La Barba al Palo di Italo Cucci

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LA SUPERLEGA E LE MIRABOLANTI PROMESSE

Non ho partecipato ai ludi cartacei e televisivi in onore della “A22”, che non è l’Autostrada del Brennero ma l’ente miracolistico aspirante al ruolo di Lourdes del calcio europeo. La sentenza della Corte di Giustizia d’Europa è stata accolta trionfalmente non si sa se comprensibilmente in odio all’UEFA di Ceferin o perchè è arrivata sotto forma di superdono natalizio consegnato al popolo da un Babbo Natale esotico, Bernd Reichart, CEO di “A22 Sports”, la società nata per sviluppare la nuova Superlega; la prima, va ricordato, ridottasi a un circolo per pochi intimi – Real, Barça e Juve – ha praticamente rovinato Andrea Agnelli ed è il motivo che mi spinge ad accogliere non negativamente ma con grande prudenza le mirabolanti promesse del signor Reichart: che ha già diramato il format del Nuovo Calcio d’Europa “più inclusivo, con partite garantite e introiti molto più alti rispetto alle attuali competizioni. Dove miliardi di tifosi potranno guardare tutte le partite della Super League gratuitamente in diretta”. Ecco, questo è il dettaglio populistico che mi ha reso più sospettoso, una sorta di sparata elettorale messa subito in dubbio dall’ormai celebrato Calcio Business e dai tempi annosi e oscuri dell’Euroburocrazia.
Per mia fortuna, il Vecchio Campionato ha cancellato le mie paturnie proponendomi fin dal mezzogiorno antiche e godibili storie di pallone come se ne scrivevano tanto tempo fa. Frosinone-Juventus mi è parsa fatta apposta per rispondere ai rivoluzionari dell’A22: bel calcio, non solo esibizione di spirito provinciale, di ultradifesa montata fra prudenza e paura; no, sul piano del gioco una qualità già offerta dai ciociari nell’increscioso 4-0 al Napoli, esibita ieri anche contro i bianconeri in forma piana e corretta, trame semplici sostenute da un forte impegno fisico. Avrebbe meritato di vincere, la squadra di Eusebio Di Francesco, ma non ha potuto concedersi il lusso di sparare nelle battute finali, come la Juve, un certo Vlahovic, bomber di razza con pause di svogliatezza.
Ma la storia più bella – una favola italianissima corretta dall’ormai trionfante scelta multietnica – è quella di Kenan Yildiz, il goleador diciottenne che ha consentito alla Signora di evitare una figuraccia. Per Yldiz era la prima partita da titolare e è andato gol dopo 11 minuti, diventando il terzo marcatore bianconero più giovane di sempre, dopo Kean e Coman, e il più giovane straniero in Serie A con i suoi 18 anni, 7 mesi e 19 giorni. Prima da titolare in Serie A e primo gol già dopo 11 minuti: nato in Germania da genitori turchi e presto in gol, giovanissimo, con la nazionale di Montella. Ha studiato da juventino toccando subito un tasto del cuore dei tifosi quando dopo il gol ha fatto la linguaccia: “Un omaggio a Del Piero – ha spiegato il ragazzino – una leggenda di questa squadra”.
Per una giornata all’antica ci metto anche Bologna-Atalanta, quel gol di Ferguson nella festa di Zirkzee e il quarto posto consolidato in Zona Champions. Poi, uno stadio, una città che canta il suo amore rossoblù insieme a Lucio Dalla. Emozioni e commozione da bel calcio antico…

LA POESIA DEL BOLOGNA E LA ‘BENEAMATA’ CHE VOLA VERSO LA SECONDA STELLA

Campionato di Serie A, 17 dicembre 2023, una giornata storica. Almeno per me – tifoso confesso del Bologna da sempre, senza ipocrisia – e per i rossoblù che attendevano da generazioni la loro squadra ai vertici della classifica, addirittura quarta dopo Inter, Juve e Milan, l’aristocrazia nazionale. Voilà, Zona Champions, secondo me il Bologna non l’ha mai conosciuta. E’ rimasto in Coppa dei Campioni, fino al 14 ottobre 1964, quando l’Anderlecht lo ha bruciato al sorteggio, una monetina caduta male, addio sogni di gloria. E se parlo di storia – credetemi – non esagero. Basta pensare che a quei tempi le squadre oggi in Zona Champions erano tutte invitte, mai retrocesse. Poi si defilò il Milan seguito dal Bologna e dalla Juve. E’ rimasta solo l’Inter, lassù…prima, primissima, come oggi, scampata al rischio Sarri – oggi menzionato soprattutto in memoria di antiche imprese del Comandante – e alla tenace spinta juventina alla rinascita spentasi improvvisamente a Genova anche per un arbitraggio avverso (estrema umiliazione per la ex strapotente Signora). Storia per la storia: la Beneamata tende decisa, bella e potente, all’Olimpico con Lautaro e Thuram, alla seconda Stella.
Grande – dicevo – la soddisfazione per Motta: il piacere di avere risvegliato l’orgoglio di una città e di un presidente, Saputo, che fino a ieri ha coltivato solo speranzielle, non sogni, mai illusioni, estranee – ne sono convinto – alla mentalità di Thiago, il miglior allenatore italiano del momento, insieme a De Zerbi. E a Spalletti, ovviamente, intento a fare il giro delle sette chiese (Coverciano, Bambin Gesù, Vaticano, Atreju, Sinistra, Destra e il trionfo da cittadino onorario di Napoli) che rappresenta il culmine di una carriera.
La passione rossoblù non mi ha mai spinto a realizzare cronache enfatiche e velleitarie, anzi: la ventennale lotta per un decimo posto in classifica è stata una lunga linea grigia depressiva. Ma l’esperienza mi ha felicemente guidato alla scoperta del Nuovo Bologna quando i rossoblù, il 24 settembre scorso, hanno strapazzato il Napoli scudettato aprendo ufficialmente la crisi di Garcia. Lo spunto me l’ha dato una squadra risorta – ahimè troppo straniera, ieri gli italiani del Bologna a inizio partita erano solo due – grazie a una stella nascente, Joshua Zirkzee.
Del quale scrissi – con largo anticipo sugli attuali titoli squillanti – “l’olandese studia da campione: come controlla, come si muove, come spara, gli servirebbe un aiuto più concreto di quello che a volte riceve casualmente dagli esterni. A un buon Bologna, al bravo Motta un solo consiglio: è ora di togliersi il (naturale) complesso d’inferiorità. E ai tifosi già soddisfatti: riguardatevi Zirkzee, minuto per minuto, e tornerete a sognare”. Con giudizio, preciso oggi. A notte ho ricevuto un messaggio dello scrittore Davide Grittani: “La poesia c’è ancora. Viva Bologna”.
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(ITALPRESS).

SIAMO IN PIENO CALCIO ALL’ITALIANA

Vi ricordate Guardiola e il Guardiolismo? Sarri e il Sarrismo? Erano talmente di moda che nel 2018 Sacchi (naturalmente fornito di Sacchismo) li invitò a cena a Milano Marittima e insieme – dopo aver posato per i fotografi – trascorsero qualche ora a parlare del calcio d’oggi. Alla fine dei mangiari romagnoli si ebbe una sorta di comunicato firmato dal Pep che sottolineava il punto della giornata e l’accoglienza nel Club dei Migliori di Maurizio Sarri: “E’ uno dei più forti in assoluto. Per sapere se un allenatore è bravo bisogna vedere come giocano le sue squadre, si capiva già con l’Empoli che Sarri ha stoffa. La forma con la quale interpreta calcio è un brindisi al sole. In questi anni, mettersi sul divano e vedere alla televisione il Napoli è stato uno spettacolo. Se verrà in Inghilterra, come dicono, sarà un piacere ritrovarlo”. Un gran piacer non fu, almeno per Sarri, che pur avendo ottenuto un titulo col Chelsea accorse al richiamo della Juventus. E lì, assoggettato al carisma e ai gol di Cristiano Ronaldo, l’ex Comandante mise fine al suo sogno di volare più in alto. O di godere della normalità, sana virtù di sopravvivenza. Guidando la Lazio è diventato un altro. E il Sarrismo è finito in archivio.
Ma vi ricordate gli accesi dibattiti televisivi di quei tempi suscitati soprattutto dai successi della Juve di Allegri? Erano state create due scuole – Risultatisti e Giochisti (che io ribattezzai estetisti) – ma in realtà si trattava, televisivamente, di “Uno contro tutti”, alla Maurizio Costanzo: l’Uno, Allegri, e i Tutti rappresentati da opinionisti scelti fra ex giocatori e tecnici che – salvo casi rarissimi – non hanno mai vinto niente e son lì – ancor oggi – a giudicare i vincenti. Alcuni hanno fatto carriera e adesso offrono commenti calibrati, ovvero inutili.
La situazione, oggi, presenta un quadro storico, l’ennesimo confronto fra Inter e Juventus mentre il Milan ruzzola e il Napoli cerca inutilmente se stesso. E il report tecnico/tattico è preciso, siamo in pieno calcio all’italiana. Ed è bello, significativo, che Inter e Juve ne presentino le due facce essenziali: la Beneamata ha recuperato i sensi aggressivi e vistosi della stagione herreriana conditi di prudenza murignana, secondo sua natura; la Signora è tornata – lo dico per chi non c’era, non sa o non vuol sapere – ai tempi e ai modi della ricostruzione bianconera avviati da Parola e Vycpalek finchè non arrivò il perfezionista, Giovanni Trapattoni, Maestro e Campione d’Italia. La cui eredità – nella forma più moderata e cinica – sta spendendo Massimo Allegri.
Ho appena letto un messaggio – schifato – di un accanito critico di Allegri che potrebbe chiudere la pratica dialettica mentre prosegue la sfida sul campo: “La Juventus – dice – dopo aver battuto Fiorentina, Cagliari, Monza, e pareggiato con l’Inter, batte anche il Napoli con un gol di testa di Gatti. In nessuna di queste partite ha avuto il dominio del possesso palla, con Fiorentina, Monza e Napoli non ha superato il 34%, in pratica, ha vinto tre partite su quattro lasciando pallone e campo all’avversario, come una volta facevano le squadre piccole, che perciò venivano definite provinciali”. Una medaglia al valore. Ne voglio una anch’io. Ciao giochisti.

DA QUI AL 26 MAGGIO NE VEDREMO DELLE BELLE…

Il principe Antonio De Curtis – diciamo Totò – la metteva giù pesante: “A volte è difficile fare la scelta giusta perchè o sei roso dai morsi della coscienza o da quelli della fame”. Il mio problema non è così grave e tuttavia mi richiama – come in questo caso – a una scelta non libera ma professionale: che partite di campionato vedere fra venerdì e lunedì? La domanda nasce dallo Spezzatino; una volta ti affacciavi alla domenica e dentro c’era tutto, dalla A alla Z. Adesso scelgo: beh, diciamo la Zona Scudetto. Bravo. E beccati Milan-Frosinone. Non critico le ambizioni delle squadre provinciali, a me più care della cosiddette Grandi; dico solo che è venuta fuori una velleitaria voglia di scudetto che sfiora il ridicolo. Quante sono a metà dicembre – prima del famigerato panettone – le candidate al tricolore? Inter, Milan, Napoli, se Motta va avanti così anche il Bologna; e perchè no la solida Atalanta o la scombiccherata Fiorentina. Da qui al 26 maggio 2024 ne vedremo delle belle… Ma c’è la Juventus che passa anche delle nottate prima in classifica e tuttavia, quando gioca con il Monza e lo batte, non dice che è una partita/scudetto. E Max Cortomuso precisa: “Puntiamo alla Zona Champions”. Una cinquantina di milioni di budget, fa capire il ragionier Allegri, e subito trasforma la Signora decadente in un apparato amministrativo – l’ho definita la Juve dei commercialisti – che ha uno scopo preciso, la Rinascita, contenitore di realtà anche crude, di volontà aziendali, di duro lavoro, di sentimenti avari, non di speranze o di sogni. Quasi una discendente dell’antica e cinica Signora Omicidi. L’ha precisato John Elkann, non pensa di vendere, vuole ancora vincere, come il cugino, lo zio, il nonno e mettiamoci anche i Padri Fondatori di Famiglia. Era il 24 luglio 1923 quando il giovane Edoardo Agnelli assunse la presidenza della società. E io per l’occasione dello storico centenario ho realizzato un bel libro sulla Vecchia Signora agnelliana e l’ho dedicato anche a Jaki, il quale ha ringraziato ed è finita lì. Qualche cerimonia, nessuna festa quando la squadra non vince e il club è assediato da giudici, avvocati, inquisitori sparsi, detrattori sciolti o a pacchetti. E’ così che il calcio di Allegri sta riconquistando il vertice, giocando per vincere con uno spirito nuovo – diciamo di sacrificio – lasciandosi alle spalle le scelte (quelle sì di incoscienza) di chi vendeva Dybala e cercava di liberarsi di Rabiot, che oggi è il capitano di una squadra di pirati forti e aggressivi. Se ci saranno nuove feste – chi può escluderlo, vista una squadra così – omaggeranno la Juventus 101, è sarà quella della carica, come nella favola. Ricordate i Dalmata? Hanno un leggiadro mantello bianconero…

CAMPIONATO EMOZIONANTE CON SPIRITO ALTISSIMO

Bel campionato. Emozionante. Forse calcio un pò moscio, ma spirito altissimo. Ecco dove nasce il divertimento: dall’Inter che continua a fuggire solitaria esibendo alti numeri di varietà come il gol di Dimarco, un sinistro da 50 metri che fulmina l’onesto Frosinone infine vittima (2-0) dell’entusiasmo nerazzurro; e dire che Simone Inzaghi non piaceva agli snobboni di San Siro; dalla Juve furbastra (non più cinica, come vorrebbe la sua storia di Signora Omicidi) che la incalza fingendo di esser lì per caso, secondo il neo filosofo vattimiano del pensiero debole Massimiliano Allegri; dal Napoli che si arrende al fattucchiero Andreazzoli maestro di calcio, ciao Rudi; dal derby romano fascinoso non solo per la bellezza delle coreografie delle curve ma per un episodio che segnalo con spirito deamicisiano ritoccato da Trilussa: l’abbraccio fra Sarri e Mourinho, complici affettuosi dopo le ostilità verbali della vigilia, con il Comandante che sghignazza per quello che lo Specialone gli ha detto all’orecchio. E il poeta romano padrino di Sandro Ciotti avrebbe commentato: “Spesso, più che la stima, è la prudenza che ce consija a fà la riverenza”. Con Re Mou a Roma bisogna viverci. Insisto: mi son piaciuti, quei due: crescono con fatica eppure già si meritano lo scudetto della popolarità. Sì son divisi Roma con l’ironia. Per merito loro il derby non è più una guerra.
Poi le brutture, immancabili da quando è nata la Var rinforzante e disarmante. Ditelo ai leccesi. Loro disarmati, il Milan rinforzato. Adesso lo hanno capito tutti, anche i legalitari affascinati da Tavecchio con quella macchina delle illusioni, ma pochi hanno il coraggio di gridare – come faccio da anni – che lo strumento malmanipolato finirà per ridicolizzare il calcio, l’unica cosa seria di un Paese poco serio.
Sto forse ignorando il fattaccio del giorno? No, son passate lunghe ore e sto ancora aspettando che il Papa Aurelio – esibitosi con smorfie rivelatrici in tribuna – annunci la scomunica di Rudi Garcia, quello che non riuscirà a mettere la Chiesa Azzurra al centro del villaggio, secondo il proverbio francese che rivelò a Roma promettendo – eccone il significato – vittorie che rimettessero le cose al loro posto. Il posto l’ha perduto lui – immagino – e lo dico io che l’ho difeso perchè considero la prematura cacciata di un tecnico l’inizio di una crisi più profonda. Eppure doveva saperlo, Garcia, che Andreazzoli gli avrebbe mollato una fregatura. L’ho raccontato per radio ai napoletani alla vigilia: quand’era a Roma Rudi aveva avuto modo di conoscere – se non di studiare – le mosse del collaboratore tattico che sussurrò anche a Spalletti. Mentre il Napoli cincischiava abbruttendo fin Kvaratskhelia e Raspadori, il “povero” Empoli metteva in scena Difesa e Contropiede – calcio spettacolare – davanti al pubblico del Teatro Maradona, prima avvilito poi furioso. Infine dannato alla sofferenza perpetua se è vero che Garcia sarà sostituito da Igor Tudor. Che mi fa pensare a Gattuso. Forse Papa Aurelio non ha pensato che mò viene Natale e ha già deciso, per castigare tutti, di anticipare la Quaresima. Amen.

GARCIA, MOU, ALLEGRI, INZAGHI…IL BELLO DEL CALCIO E LE SCELTE VINCENTI

Il bello del calcio – per chi lo racconta, ma anche per gli innamorati consapevoli – è veder realizzate le proprie scelte. Scelte giuste e sofferte, naturalmente. Non quelle comode, legate al Supermister, al Superbomber, ai Superricchi. Conservo da mezzo secolo un insegnamento del mitico Conte Rognoni: “Quando va allo stadio, in tribuna stampa – mi diceva – ascolti quello che dicono i cosiddetti maestri. E scriva il contrario”. Oggi che allo stadio non vado più – anche per non essere trattato da maestro (rimbambito) – leggo e ascolto i più noti opinionisti e dico e scrivo il contrario. Ricetta alla quale aggiungo un dettaglio infallibile: punto sui giovani.
Difendo Garcia fin dall’accoglienza insultante che molti gli hanno dedicato e fino ad oggi – con la collaborazione di De Laurentiis – mi è andata bene. Soprattutto da quando, avendo gridato il nome di Raspadori come un lupo notturno, Garcia ha deciso di farlo giocare. E come dico io: antico Dieci con forza fisica attuale. Non faccio confronti, non mi piacciono. Sottolineo il suo rendimento che non fa rimpiangere Osimhen. E il Napoli va avanti, anche senza il suo campionissimo.
Difendo Mourinho perchè cava sangue da una Roma smorta e dà spettacolo come un vero mago che manipola una realtà modesta e la fa diventare spettacolare. Più di Silvan, meno di Helenio, fa magie: riempie l’Olimpico come se fosse Vasco Rossi, terrorizza come Hitchcock, perdendo, poi ti esalta e vince con uomini – come Dybala e Lukaku, i grandi rifiuti dell’estate – che ha voluto e ricostruito con fatica. E lancia giovani, ricchezza del domani, quando forse non ci sarà più, a Roma, perchè essere considerati bravi tout court – di fama – è molto più bello e meno faticoso che diventarlo sul campo, lavorando e incassando insulti e ingiustizie. AvantiArabia. Come canta un artista romano, “il cielo è sempre più Mou”.
Difendo Allegri perchè credo al suo calcio, anche se sembra insopportabile – corto muso e altre bischerate – da quando opinionisti a piede libero han deciso di contestarne non le sconfitte – ci sta – ma le vittorie. Il baby Miretti, vent’anni, firma il successo fiorentino, mica Vlahovic, mica Chiesa – i venduti viola – e la Juve torna a far spavento. In particolare all’Inter che vola.
E a proposito dell’Inter – e del mio vergognoso menar vanto – adesso Simone Inzaghi è riverito. Ma ho dovuto difenderlo dal primo giorno nerazzurro, da tutti coloro – tifosi compresi – che non lo ritenevano all’altezza, condannandolo ad essere poco più che il fratello di Superpippo. L’unico che ha umiliato il loro Mou.
Il bello del calcio, in fondo, è poca cosa: avere ragione perchè lo si conosce. E avere una squadra del cuore – il Bologna – che cresce per virtù di un tecnico calcisticamente colto; e di un ragazzo coi piedi buoni, Zirkzee, che sarebbe piaciuto a Bernardini. A me subito perchè è dotato di natura. Quasi un mistero senza fine bello, come diceva il Maestro Brera. L’unico che in tribuna stampa mi martirizzava per sapere chi aveva toccato per ultimo quella palla vincente.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

GIROUD E RASPADORI DA PRESERVARE, LA JUVE METTE PAURA ALL’INTER

Napoli-Milan, finalmente una partitissima con inoppugnabili verdetti personali. Pioli – dal vantaggio al pareggio – impreca, Garcia – scampato pericolo – resta in panca. E applausi, tanti e convinti, per i protagonisti sul campo, Giroud e Raspadori in particolare.
Olivier Giroud (già sei gol) non è solo un campione e un santificato goleador: è il bello del calcio. Una statua dinamica, un esperto cercatore d’oro, un realizzatore armonioso. Eleganza francese, verrebbe da dire. Uno stilista “diorissimo” che stende in dieci minuti il Napoli (al 22′ e al 31′) e conquista il Maradona – illudendo il Milan – come se lì non si fosse già sentita l’orma dei suoi passi spietati.
Giacomino Raspadori (al secondo centro in campionato) non è ancora un mito ma per il Napoli è di più, è il Salvatore che fa dimenticare Osimhen il terribile dopo che Politano ha ridato attributi a una compagnia desolante. Mi applaudo da solo ma non posso non ricordare quando nelle recenti notti, battendo sui tasti del tablet, gridavo a Spalletti Italia e a Garcia Napoli: ridatemi Raspadori. Eccolo. Tenetevelo caro. Ho l’impressione – e se mi sbaglio mi perdonerete – che una sola notte di Juve prima in classifica abbia sconvolto la nemica di sempre, l’Inter che ha rischiato di vedere l’autobus di Mourinho arrivare al parcheggio col pareggio. Perchè? Perchè Inzaghi aveva di fronte non la Roma ma quel che ne restava, vista l’assenza forzata – non tattica – di Dybala, Pellegrini, Smalling e Spinazzola. I rincalzi hanno fatto miracoli, fino a quando Thuram non ha trovato la fortunata palla dei tre punti che ha riportato la Beneamata in vetta. Senza entusiasmare, anzi: i prolungati, eccitati festeggiamenti dei nerazzurri hanno rivelato (un bischero potrebbe dire spoilerato) la grande paura che avevano addosso. Ribadisco: paura di una Juve che potremmo definire – alla D’Annunzio più che alla De Amicis – la Rinascente per quel carattere battagliero che l’inedito Cambiaso traduce in vittoria.
Sì, qualcuno ha voluto attribuire ad Allegri una nuova tendenza scrivendo che è più sicuro con le modeste riserve che con i big; come dire – vista la Roma dei rincalzi, coraggiosa eppur perdente – che Max è molto più bravo di Mou. Senza notare la notevole differenza tecnica esistente fra i due gruppi e ignorando che la Signora ha sconfitto il coraggioso Verona. In realtà, la nuova Juve ha scoperto una sana modestia che rafforza psicologicamente i giovanotti non imitatori di Fagioli e un atteggiamento prudente – con contropiede in canna – che mi ha fatto pensare al grande Trapattoni. Se invece di stracciarsi le vesti Allegri imparasse a fischiare alla pecorara vedremmo in lui il nuovo Trap delle antiche trappole.
I commentari post domenicali sono praticamente condannati a parlare della lotta per lo scudetto, eppure voglio dire che l’emozione più grande, l’esibizione calcisticamente più suggestiva l’ha offerta il Cagliari del Principe Ranieri, mai diventato re perchè gli manca uno scudetto tricolore. Sovrastati dal Frosinone, i rossoblù hanno avuto una reazione generosa, e ogni gol un abbraccio al sor Claudio fino a una vittoria degna di un 4 a 3 che ci riporta nella Storia.

L’INTER RITROVA UN NAPOLI VOGLIOSO DI SCUDETTO

Milan-Juventus partita di cartello: è stato detto e scritto durante tutta la settimana cominciata con una partita da dimenticare, Inghilterra-Italia, rivelatrice dell’attuale pochezza dei pedatori italiani. E infatti il match clou o big match ha presentato le formazioni base delle due contendenti con otto giocatori stranieri a testa. Degli italianuzzi schierati solo un paio per Spalletti, che “non vede” Calabria mentre coltiva Florenzi e Locatelli. Buona notizia non solo per Allegri ma anche per il Ct: l’ex milanista/sassolese ha segnato il gol juventino nella partitissima, tale nell’attesa, deludente nella pratica. Solo emozioni nel finale.
Mi son visto con particolare interesse – premiato da un certo divertimento – il Napoli a Verona e l’Inter a Torino perchè nella pur prematura…profezia scudetto vedo favorite proprio le squadre di Garcia e Inzaghi. Le loro formazioni base, pur dotate di uomini/chiave stranieri come Osimhen e Kvaratskhelia, Lautaro e Thuram – giusto per sottolinearne i bomber – fanno respirare anche azzurrabili come Meret, Di Lorenzo, Politano, Raspadori, Zanoli, Zerbin e Gaetano da una parte e Dimarco, Barella, Darmian, Acerbi e Frattesi dall’altra. Sarò un illuso patriota ma diosolosa il danno che l’invasione di pedatori esotici – spesso anche bufale, alias fregature – hanno procurato al nostro calcio, un tempo felice di ospitare solo campionissimi: dico da Altafini a Zico per accoglierli tutti nell’alfabeto della passione.
Dicevo di Inter e Napoli, di Inzaghi e Garcia, anche per sottolineare- specialmente nel caso del francese – come il commento giornalistico tecnico sia divenuto nel tempo da pagina o…predica di competenza a esibizione isterica. Fino a pochi mesi fa Simone Inzaghi era considerato “non da Inter” da critici che ai panchinari chiedono spesso più spettacolo che concretezza, fermi come sono all’epopea del murignismo brevemente rinnovata anche dall’eccitante e eccitato Conte. Inzaghi non gli assomiglia ma è forte di idee costruttive e per dedizione al lavoro.
Il caso di Garcia è poi a dir poco scandaloso: la critica più diffusa – molto emozionabile ma non sempre competente – non l’ha accettato fin dal primo giorno e gli ha riservato cure tali da scoraggiare anche il più ottimista degli uomini. Mi piace ricordare – sennò che ci sto a fare da sessant’anni e passa a commentare il calcio? – che fin dall’arrivo di Garcia ho “tutelato” non l’uomo ma la libera scelta di De Laurentiis perchè un esonero affrettato è di solito il primo passo verso la crisi irreversibile. Ho dovuto insistere, poi DeLa ha finito di far cinema e si è trasformato nel serio gestore della sua ricchezza calcistica. Gli avevo ricordato che le contestazioni di Osimhen, Kvaratskhelia e Politano erano state nocive e andavano punite per affermare la fiducia al tecnico: ha parlato e ha minacciato i paroliberi ripetenti o nuovi di sanzioni doppie. Il risultato s’è visto a Verona, dove di solito si trovano avversari ostici e il Napoli ne sa qualcosa. Gli azzurri non saranno ancora da scudetto ma se la società tien botta sui princìpi e i tifosi/critici e i critici/tifosi daranno fiducia al tecnico si ritroverà la squadra del tricolore.