La Barba al Palo di Italo Cucci

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PALERMO IN C UNA MAZZATA AI CULTORI ROSANERO

Alla fine di maggio del 2004 andai a Palermo. Trovai la città dipinta di rosa e con le tracce di una festa grande non esaurita, pronta a ricominciare, come un San Silvestro che vuole consumare anche il Capodanno. Uno spettacolo, davvero, anche perché le tante bandiere, bandierine e gli striscioni, insieme ai giornali aperti come vetrine, salutavano il ritorno del Palermo in Serie A con quella sparata di rosa prevalente sul nero che era davvero un messaggio di felicità. Aspettai ore davanti alla "Favorita" (dedicata alla memoria del mio nobile amico Renzo Barbera) finché un piccolo corteo di auto scaricò in mezzo a una piccola rappresentanza di popolo Maurizio Zamparini. Il presidente del Palermo, il Doge veneziano aveva appena colto il frutto della sua intuizione e del suo lavoro ricostruendo un sogno che per anni era stato un incubo. Pensai a Renzo: "Non è il tuo stile- gli dissi mentalmente – ma va bene lo stesso". Un anno dopo quei colori, quei drappi – sdruciti – quelle bandierine – sbiadite – c'erano ancora. Adesso la città è come spenta, non c'è rabbia, almeno quanto uno se l'aspetta, neppure rassegnazione, la retrocessione in C mentre stavi riassaporando il ritorno in A, quasi trentamila a vedere Palermo-Cittadella, è una mazzata non al Palermo calcio di Maurizio Zamparini ma alla Palermo di tanta gente che con un po' di pallone altolocato stava meglio.

Ho sempre pensato che il calcio abbia ragion d'essere se è abbinato all'allegria, risultato finale di un percorso che può essere anche accidentato, sconfitte, pareggi, vittorie, piccoli drammi, finte tragedie sanate dall'urlo del gol, come quando alla Favorita c'era Toni bomber, tanto per dire. Ho sempre pensato che il calcio debba esser anzitutto un gioco, forse anche un business realizzato per costruire un gioco più bello. Non è più cosí: mi guardo intorno, ascolto, leggo, il mio mondo particolare é diventato come quello che ci sta intorno, una continua esibizione di malessere e odio che spesso tracima dal web. I titoli sul Palermo affondato sono il top, ma qualcosa non va neppure nella vittoriosa Torino, per non dire Milano, Roma, Firenze…Mi consolo, all'improvviso, dopo aver dubitato anche della lealtà di certi avversari, con la clamorosa affermazione del "mio" Bologna, l'unica Buona Notizia che mi ha raggiunto nelle ultime ore. E ho ripensato a un convegno milanese organizzato qualche tempo dopo la morte di Candido Cannavò, il direttore della Rosea con il quale avevo condiviso tanti anni di mestiere talvolta bisticciando (in prima pagina) spesso concordando sull'esito finale del nostro lavoro: divertire. Allora un altro collega che non c'è più, Daniele Redaelli, mi fece ritrovare con l'allora direttore della "Gazzetta", Carlo Verdelli, per parlare di un sogno di Cannavò che sarebbe stato bello realizzare: il Giornale delle Buone Notizie. È morto lí, appena nato nel pensiero, perché qualcuno dice che le buone notizie non si vendono. E intanto, con quello che passa il convento – quest'Italia intristita e avvelenata – i giornali non si vendono più. E il calcio, il mio calcio, non diverte più. Sí, emoziona, eccita, ma quanto sono rari i sorrisi.

TRA SOGNI E INCUBI, LOTTE CHAMPIONS E SALVEZZA INFIAMMANO IL FINALE

Ho fatto un sogno. Ho sognato che Juventus-Atalanta e Napoli-Inter erano le partite di cartello della prima giornata del campionato 2019-2020. Senza Allegri, senza Spalletti. Un bel cominciare, dopo la stagione della noia, l'ottavo scudetto della Signora e quel finale finto vivace per un posto in Champions e Quattro Grandi che giocano nello stesso giorno, alla stessa ora…Poi mi sono svegliato. Solita roba. Potevo fermarmi prima a godermi – si fa per dire – Empoli- Torino, Mazzarri bastonato a casa sua (vive a Empoli) o meglio ancora Parma-Fiorentina, ennesima umiliante batosta per Montella che Della Valle intende confermare per punire i tifosi protestanti. Sí, meglio le battaglie della Zona Salvezza, vera e emozionante, rispetto alla lotta in Zona Champions che è stata onorata dall'unica squadra che l'ha già conquistata, il Napoli allegro di Zielinski, di Ciro Mertens, di Fabian Ruiz.

Come nel sogno, assenti Spalletti e Allegri. L'Inter si è dissolta, come se il suo allenatore sapesse d'esser lì a battersi non per sé, ma per Conte e pensa "chi me lo fa fare", paradossalmente coadiuvato da Icardi, lui pure felice se Conte rinuncia perché non ha la Champions.

Si deciderà tutto domenica con Inter-Empoli e Atalanta-Sassuolo. Non vedo l'ora. Non vedo l'ora che finisca un campionato falso e bugiardo che mi ha fatto vedere – clamoroso – una pessima partita di Cristiano Ronaldo. Se doveva onorare Allegri l'ha fatto a modo suo: fottendosene. Max si è dovuto accontentare di spargere sentite lacrime con Barzagli, il suo accompagnatore nella mesta uscita dalla Juve che dopo la conferenza stampa del Dolce Divorzio lascia un interrogativo…angoscioso: Agnelli, che ha parlato tanto, convincendomi, di scelte aziendali condivise, deve spiegarmi che capoazienda intelligente è quello che allontana un Allegri Vincente e aziendalista (l'ha detto lui) senza avere già il sostituto. Mi fido di Agnelli, l'allenatore lo ha già ma non può nominarlo perché sta ancora su una panchina. Giochiamo a fare il nome? Simone Inzaghi è con la Lazio, e poi? Giochiamo. Giochiamo con la Juve. Che non ha solo monopolizzato lo scudetto ma anche l'attenzione globale. Un sogno? Un incubo.

(ITALPRESS).

LA DOMANDA E’ COME DEFINIRE ALLEGRI

Certo conta molto immaginare come andrà a finire la Sfida dei Novanta – e ne parleremo – ma l'interrogativo pressante è un altro: come definire Allegri. Secondo Andrea Agnelli: separato con dolore; secondo Max Allegri: rinuncia aziendale; secondo i critici moderati: anno sabbatico; secondo gli avversari, licenziato; secondo gli haters, esonerato (manca il parere di Adani che mi sembra a sua volta inguaiato: allontanato il suo nemico può dire di aver vinto, sempre che Sky, per pareggiare i conti non decida di fare a meno dell'estetista). C'è poi un amico livornese, malfidato e linguacciuto, il quale avendo saputo che io ho apprezzato la signorilità del Dolce Divorzio richiamandomi addirittura all'antico Stile Juventus, mi ha scritto poche ma sentite parole:"Svegliati nonno! Max è stato tradito. Rivediti quel bacio di Andrea, è il bacio di Giuda, basta che guardi come l'ha schivato Max…".

Prendo su e porto a casa. Mi dicono che l'Allegria sarà il gioco dell'estate ma non credo. Intanto, sono convinto che la Juve abbia già scelto il successore e non ne faccia il nome solo perché sta ancora lavorando. In Italia. Coinvolto nell'ultimo round che in 90' e rotti dovrà decidere retrocessioni e Champions. Dunque: in Italia – dicevo – Simone Inzaghi e Sinisa Mihajlovic per questioni bolognesi; Gasperini perché impegnato a sua volta con De Zerbi nella ricerca di un posto in Champions; in Spagna, Zidane che non ne può più; in Inghilterra, Sarri per unanime disegno degli estetisti, disposti a definirlo figliuol prodigo piuttosto che traditore, qualifica spettante solo a Higuaìn detto Giudaìn.

Amettiamolo: la caccia al mister bianconero è un divertimento e vi partecipiamo tutti contenti per evitare di approfondire: 1)l'indecorosa cacciata dal club giallorosso di Daniele De Rossi che non è certo come Totti "core de Roma" ma sicuramente cervello e muscolo, tutta roba apparentemente da beccaio di Testaccio in realtà da protervia bostoniana ; 2) l'inesplicabile crollo della Fiorentina che, cacciato l'incolpevole ma debole Pioli, s'è messa nelle mani del bi-esonerato Montella forse per far dispetto agli ingrati ultras viola; 3) le ultime parole di Spalletti ch'é sortito dal San Paolo seppellito di gol eppur convinto di aver giocato bene, sereno, più che mai paroliere con la solita musica, al punto di convincere i malpensanti che, perdendo l'Inter il posto in Champions, allontanerebbe dal soglio nerazzurro l'ambizioso Conte.

Un bel guazzabuglio, insomma. E vi risparmio – con la scusa che è…fuoriserie A – il Caso Palermo: l'ultima spiaggia della cosiddetta giustizia sportiva. Domani è un altro giorno. Si vedrà. "E non c'è niente di più triste/ in giornate come queste/ che ricordare la felicità…".

LIBRO CUORE DE ROSSI E LACRIME EMPOLI DA RISPETTARE

Le lacrime da Libro Cuore di Daniele De Rossi sono belle da

raccontare, anche se cinicamente già dall'addio di Totti si

potrebbe parlare di una Roma da piangere; le lacrime dell'Empoli

sono da rispettare, da condividere: non meritava di retrocedere la

squadra che più di ogni altra ha rivelato la ridicolaggine

dell'Inter già palesata – in termini tragicomici – con la pochade

calcistica del triangolo Spalletti – Wanda – Maurito. Non so se

Antonio Conte – euromilioni a parte – sia ancora così convinto di

prendere a mano una squadra tanto scombiccherata, condannata a

tremare fino all'ultimo istante dai ragazzi tuttocuore di

Andreazzoli. Che fino all'ultimo istante ha rischiato di farcela.

Giuro che avrebbe più meritato la Champions l'onesto Milan di

Gattuso che rischierà invece l'affronto dell'allontanamento da una

squadra che ha riabilitato. Racconto sentimentale, quello

rossonero, ben diverso da quello romano: il lavoro di Ringhio, che

non è un Top ma un lavoratore serio, dovrebbe prevalere

sull'affarismo e sulla presunta sapienza dei vip Leonardo e

Maldini che non hanno incoraggiato il loro compagno.

Con l'Inter in Champions a spese dell'Empoli s'è chiuso il

campionato in alto e in basso. Ho sentito i cronisti esaltarsi per

la bellezza del gran finale. Forse non lo sanno o glielo vietano:

la contemporaneità delle partite ha fatto spettacolo. Come un

tempo. Così voglio ricordare anche un altro penoso dettaglio da

Calciobusiness: la VAR di Reggio Emilia ha fatto ridere,

trasformando un colpo di mano di Zapata in un tocco di mento. Per

carità, l'Atalanta ha meritato il successo, poteva conseguirlo

senza un arbitraggio infelice. Ricorderemo questo campionato come

uno dei più buffi, tragicomici, a partire dalle recite di

Spalletti che ha voluto chiudere il campionato come il vero

protagonista di un film all'italiana, tipo "Amici miei" tutto

toscaneggiante, dunque evocando lo stesso Allegri che esce di

scena come uno sconfitto. Colpevole di aver vinto

cinque-scudetti-cinque. Ma che calcio è, questo?