L’Atalanta boccia la Roma e promuove il Bologna. Adesso dicono “la Dea di Liverpool” come se fosse nata quella notte in cui Scamacca e Pasalic hanno violato Anfield; come se Gasperini fosse nato liquidando Klopp. Ha vinto poco, in un secolo e passa – giusto una Coppa Italia sessant’anni fa, e lì ho scoperto Domenghini – ma solo per non perdere la ragione e arrossire i bilanci. Adesso che c’è Percassi, l’ex calciatore che recita il ruolo di nuovo Boniperti, tutto è possibile. A cominciare dall’Europa. E’ anche la vendetta di Gasperson. Ha vinto per sè, l’Atalanta, ma anche per il Bologna: battendo la Roma ha spedito i rossoblù (oltre che la Juventus) in Champions. E questa – se permettete – è una pagina di storia. Il 7 giugno il Bologna festeggerà lo scudetto vinto sessant’anni fa battendo l’Inter nello storico spareggio romano, e lo farà dopo aver guadagnato l’accesso alla Champions che nel ’64 una monetina gli impedì di…approfondire. Applausi a Motta, ai suoi ragazzi e al presidente Saputo.
Importantissimo, emozionante, quasi sovrannaturale il confronto fra la Dea e la ex Magica ma se mi è permesso la protagonista del giorno è la Juventus. La più povera e disarmata Juve incastrata dal vecchio maestro Colantuono e ridotta a esibirsi all’Allianz non come una Signora, ma come una vecchietta questuante conosciuta a Bologna tantissime notti fa: la Violetera. E infatti penso alle milionate versate dai bianconeri nelle casse della Viola per Chiesa e Vlahovic. Questi fantasmi. Sì, i critici attribuiscono ogni errore a Allegri e aver subito l’orgogliosa Salernitana già retrocessa non è una attenuante. Sabato, in un pubblico incontro con Gigi Buffon si è convenuto che Max potrebbe restare a Torino fino a consumazione del (costosissimo) contratto e a completa “educazione” dei giovanotti che ha scovato: ma poverini, li avete visti? Tanta buona volontà ma una fragilità agonistica che gli fa commettere errori tecnici banali e collezionare pali e traverse. E per fortuna a un certo punto arriva – come nelle favole western – Pecos Bill detto anche Rabiot e salva la faccia a tutti.
Quesito: e allora chi andrà alla Juve? E perchè? Dicono che il richiamo sia Giuntoli ma con l’aria che tira a Torino dall’esilio dell’ultimo Agnelli ho subito avvertito Motta di pensarci bene, prima di mollare il Bologna. Mi accusano già di conflitto d’interessi per la mia camiseta rossoblù ma è lo stesso suggerimento che ho dato a De Zerbi: ragazzi, evitate di farvi capri espiatori predefiniti, l’Italia calcistica con il valzer degli allenatori avrebbe meritato di esibirsi all’Eurovision, luogo dato a perversioni musicali. Godete quel che vi siete conquistati, non fidatevi delle promesse di club sfasciati, a partire dalla Juve e dal Napoli che potrebbero rovinare anche la reputazione dell’Inter-Scudetto. Un giorno, sfogliando antiche cronache, un giovane lettore potrebbe dire che la Beneamata ha vinto un campionato per assenza di rivali. Per questo vorrei che le mie modeste note diventassero storia vera.
(ITALPRESS).
Tra la Dea vincente e lo storico Bologna, protagonista la fragile Juve
Da Pioli ad Allegri, la dura vita degli allenatori
L’Inter scudettata è caduta il 4, a Reggio Emilia, giusto per ricordare quel pur lontano 5 maggio che ne macchiò la storia. “Era de maggio, io no, nun mme ne scordo…”. E non sono pochi quelli che si porteranno appresso la inimitabile voce di Murolo giusto per addolcire altre voci. Quelle dei gossipari e dei tifosi che invocano ad esempio l’uscita di scena di Stefano Pioli. Erano rumorose da tempo, reboanti mentre il Genoa si travestiva da giustiziere di un Milan senza difesa.
Non so cosa sarà di Pioli, certo non avranno il coraggio di esonerarlo, se ne libereranno alla fine scaricando su di lui tutti gli errori di un club che all’improvviso sembra essersi perso. E serve poco dirgli – a quei signori – che quel che succede è il risultato di un comportamento da inesperti malconsigliati. Il Milan ha da tempo ritirato la fiducia a Pioli, lo ha esposto a un dibattito offensivo, l’ha gettato fra le braccia degli ultras. E dei giocatori menefreghisti. Un esonero virtuale che ha assunto sostanza.
E Allegri? Dopo la partitissima della Juve con la Roma di Svilar è ancora in sella. Odiato dagli schizzinosi. Il seguito alla prossima puntata.
L’esonero di un allenatore è solitamente accompagnato da Sentiti Ringraziamenti, il rito ipocrita che si ripete da un secolo. Solo raramente le vittime della gogna hanno reagito con forza all’ingiustizia diffusa, a volte palese. Non dimenticherò mai quello spiritaccio di Bela Guttmann che nel ’55 fu licenziato dal Milan con la squadra al primo posto in Serie A: lasciò Milano polemicamente ma con soldi. Peggio andò al Benfica: a Lisbona Bela vinse due volte consecutive il campionato e 2 Coppe dei Campioni nel 1960/61 e nel 1961/62 lanciando Eusebio, ‘La Pantera Nerà. Fu cacciato per una banale pretesa di un pugno di dollari e rispose all’affronto con la famosa maledizione “Da qui a cento anni il Benfica non vincerà mai una Coppa dei Campioni”. E il Benfica è ancora lì, nell’angolo dei dannati.
Leggende a parte, la Serie A quest’anno ha mostrato sulle panchine 14 nuovi tecnici dopo l’esonero di nove titolari conquistando il record europeo ma soprattutto punte eccezionali di ridicolo. Soprattutto là dove si sono susseguiti fino a tre tecnici per partita, smentendo quello che viene “passato” come motivo dominante dell’esonero: “Non ha più in mano la squadra”. Infatti – guardate in particolare il Napoli, ma merita attenzione anche la Salernitana – nessuno dei sostituti è riuscito a “prendere” la squadra. Escluso De Rossi. Ma il fallimento di Mourinho – colui che “conquistò” Dybala e Lukaku – fu deciso dalla società giallorossa quando gli americani di Roma trasmisero in corso d’opera ai calciatori la sfiducia nel tecnico. “Sò ragazzi”, dicono a Roma. Ma chi segue con esperienza il calcio sa che alla fine sono le…ragazzate a decidere il destino della squadra.
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Ci vorrebbe un campionato a 18 squadre
Da venerdì a iersera, maldigerite alcune presunte partitissime, invoco Franco Califano straordinario opinionista del campionato. Vista giocare la Roma contro un Napoli che comunque annaspa “tutto il resto è noia”. Non solo: “E venerdì comincia la mia attesa/Sempre così quanno giocamo in casa/Fino a domenica sò come ‘n omo in coma/Me pò resuscità solo la Roma”. La butto in musica perchè gli eroi della domenica sono Dybala e Abraham, gli eroi di De Rossi che sta per cogliere – dopo il trionfale successo di Simone Inzaghi – la palma di miglior allenatore della stagione insieme a Thiago Motta che ieri si è dovuto accontentare di un pareggio con l’Udinese e si trova con il Bologna dei miracoli – e di Saelemaekers- ad affrontare due sfide europee: con la Juve che lo precede – giusto per poter orgogliosamente finire davanti alla Signora – e la Roma che lo insegue. Anche se il premio ranking dovrebbe accontentare almeno cinque squadre. Forse sei.
La cosiddetta partitissima Juventus-Milan di sabato, invece, è stata un affronto a chi ha pagato il biglietto. Do atto alla Juve di averci provato ma come può Vlahovic lamentarsi di essere sostituito quando riesce a sbagliare gol elementari? Come può Chiesa contestare il tecnico che lo usa “da riserva” quando anche il suo ingresso non cambia nulla? Come puoi non vincere con il Milan spompato e senza idee? Ho visto così tanti “quasi gol” che ho subito pensato: questa era la partita ideale per Nicolò Carosio. Il festoso match nerazzurro, domenica all’ora di pranzo, ha sottolineato la distanza tecnica fra l’Inter – laureata con cinque giornate d’anticipo – e il resto della compagnia. Senza trovare peraltro una decisa opposizione da parte dei granata. Due botte e via. Caro vecchio Toro, quanto mi manchi.
E allora fatemi riprendere un argomento che mi sta a cuore da decenni, da quando non siamo più riusciti a produrre il più bel calcio del mondo, da quando Carlo Tavecchio mi garantì la riforma del campionato a 18 e trovarono una scusa meschina per cacciarlo. E intanto s’alza al cielo un altro lamento: giochiamo troppe partite, i calciatori sono esausti e la fine del campionato presenta una desolante zona retrocessione le cui partite si intravvedono spesso il venerdì o il lunedì. Nel frattempo l’Europa di Ceferin moltiplica gli eventi. Che goduria! Sapete quante squadre potrebbe avere l’Italia il prossimo anno nelle coppe europee? Una decina. Non vi (mi) annoio con tutti i calcoli nè garantisco di essere preciso ma oggi la Serie A potrebbe aver diritto a sei formazioni in Champions, due in Europa League e una in Conference League. Che bello! Che bravi! Che feste faremo! E a nessuno viene in mente che con un’Europa tanto impegnativa – e economicamente generosa – varrebbe la pena di ridurre il campionato a 18 (magari a 16!) per risparmiare energie. E migliorare il prodotto. Come quando la Juve, il Milan e l’Inter vincevano stelle di prima grandezza. Ma anche l’Ascoli e il Perugia facevano bella figura.
Storica vittoria dei Bauscia, il derby vale la seconda stella Inter
Gol di Acerbi, il cattivo diventato santo, e di Thuram, il Figlio talentuoso. L’Inter ha vinto il derby e il ventesimo scudetto. E ha colto la sua Seconda Stella. Storica vittoria dei bauscia, drammatica sconfitta dei casciavid nella Casa comune, l’immutabile San Siro che da ieri ospita 39 scudetti in comune e il Milan a sua volta in attesa della Seconda Stella. Io, antico fortunato cronista – o Testimone del Tempo, come diceva il mio direttore Enzo Biagi – ho raccontato anche la Prima dei nerazzurri. Quella era la Grande Inter di Angelo Moratti, Helenio Herrera, Italo Allodi, Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso. La filastrocca della Beneamata, la cantò Gianni Brera. Io la mormorai. Indimenticabile.
Ma sarà ricordata nel tempo anche l’Inter di Steven Zhang, Simone Inzaghi e Giuseppe Marotta. Già farete caso ai Magnifici Tre delle due Stelle, l’origine del successo, club compatti, dirigenti capaci, campioni solidali. Tifosi straordinari, meno causidici dei milanisti che guarda caso hanno ferito Pioli e consegnato trofei e gloria alla tradizionale nemica proprio nel momento in cui hanno perduto la bussola: lo scudetto, la Champions, l’Europa League. L’aria che tira fa parlare di beffa, ma l’Inter, questa Inter, bada più al suo trionfo che al castigo degli avversari. Non c’è più Peppino Prisco che diceva “sono vecchio, voglio diventare milanista, così quando morirò loro avranno un tifoso in meno”.
E’ l’Inter di Zhang, ma la Stella è anche di Massimo Moratti , il leader nerazzurro più vincente, con 16 trofei conquistati dal 1998 al 2011 (di cui 11 da presidente): 5 campionati italiani, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, una Coppa UEFA, una Champions League e un Mondiale per club.
Tecnicamente, è anche questa un’Inter italianissima, dico tatticamente. Perchè la Grande aveva solo due-tre stranieri – Jair, Suarez, Peirò – e la filastrocca era facile. Questa è più uno scioglilingua: Sommer, Pavard, Acerbi, Bastoni, Darmian, Barella, Calhanoglu, Mkhitarian, Dimarco, Thuram e Lautaro Martinez. Il bomber. Cinquantotto anni fa c’era Aurelio Milani, un ragazzo modesto, antidivo, patì un infortunio, sparì.
La Prima Stella che raccontai – spesso seduto a San Siro accanto al Gioànnbrerafucarlo – era nata alla fine del campionato 1965/1966, decimo scudetto. Replicava il successo della stagione precedente, alla fine del girone d’andata precedeva Milan, Napoli e Juventus. Vinse con una giornata di anticipo, a 50 punti, settanta gol segnati. Catenaccio e contropiede – come presto aveva capito il Mago, e non era il primo a dire “vincere è l’unica cosa che conta”, mentre i qualunquisti della scuola napoletana anticipavano i giochisti di oggi, ma si chiamavano Gino Palumbo e Totò Ghirelli. E non c’erano gli opinionisti. Contropiede ieri, un pullman sulla porta con Mourinho, e così nacque il Triplete che ha dato il suo contributo alla Bistella.
Inzaghi non è un Mago, e neppure uno Specialone, quando è arrivato a Milano i cosiddetti buongustai hanno subito criticato il pranzo che Simone offriva a San Siro. Ma si sono ricreduti in fretta e hanno prima gradito eppoi applaudito la sua capacità di esprimere il miglior risultato possibile: una squadra compatta, serena. Quella che si dice una famiglia, come piaceva a Angelo Moratti. Così scudetto e Stella sono suoi. Conquistati a San Siro alla faccia del Milan cui è mancato semplicemente un Pippo Inzaghi. Altro che Leao.
MORATTI POTREBBE ESSERE ANCORA UTILE ALL’INTER DEL FUTURO
Questo mestiere sa essere bellissimo e crudele. Il cronista continua a seguire il dramma di N’Dicka, il giocatore della Roma colto da malore. Udinese-Roma è stata giustamente sospesa mentre il giocatore veniva ricoverato in ospedale, mostrando poi in serata segni di miglioramento. E c’è chi deve – come me – ubbidire al motto “lo spettacolo continua”. E lo spettacolo – pur seguito senza perdere le notizie da Udine e con l’intervento dell’abituale disturbatore Cagliari – è comunque dell’Inter, che pur pareggiando con…Ranieri (viene in mente Mourinho) si è avvicinata allo scudetto e alla seconda Stella. Che potrebbe cadere dal cielo sulle maglie nerazzurre la sera del Derby con il Milan rivale eccellente. E pareggiante a Sassuolo. Come se tutto fosse affidato a un’abile regia.
Avremo modo di parlarne ma nel frattempo mi piace ricordare che alla prima Stella c’ero. E la raccontavo. Un momento felice non solo dell’Inter ma del nostro calcio. Quando la Beneamata colse il decimo tricolore, il 15 maggio del 1966, con un sonante 4-1 alla Lazio. Era l’Inter di Angelo Moratti che con Helenio Herrera e Italo Allodi aveva vinto fra il ’62 e il ’66 tre scudetti, due Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Cito Moratti perchè Massimo, aiutandomi a scrivere un libro sulla sua famiglia, mi ha raccontato che anche quando l’Inter passava a Fraizzoli e a Pellegrini “loro” c’erano sempre, garanti dell’esistenza felice – e anche combattuta – della Beneamata. E così mi disse degli Zhang, di aver accolto come un figlio il giovane Steven, introducendolo nel mondo nerazzurro, un mondo non facile soprattutto quando l’Inter fa la Pazza. Non è pazza la squadra di Simone Inzaghi, perfetto equilibrio fra potenza offensiva e resistenza difensiva. Una lunga sequenza positiva, l’entusiasmo che cresce cancellando vecchi e ingiusti dubbi su Simone. Eppure…
Chi racconta questa stagione non può ignorare il fatto che se ci si emoziona a mille per un Real-City di Champions è anche perchè l’Inter – come il Napoli e il Milan – si è persa per strada. E non solo. Ci sono le nefaste cronache di questo calcio travolto dai traffici finanziari al punto di far chiedere: cosa ne sarà domani? Addirittura qualche esponente dell’antinterismo fegatoso si chiede se sia giusto o no vincere accumulando debiti. Come se fosse una novità tutta nerazzurra. Il calcio moderno è fondato sui debiti, beato chi può contrapporgli un capitale giocatori adegusto. E si sente anche parlare di arabi, di sceicchi. Lo sceicco – dice la Treccani – è un capo, un maestro, un’anziana persona eminente. E allora – sperando che non s’arrabbi per lo “sceicco” o per “l’anziano” – dico che in un momento come questo è augurabile che della Beneamata s’interessi l’Amante. Massimo Moratti. Non oso dire per la sua nota ricchezza che stuzzica i tifosi. No, Massimo ha già dato con il Triplete facendo felici i tifosi e se stesso. Il suo consiglio, la sua attenzione, la sua esperienza – insieme alla competenza e la cura gestionale di Marotta – possono garantire il miglior futuro all’Inter della seconda Stella. Marotta & Moratti suona bene, no?
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IN QUESTO CAMPIONATO CI DIVERTIAMO IN POCHI
Amo il calcio, lo confesso come un bambino. E in mezzo a questo bailamme di teste tagliate, di illusioni sfatate, di ambizioni moltiplicate da opportunità europee sempre meno qualificate mi salva Raspadori, il trascurato, con un gol di rara bellezza. Grazie, Jack. Tirem innanz.
Dice:”Cosa pensa di questo campionato?”. Dico: “Ci divertiamo in pochi; giusto gli interisti e io”. “Lei? Perchè?”. “Come, non sa che mi piace il Bologna?”. “Ah. Ma quello piace a tutti!”. Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggero in un venerdì di vigilia stretta nelle sue condizioni ideali: giorno di sfiga e di dolore che solo in Sicilia promette fortuna. Insomma, diciamo la verità: io non lascerei il calcio in mano a gente che ti organizza una giornata di campionato il venerdì con Salernitana-Sassuolo all’ultimo sangue, seguita giusto da un pugno di tifosi esasperati che hanno visto le squadre del cuore passare di mano da un tecnico all’altro con disinvoltura suicida. La Salernitana da Sousa a Pippinzaghi, a Liverani, a Colantuono, dal progetto ambizioso alla ragione, ma in ritardo; il Sassuolo da Dionisi a Bigica a Ballardini, alla faccia di una lucidità gestionale ereditata dal grande Squinzi.
E per fortuna sabato è derby, Roma-Lazio, come dire sabato trippa visto che se l’aggiudicano i giallorossi di Testaccio in una festa di pajata e coda alla vaccinara. Per carità, si menano pure, ma che fare? La violenza ultrà, il razzismo, blabla e blabla. Restiamo a noi, alle panchine. Era il Derby di Mou e Mau, sono riusciti a cacciarli come se ai miei tempi avessero esonerato Herrera e Rocco, oppure Trapattoni e Liedholm. E viva De Rossi, come no? Non posso negargli un eccellente contributo di pacificazione di uno spogliatoio murignizzato ma non venite a dirmi che i responsabili sono sempre loro, i mister: naturalmente quando perdono perchè se vincono è tutto merito dei giocatori. Come a Napoli, dove evidentemente Garcia, Mazzarri e Calzona sono inguaribili incompetenti incapaci di sostituire Spalletti. Come a Udine, Sottil a Cioffi, a Empoli, da Zanetti a Andreazzoli a Nicola. L’unico chiaro e doloroso caso, quello di D’Aversa a Lecce, un signor tecnico che perde la testa. Che stagione ridicola, questa. Chiedono da settimane, da mesi, l’esonero di Allegri. Come fino a metà campionato c’era chi voleva far fuori Simone Inzaghi; e chi ancor oggi non è del tutto convinto di Pioli. E i giocatori strapagati che battono la fiacca? E i presidenti scioccamente audaci o spaventati? E i tanti sopravvalutati presunti Raiola?
Vedete, a Bologna è successo un miracolo: un presidente – Saputo – che da anni non osava sognare viaggi oltre il decimo posto, ha deciso di provare a vincere, ha preso il silenzioso, riservatissimo Sartori costruttore dell’Atalanta che con l’ambizioso e geniale Motta ha resuscitato una squadra e una città che oggi vogliono – non sognano – un posto in Champions. Nonostante Frosinone. Diceva Azeglio Vicini: “Un punt par fer i cunt”.
Finalmente domenica. Protagonista Allegri: la Juve è con lui. Fin dalla vittoria di Coppa, con la Lazio, quando a molti è sfuggita la dedica di Vlahovic al suo allenatore. Se Max non se n’era accorto gliel’ha ripetuta ieri sera (sciagurata Var!). E’ tutta colpa di Allegri se a un certo punto la grande potente Juventus è stata abbandonata a se stessa e a una presunta giustizia sportiva che ne ha fiaccato le risorse fisiche e morali? Certo, se poi arrivano le accuse di Maifredi l’imputato è assolto.
LA BELLEZZA DEL BOLOGNA METTE D’ACCORDO ‘GIOCHISTI’ E ‘RISULTATISTI’
Il Bologna, come giusto, finisce in tavola a mezzodì come i tortellini. In brodo di giuggiole, naturalmente. Grazie anche alla Salernitana. E ci sarà anche domenica prossima, da Frosinone.
Superando – in buona fede – il conflitto d’interessi voglio parlare della squadra più bella del campionato, il gruppo di ragazzi generosi e il loro bravissimo allenatore che stanno mettendo d’accordo giochisti e risultatisti. Ponendosi in una Zona Champions da sogno. Agli ordini di Thiago Motta gioca una squadra armoniosa con una difesa forte, un centrocampo organizzatissimo nelle due fasi, un attacco fantasioso che non spreca gol ma li studia e li tenta, mettendo alla prova le difese altrui, in particolare i portieri.
Può capitare, come ieri, di applaudire tre gol spettacolari ma gli autori – Orsolini, Saelemaekers e Lykogiannis – non fanno i fenomeni. Giocano. Risvegliando antichi “numeri” cancellati dai tatticisti a piede libero. Si riparla di dribbling, di colpi di tacco. Di contropiede. E per me – che ho sempre tenuto a bada l’equivoca “ripartenza” sacchiana – è un godimento. Come vedere Orsolini che finalmente si diverte.
La città di Bernardini e di Dall’Ara esulta e mi fa piacere che dall’altra parte ci sia ancora la rivale dello spareggio e dello scudetto 1964, la Grande Inter. La stessa che nel ’66 conquistava la PrimaStella mentre il Bologna di Carniglia la tampinava fino a tre giornate dalla fine finendo felicemente secondo. Ricordo mentre l’Inter va a cogliere la Seconda Stella. Dettaglio d’archivio: anche il Milan d’allora aveva problemi, crollò nel finale; resistette brillantemente il Napoli di Pesaola al terzo posto. Quarta la Fiorentina di Chiappella, in crisi la Juve di Heriberto Herrera.
A volte basta un Amarcord per tornare ad amare un calcio bellissimo che aveva una formula decente – 18 squadre – pochi stranieri ma grandi come Suarez, Haller, Hamrin, Altafini. Era, il nostro, il campionato più bello del mondo. Auguri.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).





