La Barba al Palo di Italo Cucci

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ITALIA-PORTOGALLO, NON MI SONO DIVERTITO

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Finita Italia-Portogallo, l'altra sera, ascoltavo la tivù senza guardarla, perché scrivevo, e a un certo punto mi è parso di sentire un vecchio amico dell'altro secolo, Dudù il Gagà: "Oh come mi sono divertito! Oh come mi sono divertito!". No, non era Montesano, solo un opinionista. Uno dei tanti divertiti. Ma poco dopo ho sentito anche un altro soddisfatto "per un grande primo tempo", ed era Paolo Rossi. Nooo, Paolo Rossi no! Quando penso a lui, quando lo vedo mi emoziono, m'escono dal cervello tutti i suoi gol, golgolgol, ed eccolo contento dell'ennesimo zeroazero magari – come si diceva una volta – "pieno di giuoco". Cioè vuoto. E appagato di "un bel primo tempo", Paolino, come se il secondo l'avessero abolito, come se il meglio del campionato non fossero quei gol segnati largamente oltre Cesarini. Paolino è invecchiato – mi son detto, ma da che pulpito viene la predica? O forse s'è adeguato, sí, ha accettato la parola d'ordine dei Miglioristi, convinti che Mancini & I Suoi Ragazzi abbiano imboccato la strada giusta solo perché adesso non perdono. E s'avviano baldanzosi verso l'Europeo. Ma per certi commenti, in tali circostanze – restando all'Ottantadue – meglio affidarli a Claudio Gentile, quello che i gol li ha impediti sempre e avrebbe apprezzato tanto zero. Grazie anche al risveglio di Donnarumma, che ha salvato la partita quando gli orfani di Ronaldo ci hanno provato. Ma ormai ci avevano risparmiato.

Ecco: io non mi sono divertito. Perché il sarriano "ticchettacche" alla napoletana non lo reggo più, proprio come Verratti che per la sua prima bella partita azzurra avrebbe meritato non il sarrismo a tempo perso, inutile fatica che gli ha tolto il fiato, ma i classici movimenti del calcio italiano per finire addirittura in gol, altro che chiacchiere. Il "ticchettacche" senza Messi è solo una noia mortale. Ma lasciamo perdere il dettaglio, c'è un motivo basilare che mi mette all'opposizione: se vuoi ricostruire la diroccata Nazionale di Ventura devi unire fatiche a vittorie. Lavorare molto non per trovare la qualità ma la quantità, non la forma ma la sostanza. Forse non si è ancora capito che l'esclusione da un Mondiale si paga per anni; che dopo Belfast '58 è stata solo una lunga pena, dieci anni per vincere il nostro Unico Europeo; che la prima terapia è ritrovare autostima, e ci vogliono gol, la medicina per vincere. E guarire da questo maldigol. E se non hai Rossi, inventalo. Come fece Bearzot quando decise di resuscitarlo e trasformarlo in Pichichi. Come Rafael Moreno Aranzadi. Ma questa è un'altra storia. Di calcio. Di un calcio perduto.

UNICO DIVERTIMENTO VINCERE O ALMENO NON PERDERE

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Come disse Benitez (ultima edizione):"Nel calcio è importante divertirsi, ma è fondamentale vincere. Con Ancelotti e Allegri la pensiamo alla stessa maniera". Visto dalla parte di Mimmo Di Carlo il concetto s'adegua alla necessità: "L'importante è non perdere". E avete visto come si fa. I poveri del Chievo hanno costretto il ricco Napoli allo zero a zero. Il 5-3-2 nobilitato dal vecchio Edy Reja ha evidenziato quanto una difesa arroccata e insieme mobile, muro e insieme contropiede, direi un classico catenaccio, possa fare contro un attacco in mille altre occasioni fulminante eppure veramente pericoloso solo con un palo colto dalla classica svirgolata di Insigne e dalla potenza sfortunata di Koulibaly. Una volta tanto fa paradossalmente notizia la resistenza del Chievo più dell'arrembaggio generoso ma impreciso del Napoli. (Come, sabato, lo spirito salvifico di Nicola che dopo dieci precedenti sconfitte porta l'Udinese a battere la Roma).

E nella giornata di campionato che vede Ronaldo farsi capocannoniere di una Juve incontenibile il calciatore che gli si oppone è solo Sorrentino, figura eroica di un calcio dimenticato dagli esteti la cui cultura pedatoria è incompleta, perché irride l'eroismo di chi non ha altro traguardo che una onorevole salvezza. Che il Chievo – nella fattispecie – ha solo cominciato a sognare. Credo sia stato proprio Sorrentino a dire "fra noi e Ventura c'era una forte differenza di vedute" ma sono convinto che Di Carlo non abbia avuto bisogno di confronti più o meno agitati con i giocatori, gli è certamente bastato dire "sono qui per salvarci". I calciatori sanno al volo cosa vuol dire, e come provarci. Ancelotti ha un bel dire "siamo qui per lo scudetto", a volte basta anche un minimo cedimento e resti al palo. E intanto la Juve non perdona. La Juve di Ronaldo. L'Invincibile. Penso alla Nazionale che non segna: non basta Immobile che pure nella Lazio fa faville (salvo errori e omissioni), ci vorrebbero Gigi Riva o Pablito Rossi. La Juve ha l'unico…Gigi Rossi in circolazione, si è appannato anche Higuaín e se pensi che la soluzione sia Cavani il campo ti dice Messi, o Modric o forse Mbappè. O qualcuno ancora da scoprire o inventare, come Sarri inventò Mertens. Una squadra impegnata come il Napoli – o come l'Inter che vedo avvantaggiata non perché ha spezzato le reni al Frosinone ma per come ha saputo digerire il flop di Bergamo – condannata a inseguire una Juve che non perde mai avrebbe il diritto di giocarsela faccia a faccia, ovvero nello stesso giorno, alla stessa ora, per non vivere vigilie da incubo, per non perdere le partite in albergo, com'è capitato al Napoli di Sarri. Sabato sera la Juve ti guarda dall'alto di nove punti di vantaggio, domenica pomeriggio, davanti al povero Chievo, ti sembra di giocare la partita della vita. E sei solo all'inizio del torneo. Sí, Ancelotti è un mago dello spogliatoio, un padre saggio che non ti manda allo sbaraglio: ma dopo un primo tempo eppoi un'ora senza gol ti accorgi che la disperazione assale più i napoletani e che i veronesi non fanno più soltanto resistenza, hanno anche il coraggio di aggredire. Da tempo si parla soprattutto di fatturati, di ingaggi, di mercato, di fenomeni: Napoli- Chievo è stata una vera partita di calcio. Da studiare e far studiare. Per accogliere benevolmente la tarda confessione di Benitez: l'unico divertimento è vincere. O non perdere.

NAPOLI AL GOVERNO, DI CARLO OPPOSITORE NATURALE

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Ho viaggiato in aereo con un signore vestito da Milan. Non italiano, forse rumeno, anche se la sua tuta evocava sbarchi albanesi. Forte tentazione, gli ho chiesto del bisticcio Salvini-Gattuso. "Non conosco Salvini – mi ha detto – ci vuole Ibra". L'unico che ha capito qualcosa. Salvini poteva starsene zitto, cosa peraltro non facile; eppoi – ma non lo giustifico – vorrei vedere voi stare seduti almeno cento minuti vicino a Lotito e non esplodere in qualcosa. Gattuso, poi, fosse stato scaltro avrebbe chiesto al vicepremier di inserire Ibra nella manovra. Chissamai. Ma capisco Ringhio: uno come lui va subito all'opposizione. È l'opposizione. Che nel week end, fateci caso, ha vinto. Ha vinto sui fatturati, sui ricchi, sugli esperimenti inutili, sul possesso palla, sulla sindrome da hotel (quella che fece perdere a Sarri lo scudetto e adesso so di club che per il ritiro cercano hotel senza televisione, vecchissima idea di Gaucci quando ritirava il Perugia a Atri). Ha cominciato Davide Nicola, a Udine, impallando la Roma con mosse tattiche elementari, direi crotonesi, mentre il possesso palla dei giallorossi saliva come lo spread all'88%; mi piace DiFra ma non lo seguo quando se la prende con il lassismo dei suoi: a chi spetta animarli, farli guerrieri contro un nemico che hai battuto dieci volte di fila? Psicologia elementare e anche rispetto per il tecnico avversario ingiustamente dimenticato nelle riserve. E anche Ancelotti, il mio caro Carlo, cosa c'entra rilevare la morbidezza di un Napoli che in realtà rischia di autoaffondarsi guardando la Juve in tivù, andando a dormire a -9 e addormentandosi contando le pecorelle che trattandosi dei giocatori del Chievo ci sta pure. Ma sul campo – diciamo la verità – chi ha mai visto, di recente, una macchina difensiva così perfetta? Posso rispondere: io, e i bacucchi come me, quelli di Battista Rota e Vavassori a Bergamo, luogo che oggi presenta l'ottimo Gasperini europeizzato, quindi più fragile dei predecessori che si chiamavano Tabanelli, Corsini, Cadè, Bianchi, Sonetti, Mondonico, Giorgi, Mutti, Frosio, Colantuono, Del Neri, Guidolin, Reja, il mio Gotha degli Allenatori Italiani che se volete aggiungo Lippi, Prandelli e Conte e vinco a man bassa (poi in privato rimpiango Ettore Puricelli ch'era matto e Corrado Viciani che inventò il tikitaka ma lo respinsero; giustamente?). Napoli, la folla prima cantava, alla fine sentivi l'urlatoio disperato: dopo anni d'opposizione dura e pura il Napoli è andato al Governo, male che vada gioca per l'Europa e dunque non ha gradito – forse neppur capito – il capolavoro di Mimmo Di Carlo, l'Oppositore Naturale che mi ha affascinato, muro e contropiede e stava addirittura per vincere, il Chievo, tant'era sicuro alle spalle con quel Sorrentino (con la maiuscola) che al San Paolo avrebbe meritato tanti applausi e una canzone di Lucio, "lì dove il mare luccica e tira forte il vento".

ICARDI “IL BELLO”, TOTTI E LA VAR E UNA JUVE IMBATTUTA TUTTA DA GODERE

ROMA (ITALPRESS) – Il protagonista di Roma-Inter, senza giocare, come ai tempi di Spalletti, è stato Totti, entrato in tv a tempo largamente scaduto per contestare l'arbitro Rocchi, l'altro protagonista legato al peggio della partita. Il bello del calcio, ancora Icardi. Maurito è la serenità con cui gioca, segna, festeggia, ricomincia, indenne da isterie, furbate, proteste. Come se portasse in campo – ogni volta – il seguito di una vita sorridente. Suggerita dal sorriso permanente di Wanda. È una vita che ricomincia con il risultato alle spalle, immagino senza interferenze. Wanda lo difende solo con brevi intense apparizioni, non ha bisogno di far rumore protestante come il papà di Martinez Lautaro, ipotesi di Martin Lutero.

Il bello di Icardi è che ti fa digerire, con i suoi gol – già 118 – e la gioia da bambino una partita avvelenata da un arbitro già bravissimo, se non il Migliore, che ha bisogno della Var, ma solo per stabilire una mezza verità (il pari della Roma su rigore…varato e realizzato al 73 da Kolarov) perché il rigore negato da Rocchi & C ai giallorossi al 36 è rimasto impunito, avendo addirittura provocato l'immediato gol del vantaggio di Keita.

Mi sarei scatenato contro la VAR, come in passato, se la Roma non avesse trovato l'espediente per ridicolizzarla, mandando in tv Francesco Totti che fingeva d'essere Cavallo Pazzo e invece era Toro Seduto. Sugli allori.

La tv ci ha venduto molte emozioni, un gol bellissimo di Under, la festa personale di Maurito. Alla fine un risultato che dà pace momentanea alla Roma, niente all'Inter: lo fa capire Spalletti, nervosissimo, ormai convinto che la Juve potrà vederla solo in televisione. Aspettiamo stasera il Napoli alle prese con la fastidiosa Atalanta: se stecca anche Ancelotti, la Signora resta imbattuta soltanto per vincere la Champions. Vista a Firenze, è anche più forte dell'odio scatenato da webeti e cialtroni; non ha rivali sul campo nè fuori; finisci di guardartela – e godertela, la Juve, se ami il calcio – dopodiché ti tocca digerire – se sei tifoso – l'inverecondo Bologna, o il Milan proletario di Gattuso, sollevandoti lo spirito giusto quando appare il Chievo che senza Ventura sarebbe già salvo. E quando ti accorgi che Walter Mazzarri sta bene, è un momento di umanità nella settimana dell'odio. L'unico soddisfatto dovrebb'essere Mancini, avrà tempo per la Nazionale. Chi sogna di arrivare a maggio divertendosi deve solo augurarsi che la Juve senza nemici si sgonfi.

(ITALPRESS).

NON VORREI MAI VEDERE TOTTI SCATENATO IN TV

Disse Blatter: "Mai la moviola in campo, distruggerebbe le emozioni, i dibattiti al bar, lo spirito del calcio…". Gli diedi ragione. Poi, s'è visto: si è pentito lui, sto pentendomi io. Mai tante emozioni e dibattiti – in tivù, in radio, sui giornali, sui social, anche in famiglia, a scuola, al Parlamento immagino anche al Governo – dopo Roma-Inter, partitissima poco serena ma molto VARiabile (passatemela, va') che senza le sviste di Rocchi e dei tecnici di supporto avrebbe ricavato un giudizio univoco da critici e fans: "Bella ma inutile". Eppoi, vogliamo mettere il livello della gnagnera? Gli arbitri sono stati sempre discussi, giudici di prima istanza le cui decisioni spesso durano per l'eternità, come il gol di Turone annullato in Juve-Roma, come il rigore negato a Ronaldo in Juve-Inter; oggi si mette in dubbio una sentenza della Cassazione – questa è la Var – inappellabile come la Mano de Diòs di Maradona. Chissà perché mi viene in mente Diego, uno che ne ha fatte di tutti i colori ma non protestava mai perché aveva (ha) il calcio nel sangue. Ah, sì: ho ripensato a lui, Maramondo, quando ho visto Francesco Totti – eroe glocale – fare il giro delle tivù per contestare non tanto Rocchi, reo di sentirsi ancora più uomo che macchina, dunque fallibile, ma "quello de Var che forse stava a vede' n'altra partita". Francesco il Giustiziere mi ha dato un grande dispiacere: i fantagrandi come lui non dovrebbero mai finire nel tritacarne post partita come fecero pochi, in passato, tipo Rivera che studiava addirittura da onorevole e si era allenato a castigare presidenti, arbitri, tifosi indisciplinati, addirittura Berlusconi (anche se lui, il Golden Boy era stato tirato su da Forlani). Ma è successo perché doveva succedere: ci si chiedeva da tempo che posto da dirigente occupasse Francesco alla Roma. Probabilmente non lo sapeva nessuno, per rispetto del Mito, fino a quando è intervenuto Pallotta, il prosaico Pallotta che ha telefonato a Monchi dopo lo sciagurato uno-due, rigore negato gol incassato, e gli ha detto: "Schiusmi, ma Totti che lo teniamo affa'? Scatenalo". E abbiamo visto Totti Scatenato, non Jake LaMotta di Scorsese ma una creatura di Verdone, con tanta naturale ironia romanesca in petto e un vocabolario da Porta Metronia, non arrogante, non offensivo, forse efficace perché ogni sua parola s'è dilatata come un'eco fino a raggiungere il cuore di molti giallorossi e la simpatia di amici e avversari che ormai si chiedono quale sarà la prossima mossa. Suggerisco: "Sora sindaca, 'sto stadio lo famo o no?". Ma in verità vorrei il contrario: vorrei che il Giovin Signore dei sorrisi e delle lacrime non fosse invischiato in basse faccende di bottega. A Madrid non gli avrebbero mai chiesto di fare il portavoce della rabbia, forse manco alla Juve. Ma è un mestiere per ex campioni, fenomeni adorati. Consigliabile a ex pedatori incapaci di fare gli opinionisti in tivù.

GOL E GOLLONZI, MA MILAN-TORINO FINISCE SENZA RETI

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Gol, golazzi, gollonzi, ce n'è per tutti, a pioggia, sembriamo il Paese di Bengol. Eppure, nella partita più bella del weekend, Milan- Torino, neanche uno. Tanti quasi gol da risvegliare Carosio nell'Alto dei Cieli, spettatore insieme a Gigi Radice che non era proprio un mistico ma il nostro cuore lo elegge divino. Una partita classica non solo di cartello (ricordiamo che su entrambe le panche s'è seduto anche Rocco) ma per come l'hanno giocata due squadre che purtroppo hanno lasciato per strada punti preziosi. Il Toro ha dominato il primo tempo, demoralizzato dalle paratissime di Donnarumma; grande secondo tempo del Milan, l'arte del contropiede messa in mostra senza vincere premi. Più alta la sfiga degli errori. Troppi gol – dicono – una trentina, esagerata. Perché?

1) Difensori terrorizzati dalla VAR. (Una balla).

2) Difensori sbandati causa marcatura a zona: lo piglio io, no tu; e intanto pigliano gol. (Mezza balla: così soffrono i tiri piazzati. Punizioni e corner).

3) È solo gioco bello, moderno, spettacolare, la negazione del calcio "all'italiana" (e lo dicono nelle ore in cui il Divino Sarri ha fregato il suo Maestro Guardiola perché Abramovic gli ha fatto vedere la classifica del Chelsea e gli ha detto "io paga, tu vince").

Ringrazio Sarri, gliel'ho tanto raccomandato, a Napoli, di stare attento in difesa, per il risultato, però a lui non piaceva, tanti webeti napoletani l'avrebbero massacrato. A Londra però seppoffà. Il problema è un altro: portieri spesso penosi. Tranne pochi. Szczesny che non fa rimpiangere Buffon, Donnarumma che fa 100 e finalmente è in salute, Sorrentino che emoziona. Poi non saprei, il Napoli s'aggiusta con tre discreti guardiani, forse meglio di Reina, ma tanto è sempre avanti; la Roma ha perso Alisson, e si vede. Non mi viene in mente altro. Così i palloni entrano e i bomber si moltiplicano in un mondo calcistico – l'Italia – in cui la Nazionale soffre perché non trova bomber. Molti davvero non ricordano quanti successi storici sono legati ai grandi portieri, a Ghezzi, Albertosi, Sarti, Negri – bravissimi – a Zoff e Buffon, Mondiali. Spendono in attaccanti spesso bufalotti e dimenticano la regola fondamentale del calcio: primo, non prenderle.

La Juve è la Juve non per il fatturato – come ormai raccontano i cronisti di Piazza Affari – ma per l'equilibrio raggiunto: c'è Ronaldo ma c'è anche Chiellini, e l'ormai eccellente Allegri che toglie e mette ma sempre rispettando l'equilibrio. Il Napoli è l'unico serio inseguitore perché Ancelotti è uno dei pochi che può dire "ho una squadra di sedici giocatori" ed è vero; che non fa "titolarissimi" e dunque non fa turnover, cambia e basta. L'Inter potrebbe essere Juve ma si distrae sul più bello e Mandzukic lo frega. La Roma è – come in piccolo il Bologna- la classica squadra gestita da lontano. Male. Quant'è bravo Monchi? Non so, ma posso assicurare che anche il celebratissimo Marotta sarà sempre il pater di una società composita, non di casa sua.

LA LEZIONE DI MIMMO DI CARLO, DIFRA LASCIATO A SOFFRIRE

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Ho visto l'Inter pavoneggiarsi di rigore con l'Udinese per il cucchiaio di Icardi dedicato a Marotta, non al Psv; ho visto il Napoli lottare duramente con il Cagliari e batterlo con un gol di Milik, negato al Liverpool; eppoi la Roma penare allo spasimo con il Genoa, rinnovato con bravura e poca fortuna dal recuperato Prandelli, sconfitto all'Olimpico solo dalla Var (il Di Bello del calcio che nega ai rossoblù un rigore al 94'), e allora ho rimpianto i tempi – lontanissimi – in cui scrivevo di canzonette e ne scrivevo. Del calcio in verità feci presto a innamorarmi, vivendo da novizio la stagione di Herrera, Rocco e Bernardini; e cosí mi gratificarono Trapattoni, Radice, Liedholm, Bagnoli, Pesaola, Boskov, Bearzot, Lippi, Capello. A tutti ho dedicato pagine – più che parole – negli anni condivise da tanti lettori, spesso incontrati giovanissimi e portati fino alla vecchiaia. La mia, la loro. E ne lascio per strada, di allenatori, e cosí le gioie di un calcio ch'è arrivato – come le canzonette – a Sfera Ebbasta, a una dimensione che giustifica la preminenza di una Juventus dominatrice assoluta della scena anche quando – come sabato sera – maramaldeggia, si fa per dire, su un Toro ignorato e tradito dalla Var. L'ultima decorosa lezione di calcio – parlo di ore – l'ha data Mimmo De Carlo a Ferrara, con un Chievo imbattibile che meriterebbe un miracoloso balzo in avanti; l'ultima pena (a Roma se ne fa una tragedia ed è comunque adeguata alla decadenza globale della Capitale) si chiama Eusebio Di Francesco, un colpevole lasciato a soffrire senza complici, perché chi gli ha demolito la Maggica vendendo i migliori giocatori non pagherà pegno, anche se la papera di Olsen, in serata di disgrazia, che ha favorito il gol di Piatek, farà per forza ricordare ai tifosi giallorossi, con lacrime, il grande Alisson ceduto al Liverpool. Salvato dalla Var che ha annullato il 3-2 di Lazovic (e ti raccomando Olsen Due) Di Francesco s'è ritrovato una Roma incredibilmente più viva che ha ribaltato il destino con un gol di Bryan Cristante costruito con la collaborazione di Kluivert. Monchi, da tempo nella tempesta, con Pallotta, si attribuirà il merito di averli acquistati; o forse – sarebbe un gesto di potere finalmente efficace – di aver convinto Difra a fidarsi di loro e non dei …"monchiani" costosissimi e inutili Schick, Pastore e Karsdorp. Ma la parte migliore l'ha recitata l'arbitro Di Bello. Tutto questo porta la Juventus al sorteggio di Champions dove l'attendono avversari tutti pericolosi. Tutti. Perché quando Fabio Capello fece arrabbiare lo scudettista Conte dicendo che i suoi problemi in Europa derivavano da un campionato "poco allenante" diceva la verità. Gli avversari che si ritrova davanti oggi Allegri possono illuderlo d'esser potente. Bravo lui se ricorderà che neppure il CR7 è una garanzia di successo.

CHE DOVEVA FARE MAROTTA? SCEGLIERE SPAL O UDINESE?

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Voglio sbalordire Nedved facendogli sapere che anche Italo Allodi, il leggendario direttore generale dell'Internazionale europea e mondiale, appena arrivato all'odiata Juve l'amo' moltissimo e festeggiô con la Signora ben due scudetti ('71-'72 e '72-'73).

C'ero, e alla festa dello scudetto '73 l'Avvocato Agnelli fece un doloroso annuncio:"La nostra Santa Rita ci lascia, va in Federazione. Grazie Allodi". La citazione della Santa degli Impossibili non era casuale, Italo aveva fatto miracoli per ridare vittorie alla Signora. Anche qualcosa di piu'. E dovette andarsene. Prima a Coverciano, poi al Napoli, dove contribuí a far vincere il primo storico scudetto strappandolo, guarda un po', alla Juve. Vero, solido professionista. Lo si e' detto anche a proposito di Beppe Marotta, quando Nedved lo ha accusato di non essere juventino. Ma c'e' di piu': come Allodi "tradí" l'Inter per la Migliore, desideroso di mostrare a Fraizzoli cosa s'era perso liquidandolo, cosí ha fatto Marotta dopo il siluro di Agnelli. E' andato all'Inter. Cosa doveva fare? Scegliere – che so? – la Spal o l'Udinese per non infastidire i Torinesi?

Un attento collaboratore di Agnelli – dico di Nedved – avrebbe piuttosto dovuto consigliare al padrone di tenersi Marotta almeno fino alla fine del campionato. Se non altro per "amministrare" adeguatamente Cristiano Ronaldo che non e' un pedatore qualunque, che sta vivendo in una dimensione particolare, direi cinematografica, da professionista e da divo, mostrando i muscoli dopo i preziosi gol e accusando insofferenza quando qualcuno non rispetta i suoi gradi. Da generalissimo cresciuto al Bernabeu nell'aura di don Santiago, sabato CR7 ha esultato dando una irridente spallata al portiere del Toro, il soldato Ichazo, reo di aver tentato di parargli il rigore. Gli era gia' successo con il favoloso Sorrentino del Chievo, e con altri portieri in giro per il mondo, come dire "ma come vi permettete di negarmi il gol? Ma sapete chi sono io?". E' vero che poi ha abbracciato Ichazo, ha spedito un messaggio a Sorrentino, roba che i comuni mortali terrebbero in cassaforte tutta la vita, ma non farebbe male a mostrarsi piu' umile. Per gli infedeli, naturalmente, perche' agli juventini piace cosí, anzi: gli fornirebbero anche una scimitarra – meglio una durlindana – con la quale sottomettere i nemici.

Naturalmente scherzo, il Signor Ronaldo (stavo per dire " il ragazzo": erano tutti miei figli…) e' intelligente, padrone di se', autorevole in campo e fuori. Eppure in passato si e' mosso lungo percorsi rischiosi, sbagliati, ed e' ancora sub judice. Io Marotta l'avrei tenuto fino alla Champions. Chissa'…

E' curioso, parlando di Ronaldo, cogliere la protesta di Balotelli – anzi Balotellí- che dopo la spallata a Ichazo ha detto "Se l'avessi fatto io, ciaooooo". Giusto. Tanto giusto che se il Supermario avesse capito subito che ogni sua mossa sarebbe stata sempre giudicata con particolare severita', sarebbe ancora in Italia, in azzurro. Campione.