La Barba al Palo di Italo Cucci

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NON C’È ROMA CHE TENGA CONTRO LA JUVE

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Non c'è Roma che tenga: la Juve passa, annunciata da Mario Mandzukic, lascia il Napoli a otto punti e si autoelegge Regina d'Inverno. Senza damigelle d'onore, solo un Cavaliere indefesso, Ancelotti, finge di inseguirla: Spalletti con l'Inter è a 16 punti, la Lazio a 21. E questa si chiamerebbe Zona Champions. Il bello è che la Juve, una volta cinica, è diventata addirittura generosa. Sí, finge di soffrire, di combattere. Cosí gli avversari sconfitti escono dallo Stadium – come si dice in parrocchia – a testa alta. Grazie a Olsen paratutto. Buon Natale.

Non sarà buono il Natale di Gattuso, affondato in casa dalla Fiorentina. San Siro gelato – si dice – ma non è solo questione climatica. È crisi. Su una cosa sono d'accordo con Mister Ringhio: se per salvare il Milan c'è bisogno – come dicono i sapientoni – di Montolivo, povero Milan. Spiace per il giocatore ma ci sarà un motivo se è ormai l'accertato desaparecido rossonero; follía sarebbe buttarlo in campo per risolvere problemi: il problema è lui. Di un Milan fortemente problematico che ha occupato a lungo il quarto posto da Champions solo per incapacità altrui. D'altra parte, se per "lavare l'onta" di Atene pareggi col Bologna e perdi in casa con la Fiorentina, caro Gattuso, o il Milan è poca cosa o tu non sai che pesci pigliare. Propenderei per la prima, se non ci fosse di mezzo Higuain. Valore aggiunto teoricamente. Lo conosco bene, ormai, e la sua crisi che si chiama maldigol ha una sola spiegazione: non è allenato. Al Napoli lo tenevano sotto cura stretta di bastone e carota nel tempo trasformata da Sarri in friendly persuasion, un'amichevole…persecuzione che a lui, buon ragazzo, andava benissimo: il suo sogno era il Chelsea, vedrete che il Milan ci penserà, a raccattare un bel pacco di milioni, sempre che il sostituto di Gattuso (non so quando ma arriverà) pretenda di tenerselo. Anche Allegri ha avuto problemi, col Pipita, ma i suoi 40 gol in 73 partite li ha lasciati, alla Signora. Il problema del Milan tuttavia non è solo Higuaín: è l'intera squadra, che non va, e nel dettaglio soffre soprattutto dove dovrebbe eccellere se fosse davvero figlia di "Ringhio": è molle, senza carattere, presenta dei soprassalti illusori e subito si spegne. Gattuso non meriterebbe critiche se il Milan fosse valutato per quel che è, una delusione; ma visto il prepotente staff finanziario che ha alle spalle, pieno di boria e pretese, vedrete che il conto finirà per pagarlo lui. Non subito, immagino, il panettone dovrebbe mangiarlo, innaffiato non di champagne ma di amaro calabro. Gli salverà la panca Spalletti che da iersera sta peggio di lui. Buon Natale al Chievo, a Pellissier, a Mimmo di Carlo. Eroi.

MERTENS È IL VERO ORO DI NAPOLI

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Sono di quelli che quando un'Italiana è in Coppa si augura che vinca. Si chiami Juve o Roma. Ho tifato anche Inter e Napoli. Visto che il campionato lo ha praticamente vinto la Juve, mi ero presto adeguato alle visioni dei torinesi, mai così iattanti dopo aver acquistato Ronaldo: la Champions è più che mai vicina – mi dicevo fino a poco tempo fa; poi ho visto Atalanta-Juve e Juve-Sampdoria e adesso coltivo grossi dubbi sull'esito felice della mission. L'Europa non ci ama e sotto processo non è stavolta la manovra di Conte (Giuseppe, il premier) ma quella di Allegri. Ho già ricordato più volte (ma i sordi abbondano) che le nostre difficoltà europee derivano da un torneo "poco allenante" (Capello dixit) ed è pernicioso affrontare le avversarie di campionato – anche le più deboli – con sufficienza, come fece Sarri a Napoli e perse il Trans Europe Express. A Bergamo Allegri ha addirittura tenuto a riposo Ronaldo, chiamandolo in campo giusto in tempo per evitare la sconfitta: è un modo per avvertire l'avversario che lo stai snobbando, e l'Atalanta (ieri addirittura travolgente a Sassuolo) non è da prendere sottogamba. A Torino, ripresentata una formazione importante, alla Juve è mancata l'aggressività che nasce da ambizione e determinazione. E si è salvata per miracolo Var. Ripeto: non è un problema di campionato nel quale è impossibile reperire un avversario adeguato, visto che anche il Napoli s'è perso; e non solo per l'indegna aggressione verbale subita dal grande Koulibaly: c'è qualcosa che non quaglia da quando è tornato Milik, che fa gol preziosi – anche ieri due, e bellissimi – ma non "lega" con Insigne che, da tempo visibilmente innervosito, s'è fatto squalificare nella drammatica notte di San Siro; Mertens conferma la sua preziosa capacità di giocare con chiunque affianchi. È il vero Oro di Napoli, è il salvatore di un risultato che stava per esaltare il povero Bologna. Del quale posso dire – non senza partecipazione affettiva – che ha giocato a Napoli, contro il grande Napoli, la prima vera partita all'insegna del coraggio e del cervello. Penso che a Pippo Inzaghi, il perdente più convinto di poter diventare vincente, faranno girare l'anno dopo aver visto all'opera una squadra dignitosa. Ma è anche ora di vincere, caro, vecchio Bologna.

Un augurio a tutti i calciofili, ma in particolare agli arbitri, perché la tradizione e la ragione e la giustizia e il gioco possano far archiviare la Var, la cui inutilità, e avventatezza, finalmente rivelate in questi ultimi giorni del 2018, sono testimonianza di un fallimento. Io difendo l'arbitro.

SUPERCOPPA: LO SPORT ABBATTE GLI OSTACOLI

Polemiche come questa per molti sono occasioni per metter fuori la testa dal buio, per altri puro sfogo a un esibizionismo castigato. Poi ci sono quelli che ci credono davvero, Liberi, naturalmente, di godersi l'ossimoro dell'anno: Salvini e la Boldrini d'accordo nel contestare l'evento calcistico di Gedda. Per questo – e per altri motivi che spiegherò – io sono del tutto convinto che Juventus-Milan per la Supercoppa si possa giocare in Arabia Saudita nonostante quel Paese sia in ritardo con la legislazione che riguarda le donne, abilitate ad aver la patente nello scorso giugno e a entrare in uno stadio da poche ore. Grazie alla "vergognosa partita italiana" che ha convinto i sauditi a tanta liberalità. In ritardo, dicevo. L'Italia, ad esempio, ha concesso il voto alle donne nel 1945 (disposto già nel 1925 ma la legge fu poi annullata) e nello stesso periodo – fino ai Sessanta – i francesi torturavano e massacravano gli algerini, ma al tempo stesso preparavano la ripresa della Coppa Rimet (1950/Brasile) e inventavano gli Europei e la Coppa dei Campioni. II tempo – visto così – è un attimo. E la ultracentenaria storia del caldo contiene tutto il bello e il brutto del Mondo e del Bel Paese. E dintorni. Io non perdonerò mai – ad esempio – al Belgio l'infame organizzazione della Partita della Morte all'Heysel. Ecco, quel luttuoso evento, cui partecipai e del quale fornii ampia testimonianza, mi porta al primo motivato "sì a Gedda": chi si schiera contro quella partita, in quello stadio, in quel Paese, ha dimenticato in via Novara, a Milano, il corpo di un ultrà ammazzato in attesa di una partita di pallone, un'attesa trasformata in guerriglia. E così ricordo perché in occasione del grande evento più contestato – il Mundial del 1978 in Argentina – scrissi "si gioca". (Così come avevo sostenuto il dovere di giocare in Cile, nonostante vi fosse Pinochet, la finale di Coppa Davis del '76 che poi vincemmo). Dunque, mentre attaccavamo i generali argentini alle prese con i montoneros e i dissidenti, in Italia le BR ammazzavano Aldo Moro: a qual titolo volevamo dare lezioni? Il seguito fu importantissimo: grazie all'apertura del Mundial potemmo vedere le Madri Piangenti dei desaparecidos, raccontare al mondo la loro tragedia (noi italiani primissimi) e preparare la caduta di Jorge Rafael Videla e amici. Così fu con le Olimpiadi di Mosca 1980 nella stagione politica di Breznev: partecipammo lasciando a casa – ipocriti – campioni militari, bandiera e inno: dall'ignominia ci salvò Pietro Mennea dandoci l'oro nei 200 e la voglia di gridare Italia. L'Urss, per l'occasione incredibilmente… generosa, ci lasciò vedere, raccontare, scrivere o dire tutto quello che vedevamo, negandoci solo la cocacola: vedemmo, raccontammo e i Giochi favorirono la glasnost e la perestroika, Breznev cadde e il Paese più grande del mondo potè scegliere la libertà. Lo sport non conosce ostacoli, non li supera con l'ipocrisia della Ostpolitic: li abbatte. Altre storie simili potrei raccontare, sempre protagonista lo sport: nell'82 fui a Tripoli con Bearzot per vedere all'opera il Camerun avversario al Mundial, di lì a poco Gheddafi si offrì in veste moderata fino ad ottenere (a pagamento) il perdono per aver fatto abbattere nel cielo di Lockerbie, in Scozia, un jet della PANAM con 270 viaggiatori, tutti morti. Il 25 agosto del 2002 la Supercoppa Italiana fra Juventus e Parma si è giocata a Tripoli dove le donne libiche hanno ottenuto il diritto/dovere rivoluzionario di indossare al posto del velo il kalashnikov e farsi guardia privilegiata del Rais che poi venne in Italia a farsi omaggiare dai governanti e il figlio Saadi a fare il calciatore. Poi siamo andati in Cina quando ancora c'era la regola di sopprimere le creature femmine appena nate e andremo in Qatar nel 2022… Ma questa è un'altra storia che vi racconterò più o meno con gli stessi argomenti se avrò vita a campare. Buona partita Juve-Milan, dunque, e vinca il migliore. (Gattuso, come Rocco, in calabrese: "Speramu i no").

AL POVERO CALCIO CI PENSA DAVVERO QUALCUNO?

Ai polacchi l'Italia porta bene. Precisamente porta soldi. E non più a livello di sopravvivenza, come un tempo. Il bomber del Genoa Piatek (di nome si chiama Krzysztof che in polacco vuol dire Venerdì, e così lo chiamerei) ha già fatto 13 gol, è appena dietro Ronaldo, Quagliarella e Zapata; è arrivato che costava cinque milioni e mo' Preziosi se lo rivende a 50. Miracoli del pallone? No: è la vendetta del Piccolo Calcio Antico che non esibiva tanta tecnologia e arrapamento mediatico; che non metteva di mezzo le cronache di Economia e Finanza e stuoli di tecnici informatici e esperti (?) di Fair Play economico; che divertiva anche, come quella volta che al "Gallia" vendemmo un cameriere dell'albergo a un ricco presidente toscano, poi gli dicemmo correttamente che era uno scherzo e lui sdegnato ci accusò di averlo ceduto a un concorrente.

Ma dicevo Piatek. Enrico Preziosi presidente del Genoa era a Ibiza. Un procuratore gli segnala il ragazzo, lui lo vede in una partita del Cracovia in tivù e lo ordina come fosse un giocattolo: "Lo prendo, portamelo". Rischia poco. Dai tempi di Galliani c'è sempre un Milan che gli compra le sue scoperte. Anche quello di Elliott (nome che riassume una dozzina di importanti dirigenti che per ora ha fatto da ufficio di collocamento per juventini fastidiosi, vedi Bonucci e Higuaìn).

Questo passa il calcio, oggi, dopo tre settimane di vuoto. Si fa per dire calcio. Tipo il povero Gattuso che dopo l'addio del Pipita sa di essere l'ultimo capro espiatorio del Milan di Leonardo e si scusa, si lamenta, sta perdendo la sua grinta guerriera. Tipi i gioiosi bambini di San Siro schierati per salvare la faccia a uno sport in mano ai violenti, ai mercanti, ai cialtroni. E in premio un melenso zero a zero. Ci sono partite che non meritano neppure la citazione, altre di cui si parla per le imprese di giocatori che si chiamano Zapata, Quagliarella, Muriel e Okaka (bentornati) che ancora forniscono la materia prima per far godere un po' noi poveri appassionati: il gol. Poi c'è la Roma che rivela il classico caso del giocatore di qualità – scommetterei un campione già in onda – ceduto da un grande club per avere (aggiungendo anche molti milioni) una star forse sul viale del tramonto. Zaniolo per Nainggolan. Stupiscono i cinesi, i benemeriti della Beneamata, gli accreditati Zhang che non hanno ancora individuato e colpito il responsabile della cessione del giovane Nicolò, ragazzo del Novantanove con caratteristiche tecniche impossibili a sfuggire a gente competente. Mi suggeriscono che l'ultima parola (vadi, vadi pure – avrebbe detto Fantozzi) sia stata di Spalletti. Ma non è vero che oggi l'allenatore non è mai solo, circondato da uno staff di esperti (?) che lo lasciano libero di pensare solo alla partita? Oddio, ma al povero calcio che stiamo vedendo – e che abbiamo felicemente esportato in Arabia Saudita dove basta che ci sia un Ronaldo e sono soddisfatti – ci pensa davvero qualcuno?

CALCIO ITALIANO SEMPRE IMMOBILE

Diranno "ecco il demagogo!". Ci sto. Il calcio italiano è quel mondo il cui cambiamento è preteso con tanta forza da ridicolizzare il Contratto governativo; è pronto a varare tante riforme che un ventennio non basta; è peraltro talmente immobile che al peggio non c'è mai fine. E da bravo demagogo vi segnalo l'ultimo scandalo: Nicola Zaniolo che passa dall'Inter alla Roma per pochi milioni, conguaglio – insieme a Santon – per l'acquisto di Nainggolan e il polacco "Venerdì" Piatek che, appena arrivato al Genoa, acquistato da Preziosi per cinque milioni, diventa Preziosissimo e viene trasferito al Milan per cinquanta. Una delle gioie del nostro calcio che fra l'altro si inserisce nella cacciata (non fuga) di Higuaìn, già ripudiato dalla Signora. Una sceneggiata di Leonardo lo rivela pelandrone ai tifosi rossoneri ("e adesso pedala"), a Gattuso viene raccomandato di non spenderlo per la Supercoppa (pochi inutili minuti) né per Genoa-Milan, così il Pipita si prende anche del traditore. Cose già viste, lo definii "metodo Allodi", applicato con successo tante volte, inutile solo con Mario Corso che il Mago voleva cedere e Angelo Moratti no. "Pago io!". Allodi ubbidiva. Adesso chi paga?

Siamo arrivati all'Inter che delle cessioni scandalose è maestra, cito per tutte quelle di Seedorf e Pirlo al Milan e…Gasperini all'Atalanta. Gasp! Dunque Spalletti è chiamato a Milano, alla corte di Zhang, il mandarino nerazzurro, lo accompagna Walter Sabatini – il miglior direttore sportivo possibile – che gli porta da Roma il prediletto Nainggolan, secondo la leggenda "curato" da Luciano tanto coscienziosamente da tenergli compagnia anche di notte, a Trigoria, dove trascorre sonni inquieti. Monchi si libera volentieri del Ninja indisciplinato e ondivago ma fa il difficile, vuole una quarantina di milioni, fa uno sconto se gli danno Zaniolo, c'è chi dice no – alla Pinetina – ma c'è chi dice sì. Zaniolo è giallorosso, "Difra" lo sta studiando (dicono): e intanto Mancini lo convoca in Nazionale prendendosi una valanga di critiche ("Zaniolo, chi è costui?") miste a malizie tipo "vuol fare un dispetto all'Inter". Finalmente scocca l'ora romana e dal gol rifilato al Sassuolo nasce una stella. A Roma, prudenti come sempre, alcuni lo paragonano a Totti, anche se il Ragazzo del Novantanove è tecnicamente tutt'altro. A me manca un'informazione e può darmela solo Sabatini, tornato al calcio dopo essersi dimesso dall'Inter e aver passato una brutta parentesi ospedaliera. Walter, l'hai dato via tu Zaniolo?

GIORNATA DI GOL E IL TORO RICORDA VALENTINO MAZZOLA BATTENDO L’INTER

È una giornata di gol. Una trentina. Ubriacante. Si divertono Sampdoria, Fiorentina, Atalanta (la Roma un po' meno); dilagano le provinciali Sassuolo, Frosinone (povero Bologna), Spal. Guarda caso deludono le milanesi e il Napoli, quelli che vorrebbero lo scudetto o almeno la Champions. Fa specie il Milan che ha appena comprato Piatek, quello che è nato pronto. Per la prossima volta. Consigli per gli acquisti, soprattutto per le squadre a rischio: comprate difensori. Tutti quei gol che si fanno non sono spettacolo, nè salute: come diceva Annibale Frossi, sono errori. Riguardate l'intervento di Handanovic su Izzo e ci darete ragione. Già, io sto con Frossi.

Così perde l'Inter. Impotente. Così Spalletti, Ausilio e chissacchì vivranno un'altra settimana sentendosi accusare per la cessione di Zaniolo. Così il giovane Zhang chiederà a Marotta se sa fare miracoli. Ma Beppe non è ancora – come diceva l'Avvocato Agnelli – nè un Allodi nè una Santa Rita.

Vagliele a spiegare, ai cinesi, le alchimie psicologiche del calcio. Vaglielo a dire che il giorno in cui il mito Valentino Mazzola faceva cent'anni, a Torino sarebbe successo qualcosa.

Come la ripetizione di un antico duello fra Inter e Toro che si contesero il grande capitano con colpi di scena degni di grandi affari di mercato, come Ronaldo il Fenomeno all'Inter o Ronaldo il Cristiano alla Juve. Ho visto la lettera scritta a Valentino da un giornalista milanese: "Masseroni ha accettato il contratto, sei dell'Inter, appena torni da Lisbona ci vediamo". Ma il 4 maggio del '49 Valentino si fermò a Superga. Granata per sempre. L'Inter fu fortunata a crescere i suoi figli e di uno, Sandro, riuscire a farne un campione con più vittorie del padre.

Poi, altra botta, la smania di (sportiva) vendetta di Mazzarri, cacciato dall'Inter al vertice della carriera perché faceva il piangina. E a Milano, dalle parti di quel club ricco e aristocratico i piangina i volen no. Spiegare anche questo a Mister Zhang. Quello che gode, da ieri, è Cairo che per solidarietà con Mazzarri non ha fatto il piangina – atteggiamento da poveracci – ma il Potente Arrabbiato per tutti gli errori della Var ai danni del Toro. La botta all'Inter lo rende euforico. Se si rivedesse con attenzione l'Inter sarebbe più prudente…

PIPPO BOMBER UN GUERRIERO, DA ALLENATORE FRAGILE

In questo mondo non si possono avere simpatie, tanto meno amicizie. Il Conte Alberto Rognoni, maestro di tattica professionale, tuonava:"Non si possono fare figli e figliastri!". E aggiungeva, come Cesare Zavattini:"La veritàaaaaaaaa!". La verità, a Inzaghi, avrei dovuto dirgliela prima che arrivasse a Bologna, prima che ci trovassimo (io sono un appassionato rossoblù confesso) con un piede in Serie B. Quasi una certezza, com'è certo che la Juve ha già lo scudetto in bacheca, e non dico "l'ha vinto" perchè prevale "gliel'hanno regalato". Scusate la divagazione: a Inzaghi avrei dovuto dire "Caro Pippo, non sono sicuro che quello dell'allenatore sia il tuo mestiere". Non ho avuto il coraggio. Perché Pippo bomber è stato un guerriero ma fuori di quei panni è fragile, sopravvive di gloria, lo vedete nelle conferenze stampa che non gli sembra possibile che gli rivolgano delle domande puntute – per lui cattive – e non si raccapezza quando lo strattonano dialetticamente e lui è sempre sul punto di dire "lei non sa chi sono io", sostegno culturalsociale dell'italiano "che conta". Ma perché non avrebbe dovuto accettare una carriera in cui è ben riuscito – salvo dettagli – il fratello Simone? A pensarci prima, era la riflessione da fare subito, valutati i loro trascorsi da giocatori: entrambi attaccanti, Simone con animo da costruttore, Pippo da esecutore. Sparafucile. Quando me lo chiedono dico subito, da sempre:"Un grande attaccante non sarà mai un grande allenatore". Si offese solo Luis Carniglia, uno che girava il mondo a fare sfracelli insieme a Di Stefano e Pedernera e aveva nel curriculum un paio di Coppe dei Campioni vinte con il Real ma i critici maligni precisavano "con Di Stefano, Gento e Puskas". Fulvio Bernardini, che mi voleva bene, non reagiva, fingeva che avessi ragione, tanto lui oltrecché grande attaccante aveva fatto anche il portiere. Ma io dico: perché Rivera, Mazzola e Riva non ci hanno neanche provato, a allenare, mentre ci riuscivano il Trap, Bearzot e prim'ancora Herrera e Rocco? Replica: non c'è riuscito neanche Bulgarelli, il "cervello" del Bologna. Dico io: perché non si sentiva istruttore, come aveva vissuto lui il calcio (e lo chiamavano Dottor Gibaud perché era tutto incerottato per le botte prese) non poteva insegnarlo. C'è riuscito alla grande Lippi perchè da allievo di Bernardini è poi finito alla Scuola Juve dove ne sbagliano pochi, perché lì si può studiare anche da presidenti e diventare Boniperti. Pippo se ne va da Bologna perché non ne ha azzeccata una, come al Milan, e non sono neppur sicuro che la sua misura fosse Venezia. E gli tocca subire, come al Milan, un successore che si chiama Mihajlovic, uno che sa il mestiere perché l'ha imparato sul campo anche se gli difettano le buone maniere. Il che mi fa pensare che a Bologna hanno mandato a casa Donadoni, vi rendete conto? È che "quelli lì" – dico dei dirigenti, nessuno bolognese, e passi il presidente siculocanadese che paga – volevano un tecnico da dirigere, da manovrare a piacere. Va via Pippo, vadano via anche loro. Anzi, come si dice dalle mie parti, "vadino". Sono sicuro che la Crusca me lo passa.

BOLOGNA E MIHA DANNO MAZZATA ALL’INTER DI SPALLETTI

La mazzata all'Inter di Spalletti l'hanno data due miracolati: il Bologna ultimo della classe e Sinisa Mihajlovic, recuperato dalla disoccupazione con contratto semestrale. Quando i rossoblù sconfissero la Roma il 23 settembre (unica vittoria insieme a quella sull'Udinese) il mondo giallorosso chiese la testa dell'allenatore per quella sconfitta "scandalosa", verificata tale dal prosieguo di un campionato indegno. Cosa dire, di questa caduta dei nerazzurri, che non segnano gol dall'inizio dell'anno, e di Spalletti che ha perso completamente la bussola, spaventato non da Conte ma da se stesso? Obiettivamente, ho visto una partita davvero scandalosa. E spiego perché. Da un po' di tempo ho maturato un'idea (con prove): ci sono calciatori che hanno deciso di "licenziare" i tecnici che non gli stanno bene. Ci sono riusciti i bolognesi, aggiungendo a una serie vergognosa la sconfitta interna con il Frosinone per 4-0 nonostante i rinforzi ottenuti dal presidente canadese: sembravano zombie, Pippo Inzaghi, esonerato, ha pagato per tutti, è arrivato Mihajlovic ed a San Siro i suoi uomini sembravano delle belve scatenate, hanno aggredito e segnato un gol a un avversario che in classifica aveva 23 punti in più e quel gol hanno difeso con eroismo, tanto erano stanchi fisicamente e moralmente preoccupati di veder distrutto il loro sogno di vittoria.

Ma gli interisti hanno aggiunto scandalo allo scandalo, giocando come in preda a smarrimento, costringendo Spalletti a cercare un lampo di solidarietà in Ranocchia, un reietto; dopo la sconfitta con il Toro, che ha confermato la loro pigrizia mentale e fisica, quella batosta subita dalla Lazio in Coppa Italia e adesso questa dal Bologna. Mi stupirei se domani trovassi ancora Spalletti allenatore dell'Inter dopo l'esito di questa congiura. Ma tutto può succedere in un club che ha rovesciato ridicolo su se stesso anche con una sciocca trovata di marketing, quelle magliette cinesizzate: centinaia di milioni di cinesi – insieme ai signori Zhang – hanno assistito in diretta alla vergognosa disfatta, pur favoriti dal fatto che solo loro – grazie al nome in cinese – potevano capite chi fossero i giocatori; mi è tornata alla mente la battuta di Allegri dopo la sconfitta di Bergamo, quando ha detto che nello spogliatoio avevano confuso le maglie e in campo i bianconeri erano sbandati.

L'impresa del Bologna va applaudita anche se il voltafaccia dei rossoblù – perfettamente inteso da quel furbo di Sinisa – fa pensare a quale livello sia arrivato un gioco basato su principi monetari. L'allenatore non è più il maestro, è colui che deve garantirmi il prosieguo di una vita dolce: e se mi fa correre il rischio di fallire lo caccio. Morale della favola: tutti in banca.