressing alto, non è tentato dal Tikitaka e ha già capito che una sana difesa è fondamentale per creare gol. Lo stanno sperimentando anche i suoi colleghi/maestri, Guardiola innanzitutto e Sarri che ha non solo difficoltà difensive ma anche creative. La Roma di Fonseca di gol ne fa anche quattro alla volta, al Sassuolo, agli impronunciabili turchi, due soli ma pesanti quelli rifilati al Bologna reduce da otto turni di imbattibilità casalinga. Non cadrò nella trappola di dir troppo bene anzitempo di questo portoghese perbene cui piacerebbe essere Mourinho ma gli manca la follìa di Setubal. Già ho subito delusioni con Rudi Garcia, il brillante, intelligente tecnico d'Oltralpe che aveva stupito i romani con quel proverbio francese, "abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio" che liperlì non avevano capito, loro che al centro di Roma di chiese ne hanno tante. Garcia voleva…riabilitare la Roma, e un pò c'è riuscito. Fonseca ci prova e può riuscire solo se lo lasceranno lavorare. E se tapperanno le buche della strada che porta a Trigoria: i giocatori per ora hanno solo quella preoccupazione, le fuoriserie che si scassano. Situazione invidiabile, direi.

DZEKO DA MONUMENTO, ATALANTA-FIORENTINA SPETTACOLO TRA MAGIE ED ERRORI

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Il campionato cresce. Prende qualitá. Non solo al vertice, dove la Juve del mezzo Sarri rappresenta le sue difficoltà difensive e l'Inter impone al Milan…giampaolato il carattere di Antonio Conte, intensitá contagiosa. Lassú c'è solo il Napoli in palla e la squadra non la fanno i soliti fenomeni giá arruolati – Ciro Mertens è uno spettacolo – o quelli perduti – vedi Icardi – ma in particolare l'ultimo arrivato, Llorente, l'uomo che mancava a Carlo Ancelotti per fare i conti.

Per fortuna, capita di divertirsi anche nel Campionato degli Altri, quello della domenica che produce episodi istruttivi per gli addetti al mercato, di solito personaggi con la licenza di spendere e competenza minima. Vedo Dzeko risolvere i problemi della Roma (ne ha, ma non come l'anno passato) ed esibire, dopo il gol al volonteroso Bologna, un ragguardevole fisico da bomber: e allora uno si chiede perché il club giallorosso abbia cercato disperatamente di venderlo all'Inter (i contratti scendono in campo, ecco il calciobusiness) e se non debbano fare un monumento, a Trigoria, al bosniaco che ha detto "voglio restare" rinunciando alla Champions e ai soldoni che gli offriva l'Inter.

Ma il bello per davvero l'abbiamo visto a Bergamo. Non ci crederete – sempre che non siate esperti – ma Atalanta-Fiorentina è stata una rara, vera partita di calcio. Con campioni e bidoni. Con magíe e errori marchiani, il tutto dovuto a un ritmo incessante, a vendette, a paure, a momenti di depressione e a scatti d'orgoglio. Per cominciare, Gasperini ha battuto Montella, incapace di gestire un clamoroso vantaggio ottenuto con Chiesa e con uno dei gol più belli realizzato da anni: porta la firma di Ribery, noblesse oblige, che sfrutta con classe un suggerimento di Chiesa. Il figlio d'arte è finalmente vivo, Commisso puó spiegarsi perché ha rinunciato ai milioncioni della Juve, ma deve stare attento: il ragazzo voleva soltanto colpire Gasperini che mesi fa lo ha tacciato di simulatore. Dopodiché si capisce perché Montella non vince una partita da febbraio: la sua ambiziosa viola appassisce, s'adduorme, prende un gol dall'ex avvelenato, Ilicic, e un altro da Pasalic, cancellato dal Var. Vuoi dire o far qualcosa, tipo traccheggiare con un cambio o mosse di disturbo per frenare la Dea scatenata? No: Montella assiste surgelato alla rimonta definitiva di Castagne. Come dicevo, in una bella partita ci sta tutto, anche l'incapacitá di difendere un successo prezioso. Canzone napoletana: "'mo' vene Natale…".

(ITALPRESS).

JUVE SQUADRA DA BATTERE, CONTE UOMO DA BATTERE

Quando pensavamo che il trasferimento di Maurizio Sarri dal Napoli del Popolo alla Juventus dei Potenti fosse la novità più intrigante del campionato, il sì all'Inter di Antonio Conte ha ribaltato le convinzioni di tanti. È lui, l'Intenso, il traditore – hanno sentenziato giudici mediatici e social bufali – altro che Sarri. Il ragionamento non faceva una grinza, in verità: vuoi mettere il tecnico appena sbarcato in serie A che prima si fa alfiere degli antijuve in mancanza d'altri candidati, sospinto da opinionisti che cercano divagazioni sul tema tattico inventandosi escursioni estetiche senza costrutto e garantendo con chiari limiti di esperienza l'ennesimo trionfo della Nemica cui si dà anima e corpo alla fine dei giochi; vuoi mettere questo personaggio ancora in cerca d'autore con un Antonio Conte battezzato juventino doc con 13 anni di militanza sul campo e 3 sulla panchina, tuttavia senza alcuna…deviazione significativa fino al Chelsea, scelto per una nuova avventura soprattutto culturale che non mettesse in discussione la fedeltà alla naturale passione bianconera? Se si seguisse – come spesso capita, nel gioco – la semplificazione dei sentimenti tipica dei tifosi, il Traditore sarebbe lui, Antonio, protagonista di una storia, e non Maurizio, eroe di una cronaca napoletana adottata per ravvivare un dibattito sempre più ammosciato. Ma noi non siamo tifosi e non useremo quel termine sgradevole meglio identificato in politica: concluderemo semplicemente che se esiste ancora questo filone romantico che designa i club come oggetto d'amore, dunque di tradimento, il calcio sopravvivrà al triste declino in business. Dove alla parola Traditore si possono sostituire termini come Truffatore, Profittatore, Arraffatore.

Se la Juventus è la squadra da battere, Antonio Conte è l'uomo da battere. E il discorso diventa Inter contro Juventus, ennesima messa in scena – con speranze diffuse – del Derby d'Italia, più volte annunciato, mai realizzato. Da quando, nove anni fa, se n'è andato dall'Italia Josè Mourinho, inconsapevolmente lasciando campo libero alla Juventus.

Inter a parte, il Triplete è stato forse l'ultima pagina eroica scritta dal calcio italiano, non tanto per l'uno-due scudetto e Coppitalia, quanto per la gloriosa finale di Madrid del 20 maggio 2010 vinta contro l'onorevole Bayern. È stato, quell'evento, l'ultima raffica di milioni, tanti e sonanti, del campionato italiano, afflitto – come s'inventò l'abile Aurelio De Laurentiis – dagli altrui fatturati. Dice l'amico Capello che l'unico pericolo per la Juve è rappresentato da Suning, la potente società cinese che sta armando l'Inter per la lunga marcia verso lo scudetto; sono d'accordo, ma non – come dice qualcuno – perché "finalmente ci sono i soldi": quando i Signori Zhang avranno speso e vinto tanto quanto Massimo Moratti il mondo della Beneamata potrà inchinarsi davanti ai cinesi, prima è meglio che l'Arrabbiata di Antonio Conte faccia la sua nuova parte, che non è da classico e ridicolo agnello sacrificale ma da belva scatenata, come appare dalle prime scelte di Conte, a partire da Lukaku, un affondatore d'area che non mi piace ma certo risponde al disegno tattico del mister nerazzurro: poter disporre di una squadra potente non per arzigogoli tattici ma per un vigore sollecitato con saggezza psicologica. Quando ho parlato di una trasferta "culturale" di Conte in Inghilterra ho ripensato a come gli riuscì facile, in pochi scontri diretti, mettere a tacere Josè Mourinho che in Italia aveva maramaldeggiato sui deboli (o quasi).

È per tutto questo che immagino un'Inter in grado di affrontare serena e battere la Juventus che ha voluto liberarsi del Vincitore Imperfetto, quell'Allegri che, poveretto, non sapeva far altro che portare a casa scudetti, neanche una Champions, eppure gli avevano messo a disposizione Ronaldo, poffarbacco. La Juve vuole solo la Coppona, sta affidando a Sarri una squadra in grado di tentare il colpo, con Ronaldo messo al centro della piazza, una difesa rimodellata (non rinvigorita) da DeLight, il resto ancora da vedere. Per ora, ho solo capito – e lui l'ha pure confessato – che, in attesa di godersi le preziosità del Sarrismo, al Maestro vogliono affidare una squadra concreta. Per continuare a vincere, secondo tradizione, e iniziare a convincere, come vuole Sarri. A proposito del quale vorrei dire che l'ho scoperto – a modo mio – involontario protagonista della "Grande Bellezza", che non è un film di Paolo Sorrentino ma più modestamente di Lele Adani, il re degli Opinionisti Estetisti. In realtà, i nuovi mezzibusti hanno assecondato una furbata napoletana: conosco da anni gli interpreti dei media locali e so quanto siano abili nel decretare le capacità dei tecnici quando questi, pur strombazzati, non vincono. L'unico costruttore serio del grande Napoli ereditato da Edy Reja, Walter Mazzarri, era troppo lineare per godere dell'appoggio dei maestri cantori, Donadoni troppo serio per porsi il problema di vivibilità, Benitez se l'è cavata come "quello che finalmente ha portato a Napoli dei campioni" come se i soldi li avesse messi lui e non il finalmente ambizioso ADL; poi, quando hanno visto che Sarri non avrebbe mai vinto, lo hanno eletto il Migliore per avere convinto con un gioco meraviglioso che non ho mai riconosciuto appieno, mancandogli il naturale epilogo in vittoria. L'ultima raffica di Sarri resterà legata per sempre al titolo "Uno scudetto perduto in albergo" che nel dettaglio rivela almeno inesperienza. Non aggiungo altro, sul Maestro, se non l'invito a smettere di fumare: non può fregarci il momento più atteso e qualificante del campionato che va a cominciare, la sfida con Antonio Conte.

A dimostrazione di quanto sia giusta la mia interpretazione del "napoletanismo mediatico", vi invito a considerare come se la passano da un anno tifosi e opinionisti con Carlo Ancelotti, un signor tecnico compiuto che non possono manipolare e neppure – nei quartieri bassi del web – insultare. Carlo è grande ma a Napoli deve ancora dimostrarlo. Dovrebb'essere lui, non Fonseca, o Gasperini, o Giampaolo, il terzo incomodo. E già dovrebbe infastidirsi di questa definizione. Forza Carlo, un colpo d'orgoglio.

MILAN BATTUTO DALL’UDINESE QUALIFICATA MODESTA CHISSÀ PERCHÈ

Scusate se da solo mi presento: io sono il Milan, sì, lo stesso di Gattuso, anzi peggio, senza Cutrone; sono il Milan di Giampaolo, sì, quello bravissimo, geniale, almeno così dice Sacchi, e allora siamo sicuri. Di cosa? Di vincere? No, trogloditi. Sicuri di dare spettacolo, di assecondare il desiderio estetico che Sacchi ha fatto rinascere quest'anno sulle spiagge, sui monti, in tutto il Bel Paese. Isole comprese. Volete vedere…

Ho visto. Il seguito di Parma-Juve. Calcio d'antan. Niente Sarrismo. Per vincere basta il Martusciellismo. E anche una piccola, spontanea, naturale idea di gioco. Che non è gnagnera, è realtà. Affiorano brerismi. Se li sarebbe mangiati vivi, Gioann, i suoi rossoneri, sconfitti non solo da un'Udinese qualificata modesta chissà perché dagli opinionisti estetisti, mentre il Milan di Giampaolo, vedrete vedrete…

Dicevo di Brera: l'avrebbe offeso una squadra non squadra con un collettivo improvvisato incapace di reggere un'azione una; mentre gli avversari – povero semplice Tudor – hanno dominato per tutto il tempo e purtroppo gli manca un realizzatore coi fiocchi che li porterebbe a centroclassifica. Il gol di Rodrigo al 72 – invero bello – è anche un metaforico schiaffo al donabbondio panchinaro che, nonostante le garanzie sacchiane, non ha avuto un filo di coraggio. Ma questo gli opinabili non lo dicono. Preferiscono sollecitare la vergogna "varista" scandalizzati da un tocco di mano neppure presunto di Samir all'83.

Il giornalista commenta: "già la chiamata al Var non è calcio"; l'opinabile insiste: "per l'uniformità, dopo Firenze…".

Per fortuna l'arbitro di Udine deve aver proprio pensato alla figura di nonsocosa fatta dall'arbitro Massa nella partita che fortunatamente ha digerito i suoi errori (la Fiorentina no…) risultando divertente. E antica. Lotta continua, battaglia vera, leale almeno fino a quando Mertens ha finto il fallo di rigore. Non s'è ancora sentito profumo di Sarrismo, nè di Sacchismo. Il calcio vero continua. Allegria…