La Barba al Palo di Italo Cucci

Home La Barba al Palo di Italo Cucci

OK ITALIA NEGLI STATES, SPALLETTI UN SIGNOR ALLENATORE

Italia ok. Vittoria faticata ma giusta contro un avversario serio. Un bel gol di Pellegrini in apertura, un capolavoro di Barella in chiusura. Gente che corre, ragazzi che si cercano e spesso si trovano. Solidali (l’Orso bolognese entra e si rende prezioso in difesa poìfa l’assist decisivo a Barella). Peccato che dopo il colpaccio di Pellegrini al terzo minuto per mezz’ora non s’è visto lo stesso vigore del primo tempo. Spalletti chiede a Raspadori di fare il Retegui: non si somigliano neanche nei piedi, ma capisco come lavora il Ct. E’ un maestro, cambia studenti ma non cambia lezione, undici “nuovi”, all’inizio – rispetto al Venezuela – che stanno assorbendo “il nuovo”, e il nuovo non è solo la difesa a tre – dettaglio per me meschino – ma velocità calibrata, passaggi a misura, possesso palla intelligente, tenerla a vuoto è solo segno di incertezza. E non dico di paura perchè l’Ecuador non ne fa, anche se ce la mette tutta. Come il Venezuela. Ammirevole la capacità difensiva. Alla nostra maniera, visto che Spalletti ha proposto una difesa interista. La migliore d’Italia. Col portiere del Tottenham, Vicario, l’esordiente che fa la sua figura. Ma Donnarumma non trema.
Un allenamento al posto giusto. Nel mondo. Davanti a un pubblico vero, di appassionati che hanno il piacere di vedere l’Italia del poker mondiale; e magari voglia di batterla, c’è sempre una Corea in agguato. Valgono molto meno le amichevoli nostrane per ragazzi abbandonati dai grandi campioni, sciaguratamente sostituiti da stranieri. Chi è il leader? “La Merica” dice Retegui, entrato nel finale solo per migliorare il risultato di un’amichevole striminzita. Il dibattito su Raspadori continua. Chiesa è in crisi.
Ho visto tanto calcio “italiano” a New York. Una tourneè nel ’71 con il Bologna, avversari il Santos di Pelè e il West Ham di Bobby Moore, ci andò bene con gli inglesi. Poi gli “spettacoli” – e niente più – di Long John Chinaglia, Pelè e Beckenbauer nel Cosmos 1975. Primo impegno serio, con la Nazionale, nel Torneo del Bicentenario 1976, avversari l’Inghilterra, il Brasile, il Team America: ci va bene con inglesi e americani, male con il Brasile. Il torneo finisce nella storia azzurra solo perchè registra l’avvento di Bearzot sulla panchina e l’addio di Bernardini che ha aggiornato e vivificato la Nazionale Azzurro Tenebra di Stoccarda ’74.
Poi il Mondiale ’94 perduto per un pallone da rigore spedito in cielo. E basta. Il resto conta poco. Sì va in America a allenarsi. Avversari “minori” gagliardi come l’Ecuador – trentunesimo del ranking – non ne avevo mai visti e non conto tanto sul significato tecnico della partita quanto sulla “investitura” americana di Spalletti. Un signor allenatore che – con le dovute quanto chiare differenze – mi ricorda proprio Bernardini e Bearzot, due signori italiani che in Nazionale non hanno portato solo schemi di gioco ma educazione e passione. Tutto sommato l’America porta bene .
PS: Niente VAR. Che bello.
(ITALPRESS).

DONNARUMMA E RETEGUI SALVANO LA NUOVA ITALIA DI SPALLETTI

Mateo Retegui – l’oriundo argentino di San Fernando diventato
italiano grazie ai nonni di Canicattì e di Sestri Levante – e il
soluto Donnarumma hanno salvato e portato alla vittoria la Nuova
Italia di Spalletti. Nella ripresa. Anche con fortuna.
21 marzo: un Rondon fa primavera. La Nuova Italia di Spalletti
comincia così, con un colpo di fortuna: al 2′ Scalvini introduce
una giocata infelice che porta Buongiorno a falciare il
centravanti venezuelano in area: è rigore, ci pensa proprio
Rondon, Donnarumma gran parata. Forse adesso i tifosi italiani gli
vorranno più bene. Magari ricordando che l’Europeo c’è lo regalò
proprio lui, a Wembley, ai rigori. Il provvidenziale tocco magico
del Destino porta a ironizzare sulle presunte magie escogitate da
Spalletti, accolte da molti critici come una rivoluzione rispetto
al triste final della stagione di Mancini. L’Italia comincia con
il 3-4-2-1 e rivela la attualissima (quanto antica) frattura fra i
tattici: difesa a tre o difesa a quattro? Vogliamo parlarne? Ah,
la difesa a tre è il futuro. Peccato che l’inventore, Gasperini,
abbia perso la panca dell’Inter proprio per averla proposta ai
buongustai della Beneamata. Non diamo i numeri, pensiamo agli
uomini. (E alla divisa dei nostri, un poco nobile pigiama).
Preferisco individuare i problemi della Nazionale – da Mancini a
Spalletti e i tempi che verranno – non tanto nel modulo quanto
nella modestia della formazione pur vittoriosa che il nuovo ct è
costretto a costruire con gli italici resti di un campionato ormai
“straniero”. Bravi ragazzi, probabilmente adatti alla predicazione
virtuosa di Spalletti che ha presentato per l’occasione le sue
Tavole della Legge. Ma se non ci fossero stati Donnarumma il Gran
Venale quel rigore avrebbe trasformato Fort Lauderdale in un
inferno. E invece proprio l’ultima scoperta di Mancini, Retegui,
ci ha fornito un assaggio di Paradiso con due gol belli e
preziosi. Ma il gioco, reso più vivo dai venezuelani che dagli
azzurri, aveva riportato all’inizio della contesa con l’1-1 di
Machis provocato da un impiccio di Bonaventura. Tutto sbagliato,
tutto da rifare. E il modulo non c’entra, c’entra piuttosto la
modestia dei nostri. Compreso Chiesa, che d’abitudine riteniamo
potente risolutore: non è più lui da tempo. Come la Juve.
Nell’intervallo tv Del Piero propone calcio, potassio e magnesio
ma a me resta la nostalgia dei suoi tempi. Di un Mondiale vinto
quando non ci credeva nessuno. Mentre oggi, magari solo per
qualche ora, la Fede spallettiana s’ammoscia e chiede lavoro,
lavoro, lavoro. E qualità superiore. Ma dove prenderli, i Nuovi
Campioni? Non escludo che i mercanti che hanno smontato l’Azzurra
si portino a casa Salomon Rondon, il miglior bomber nella storia
del Venezuela. Avanti così. Non mi sento di muovere critiche al ct
che ha accettato un incarico da Comandante Coraggioso, ma se
l’Italia è questa Spalletti dovrà escogitare qualcosa di più
importante, non un modulo. Chi ha inventato il Napoli scudetto può
e deve fare di più.

SERIE A TORNEO DELL’EUROPA MINORE, JUVE STANCA E NOIOSA

Dicono che il match clou sia Inter-Napoli. Mi adeguo. E mi dedico dubbioso alla sfida che un anno fa avrebbe emozionato mentre stavolta ha solo riportato in scena – con un pareggiotto nel gran finale – l’ultima grande delusione del calcio italiano: il Napoli a Barcellona e l’Inter a Madrid hanno salutato la Champions; e subito dopo Milan, Roma, Atalanta e Fiorentina hanno invece fatto un passo avanti nelle Coppe…di riserva dando agli appassionati una notizia triste e una magra consolazione: la nostra Serie A è diventata un torneo dell’Europa Minore. E facciamo gli snob con gli Arabi che almeno hanno i petrodollari. Presto scopriremo che tanti nostri club sono segretamente arabizzati. E il peggio ha da venire. Dico della Nazionale di Spalletti che, priva di campioni italiani, farà fatica a riconquistare il suo posto al sole; così come Mancini, privo di campioni arabi, dovrà fare un lungo e paziente viaggio prima di realizzare una Signora Squadra. Ma ci riuscirà.
Nel frattempo, per 45 minuti gli orfani di Osimhen non fanno un tiro in porta – il migliore è Meret – mentre i ragazzi di Inzaghi ci provano spesso e al 43′ vanno in gol con Darmian, assist di Bastoni, difensori alla ribalta; Barella spadroneggia, la luce di Lautaro non s’è accesa. Alla ripresa, il buio è collettivo. Non c’è più neanche l’Inter. E Juan Jesus in un risveglio azzurro all’81’ pareggia. I critici torneranno a discutere Inzaghi, Calzona ha fatto la sua parte.
Con tutto il rispetto per il Napoli scudettato – da ieri a 9 punti dal Bologna – e l’Inter, pronta a ricevere la consolante seconda Stella, la vera protagonista della domenica dopo il pareggio col Genoa è la Juventus. O meglio: quella squadra che si chiama Juventus. Ma non lo è. Io che posso, vi racconto che una Juve così dimessa e scoraggiante l’ho vista cinquant’anni fa, quando Carlo Parola tornò sulla panchina bianconera al posto di Vycpalek che gli consegnava una squadra malridotta. Protetto dal neo presidente (e suo ex compagno di squadra) Boniperti, Carlo vinse subito lo scudetto ma già l’anno successivo si perse nei capricci dei giocatori, alcuni dei quali “storici”; dico di Bettega, Furino, Capello, Anastasi. Così, pur secondo in classifica, Boniperti lo sostituì con Trapattoni. E nacque la Juve vincitrice di tutte le Coppe.
Anche Allegri – il superscudettato – ha i suoi campioni, ma non ho neanche voglia di nominarli visto com’è ridotta la Signora velleitariamente giovane ma sul campo priva di energia, stanca, noiosa, ormai presa a schiaffi da tutti, grandi e piccoli. Eppure – direte – è terza dopo le milanesi, in Zona Champions. Come no? Ma se non si cambiano le regole – dico la riforma del Campionato da 20 a 18 squadre e una drastica riduzione degli stranieri – saremo sempre nell’Europa Minore.

L’INTER DI INZAGHI VERSO L’ARCO DI TRIONFO

Inter, Milan, Juventus, Bologna. Una classifica così mi ringiovanisce di vent’anni. Il riferimento riguarda non le Tre Signore ma la compagine rossoblù: prima a brillare in Europa nell’anteguerra, la squadra di Renato Dall’Ara, sparito lui – che tuttavia la lasciò in Coppa dei Campioni nel 1964 – ha avuto rare occasioni europee, l’ultima, pensa un pò, in Coppa Intertoto, nel 2002-2003. Questa premessa rossoblù oltre a immalinconire il vostro cronista serve a presentare l’ultima vittoria dell’Inter, avviata a cogliere un altro clamoroso successo, com’è nel sul stile. Come dire profumo di Triplete. La Beneamata è infatti riuscita a far cadere uno dei pochi tabù della Serie A: il bellissimo Bologna di Motta subito all’andata in campionato e in Coppa Italia. Finito l’anno delle incertezze Simone Inzaghi ha cambiato strada e ha portato la sua squadra sul Viale della Vittoria verso l’Arco del Trionfo. Credetemi, per una squadra così è bello recuperare il linguaggio dei tempi belli, dico la stagione del Mago portato a Milano da Angelo Moratti. Ma c’è di più, l’ingresso e l’avanzata dell’Inter nel 2024 è stato semplicemente perfetto: 13 vittorie in 13 partite, un’infilata di scontri diretti con Fiorentina, Juventus, Roma, Atalanta e Bologna, la Supercoppa Italiana in Arabia Saudita, l’andata degli ottavi contro l’Atletico Madrid, tutto fa ricordare, come dicevo – la stagione del Triplete di Massimo Moratti. Giorni fa l’ho visto entrare ad Appiano Gentile, l’ho sentito confessare l’emozione per il ritorno a casa e fare complimenti tuttocuore all’Amata: “Voglio vedere cosa c’è di uguale rispetto ai miei tempi. Questa Inter mi sta divertendo tantissimo perchè è molto forte e gioca bene. Lautaro è un campione e ha classe, anche se nella mia squadra avevamo Milito, un altro grandissimo argentino”. E finalmente quelle parole che tolgono i dubbi sospettati a inizio campionato: “Inzaghi? Mi ha stupito, è molto bravo e cresce sempre di più. Averlo è una fortuna, non solo perchè gestisce bene la squadra ma anche perchè la fa giocare bene. Guardare l’Inter oggi è un piacere: è super favorita per lo scudetto, perchè è più forte e ha continuità”.
Prendo nota ma da biografo di Massimo mi viene un sospetto: adesso che si è alleggerito di impegni petroliferi, proprio mentre il giovane amico Zhang è nei pensieri, non è che gli sia tornata la voglia di fare il presidente dell’Inter.

LE PENE DELLA JUVE, LA PENA DELLA VAR

Ho visto Raspadori vincere la partita più attesa. Era in agguato, lucido, preciso, implacabile. Gol. Alla faccia – mi si permetta la leggerezza – di Garcia e di Mazzarri che lo sottovalutavano mentre io ne difendevo il ruolo decisivo. Finalmente ha avuto l’occasione e l’ha freddamente colta. Adesso voglio vedere se e come il Napoli riuscirà a risalire la china fino alla Zona Champions. L’avverto – amichevolmente! – che dovrà vedersela con il (mio) Bologna, diventato da sogno solida realtà.
Onestà vuole che si spendano parole di elogio anche per la Juventus che ha combattuto da valorosa sfortunata. Il suo valore rende prezioso il successo del Napoli. Ma non consola il popolo bianconero.
Piaccia o no agli incontentabili – e schizzinosi – tifosi bianconeri, la Signora è l’assoluta protagonista – anche negativa – del calcio nostrano. Calcisticamente, fornisce quotidiana materia d’interesse con gli angosciosi interrogativi sul destino di Allegri. I suddetti schizzinosi non gli danno conto dell’abbondante raccolta di scudetti fatta nelle sue (storiche) stagioni, sognano – i futuristi – Zizou Zidane, i reazionari Antonio Conte.
Inascoltati, naturalmente, dalla società che ha ben altre rogne da grattare sicchè la panchina della Juve è l’ultimo problema.
Qualcuno avanza l’ipotesi che l’assenza di Pogba sia un problema della squadra, balle: il club non è andato in sofferenza per colpa di Ronaldo, ma per la costosa inutilità del francese culminata nel doping, in quattro anni di squalifica. La fine di un investimento in una valanga di milioni scatenata dal bravo quanto avventuroso Raiola. C’è di più: John Elkann ha problemi…di mamma e nello sport preferisce dedicarsi al futuro della Ferrari che non ha cent’anni agnelleschi ma è comunque la ricchezza di famiglia.
E le spiate dove le mettete? L’ultimo scandalo italico, organizzato nel cuore dell’Istituzione e indagato dalla Procura di Perugia, riguarda non solo i politici e certi imprenditori ma la Juventus. Non per il finto italiano di Suarez ma per l’indebita appropriazione mediatica di documenti riservati di Andrea Agnelli, Massimiliano Allegri, Cristiano Ronaldo e del presidente Figc Gabriele Gravina, per molti accostamento non casuale.
Se a Torino parlano di persecuzione non hanno tutti i torti.
Dallo scandalo emergono indiscrezioni riguardanti anche i dati sensibili di Claudio Lotito e mi piace immaginare che il presidente della Lazio abbia raccolto in dossier tante prove per portare alla ribalta – e alla sbarra – la classe arbitrale. La partita Lazio-Milan non è l’ultima ma la più vergognosa esibizione del Mondo Var, per l’occasione rappresentato dall’arbitro Di Bello. Le acrobazie – in buona fede – di Rocchi non salveranno la confraternita colpevole di aver cercato, ottenuto e gradito la tecnologia che la sta condannando alla sparizione. Al proposito, mi infastidisce l’arrivo in gruppo – dietro a me, da anni solitario fuggitivo – di sapientoni che hanno tardivamente scoperto la sciagurata Var e la criticano dopo averne esaltato le qualità. La Pacificatrice del povero Tavecchio – intortato da figurone arbitrali – è diventata la Madre di tutte le Risse. Com’è capitato in altri tempi – e in altre situazioni – ho denunciato quasi solo la procurata rovina del calcio ma pur di vederla cancellata accetto anche mala compagnia.
[email protected]
(ITALPRESS).

L’UMILTA’ DI INZAGHI, I GOL DI LAUTARO: L’INTER DOMINA CON CLASSE

Confesso la mia colpa. La mia parte di colpa. Sì, i media cercano disperatamente di tenere in vita un campionato che l’Inter sta dominando con disinvoltura e classe, senza minimamente lasciarsi andare a giustificate rodomontate. Diciamo la verità: un Helenio o un Mourinho avrebbero organizzato fuochi d’artificio e liturgie lussureggianti se si fossero trovati a cominciare un anno con dieci vittorie consecutive. E avremmo ascoltato chissà quali lezioni di calcio, e confronti con le grandi d’Europa, e garanzie di chissà quali trionfi negli anni a venire. E invece…
Forse gli faccio un torto raccontando dell’umiltà professionale – non retorica – di Simone Inzaghi. Dico umiltà, non modestia, e l’ammanto di virtù pedatorie – innegabile la potenza realizzatrice come l’accortezza difensiva – perchè altrimenti qualche bauscia a piede libero potrebbe dire che non è da Inter esser potenti ma moderati, soddisfatti ma prudenti, lieti ma appena sorridenti. Signori insomma. Sto dedicando a Simone l’elogio della saggezza quando invece la Pazza Inter si godeva abitualmente l’elogio della follìa.

Eppure la nuova Beneamata ha acquisito un ruolo addirittura regale grazie a questo panchinaro piacentino cresciuto nella nebbia prima di farsi grande sotto il sole di Roma: uno che non filosofeggia, ignora la recita dell’affabulatore, evita accuratamente l’ironia madre di fraintendimenti. E’ un borghese realista. E visto che c’ero, a viverlo con la giusta partecipazione emotiva, per rallegrarlo gli rammento un’altra rarità di stile: quello di Trapattoni quando, casualmente seduto sulla panchina nerazzurra, vinse nell’89 un campionato straordinario creando un’Inter travolgente che spiacque soltanto a quei succitati bauscia che non sopportavano le origini milaniste e i trionfi juventini del Trap. Fu una stagione trionfale, Giovannino fischiava e la Beneamata macinava primati: 58 punti su 68 disponibili (record per i tornei a 18 squadre); maggior numero di vittorie complessive, 26 su 34 gare; maggior numero di vittorie in trasferta, 11 su 17 gare; miglior attacco della stagione, 67 gol segnati; miglior difesa della stagione, appena 19 gol subiti. E i 22 gol di Aldo Serena, un campione senza albagia, educato e riservato nonostante la frequentazione straordinaria di grandi club.

Proprio come Lautaro Martinez che a Lecce firma la doppietta che lo porta a quota 101, Zona Favola, e lui non si esalta, non diveggia, non ha ancora pensato che se a fine stagione l’Inter metterà sulla maglia la seconda stella sarà molto merito suo. E naturalmente – dico io – di quell’Inzaghi che quando arrivò a Milano fu salutato da tanti patiti dei Pooh, signori di San siro, come se fosse un cugino di campagna.

L’INTER UNA FAMIGLIA E UNA MACCHINA DA GUERRA

Ho tentato – col pensiero – di trovare un avversario, per l’Inter. Difficile impresa, Inzaghi ha trasformato la Beneamata un pò pazza in un’allegra macchina da guerra. Basta guardarli, Lautaro e i suoi fratelli, per sfruttare quel termine spesso usato abusivamente: sono una famiglia; insomma: una squadra. La Juve, chiamata anche a rallegrare la Famiglia un pò in crisi proprio nel glorioso centenario, la rattrista vieppiù con un’espressione di gioco che rasenta l’impotenza. Brava, l’Udinese, ma ha fatto più fatica a contenere il Cagliari che a battere la Signora. E il Verona? Possibile che a Torino non abbiano ancora capito che i veronesi sono i loro peggiori nemici? Io lo so da una lontana Coppa dei Campioni. Continuano a vendicarsi…
Ed ecco il Milan, cui ho pensato di attribuire stragrande voglia di fantaderby, e invece a Monza – confuso e sfilacciato, cresciuto solo nel finale per stanchezza degli avversari eppur piegato da un umiliante 4 a 2 – mi ha fatto fare una figuraccia. L’Inter è davvero di un altro mondo. Ma Milan o no, non mi arrendo, in mezzo secolo di ribaltoni ne ho visti tanti. E il 10 marzo c’è Bologna-Inter. I rossoblù potrebbero voler festeggiare il sessantesimo anniversario dello scudetto vinto proprio con la Beneamata, alla quale i bolognesi amano dar fastidio. Come con quel malefico recupero che le costò lo scudetto del 2022. Il Bologna piace alla gente cui piace il calcio. Nota aggiuntiva, un pò maligna: tanto non dà fastidio a nessuno. Dicano quel che vogliono: se volete vedere calcio, di questi tempi, a parte la strepitosa Inter, guardate Zirkzee, Orsolini, Ferguson e compagnia. E ammirate Motta. Il mister young che fa coppia, in Europa, con De Zerbi. Può darsi che di qui alla fine del campionato non vi resti molto d’altro. Aggiungerei la Roma di de Rossi, accompagnata da un interrogativo imbarazzante: Lui li amava, ma non vi sembra che l’abbiano tradito? Parlo di Mourinho. A parte Lukaku, che fa sempre il leone, e l’alternante Dybala, in buona fede, gli altri fanno pensare alle iene. Ridentes. Sarà perchè è la Maggica, sarà perchè è De Rossi, così vivaci s’erano visti raramente, i giallorossi.
Divertirsi. Certo non con il Napoli, ormai col cuore degli ultimi minuti, tanto, per dire che c’è Mazzarri, lo specialista dei finaloni. Spifferano – o vogliono, in tanti – che sia sul punto di essere sostituito. Può essere. E’ capitato a Garcia, da qualcuno rimpianto. Ma non parlatemi di Giampaolo, neppure per gioco. Cantare “buongiorno tristezza” dove fa allegria anche Georlier sarebbe follia. Il Napoli deve cercare ancora di onorare la Coppa e avviarsi a un fine stagione dignitoso, magari europeo. Ma tocca ai giocatori, agli Osimhen, a quelli che hanno intascato l’Oro di Napoli, provare a guadagnarselo.

POETICO E GRINTOSO, GEOLIER MEGLIO DI KVARATSKHELIA

Non sono un calciodisfattista ma confesso che Geolier mi ha divertito più di Kvaratskhelia. Lui è Napoli davvero, tratto poetico e grintoso; la squadra scesa a San Siro (che Sala lo conservi) è l’unica che fa divertire il Milan, Pioli e i rossoneri non eccelsi. Da quella sera in cui Giroud cacciò Spalletti dalla Champions. E ha fatto bene a ricordarlo, De Laurentiis. Altro che fole psicologiche. A lui raccomando – en passant – di pensarci bene prima di riacquistare un crack africano che sul più bello ti molla e ciao Osimhen, ciao Zona Champions. Poi dicono che Kvaratskhelia non è più lui.
Non sono severo con Mazzarri perchè ne sono stato complice e sarebbe vile abbandonarlo, ma dovrebbe almeno spiegarmi perchè è arrivato convinto che Raspadori sia appena una pezza – come pensava anche Garcia – mentre prima dell’iniqua fustigazione era il tocco vitale a una squadra che andava in abbiocco. Il ragazzo adesso è scarico. E infatti era la batteria azzurra.
Il Napoli ha concretamente il diritto di non essere il fulmine di guerra della scorsa stagione – capita dopo le grandi vittorie, l’altro giorno l’ho paragonato alla Nazionale bearzottiana di Mexico 86 – ma ha il dovere di sottrarsi a un malinconico tramonto, di battersi anche – come in parte ha fatto iersera, sfortunato con…Maignan – con la rabbia dei poveri. Il che m’induce a pensare al danno che produce la ricchezza quando piove improvvisa anche in testa ai gregari. Credo che don Aurelio debba impartire ancora qualche piccante benedizione.
Non nascondo – perchè non sono chic, nè caviar o champagne, solo un pò cashmere pasta e fagioli – che guardo, ascolto e assimilo canticchiando il Festival di Sanremo. Stavolta ho adottato Annalisa (ma l’avete vista – incensurata – in concerto con Elodie, il più bel rosso-nero dopo Gianni Rivera!?) e i Negramaro, miglior squadra del Salento trionfante a Sanremo mentre il Lecce crollava a Bologna. Mi dispiace per l’amico Pantaleo Corvino ma credo che con i rossoblù di Motta di ‘sti tempi sia dura per tutti.
Dovrei essere ovviamente soddisfatto – dico da tifoso rossoblù confesso – ma m’inquieta l’idea che qualche vip possa sbolognarlo. E neanche potrei sconsigliarlo visto quant’è bravo.
Un pensiero all’Inter, tanto brava e convincente da indurre al silenzio le sirene juventine. E tutti coloro che, con malcelato e sciocco stupore, continuano a dirla favorita dalla VAR. Mavalà! La VAR non è cattiva. E’ solo terribilmente stupida.
[email protected]
(ITALPRESS).