La Barba al Palo di Italo Cucci

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IL NAPOLI PAREGGIA, LA LUNGA SFIDA CON LA JUVE ORMAI SI È CHIUSA

Il Napoli pareggia a Sassuolo e chiude l'antica, forte, spesso anche furiosa sfida con la Juventus. Non parlo di Scudetto, sia chiaro, quello è già a Torino, fin banale, non mette in ombra nulla, neanche la Tav; dico piuttosto di quella storia dei Duellanti azzurri e bianconeri iniziata ai tempi di Mazzarri, proseguita con Benitez, Sarri e oggi Ancelotti (con dente avvelenato) mentre in otto campionati la Juve ha consumato solo due tecnici, Conte e Allegri, per otto scudetti. La vittoria a Napoli ha scatenato contro Allegri la solita bagarre dei buongustai (da nouvelle cuisine, direi, poco sapore, poco colore) e di quei personaggi born to lose – perdenti nati – che hanno menato il solito "successo morale" di quelli che perdono "ma a testa alta" e via cazzeggiando. Dopodiché il Conte Max affronta in casa l'Udinese con la Juve Ragazzi, la fa in quattro e si gode il baby Kean, mentre Ancelotti va a incontrare il Sassuolo con i titolarissimi, perde fino all'84', pareggia alla fine con l'Insigne Pentito (del rigore sbagliato) e comincia a preoccuparsi: delle milanesi che inseguono e della figuraccia storica che farebbe piombando a -20 dalla Nemica.

Annotazione tecnica: Ancelotti si è messo nei guai da quando ha fatto nascere il dissidio fra Mertens e Milik. Il resto lo ha fatto Koulibaly, troppo presto battezzato "il più forte difensore del mondo". Il resto del campionato ha messo in evidenza – in senso orario – il solito Piatek del solito Milan (Gattuso è bravo, ma dove ha nascosto il povero Cutrone?); la prima vittoria del 2019 del Bologna disperato cui Mihajlovic sta restituendo la speranza; l'impresa di Gasperini a Marassi con l'Atalanta "squadra dell'anno"; la vittoriuzza dell'Inter sulla Spal con corredo di volti di Spalletti sempre più collegati al Caso Icardi, una delle più notevoli imprese della Beneamata, capaci di perdere o demolire i più importanti campioni in maglia nerazzurra. Tuttociò racconto peraltro sovrastato dall'idea della Juve in Champions. Cosa farà contro l'Atletico è l'interrogativo che angoscia anche gli avversari, soprattutto quelli già persi per strada che ora sognano di essere raggiunti dalla Sabauda Superba. Hanno un pensiero fisso, i perdenti: la Juve. Che per questo motivo continuerà a strapazzarli. O a ignorarli. Massima punizione.

L’INTER DELL’ORGOGLIO FA SUO IL DERBY

È l'Inter dell'orgoglio che fa suo il Derby. E con merito. È l'Inter che si chiede – ma tutti se lo chiedono – se può andare avanti senza Icardi vista la forza esibita dai suoi attaccanti, autori di tre gol che hanno il senso di una rinascita. Domanda oziosa: abbiamo visto una partita, non una resa dei conti alla faccia del Grande Assente, una partita che il Milan ha peraltro concesso all'avversario di sempre dimenticando la salute che gli era improvvisamente arrivata con Piatek, lui sì assente ieri sera, e con un improvviso ridimensionamento del Perfetto, di Donnarumma che è risultato decisivo almeno in due gol su tre – escluso il bellissimo di De Vrij – anche nel rigore che ha lasciato segnare a Lautaro intervenendo in ritardo. Juve che perde, Inter che vince: per un attimo pensi a un campionato rinato, e invece i 22 punti di distacco dalla Signora dicono che non è cambiato niente. È stato solo un Derby.

Il Derby è più di una fede: è amore. Milanisti e interisti, casciavid e bauscia, ci vanno numerosi, entusiasti e speranzosi, perché è un appuntamento di cuore, quale che sia la condizione presente: nel caso di ieri, un'Inter squassata dal Caso Icardi e con Spalletti sub judice, e un Milan che cerca la rivincita e sottopone il buon Gattuso all'ennesimo esame. Con dedizione intelligente le scorie velenose (ci sono sempre) vengono lasciate all'atto finale, quando le polemiche s'agitano perché è previsto. Quarant'anni fa, quando non c'erano tante tivù ad assorbire i confronti dialettici, le sentenze sgradite, gli errori evidenziati dalla cronaca, era il bar del lunedí – primo processo che precedeva l'istituzione biscardiana – il tribunale dove Oreste del Buono, milanista riveriano, andava a raccogliere impressioni, accuse, difese e sentenze.

L'Inter ha fatto al meglio la sua parte per tutti i 90, con un impeto che forse conteneva anche un soccorso generoso a Spalletti; il Milan, invece, ha concesso un tempo e solo nella ripresa ha mostrato di valere quanto aveva fino a iersera dimostrato, cosí s'è mangiato il piccolo vantaggio sui nerazzurri, tornati terzi e forse fiduciosi in un recupero delle certezze da Champions. C'è da pensare – riascoltando le parole di un Marotta ottimista – che il Derby abbia segnato una svolta nella contesa con Icardi. Ma realismo vuole che si ripensi ad altre partite gettate al vento dai nerazzurri e che ci si chieda se non abbia vinto, una volta di più, lo spirito del Derby.

TEMPESTA A TRIGORIA, RESTI DI UNA ROMA SOGNATA

Sentito Ranieri? "Avanti cosí e non entriamo in Champions. Allora vedrete che alla Roma resteranno in pochi…". Vi sembrano le parole di un allenatore, di colui che deve curare il corpo e lo spirito dei pedatori? A me no. Per me è l'Intervento di un Commissario straordinario; e in effetti fin dall'annuncio del nome del sor Claudio ho immaginato che gli americani (alias Baldini) avessero scelto non tanto il tecnico che correggesse le scelte dell'innocente Di Francesco bensí l'uomo, il personaggio, l'antico tifoso, il Cincinnato che mettesse ordine nella squadra prima di ri-andarsene. Ma Ranieri la Roma l'aveva vista poco, impegnato com'era nell'inutile tentativo di salvataggio del Fulham. L'avesse vista bene, credo che avrebbe rifiutato l'incarico. È, questa, una Roma perduta, anzi: i resti di una Roma sognata – con Alisson, Strootman, e primancora Salah e i suoi fratelli venduti al miglior offerente – cercano di supplire a tante assenze di qualitá, ma non ci mettono il cuore perché solo due sono i "core de Roma", De Rossi che c'è e non c'è, e Florenzi ch'è forte quando è coi forti. Contro le mezze figure la Spal del coraggio (è una tradizione, già nei Sessanta la chiamavamo "la corsara di Ferrara" con soddisfazione di Pavlón Mazza) diventa squadrone, l'avete vista, e addirittura si concede sortite di casareccia magía quando il giovane Petagna si sente "chiamato" a far gol dal nonno che allenava la Spal ai tempi dei "giovani" Capello e Reja (e miei).

Saccheggiando il repertorio lirico/musicale viene fuori anche una Roma Bugiarda già nelle intenzioni: un tifoso mi ricorda una battuta di Monchi, il Grande Innovatore che disse "noi non vendiamo, noi vinciamo", subito contraddetto dai fatti, cosí come quando si rifugia, la Bugiarda, pateticamente sotto le ali del Capitano Totti al quale si attribuisce la chiamata di Ranieri, come se il "l'ha detto lui" restituisse la sicurezza perduta di un'altra Roma, la "Maggica". C'è tempesta, a Trigoria e dintorni, ma in un bicchier d'acqua; spariscono o faticano a tornare i toni accesi di certe polemiche e nonostante i padroni americani che hanno promesso grandezza si rivivono momenti da basso impero giallorosso, come ai tempi del "Ciarra" – il Peppino Ciarrapico traghettatore andreottiano – felicemente sfociati nella stagione di Franco Sensi, l'Ultimo Imperatore scudettato. La sentenza di Ranieri è disarmante e grave, rimanda a un fine stagione in cui va in scadenza la cambiale del futuro. La Champions dei milioni, non delle vittorie. Per il presente serve poco parlare di Karsdorp, Nzonzi, Marcano, Cristante, Pastore, Kluivert e Schick, e addolora – parlo di chi ama il calcio – il repentino tramonto di Zaniolo il Piccolo Principe.

FORSE L’ULTIMA PARTITA DI SPALLETTI

Forse l'ultima partita di Spalletti. Forse l'ultima sfida: a Icardi, a se stesso, alla ragione ch'era stata riportata da Marotta con fatica, respinta per l'ennesima caccia ai fantasmi di un tecnico di valore che si perde negli anfratti di problematiche psicologiche. Come un ragazzo. L'Inter vincitrice del Derby più per demerito del Milan che per i suoi numeri è caduta davanti alla Lazio giocando una delle sue migliori partite, per carattere, per impegno fisico, per audacia. Le mancava solo il bomber, centonove gol seduti in tribuna accanto alla strega di San Siro, colei che – business a parte – ha rappresentato a Milano quello ch'era stato il Caso Totti, con un'altra moglie, con Ilary che un giorno, con la schiettezza di una donna libera, aveva sancito "Spalletti è un piccolo uomo", non entrando nel merito tecnico – Totti era forse arrivato al capolinea – ma nel contesto personale. Oggi s'è visto che Spalletti è in cerca di vendette, come se potesse giovargli la crisi dei Migliori. Totti l'ha fatto andar via da Roma, Icardi lo farà cacciare da Milano. E forse lo seguirà. Resterà pur sempre un'Inter devastata dalla scarsa autorevolezza dei suoi dirigenti, forse vittime di cineserie come quelle denunciate da Capello e Sabatini prima di scappare da Suning e da Nachino.

Per fortuna di chi non ha partito il match è stato bello, soprattutto dopo il gol di Milinkovic, un gesto di forza e qualità che ha costretto l'Inter a rincorrere il pari fino alla disperazione. Fino al 94'. Sprecando gioco perché priva di Icardi, rappresentato da un Keita voglioso e giocoso ma niente più. E Spalletti ha le sue colpe perché non ha mai indirizzato il gioco a terra, lasciando che i suoi si dedicassero a continui cross che una difesa alta e solida respingeva puntualmente cogliendo al tempo stesso anche ottime risposte in contropiede che solo un grande Handanovic ha impedito che diventassero gol. Non appagato dall'inutile strage di cross – e dai tiri sbagliati di Politano – Spalletti ha mandato in campo anche Candreva, il più noto cross Man del mondo, palle inutili al centro di Fort Apache, nessuno che tentasse manovre rasoterra, unico modo per sorprendere Strakosha. Il dramma dell'Inter non deve far passare in secondo piano l'impresa della Lazio, ammirevole non solo per il presidio difensivo e il buon lavoro a centrocampo ma per un impegno fisico eroico soprattutto nei rovesciamenti di campo con azioni in contropiede magistrali. E ora anche Inzaghi sogna la Champions.

CASO ICARDI NON E’ CALCIO, MA FICTION DI CATTIVO GUSTO

L'estate scorsa, a Cervia, in una notte stellata, Massimo Moratti confessò a una folla "interizzata" il dispiacere di avere liquidato Baggio dopo che nel finale di stagione del campionato '99-2000, a Verona, in una partita di spareggio per accedere alla Champions League 2000-01 con il Parma, Robi era stato il grande protagonista, realizzando due reti nel 3 a 1 che aveva qualificato l'Inter. E basta. Fine di un'altra storia dolorosa. Non mi piace tirare in ballo Baggio – uomo e calciatore di grandi qualità, liberato d'ogni incubo dal maestro Carletto Mazzone a Brescia – in una vicenda stucchevole, anche penosa, costruita immagino involontariamente dall'Inter senza che i suoi dirigenti – quelli di lungo corso in particolare – cogliessero la somiglianza fra il "Caso Lippi-Baggio", finito a pesci in faccia e minacce di querele, e il "Caso Spalletti- Icardi". Mi stupisce che ancora non sia intervenuto in difesa del tecnico nerazzurro Renzo Ulivieri, colui che caparbiamente – finché la città non lo piegò – cercò di impedire a Baggio di giocare nel Bologna, invocando la filosofia dello spogliatoio e il primato del tecnico sui giocatori; mentre non mi ha stupito l'intervento pro Spalletti di Sacchi, un altro "mezzo amico" di Robi. Ha detto, il Saggio di Fusignano, di condividere la scelta perché " se resti in infermeria per quaranta giorni non puoi essere in forma come gli altri. Per rispetto al giocatore e al resto dello spogliatoio occorre puntare su chi fisicamente è preparato". L'avvocato Sacchi avrebbe fatto bene a consultare il cliente che nello sproloquio domenicale ha fatto sapere che Icardi avrebbe potuto giocare anche un tempo ma aveva scelto di escluderlo "per riguardo agli altri". Gli altri che con Maurito giocavano meglio, e spesso vincevano, e senza un centravanti/bomber son finiti, come domenica, sconfitti sul campo e contestati da un pubblico esasperato. Già, come la mettiamo con "gli altri" cui Spalletti riserva particolare rispetto mentre denigra Maurito? Risulta, senza smentite, che Icardi e la "pericolosa" consorte abbiano partecipato a una festicciola fra amici organizzata da Roberto Gagliardini in onore della sua compagna Nicole Ciocca: foto e filmati documentano la presenza di Lautaro con Agustina, Maurito con Wanda, Politano, Ranocchia, Keita, D'Ambrosio, Candreva, Padelli e altri. Pace fatta…con lo spogliatoio, dunque. Assenti – ovviamente – i croati Perisic e Brozovic che mi risulta abbiano dato vita all'operazione "degradare il capitano" con l'ormai rivelato intento di "balcanizzare l'Inter", iniziativa fallita perché è saltato l'acquisto di Modric, il leader della tentata rivoluzione croata.

Ho ricostruito questa vicenda che mi ha amaramente rivelato uno Spalletti che non conoscevo, con il quale ho avuto colloqui piacevoli e istruttivi, senza mai pensare che il Caso Totti, a Roma, fosse nato dalla sua singolare intransigenza, sempre rivolta ai giocatori di personalità e qualità tecnica, evidentemente per dominare la scena senza concorrenti. Mi son dovuto ricredere. Peccato. Questo non è calcio. È una fiction di cattivo gusto. È un melodramma intitolato "Inter, la Traviata". Il seguito – se Maurito non scenderà in campo a Genova – su "Chi l'ha visto?". Scomparso dopo l'armistizio tradito. Da Spalletti. (Se non lo sapete, questo era il titolo di una rubrica della 'Domenica del Corriere" del dopoguerra, quando si cercavano uomini perduti. Non pedatori appiedati.

PARTITA LA VOLATA PER LO SCUDETTO DEI PERDENTI

Se per lo scudetto vero c'è voluto poco per essere certi dove si andasse a parare – e cioè con l'ottavo consecutivo della Juventus, il quinto con Allegri in panchina -, con il Napoli di Ancelotti che ha provato a tenere testa ai bianconeri prima di arrendersi, mettendo in freddo la qualificazione Champions e poi volgendo lo sguardo all'Europa League per provare a vincerla, discorso diverso è per lo scudetto dei perdenti, ovvero la lotta per la qualificazione alla Champions League del prossimo anno. Roba da parecchi milioni di euro: la musichetta magica segna, infatti, il destino di società e uomini. E sono lì, in diverse, in pochi punti, a lottare. Un piazzamento, quello Champions, che – oltre alla Vecchia Signora – premierà i partenopei ed altre due squadre, ma per il quale lottano almeno in cinque in quello che si preannuncia un volatone finale per le ultime sette gare fino al 26 maggio. Chi ha qualche vantaggio sulle altre, sembra essere l'Inter del giovane presidente Zhang. Il pari dei nerazzurri con l'Atalanta non sposta di molto il vantaggio della squadra di Spalletti sulle altre (+5 sulle quarte), ma tiene sempre viva quella dell'ex Gasperini che aggancia il Milan al quarto posto, per la prima volta nel corso della stagione. Altro che pensiero alla Coppa Italia.

Con la sconfitta di Torino all'Allianz Stadium, dopo essere anche andato in vantaggio ed aver mostrato una certa facilità nel tenere testa, il Milan si è sciolto sotto i colpi bianconeri non appena Allegri ha messo in campo Pjanic e Kean. Il bosniaco ha ridato ordine e testa, il ragazzino l'ha messa dentro come ormai fa da alcune settimane e per Gattuso è calata la notte. Leonardo alla fine ha provato a difendere il mondo rossonero, ma è evidente che senza Champions tutto diventa molto complicato. Si rialza la Roma, che come sempre in casi estremi ha bisogno di aggrapparsi a qualche colonna. Nel recente passato, era stato il capitano Francesco Totti a sbrogliare qualche matassa, a Marassi è toccato ancora una volta all'ex Capitan Futuro De Rossi segnare la rete che rimette i giallorossi in corsa per la Champions. E poi ci sono i cugini biancocelesti: con il pari all'Olimpico contro il Sassuolo, le ambizioni sono un pò calate ma fino alla fine la squadra di Inzaghi non mollerà sicuro. E' un'altra occasione mancata visto che con Spal e Sassuolo i punti portati a casa ammontano a uno e si rimane a -3 dal Milan e dall'Atalanta, quindi dal quarto posto, con una gara da recuperare che non va dimenticata e che potrebbe cancellare le distanze.

SE FOSSI AGNELLI MI BATTEREI PER ABOLIRE LA VAR

Se fossi Andrea Agnelli mi batterei per l'abolizione della Var che ormai è diventata un immondezzaio dove ogni settimana, ad ogni partita, si scarica una Juventus fatta a pezzi dai media – anche quelli un tempo prestigiosi – e dai social, da sempre, invece, una nauseante discarica. Sto provando – e chiedo scusa – a capire la sensibilità del presidente juventino, cosí poco Agnelli quando al gol abbraccia Nedved e s'avvinghia alla compagna, ricordando suo padre Umberto ch'era un ultrà elegante (ossimoro?) capace al massimo di esibire l'aura del potere per illuminare il popolo bianconero che da sempre non appartiene a un club ma a una azienda. Non a caso l'Avvocato fu rimosso dalla presidenza per aver messo a rischio la salute della Fiat acquistando il costosissimo Vialli. Umberto non avrebbe tollerato che la macchina del fango lavorasse per infamare la sua Juventus dal giorno in cui un gruppetto di umarell l'ha messa al mondo. "Uno strumento per aiutare la Juve, non c'è più Moggi, agli arbitri ci pensa lei". Oggi la conferma degli stercorari che parlano apertamente di corruzione arbitrale e non s'accontentano di dire "c'era un rigore contro la Juve, l'arbitro non l'ha dato neanche dopo l'esame Var: perché?". Seminando sospetti. O cavandosela col dire – come un tempo – che la Juve è cosí forte che non ha bisogno di aiuti. Ma gli haters non si fanno imbonire, sputano la loro rabbia di perdenti. E non oso pubblicare un florilegio di insulti e di immagini che stanno facendo il giro del mondo infamando anche il Bel Paese non pago di essere scuola di ladri e di mafiosi. Cos'avevano promesso, i signori del Var? Possibile che l'abbiate dimenticato? La tecnologia – dicevano Tavecchio e Nicchi, poi Rizzoli – porterà pace nel calcio, basta con le risse della domenica sera e del lunedì che piacevano tanto a Blatter: la Federcalcio e l'Aia inaugurano un nuovo stile. Daremo lezione all'Europa, al Mondo. Visti i risultati credo che sia nato solo un nuovo business del quale nessuno vuole parlare.

Ma torno alla Juve, al giovane Agnelli che possiede una macchina strapotente, trebbiatrice di scudetti e insulti. Ho vissuto le stagioni di Boniperti e di Umberto. Anche in confidenza con gli uomini senza mai celare gli errori della Juventus al punto che ho pagato di tasca mia l'Evento che produsse Calciopoli, il famoso "caso Ronaldo". Poi, dopo la punizione sportiva, la B quasi invocata, la rinascita affidata ai migliori, dirigenti e calciatori. E adesso devono tutti accettare che i perdenti nati si creino alibi grazie a arbitri ch'erano bravi e sono stati distrutti? L'età mi permette di dire a Andrea Agnelli che fra dieci/vent'anni quando si parlerà di questo clamoroso filotto di scudetti gli archivi di Google vomiteranno anche migliaia di post sulla Juve che vinceva perché gli arbitri la favorivano. Contento Agnelli? Contento Elkann? Signori, questa è la Var.

JUVE PENSA ALL’AJAX E IN CODA LA BAGARRE CONTINUA

Con lo scudetto matematico (e in tasca da tempo) della Juventus che il Napoli ha spostato appena un po' più in là, passando sul campo di un Chievo che torna in B dopo 12 anni, attenzioni concentrate sulla lotta per non retrocedere, appassionante quanto quella per un posto nell'Europa che conta. E anche in questo si parte proprio da lì, dalla Juventus. Allegri ha tenuto a casa tanti big e lanciato diversi ragazzotti a Ferrara, infischiandosene di polemiche e retropensieri dei colleghi che stanno faticando per restare a galla. Mihajlovic (Bologna) e Andreazzoli (Empoli) hanno fatto molta fatica ad accettare le scelte votate al rischio minimo da parte del tecnico pluricampione d'Italia. Complici anche diversi acciacchi, la testa della Juve è solo all'Ajax. Il sorriso sornione di Semplici dopo l'impresa spallina è il simbolo di una giornata all'insegna del 'volemose bene' a favore di chi naviga nei bassifondi. I già citati tre punti per la Spal; il buon pari del Bologna contro una Fiorentina che ha appena ritrovato Montella dopo il burrascoso addio di Pioli ma che appare smarrita; lo 0-0 della Via Emilia tra Sassuolo e Parma; il Cagliari che ha fatto un altro passo in avanti a Torino (Cairo ha puntato il dito contro Irrati, ipotizzando anche 'spintarelle' a favore del Milan).

L'Udinese – che mercoledì torna all'Olimpico contro la Lazio furiosa – ha invece ben figurato a lungo contro la Roma del redivivo Dzeko, perdendo di misura. In attesa dell'Empoli, che stasera proverà l'impresa contro la lanciatissima Atalanta, ha pagato pesantemente dazio solo il Genoa, se non altro perchè ha perso – malamente – il derby contro Quagliarella (di nuovo capocannoniere in solitaria) e soci. Flebili speranze ancora per il Frosinone, sconfitto dall'Inter che consolida, con qualche difficoltà di troppo, il terzo posto alla vigilia delle sfide con Roma e Juventus. In ballo c'è in sostanza l'ultimo posto verso l'inferno. Sono a un passo dal traguardo Sassuolo e Cagliari, a quota 37; il Parma e la Spal sono due lunghezze più giù, poi c'è il Genoa (34) che preoccupa soprattutto per la scarsissima vena realizzativa; l'Udinese (32) può sfruttare il jolly del turno da recuperare, quindi Bologna ed Empoli, oltre al Frosinone. Sei giornate alla fine, un calendario da scrutare con attenzione: contano scontri diretti e motivazioni – molto più dei nomi – delle prossime avversarie. Spal-Juventus ha insegnato proprio questo.