La settimana economica di Giuliano Zoppis

Home La settimana economica di Giuliano Zoppis

Conti pubblici, un Def impegnativo per il governo

ROMA (ITALPRESS) – Martedì conosceremo l’agenda 2024 del Governo in materia di conti pubblici. Il Consiglio dei ministri varerà il Def, il Documento di economia e finanza, principale strumento di programmazione con il quale si fissano gli obiettivi per l’anno in corso e per i prossimi. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha detto che sarà un testo “asciutto e leggero” e ha fatto capire che non ci saranno risposte puntuali rispetto ai grandi interrogativi che accompagnano il cammino di finanza pubblica in vista della manovra d’autunno. Ballano sul tavolo almeno 20 miliardi di euro, necessari per rinnovare una serie importantissima di misure varate però solo per un anno. Ci riferiamo alla replica del taglio del cuneo fiscale, all’accorpamento al ribasso delle tre aliquote Irpef, alla super deduzione fiscale per le assunzioni da parte delle imprese, alla riduzione dei contributi per le mamme con almeno due figli, al calo del canone Rai a 70 euro, misure che si aggiungono alla gestione delle spese obbligatorie. Un bel carico di provvedimenti che hanno caratterizzato la politica economica dell’esecutivo e che si presume si intenda rinnovare. Tutto ciò dovrebbe affiancarsi al rifinanziamento della sanità e al miglioramento dell’offerta previdenziale. Una montagna enorme da scalare, visto che un nuovo scostamento di bilancio per finanziare il tutto appare poco realistico alla luce delle nuove regole europee e del fardello pazzesco di un Superbonus che grava e graverà per 30-40 miliardi all’anno da qui al 2026. Le previsioni di crescita saranno più o meno quelle già ipotizzate: 1% per il 2024, 1,2 per il 2025, 1% per il 2026. Esaurita la crescita drogata dal Superbonus, si punta quasi tutto sulla spinta degli investimenti alimentati dal PNRR (peraltro pesantemente inquinati dalle italiche e altrui truffe) con i fondi stanziati per il triennio in corso. Da verificare poi se il processo di disinflazione inciderà positivamente sulla ripresa dei consumi interni. Sono forti i dubbi in tal senso. Non si è purtroppo mai visto che i prezzi aumentati calino di botto, registrando invece un consolidamento in alto, soprattutto quelli del cosiddetto “carrello della spesa”. Più probabile che scendano invece quelli che sono determinati dalle variazioni internazionali di prezzo delle materie prime, come quello energetiche. Quello che comunque il Governo ha detto chiaramente di voler fare è lo stop alla cosiddetta moneta fiscale, cioè il ricorso ai crediti di imposta, alla base del trauma finanziario registratosi con il Superbonus edilizio, ricorrendo piuttosto ai normali contributi. Anche perché dobbiamo rimettere in carreggiata due indicatori decisivi. Come quelli del deficit e del debito, entrambi appesantiti dalle varie misure varate nel post pandemia. Il deficit chiude il 2023 al 7,3% sul Pil, il debito al 137,3%. Con il varo del nuovo Patto di stabilità non si scherza più. Dovremo avviare un percorso di recupero e contenimento, a colpi di mezzo punto all’anno per contenere il disavanzo. Sappiamo già, come ha confermato Giorgetti, che dopo le elezioni europee Bruxelles aprirà nei nostri confronti una procedura per deficit eccessivo, come farà con la Francia ed altri 10 paesi. Dovremo essere bravi a negoziare condizioni non troppo penalizzanti.
In tutto questo, senza ancora conoscere i dettagli del Def, la polemica politica impazza. Si rimprovera al Governo, lavoro ordinario per qualsiasi opposizione, una serie di omissioni rispetto agli impegni presi con l’elettorato. Ci si chiede che fine hanno fatto la flat tax, il nuovo quoziente familiare, quota 41 per le pensioni, per citare tre dei grandi temi dell’ultima competizione elettorale. Tutto legittimo per carità, ma sembra oggettivamente cambiato lo scenario che ha proposto variabili imprevedibili come la guerra in Ucraina, che ha comportato impegni di spesa ingenti, e un Superbonus che ha generato un costo altissimo per la finanza pubblica e la comunità. Duecento miliardi di detrazioni fiscali che sono costati oltre 80 miliardi nel solo 2023, con un boom del deficit oltre il 7%, in calo dal picco dell’8,8. E con pesanti ipoteche per i prossimi anni. Tutto questo per beneficiare 500 mila abitazioni, il 4% degli immobili italiani.(ITALPRESS).

Foto: Agenzia Fotogramma

Tassi, le banche centrali si muovono ancora in uno scenario rischioso

ROMA (ITALPRESS) – Con efficace sintesi giornalistica quella passata è stata definita la settimana delle Banche centrali che, in modalità sia pure diverse, hanno lanciato ai mercati e all’opinione pubblica un chiaro segnale di distensione, preannunciando la stagione che porterà a un ammorbidimento delle politiche monetarie con l’auspicato taglio dei tassi di interesse. Le Borse mondiali hanno festeggiato, toccando e ritoccando i loro massimi, la quotazione dell’oro ha raggiunto i suoi picchi, le obbligazioni societarie sono state collocate ottimamente, le emissioni di titoli di Stato sono andate a ruba. Come sempre i mercati vivono e prosperano sulle aspettative e queste adesso sono concentrate su quello che sarà il tasso “giusto” dopo anni di restrizione monetaria, quando si tornerà alla stabilità dei prezzi. Sicuramente non torneranno al livello di prima, all’ubriacatura dei tassi negativi o a zero. Si cercherà quindi da parte delle banche centrali di individuare una normalità che sarà però insidiata da una pressione verso l’alto dei rendimenti per gli ingenti investimenti che dovranno essere indirizzati verso la transizione ecologica e digitale, le spese per la difesa, l’intelligenza artificiale. Un tasso elevato, per quei paesi come il nostro con alto debito pubblico e bassa crescita, sarebbe una tragedia. Comunque il risultato quasi finale di questo processo è straordinario. L’inflazione è ormai battuta senza che ci sia stato un aumento importante della disoccupazione, senza entrare in recessione quasi ovunque, senza che i salari provocassero una rincorsa con i prezzi. Andiamo incontro ad una stagione ricca di opportunità. Avremo, grazie alla diminuzione dei prezzi e alla ripresa delle retribuzioni, un recupero del potere di acquisto da parte delle famiglie, un ritorno al risparmio immobiliare grazie al calo dei mutui con connessa ripresa dell’indotto edilizio, una maggiore facilità di accesso al credito da parte delle imprese. E le prospettive di medio termine sono buone: i salari crescono in modo moderato attorno al 2%, i risparmi accumulati ai tempi del Covid non sono stati bruciati, pronti ad essere investiti, la spesa pubblica legata al PNRR e agli altri programmi di sostegno rimarrà elevata per rilanciare la crescita. In rapida sintesi: la BCE si dice pronta ad un taglio in giugno (più altri due nel 2024) se il processo di disinflazione proseguirà, ma con occhio attento, dice la Lagarde, alla crescita delle retribuzioni, agli utili delle aziende e alla loro produttività. Non ci sarà un percorso predefinito di tagli, ma una verifica puntuale dei dati sensibili. Anche l’americana FED punta su tre tagli nel 2024, forte di dati buoni sulla crescita, ma con qualche preoccupazione per una inflazione ancora resistente. La BoE, banca centrale inglese, ha tenuto anche essa i tassi fermi, ma con messaggi decisamente distensivi. E perfino la Banca Svizzera, notoriamente la più prudente, si è lanciata, tagliando per prima i tassi ufficiali di un quarto di punto. Ma la sorpresa più forte arriva dalle Borse. Wall street e con lei le altre diciassette maggiori borse del mondo viaggiano sui massimi. A prescindere ormai dalle mosse delle banche centrali, da cui dipendevano. Una novità. Infatti si guarda ora con occhio diverso e sano realismo all’andamento delle economie. Adesso, invertendo la tendenza che vedeva nei dati negativi un preannuncio del taglio dei tassi, le buone notizie congiunturali lo sono anche per le borse. Quindi salgono le quotazioni anche se le aspettative di riduzione si ridimensionano, scommettendo sulla forza delle economie e su utili societari ancora buoni. Insomma tutto sembra preannunciare un 2024 di soddisfazioni per il risparmio, soprattutto finanziario. Ma certo i rischi incombono. Il primo è quello di una inflazione non battuta o addirittura in ripresa, e poi sono tanti gli scenari geopolitici preoccupanti. Ucraina, Medio Oriente, una Cina più aggressiva verso Taiwan, le incombenti elezioni americane. Tante incognite che potrebbero mettere in pericolo il certosino lavoro delle banche centrale e delle istituzioni monetarie. (ITALPRESS).

fonte foto: IPA

Case green, serve cautela ma scelta inevitabile

0

di Giuliano Zoppis
ROMA (ITALPRESS) – Cinque milioni di edifici da rifare, con una spesa che potrebbe collocarsi fra i 35 e i 60 mila euro per singola unità: ragionando terra terra, in modo molto diretto, è questo l’effetto principale che la direttiva “case green”, approvata in settimana dal Parlamento europeo, potrebbe avere per i cittadini italiani. Il provvedimento, atteso alla ratifica formale del Consiglio Ecofin il 12 aprile, e dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale entrare in vigore entro due anni con il recepimento dei parlamenti nazionali, prevede un calendario molto rigido per far sì che il parco immobiliare europeo arrivi entro il 2050 ad emissioni zero. Un taglio del 16% entro il 2030, del 20-22% entro il 2035. Rispetto alla versione iniziale di un anno fa la normativa è stata ammorbidita con due novità fondamentali. In primis non è più previsto un rigido diktat dall’alto, ma ogni Stato dovrà varare un suo piano nazionale per giungere all’obiettivo finale. In secundis sono state tolte le classi energetiche come riferimento fondamentale, ma previsto che almeno il 55% della riduzione nociva dovrà essere ottenuta con la ristrutturazione degli edifici che consumano più energia.
La preoccupazione per obiettivi così stringenti da raggiungere deve essere però temperata con la considerazione che la direttiva (approvata a maggioranza con il no dei partiti di centro destra) non prevede limiti di vendita o affitto per edifici non riqualificati. Infatti la possibilità di prevedere sanzioni per inadempimento delle norme rappresenta un vincolo per gli Stati membri e non per cittadini. Insomma una eventuale procedura di infrazione nei confronti degli Stati e non per i singoli, che non avranno obblighi diretti di ristrutturazione degli immobili. Si dovrà comunque provvedere a riqualificare il nostro patrimonio molto vetusto: su 12 milioni di edifici il 43% è come abbiamo detto da rifare, 3,1 milioni sono stati edificati prima del 1945, 1,8 prima del 1918, e fanno parte ovviamente delle due classi energetiche peggiori, la F e la G. Vero che sono state previste esenzioni da parte della direttiva: edifici religiosi, storici, eretti per scopi difensivi, agricoli. Esentate anche le seconde case, usate per meno di 4 mesi all’anno.
Ma esclusioni e rimedi possibili non possono cancellare l’inadeguatezza attuale del nostro patrimonio immobiliare, calcolando peraltro che gli edifici sono responsabili del 40% dei consumi energetici e del 36% di emissioni di gas serra. Non siamo soli, il 75% degli edifici europei è inefficiente a livello energetico, ma ci collochiamo nella fascia più bassa. Si alzano proteste a livello politico e da parte delle associazioni del consumatori per la riduzione dei bonus attuali, soprattutto per le caldaie a gas che saranno bloccati dal 2025 ed eliminati del tutto, anche quando erogati per soluzioni miste, dal 2040. La trasformazione in atto, il processo inevitabile della transizione energetica, si porta appresso una grande questione. Chi paga tutto questo? La direttiva resta sulle generali, non prevede finanziamenti specifici da parte del settore pubblico, ma fa riferimento all’utilizzo degli strumenti comunitari attuali. E apre alla possibilità di ammettere detrazioni fiscali, sconti in fattura, contratti energetici agevolati, fondi di garanzia.
E il tutto va declinato anche per ciò che riguarda l’utilizzo del solare, tutti i nuovi edifici dovranno infatti essere solar ready (cioè predisposti) dal 2030, dal 2028 quelli pubblici. Si apre adesso una partita politica molto delicata nella quale dobbiamo assolutamente evitare di ripetere quello è successo con il Mes. Il Governo ha in mano tutte le carte per procedere bene, avendo la possibilità di orientare i passi per adeguarsi ad una normativa europea dagli obiettivi finali sacrosanti. Il poter dettare le regole nazionali, sia pure nell’ambito di una direttiva comune, non deve annacquare le nostre scelte. Il non prevedere sanzioni per chi non sistemerà le proprie case, o comunque non inserire una normativa ragionevole ma ferma, sarebbe un danno anche per i cittadini. La sanzione inevitabile, inappellabile, è quella del mercato. Chi migliorerà le condizioni energetiche dei propri immobili li vedrà apprezzare, viceversa avverrà il contrario. Questo processo è già in atto. Non si può fermare.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).

Tassi, ancora nessun taglio ma processo ormai irreversibile

Di Giuliano Zoppis

ROMA (ITALPRESS) – Scottate dalle errate valutazioni degli anni passati, quando giudicarono episodiche e non congiunturali le tensioni sui prezzi, ritardando gli opportuni interventi, le due principali banche centrali del mondo capitalista invocano prudenza per avviare la nuova stagione del taglio dei tassi di interesse. In settimana la americana FED prima, e poi la “nostra” BCE, hanno nella sostanza congelato l’attuale fase di tassi elevati, rimandando ad una primavera, quanto mai indefinibile, l’attesa svolta, senza però negare che sta arrivando il momento per mettere fine alla lunga stagione di politica monetaria restrittiva. Il trait de union di questo ormai consolidato convincimento sta nella chiara constatazione di un processo disinflattivo ormai in corso, in rapida, ma non rapidissima, discesa verso il comune obiettivo del 2%. Al 2,8 americano si contrappone una previsione di crescita del 2,3% per l’area dell’euro (2 nel 2025, 1,9 nel 2026), minore quindi di quanto ipotizzato a dicembre da Francoforte. Per ora i tassi rimangono fermi al massimo storico del 4,5%, ma si intravede il cambio di rotta. La data fatidica e’ il 6 giugno (in coincidenza con le elezioni europee), più difficilmente l’11 aprile. Vediamo perché, “leggendo” le parole di una Christine Lagarde, presidente della BCE, le cui affermazioni assumono di volta in volta le sembianze della Sfinge e ricordano i responsi criptici, da interpretare, della Sibilla cumana. Per muovere la leva dei tassi servono più’ dati, ne avremo in aprile alcuni come quello sull’inflazione del primo trimestre, molti di più a giugno. Dipendiamo da questi dati, afferma Lagarde. Che sottolinea come solo allora si conosceranno i numeri sull’andamento del settore servizi, dopo i giorni festivi di Pasqua e Pentecoste. Se queste indicazioni segneranno un contenimento dei prezzi, allora il primo taglio scatterà a giugno. Difficile che possa accadere prima, a meno che la discesa dell’inflazione non assuma un carattere più dirompente, mentre gli ultimi aumenti dei tassi incidono sulla domanda contribuendo al calo dei prezzi. La prudenza della Lagarde trova un altro motivo di giustificazione. Per la banchiera francese occorre temere le pressioni sui prezzi dalla forte crescita salariale, ma non sembra esserci questo rischio, non sembra sussistere insomma una spirale salari-prezzi, la cosiddetta rincorsa. Se infatti i profitti delle imprese sembrano ancora essere buoni, questo significa che le stesse imprese sono in grado di assorbire gli aumenti salariali, senza quindi dover traslare il maggior costo del lavoro sui prezzi finali. Ma la crescita delle imprese e dell’economia si sostiene anche tagliando i tassi, quindi la BCE rischia con il suo immobilismo di comprimete l’aumento dei profitti…Una tesi contestata dalla Lagarde, ma che alcune economie siano in difficoltà è incontrovertibile. A partire da quella della locomotiva tedesca, in piena recessione, in un’area euro che vede rallentare la crescita del Pil nel 2024 dallo 0,8 allo 0,6% (con previsioni di ripresa però nel secondo semestre). E perfino la super austera Bundesbank, la banca centrale tedesca, comincia ad auspicare il taglio dei tassi, che nelle attese degli operatori dovrebbe essere il primo di quattro per il corrente anno. In una situazione così fluida appare quanto mai opportuno, aspettando Francoforte, aiutarci da soli. Le nostre imprese stanno tenendo, nonostante una difficile situazione geopolitica internazionale. Soffrono di più le famiglie, afflitte in questi anni dall’ingiustizia tassa dell’inflazione, e molte di queste massacrate dall’aumento dei tassi dei mutui, e con compravendite immobiliari in calo del 10% nel 2023. Ci aspettano mesi difficili, soprattutto per il controllo dei nostri conti pubblici nel mirino di Bruxelles. Ma i segnali di mercato sono buoni: lo spread, che misura la differenza dei nostri tassi con quelli tedeschi, è in diminuzione. Per positive e concomitanti ragioni: sono tornati, consistenti, gli investimenti stranieri sui nostri titoli del debito, aumentano le aspettative per una riduzione dei tassi ufficiali, giova la stabilità politica per il Governo in carica, che punta decisamente sull’obiettivo di ridurre il rapporto debito/pil. Insomma le premesse per farsi trovare pronti a cogliere una ritrovata stagione di crescita e sviluppo ci sono tutte. Sfruttiamole. (ITALPRESS).

Foto: agenzia Fotogramma

Sul Pnrr sfida da vincere per sostenere la crescita

Se ne parla da anni, se ne parlerà ancora a lungo e giustamente, visto che il Pnrr rappresenta per il nostro Paese una sfida da vincere assolutamente se vogliamo sostenere la crescita e assicurare un soddisfacente futuro per le nuove generazioni. Invece assistiamo a un triste dibattito che accompagna il cammino del Piano, che prescinde dal colore del Governo in carica, tutto incentrato sul rinvio, sul fallimento, sul finanziamento di questo o di quel progetto. Risultati soddisfacenti, provvedimenti adottati, decisioni prese sono accompagnate da polemiche che definirle politiche significherebbe dargli un tono adeguato. Che non hanno. Manca insomma un coro concorde di voci che al di là degli schieramenti sostenga la progressiva realizzazione del Piano. E invece bisogna fare in fretta, rispettare le scadenze, mettere a terra i progetti. “Bisogna trarre il massimo beneficio dall’attuazione del Pnrr per innalzare la crescita e rendere meno arduo il necessario riequilibrio dei conti pubblici”. Così qualche settimana fa il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, con parole scolpite nella pietra.  Così, se arriva da Bruxelles la buona notizia che l’Italia è il Paese che più ha beneficiato del programma con 178 obiettivi raggiunti sui 527 complessivi, arriva anche la notazione che va verificata l’effettiva attuazione delle riforme e degli investimenti, e quindi i risultati concreti. E qui non sono solo gioie: alla fine del 2023 infatti sono stati spesi 45,6 miliardi sui 101,93 incassati. Da qui all’estate del 2026 ne dovremmo utilizzare ben 150, quindi 50 miliardi all’anno, impresa non facile. E le due rate 2024 dovrebbero portare in cassa altri 28,8 miliardi a fronte di oltre 100 progetti previsti. Tanta carne al fuoco, e mentre si aggiustano i piani e si modificano i percorsi fioccano le pagelle dei buoni e dei cattivi, riferiti ai ministeri, centri responsabili di spesa. E allora si scrive che ambiente e imprese marciano bene, lavoro, turismo, salute, infrastrutture sono in ritardo in un bailamme di critiche confuse. Con 194,4 miliardi di euro complessivi siamo in Europa il Paese che più ha da guadagnare dalle risorse di questo maxi piano. Si parla già di replicarlo, sia pure con altre forme e contenuti, per far fronte alle emergenze di ogni tipo che l’attualità economica e politica propone al nostro Continente. Non ultima quella di una difesa comune, da predisporre alla luce di un quadro internazionale incerto. Per questo si guarda a noi, facendo questa volta il tifo. Un successo o un insuccesso del Pnrr italiano significherebbero molto per il futuro della Ue, per la riproposizione o meno di piani europei così ambiziosi. In settimana è arrivato dal Governo un nuovo decreto per aggiustare il percorso. Sono stati stanziati nuovi fondi, recuperandoli da altri strumenti finanziari nostrani e comunitari, per finanziare quei progetti bocciati a Bruxelles e rivisti a Roma con la rimodulazone del Piano decisa nei mesi scorsi. La voce più importante, 10 miliardi, riguarda i Comuni, in gran parte si tratta di piccoli e piccolissimi appalti che però registravano quasi ovunque lavori già iniziati o finiti. Sono state introdotte importanti semplificazioni per 45 settori artigiani, tagliando costi, adempimenti, autorizzazioni. Sono stati tagliati quasi tre miliardi ai ministeri di spesa. E tanti altri provvedimenti di minor peso. Ma un filone importante emerge con chiarezza dalla lettura del corposo decreto, quello sulla realizzazione dei progetti e il rispetto delle scadenze.
Un vero e proprio giro di vite. Previsto un commissariamento (vedi quello per la realizzazione degli alloggi universitari) e più in generale viene introdotto un obbligo di farsi carico dei costi delle opere non realizzate entro le scadenze. In caso di mancato o incompleto raggiungimento degli obiettivi, l’amministrazione centrale titolare dell’opera dovrà restituire i soldi già avuti recuperandoli dai soggetti attuatori. Anche in Europa forte stretta sui controlli. Siamo purtroppo maglia nera per le frodi relative ai finanziamenti Pnrr: su 206 procedimenti aperti, ben 179 riguardano gare svolte in Italia. Se è vero che la spiegazione è in parte lapalissiana, visto l’ammontare maggiore dei finanziamenti italiani, non si tratta comunque di un dato consolante, vista che la seconda negativa posizione è quella austriaca con sole 33 frodi. Quindi molto denaro e molti controlli, per bloccare le infiltrazioni della criminalità nella realizzazione del Pnrr. E per questo dallo scorso anno sono al lavoro anche ben quattro istituzioni europee. Come direbbe Alberto Sordi “non se famo sempre riconosce”.
(ITALPRESS).
– Foto: Agenzia Fotogramma –

Arriva il Milleproroghe, decreto scaccia problemi

0

di Giuliano Zoppis

ROMA (ITALPRESS) – In settimana, entro il 28 febbraio, arriva l’approvazione definitiva del decreto milleproroghe, un mostro legislativo entrato ormai stabilmente nel panorama parlamentare italiano. Così stabilmente che qualcuno con ironia si chiede se non sia il caso di modificare il testo dell’art.81 della Costituzione (quello che regola la legge di bilancio) per ricomprenderlo in esso. Introdotto per la prima volta nella prassi parlamentare nel 2001, questo decreto è diventato ormai una tradizione di inizio anno: si rinviano scadenze, entrano in vigore provvedimenti urgenti, si introducono nuove misure. Nel complesso si rifissano termini e si adottano soluzioni che altrimenti dovrebbero essere affrontati e risolte in tempistiche e modalità differenti. Dall’anno della sua introduzione quasi tutti i Governi vi hanno fatto ricorso, in alcuni casi anche due volte. Nato come provvedimento snello (il primo contava solo nove articoli) è esploso nel tempo, nel 2020 sviluppò 90 articoli. Un atto omnibus che in alcuni casi ha portato ad abusi arrivando anche all’esame della Consulta. Pur storcendo il naso, la Corte Costituzionale ne ha riconosciuto la legittimità ma con dei paletti legati al rispetto dell’urgenza delle scadenze e dei provvedimenti che vengono contemplati nel provvedimento. Oltre a queste problematiche di tipo tecnico, ve ne sono alcune di tipo politico che fanno di questo provvedimento una scappatoia da extrema ratio. Misure che tengono conto della pressione delle lobby, proteste dell’opinione pubblica, ripensamenti e correzioni che la maggioranza di Governo opera su suoi provvedimenti precedenti, “contentini” alle opposizioni. Ripercorrendo i contenuti di questi decreti che si sono succeduti in questi quasi venticinque anni tutte queste motivazioni emergono con chiarezza e anche il testo del milleproroghe 2024 non sfugge da questa impostazione. Sono molte le problematiche che l’articolato affronta, ne abbiamo enucleate alcune che più di tutte interessano la cittadinanza e le imprese, coinvolgendo larghe fasce del Paese. Viene varata la riveduta disciplina fiscale per gli agricoltori, soluzione della pax che ha messo fine o quasi alla rivolta di trattori. Esenzione Irpef per i redditi fino a 10 mila euro, del 50% per quelli fino a 15 mila euro. E i trattori potranno circolare su strada fino al 30 giugno. Viene ancora rinviato, al 31 dicembre (per ora…), il pagamento delle multe di 100 euro per chi non ha fatto il vaccino Covid. Una misura che riguarda 1,7 milioni di italiani, fra over 50, personale sanitario e scolastico, forze dell’ordine.
Chi non ha pagato le cartelle esattoriali “rottamate” avrà tempo fino al 31 marzo per farlo e vengono confermate le agevolazioni per i mutui sottoscritti dagli under 36 per l’acquisto della prima casa, con un ISEE fino a 40 mila euro. Importante anche dal punto di vista sociale l’estensione del bonus psicologo, con un budget aumentato da 8 a 10 milioni di euro, con un contributo di 50 euro a seduta. Bisognerà avere un ISEE sotto i 50 mila euro, con tre fasce di rimborso da 500 a 1500 euro che variano con il variare del reddito. Potrà essere richiesto fra il 18 marzo e il 31 maggio. Rispondendo alle accresciute esigenze legate ormai ad una emergenza consolidata, il decreto consente ai medici di ritardare l’andata in pensione fino a 72 anni. Potranno tornare in servizio anche quei medici che sono pensionati dal primo gennaio 2023. La domanda di permanenza andrà fatta entro il 31 dicembre 2025. Fra le tante misure anche una che agevola le imprese per favorire l’occupazione. Potranno infatti prorogare al 31 dicembre di quest’anno la vigenza dei contratti a termine senza la solitamente richiesta causale. Come si nota si tratta nel complesso di misure importanti, non banali codicilli, ma provvedimenti di largo interesse. Ogni anno la domanda è la solita… ma non ci si poteva pensare prima?

– Foto: Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).

L’economia italiana tiene, ma domina l’incertezza

0

ROMA (ITALPRESS) – Si può archiviare l’idea che il nostro Paese sia il fanalino di coda dell’Europa. L’andamento dell’economia italiana e’ in linea con la media Ue. Se a pronunciare queste parole è un signore che fa il Commissario europeo agli Affari economici, è stato Presidente del Consiglio e, politicamente, è uno degli esponenti di punta del maggiore partito di opposizione, il Pd, allora dobbiamo riflettere sul clima di catastrofismo che permea il Paese e che anche dati di fonte indipendente non riescono, pare, a scalfire. Le parole pronunciate in settimana da Paolo Gentiloni, nel presentare all’opinione pubblica e alla stampa, le nuove previsioni economiche di Bruxelles sono chiare. Viviamo in Europa un periodo di bassa crescita, la crisi attuale colpisce soprattutto il modello tedesco, quindi la Germania e i paesi del Nord e influenza pesantemente l’economia del continente. In questo contesto il Pil dell’area euro salirà nel 2024 dello 0,8, quello nostro dell’0,7%. Faremo decisamente meglio della Germania (0,3) e un po’ peggio della Francia (0,9). E i tre paesi sono tutti attesi nel 2025 ad una crescita dell’1,2-1,3%. Ci aveva già pensato qualche giorno fa il Governatore della Banca d’Italia a rimettere la barra al centro, smentendo con numeri e ragionamenti i foschi scenari del pessimismo e del pregiudizio. La nostra crescita, ha detto Fabio Panetta, va letta nelle sue tendenze. Ebbene dalla pandemia l’Italia ha recuperato un più 3,6% del Pil, il doppio della Francia, mentre la Germania ha riguadagnato un misero 0,1. Non siamo andati in recessione e abbiamo registrato numeri buoni per quanto riguarda l’occupazione, ai livelli più alti degli ultimi anni. L’inflazione scende verso l’obiettivo fatidico del 2% (lo ha confermato Gentiloni per il 2024, contro una media Ue del 2,7%) e vengono smentiti anche i timori su una possibile rincorsa salari-prezzi. La possibilità che ciò avvenga, dice Panetta, è esigua. Anzi, un recupero del potere di acquisto dei salari sostiene i consumi (già in risalita) e la ripresa economica. La preoccupazione vera è un altra. La revisione al ribasso delle stime di crescita rappresenta per il nostro Paese un problema per i conti pubblici. Mezzo in punto in meno di Pil significa 10 miliardi in più da trovare per la prossima finanziaria, vanno infatti prorogati il taglio del cuneo fiscale e la nuova curva delle aliquote Irpef. Presto per parlarne, ma certo il Governo dovrà porre mano alla questione ed una strada possibile sembra quella di una più vicina decisione sulla privatizzazione delle partecipate pubbliche e per percentuali maggiori rispetto a quelle ipotizzate. E dovrà essere utilizzata al meglio una straordinaria opportunità che potrebbe far rivedere al rialzo le nostre stime di crescita e ci riferiamo alla splendida occasione che abbiamo con i fondi del Pnrr, con la messa a terra dei progetti sostenuti da ingenti investimenti. Per tornare ai conti pubblici, incombe la mannaia dell’apertura di una proceduta per deficit eccessivo (quello del 2023) da parte di Bruxelles. Non solo per noi, ma anche per la Francia e compagnia cantando. Ma incombono anche le elezioni europee di giugno e Gentiloni, uomo e politico solido, con sano realismo allontana nel tempo queste decisioni e dice che che non se ne può parlare per cambiamenti dello zero virgola. Insomma, vedremo. Anche perché sullo scenario insistono variabili diverse, tutte preoccupanti. Per rimanere in ambito economico rappresenta sicuramente un punto di svolta l’attesa decisione della BCE per un taglio dei tassi. Fondamentale anche la tempistica di questa svolta nella politica monetaria di Francoforte. La Presidente Christine Lagarde dice che non si possono prendere decisioni avventate (ricordando forse quelle non prese quando si pensava che l’aumento dei prezzi fosse episodico) e non si sbilancia. Così molti osservatori pensano che il momento atteso scatterà con la riunione del 6 giugno, sperando però che le economie europee non arrivino a quella data con il fiato troppo corto (e per questo si spera nella precedente riunione di aprile). Non per niente Bruxelles ha indicato fra le ragioni di un crescita ridotta il rallentamento degli investimenti da parte del pubblico e del privato per l’elevato costo dei finanziamenti. E allargando lo sguardo vanno tenute in debita considerazione le crisi geopolitiche che colpiscono il pianeta, e quindi l’economia. La guerra in Europa, quella in Medio Oriente, le difficoltà nel trasporto commerciale marittimo con i problemi dei canali di Suez e Panama e, non dulcis in fundo, l’esito delle prossime elezioni americane. Se vogliamo sintetizzare, il 2024 sarà l’anno dell’incertezza. (ITALPRESS).

Foto: Agenzia Fotogramma

Panetta “Vicino il taglio dei tassi”, cade il tabù della spirale salari-prezzi

0

ROMA (ITALPRESS) – “Si sta rapidamente avvicinando il momento di un’inversione di rotta nell’orientamento della politica monetaria”. Chiaro, diretto, efficace arriva il messaggio di Fabio Panetta sul taglio dei tassi di interesse nel suo primo “vero” intervento da Governatore della Banca d’Italia con il discorso rivolto alla platea degli operatori finanziari di Assiom Forex riuniti a Genova. Panetta, coerentemente con quanto già sostenuto nella sua veste di membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea (quando veniva schierato fra le “colombe” di Francoforte), ha spiegato la sua affermazione con l’indicazione di un processo di disinflazione in fase avanzata, con un cammino verso l’obiettivo del 2% che procede spedito. Ma la cautela del banchiere centrale trova spazio nel ragionamento del Governatore quando fissa nella riunione di marzo della BCE il momento cruciale che Francoforte, sulla base dei dati, utilizzerà per l’esercizio di previsione utile per valutare le successive mosse di politica monetaria. Con considerazioni che richiamano il recente intervento del Fondo monetario internazionale, Panetta sottolinea come andranno “soppesati” benefici e controindicazioni di un taglio tempestivo e graduale dei tassi rispetto ad un allentamento tardivo e aggressivo “che potrebbe accrescere la volatilità dei mercati e dell’attività economica”.

Mettendo insieme parole ed affermazioni, posizioni espresse in precedenza e replicate ora, emerge con chiarezza quale è il punto di vista del Governatore, al di là del doveroso rispetto di una cautela istituzionale. Non manca ovviamente il pieno riconoscimento di un cambio di passo necessario che ha portato nei mesi passati la BCE a impedire che l’inflazione, autoalimentandosi, potesse diventare endemica. Rimanendo in tema di inflazione va sottolineato un passaggio del discorso molto importante, quasi una svolta, in tema di salari. Per un lungo periodo le autorità monetarie, anche la Banca d’Italia, hanno messo in guardia circa il pericolo di una tensione sui prezzi da parte delle politiche salariali. Ebbene Panetta ha osservato come oggi la probabilita che un possibile rafforzamento delle dinamiche salariali inneschi una tardiva rincorsa salari-prezzi sia esigua. Di più. Con prezzi in netto calo e profitti elevati delle imprese, un recupero del potere di acquisto dei salari, dopo le perdite subite anche per colpa della “tassa” inflazione, per il il Governatore è “fisiologico” e in grado di sostenere i consumi e favorire la ripresa economica.

L’analisi di Panetta è economica, si basa su dati concreti, ma non può sfuggire il significato e il riflesso anche politico di queste considerazioni sul dibattito in corso nel Paese. Come sulla base dei dati, il Governatore punto per punto ha smontato tutti gli allarmismi sulla persistenza o sulla ripresa dei prezzi. Pagine chiare dove in modo schematico Panetta impartisce una lezione ai catastrofisti. Convinzioni che si ritrovano anche nel passaggio sui dati macroeconomici attuali, che ci vedono tenere bene la congiuntura, facendo addirittura meglio di Germania e Francia. Un intervento a tutto campo in cui i contenuti tecnici sono limitati ad alcuni “consigli” alle banche vigilate, anche rispetto alla possibile concorrenza delle grandi multinazionali del web e del fintech. Interessante il riferimento alle potenzialità inespresse di un Mezzogiorno d’Italia che dovrebbe invece approfittare, se rafforzato nelle sue infrastrutture, della nuova situazione economica internazionale. Dove domina però l’incertezza, parola più volte usata dal Governatore, a causa delle gravi crisi geopolitiche. Con un primo messaggio al Governo, Panetta chiede misure per sostenere la crescita del Paese, coinvolto nella debolezza della economia europea. Gli investitori devono vedere un debito pubblico in discesa e vanno stimolati con misure che accrescano l’innovazione e la produttività.

Giuliano Zoppis

– Foto: Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).