La Barba al Palo di Italo Cucci

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NAZIONALE E SCOMMESSE, VINCONO GLI “AZZURRI VERI”

L’Italia poteva anche perdere. Dopo la Macedonia tutto è possibile, anzi: l’Impossibile viene meglio. I federali – e anche gli scribi tuttocuore – avrebbero citato, addolorati e scandalizzati, la Polizia a Coverciano, la cacciata di Zaniolo e Tonali, gli Scommettitori (indagati ma in realtà già condannati al pubblico ludibrio, questo è vero) per giustificare anche un crollo maltese. Esagerando, dico fra me e me, ricordando i Carabinieri in campo alle cinque della sera di domenica 23 marzo 1980, quello sì un dramma: si presentarono nei principali stadi per ammanettare alcuni tra i più famosi pedatori di Serie A. Campioni di calcio e di scommesse. I traditori – si disse. Non voglio ricordarli, hanno pagato. E hanno anche rivinto.
E invece Spalletti ha schierato degli Azzurri veri, dei professionisti che prima hanno cincischiato poi al 22′ il “vecchio” Giacomo Bonaventura ha rotto il ghiaccio. Massì, a quel punto ho rammentato – io che posso, per età – il Signor Bonaventura, la creatura di Tofano che cominciava l’avventura, o la sventura, e finiva premiato – lui “ricco ormai da far paura”- con il fatidico foglione da un milione.
Eppoi Berardi – l’eterno e felice esule sassolese con la sua doppietta entusiasmante – e l’astro nascente Frattesi a chiudere la pratica mentre al San Nicola andava in onda un appassionato Amarcord delle notti magiche del Novanta.
Chi sa di calcio può ritrovare in questa partita la storia di una Nazionale che sa sempre sconfiggere i fantasmi del malanimo e degli scandali. Quella dei due Mondiali di Vittorio Pozzo – 1934 e 1938 – accusata d’esser frutto della dittatura; quella dell’82, ricreata da Enzo Bearzot dopo il Calcioscommesse 1980; e infine l’Azzurrissima di Marcello Lippi accompagnata dai miasmi di Calciopoli e tuttavia avviata nel 2006 al trionfo tedesco. Beh, adesso torniamo coi piedi a terra, anzi all’Inghilterra. Sperando che l’arena di Wembley – conquistata da Fabio Capello il 14 novembre del 1973 e dai ragazzi di Mancini l’11 luglio del 2021 – ci voglia ancora mattatori.
Ma non tutto può finire in gloria per un’ora e mezza di favola maltese o per un sogno inglese: il calcio italiano dovrà comunque subire un restyling – e non parlo di rivoluzione, eterna illusione – non solo morale, ovvero di parole: dovrà ritrovare lo spirito dei Custodi, meglio ancora dei Sorveglianti.
Siamo appena usciti vittoriosi dalla sua terra e voglio ricordare – a nome di tutti quegli allenatori che seppero essere maestri di calcio e di vita – il mio eterno amico Oronzo Pugliese di Turi, il Grande Controllore che non perdeva mai di vista i suoi “ragazzi”. Anche se peccavano d’una sigaretta o di un amore in più.
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ROMA DA FILM, JUVE REDENTA, GIROUD COME GRAZIANI

La Roma non è un club, è un film. Protagonista la squadra – come e più di quando c’era Totti – con Dybala e Lukaku primattori, affiancati da Josè Mourinho e – ospite speciale, nonchè regista – Dan Friedkin, di solito presidente giallorosso e produttore cinematografico, per l’occasione in scena non con un medaglione alla Hitchcock ma in presenza continua, fisica e subliminale.
La storia la sapete: Mourinho il Magnifico – risorsa commerciale assoluta, minimo 57.000 spettatori a partita, isole comprese – ha rischiato il licenziamento dopo il 4-1 subito a Genova dai rossoblù, rientrato non tanto dopo il 2-0 al Frosinone ma per uno scoop giornalistico che gli ha salvato la pelle e al quale ha poi risposto con un 4-0 in Europa League al Servette e un altrettanto sonoro 4-1 al Cagliari, quando sarebbe entrata in scena la Profezia del Licenziamento in caso di sconfitta, ritirata prudentemente e cinematograficamente da Dan Friedkin. Oggi la Roma è felice, i tifosi sono entusiasti, Mourinho ironizza (“L’anno prossimo sarò arabo”), Lukaku è alle stelle e l’unico in lacrime è la tenera Joya – Dybala – per un brutto incidente. Giusto: sudore e lacrime senza sangue, un buon passo avanti per la Roma e Mou (timori per Ranieri?) ma dietro la macchina da presa c’è lui, Dan Friedkin. Per chi non lo sapesse, breve riassunto delle sue avventure miliardarie e artistiche segnatamente nella migliore produzione di film dell’ultimo decennio: a partire dal significativo “Tutti i soldi del mondo” di Ridley Scott, a seguire “Il corriere – The Mule” di Clint Eastwood, e “Killers of the Flower Moon” di Martin Scorsese, “Destroyer” con Nicole Kidman, “Ben is Back” con Julia Roberts, “The Mauritanian” con Jodie Foster, eccetera eccetera.
E’ stato, questo, un turno spettacolare anche grazie alla Juve redenta e all’Allegri salvo, mentre John Elkann taglia teste nelle aziende e appronta felicemente i ritardati festeggiamenti del centenario Juve/Agnelli come per dire “non vendo”. Spettacolosamente bella, infine, la vittoria del Milan a Genova salvato dal bomber Giroud in veste di portiere dopo l’espulsione di Maignan, come Ciccio Graziani il 3 novembre del 1976 nel Torino, a Moenchengladbach contro il Borussia dopo l’espulsione del Giaguaro Castellini. E ditemi che il calcio non è Supercinema felliniano.
P.S. Dedico il bel pareggio del Bologna a San Siro con la Beneamata al grande giornalista Luca Goldoni che ci ha appena lasciato. Era un amico e un grande tifoso rossoblù, autore di un pezzo ‘storicò – “L’urlo della città” – dedicato alla vittoria del Bologna sull’Inter nello spareggio-scudetto del 1964 all’Olimpico di Roma.
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DIMISSIONI PAROLA D’ORDINE, E ORA LE COPPE

La parola d’ordine dei nostri tempi è “dimissioni”. Non so se oggi il calcio influenzi la politica, come tanti anni fa, quando il linguaggio dei cronisti parlamentari s’appropriava di termini usati dai cronisti sportivi. So che si chiedono insistentemente dimissioni di allenatori come se fossero ministri. O viceversa. Per ora è stato licenziato solo Paolo Zanetti dell’Empoli ma la lista d’attesa è lunga e forse comprende anche il suo sostituto, il signor Andreazzoli, che non ne viene fuori ma non trema, perchè lui di mestiere fa l’allenatore dimissionato che prende il posto degli allenatori esonerati e poi se ne va. Che bel carattere!
L’argomento dimissioni era latente, l’ha fatto esplodere Mourinho che – risultati a parte – temo resterà dimissionabile fino a giugno, quando se ne andrà regalandoci un’altra memorabile intervista.
Qualcuno ha chiesto – forse per questioni personali, chessò antipatia o altro – le dimissioni di Pioli dopo il fracasso del derby, ma nessuno ha chiesto le dimissioni di Sarri dopo la redenzione di Pioli: perchè finchè paga Lotito non si gettano soldi al vento.
Non s’illudano i critici moderati (come me) che Garcia sia scampato dopo l’abbuffata di Lecce: metà Napoli lo vuole al forno con patate sostenendo che “in fondo il Lecce cos’è, ‘na robetta!” e magari sono gli stessi che alla vigilia segnalavano la pericolosità della squadra allestita alla grande da Pantaleo Corvino augurandosi che battesse Garcia e lo mandasse a casa.
Non vado a rovistare nei quartieri medio/bassi – tipo Salerno – dove quest’anno si corrono meno rischi che al vertice e comunque non fanno l’effetto che potrebbero fare – fatemi dire – le dimissioni di Allegri dopo la lezione di calcio imposta dall’Atalanta alla sua Juve. E invece – fatemi aggiungere – Gasp ha salvato Max dimostrando che la Dea è superiore alla Signora tecnicamente e fisicamente. Dopo la batosta sassolese l’ha salvata Szczesny con parate da campione perchè Muriel e compagni sono campioni e perchè la difesa dell’Atalanta è favolosa mentre quella bianconera somiglia a un groviera prealpino. Secondo me Allegri la notte dorme più sereno della squadra di commercialisti che governano la Juve rimasta vedova di un Agnelli dopo cent’anni.
Storie di dimissioni a parte, concentriamoci sulle Coppe che tornano a provocare le reazioni delle privilegiate nostrane. Un salto nel buio per Garcia è il Real, anche se i Tafazzi locali non possono dimenticare che Spalletti la Champions l’ha perduta quando poteva vincerla. Fondamentale il confronto dell’Inter con il Benfica dal quale mi attendo la conferma nerazzurra non solo per l’esplosione di Lautaro ma per il buon lavoro di Inzaghi colpito non dal Sassuolo ma da Berardi, il bomber solitario. A proposito, fino a poco tempo fa le Belve da stadio e da penna chiedevano anche le dimissioni di Simone. Incontentabili. Mi risulta che stiano chiedendo anche le dimissioni di De Zerbi dopo il 6-1 dell’Aston Villa…

JUVE E NAPOLI LE GRANDI DELUSE, MILANESI DELUDENTI MA VINCENTI

Povera Juve. Anzi: povero Allegri. Quando s’avvicina al Mapei Stadium gli dedico da tempo – ormai un decennio – il canto delle mondine, “Quando saremo a Reggio Emilia…”. Lì c’è da riscuotere un credito – “Bella mia sei arrivata” cantano al Milan, alla Juve – e invece aumenta il debito. Un’altra sassata, un poker di gol che può annientare ogni voglia di ripresa vagheggiata dopo il ritorno in gol della coppia Vlahovic-Chiesa. E mi dico, anche se non è un suggerimento tecnico: ma perchè Max quando va a far visita al Sassuolo non indossa una corazza, non si copre come può – mica tanto, in effetti, con la difesa che si ritrova – almeno per evitare il gol\beffa di Berardi che l’aspetta?
E adesso parliamo del Napoli. Preferisco dedicarmi alle grandi deluse piuttosto che alle milanesi a loro volta deludenti ma vincenti: il Milan con un ritorno di fiamma di Leao – accidentale o segnale di totale ripresa? – l’Inter con la buona volontà di Dimarco, quello che non piace ai raffinati ma rappresenta meglio di altri la concretezza di Inzaghi. Al quale va pur detto che i suoi 5-cambi-5 sembrano più una pesca di beneficenza (vediamo cosa vien fuori) che un ragionato turnover.
Barella per Frattesi, De Vrij per Bastoni, Sanchez per Thuram, Carlos Augusto per Dimarco…Se poi metti Arnautovic per Lautaro, alla fine, sembra che vada a cercar guai…E davanti cos’ha? L’Empoli che con Andreazzoli è tornato decente dopo la disfatta romana. Niente di più.
La crisi del Napoli – ovvero del suo allenatore – è stata sonoramente annunciata da De Laurentiis con il messaggio “Il Napoli riparte da Bologna. Bravi tutti!”. Come se non avesse visto la partita – dirà un qualsiasi spettatore di Bologna-Napoli. Mannò, l’ha vista eccome e ha anticipato l’inevitabile verdetto degli ipercritici di Garcia. La cui massima colpa è aver l’aria di uno sprovveduto passante su una panchina bollente: spende gli uomini che ha ma senza certezza, sa di doverli caricare a bomba ma quando vedi Kvaratskhelia addentato dall’onesto Ndoye e Osimhen calciare un rigore come fosse un impiccio, ti sorge il dubbio che vogliano negargli il capitone e il baccalà di Natale. De Laurentiis è anche lo scaltro presidente che ha capito i fischi napoletani di Bologna all’uscita di Kvara e Osi: non erano per loro ma per Garcia. E adesso il resto lo dirà al suo tecnico. E non ho dubbi che in privato sarà con Garcia più duro dei critici.
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L’INTER PIU’ BELLA DAI TEMPI DI HERRERA, FROSINONE NUOVO DAVIDE

“I miei padroni sono i lettori”, diceva Montanelli. Io ne ho tanti e ognuno con facoltà se non di pretendere almeno di chiedere. E uno, subito, mi chiede di parlare del Frosinone che ha annientato il Sassuolo. E io rispondo che siamo in una favola nuova che si afferma a latere della citatissima sfida biblica: Davide ha sconfitto Davide preparandosi a sfidare Golia. Come fu per il Sassuolo di Giorgio Squinzi, ricco e abile imprenditore che seppe distribuire la sua potenza fin nel calcio, oggi tocca a Maurizio Stirpe, proprio in questi giorni candidato alla presidenza di Confindustria della quale è vicepresidente. Complimenti a lui e al rinato Eusebio Di Francesco: il suo Frosinone e il Sassuolo rappresentano quella misurata quota di club che resisterebbero all’invocato ritorno a una Serie A a 18 o ancor meglio a 16 squadre, quando l’Ascoli di Costantino Rozzi rappresentava la forza qualificante della Provincia.
Giustizia informativa è fatta, passiamo al frutto di una giornata di campionato che ha cominciato a costruire un pronostico scudetto registrando il franco successo della Juventus con grande gioia di quel popolo tifoso che non volle Lukaku e fortissimamente volle la conferma di Doppietta Vlahovic. Con somma soddisfazione delle concorrenti, il Napoli ha toppato anche con il Genoa pagando il noviziato di Garcia. La sconfitta casalinga con la Lazio aveva fatto pensare alla genialità di Sarri ma in realtà brillava l’ingenuità di Garcia imbrogliato tatticamente dal contropiede. Ma appena il Comandante ha affrontato Vlahovic, Chiesa e chi li ispira al contrassalto s’è vista una Lazio incapace di spendere la forza di Immobile. Fortunato comunque, il tecnico del Napoli, per avere scoperto del tutto le potenzialità di Raspadori, un gran 10 d’assalto più che un risolutivo 9 come avevo già visto in Nazionale. Proprio ai danni del pur valoroso Ciro.
Ma la motivata pretesa di scudetto – speciale, quello della seconda Stella appetito anche dal Milan – è stata rappresentata splendidamente a San Siro dall’Inter più bella dai tempi di Helenio Herrera (e chiedo scusa al Trap dell’89, al Mancio del 2008 e al Mou del 2010). Quando gioca l’Inter di Inzaghi non c’è dibattito fra giochisti e risultatisti, solo il piacere di veder calcio al massimo livello: quello che dà spettacolo e vittoria con le armi dei padri e l’audacia dei figli, alcuni dei quali – come Simone – aggiornano tatticamente Difesa & Contropiede. Una squadra aggressiva, dinamica, cinica, solare. A me – che posso – ricorda la memorabile squadra di Helenio Herrera che conquistò la prima Stella nel ’65-66 con Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani (Peirò), Suarez, Corso. Poesia. I tifosi già immaginano di cantare la gloria di Sommer, Darmian, Acerbi, Bastoni, Barella, Frattesi, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco, Thuram e Lautaro. Troppo presto? Cercasi Davide…

MACEDONIA ALL’ITALIANA NEL DEBUTTO DI SPALLETTI, MA DOV’ERA RASPADORI?

Immobile in gol per il vantaggio azzurro al 46′. Immobile Donnarumma sulla punizione di Bardhi che all’81’ dà il pari alla Macedonia. Vorrei cavarmela con una battuta, ma ne ho due, anzi tre. Partitaccia dopo slanci iniziali e mi viene un pensiero: se l’Italia avesse vinto: “Finalmente è arrivato Spalletti”. Adesso scommetto che qualcuno dirà: è la Nazionale che ha lasciato Mancini, quello sciagurato che ha iniziato la raccolta dei milioni arabi facendo una figuraccia con la Costa Rica. E una considerazione decisiva: la Macedonia ha giocato all’italiana, difesa e contropiede. Più una dose di coraggio, voglia di vincere, abnegazione, cose mancate agli azzurri che dopo il vantaggio gliel’hanno data su, come appagati.
In quel momento gridavo – inascoltato – “Datemi Raspadori!”. L’avevo visto in tivù cento volte, Giacomino, ed ero certo che me lo sarei goduto: se non lo fa giocare Spalletti, che lo conosce bene – mi dicevo – vuol dire che sta male. Stava inutilmente bene se è vero che il “suo” allenatore l’ha fatto entrare all’89°. Una burla. Prima ho visto entrare Zaniolo per Politano, Scalvini per Mancini, Gnonto per Zaccagni, Biraghi per Di Marco.
Ed eccolo, il ragazzino, quando ormai l’Italia non ha più niente da dire e da dare. Vabbè – dicono – tanto c’è ancora l’Ucraina, vuoi mettere? Non faccio la Cassandra, dico solo che gli ucraini ci affronteranno con un cuore grande così. Tiriamo fuori anche il nostro, perduto ormai da mesi, lasciato a Wembley insieme alla gloria. Non sè visto niente di nuovo nonostante la promessa di gol annunciata con il 4-3-3…napoletano. E se non ci pensa Ciro – bontà sua – saremmo ancora lì ad aspettare. Ha finito piangendo, lui che c’era, in tutte tre le sfide con la Macedonia, la prima, nel 2016, fu la sua festa con una doppietta che ci salvò in rimonta e che ci tirò fuori al 90′ da una sconfitta; poi il pareggio (1-1) di Torino, poi la maledetta sconfitta di Palermo. Spalletti ha pensato di garantirci – come piace a lui – il possesso palla (75 a 25), proprio come nelle rarissime sfortunate sconfitte del Napoli. Vorrei dire arroganza, dirò improvvisazione. Nella notte macedone un grido solo: dov’era Raspadori?
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(ITALPRESS).

L’INTER E’ SEMPRE PIU’ INZAGHIANA

Il Napoli? Il meglio non s’è visto. Frosinone e Sassuolo non erano stati un test valido. Il peggio è ancora lì dove l’ha lasciato Spalletti dopo aver perduto l’accesso alla finale di Champions trafitto dal contropiede di Leao. La Lazio sottozero del Comandante Sarri è arrivata al Maradona sapendo cos’avrebbe trovato: una squadra non ancora attrezzata in difesa e “curata” da un Garcia “giocoso” più di quel che s’è detto di Sarri, spacciato negli anni napoletani come un ircocervo un pò sacchiano è un pò guardiolesco. E invece è un praticone, un maledetto toscano aperto a mille soluzioni quando il risultato chiama. E dopo due sconfitte la Lazio chiamava sostanza, non idee. Così dal repertorio sarriano è saltato fuori il contropiede: squadra compatta in difesa, felice in contropiede con Luis Alberto e Felipe Anderson.
I tifosi napoletani – soprattutto quelli ispirati dal più vieto e dannoso qualunquismo tattico – han già preso a mordere Garcia che, in realtà, se ha commesso un errore l’ha fatto promettendo “un bel Napoli”. Bello come quello dello scudetto non sarà più, tant’è che le prime due partite del campionato le ha vinte giocando a memoria, mentre alla terza – con un avversario vero è una voglia di mostrarsi garciano – ha malamente toppato. L’importante è capire che quel che serve è un Napoli nuovo, tutto di Garcia. Cavoli suoi. Ho passato l’estate a raccontare che non bastava trattenere Osimhen e i suoi gol se non arrivava un sostituto di Kim. E così è andata, parola di catenacciaro.
Preso atto della spettacolare freschezza del Milan – mai davvero impensierito da una Roma non ancora realizzata intorno al sogno Lukaku – vale la pena fare un ragionamento sull’Inter che sta diventando sempre più inzaghiana – compatta e concreta – mentre Inzaghi sta diventando sempre più dell’Inter, fabbrica di vittorie quando lo spirito guida è lo stesso del Mago e dello Specialone. Il vero ritratto della Beneamata – piacente, conturbante, non bellissima come vorrebbero i “giochisti” ma felicemente vittoriosa in contropiede – è quello dipinto dal suo amante Lautaro Martinez al 52′ del match con la Fiorentina che ha beccato il secondo traumatico gol proprio mentre tentava un contropiede velocissimo: “Che cosa importa a me se non son bella? – diceva la canzone – Ma ho l’amante mio che fa il pittore, e mi dipingerà come una stella”. Cedo al romanticismo – e perdonate se mi diverto – perchè il “pittore” Lautaro Martinez, investito da Dimarco, da Barella, da Thuram, Dumfries e Chalanoglu, ha esposto a San Siro un capolavoro degno di
Bedin-Jair-Mazzola-Suarez-Corso. Ripetendosi al 72′ per i patiti. E’ anche una sfida al Milan, questa, per la conquista della seconda stella. Sento i telecronisti cianciare di ripartenze. Mi dispiace che non abbiano mai visto il calcio quando l’Italia stupiva il mondo.

MANCINI SCAPPA IN ARABIA, CHE SCIPPO AL BOLOGNA

“Mi hanno trattato come il mostro di Firenze, sì, Pacciani…”. Tradisco – non dovrei – Roberto Mancini che sta in viaggio verso la nuova patria pallonara, l’Arabia Saudita, immagino con la moglie avvocato e un esperto contabile. Voglio bene al ragazzo che ho veduto nascere calciatore a Bologna e mi addolora far anche ironia. Ma potevi dirlo che ti offrivano una montagna di soldi…Silenzio. In fondo è come se tu avessi stravinto al Superenalotto…Silenzio cantatore, sta per cadermi in braccio…Un giorno ti dirò.
Come Gravina. E’ una sfortuna avere degli amici, ai bei tempi avevo un amico al giorno. Anche lui un giorno mi dirà. Ma è certo che gliel’avevano detto da giugno che Mancio trattava, da luglio che Mancio firmava. Eppoi la Pec. Povera Italia.
E il campionato finisce a escort. Ormai il disordine è totale. I fattacci azzurri tengono banco mentre s’accendono le battaglie pomeridiane. Gli arabi ci stanno togliendo giocatori e tranquillità, penso. E mi dedico a Juventus-Bologna. Tranquillità? Uno scippo come ai bei tempi, un rigore/vittoria negato ai rossoblù dalla mitica spa Arbitri Associati, quello in campo e il Var, che non vedono – si dice così – il fallo in area di Illing Junior su Ndoye.
Giudicato rigore anche dal commentatore di Dazn. A fine partita è successo di tutto, i bolognesi si sono spazzati la bocca – come si dice da quelle parti – e adesso mancano solo le inique sanzioni. Inevitabili. La macchina della giustizia calcistica è diventata una drammatica burla. E’ come se avessero cominciato a restituire alla Juve quello che le hanno sottratto nel campionato scorso. Un bell’aiutino, visto che la squadra di Allegri è morticina quant’è sveglia quella di Motta. Al Bologna manca il bomber, non Arnautovic. Un attaccante vero. Di piede e di testa, inteso come astuzia ed esperienza. Oserei un grande vecchio.
Allianz tutto in bianco e nero, i bolognesi a Torino non ci vanno quasi più, fin dai tempi delle “cene delle beffe” del sabato sera, quando l’Avvocato invitava il nobil Gazzoni Frascara e il giorno dopo prendi ‘sti gol e porta a casa. I tifosi gioiscono perchè han rifiutato Lukaku e fermato Vlahovic. Se fossi in John Elkann direi a Giuntoli di richiamarlo, l’ondeggiante scespiriano Romelu.